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Autore: Hikary    07/04/2013    2 recensioni
{Montparnasse | Montparnasse/Eponine, Eponine/Marius}
Go careful now, stay out of sight.
There's danger in the streets tonight.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In onore di Andy
il miglior Montparnasse-che-é-Fauchelevant e secondo para-coda della capretta australiana di sempre


Go careful now, stay out of sight.
There's danger in the streets tonight.


Out of sight.
 
Il gioco era semplice: sedersi sul muro che circondava il giardino di qualche vecchia villa abbandonata e cominciare ad osservare i passanti. Senza essere visti.
All’inizio era solo un guardare, con qualche battuta di tanto in tanto per fare a gara a chi sapeva essere più sprezzante; vinceva sempre lui, ovviamente, ma Eponine era incredibilmente cinica e disillusa per i suoi undici anni. Ci andavano all’imbrunire, se non c’era niente di meglio da fare. In teoria Montparnasse era sempre andato per i fatti suoi, finché quella bambina magra come la fame aveva deciso di andargli dietro. “ Tanto non è che ci sia di meglio da fare a casa”, si era giustificata Eponine. “ Se nemmeno ce l’hai, una casa”, aveva provato a stroncarla, sputandole quella cattiveria ad un millimetro dalla faccia.
In quel preciso momento, mentre lei scrollava le spalle e gli andava dietro comunque, Montparnasse si era reso conto di una semplice verità che lo avrebbe segnato a vita: Eponine Thernardier non era meno incattivita, incosciente e affamata di lui o di qualunque altro disperato di Parigi. Forse il suo corpo era minuto e il suo aspetto ancora innocuo, ma tempo qualche anno, con le guance più scavate e un coltello in mano, se la sarebbero portata dietro nelle scorribande notturne.
Il gioco era diventato sempre più interessante, in due.
 
« Quel bambino là, con il naso storto. »
« Quella cosina insignifcante, con i capelli che sembrano sterpaglie. »
 
Giocavano ad indovinare quanti dei ragazzini come loro avrebbero potuto essere fratellastri o sorellastre di Eponine. Col tempo, avevano aggiunto altre categorie: quali avrebbero potuto essere figli suoi? Figli loro?
Lei lo colpiva con tutto ciò che le capitava a tiro e rispondeva, tagliente: neanche uno. E nonostante tutto restava, Eponine Thernardier, e continuava a giocarci, perché non c’era niente di meglio da fare, perché qualunque bastardo di Parigi era una compagnia più sottoportabile di quel bravuomo di suo padre e perché per ascoltare da sola i crampi della fame, tanto valeva ascoltarli in due.
 
« Troppo basso. »
« Troppo brutta. »
« Capelli rossi. »
« Uhm, sì …però questo qua un po’ mi somiglia, trovi? »
 
Montparnasse alzò un sopracciglio e reclinò la testa da un lato per guardarla in faccia, sfoggiando un rarissimo sorriso divertito.
 
« Mmm …c’é qualcosa che dovresti dirmi ‘Ponine? »
 
Un ceffone e qualche calcio confuso più tardi, camminavano insieme verso quel posto che chiamavano ‘casa’ perché sapevano di trovarci più o meno la stessa gente, ma che non aveva un tetto, né cibo, né una valida ragione diversa dall’abitudine per tornarci.

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La loro prima volta era stata un disastro.
Iniziata male, malissimo, si era conclusa con Eponine per terra, sanguinante e furiosa, mentre Thernardier strillava e Montparnasse stava in un angolo, fumante, ad aspettare il proprio turno per sbraitare. Da una come lei si sarebbe aspettata qualcosa di spettacolare – che stordisse un poliziotto con una bastonata o rubasse una collana di brillanti a qualche vecchia grassona d’alta classe, per esempio – e forse il problema era proprio questo: la sua personalissima idea di Eponine iniziava a confondersi con la persona reale, creando aspettative ridicole. Dopotutto, rimaneva poco più che una ragazzina e quello era il primo furto in piena regola a cui prendeva parte.
 
« Dannazione a te, stupida che non sei altro. » le aveva sibilato nell’orecchio dopo che il padre se n’era andato, prendendola per un braccio e sollevandola da terra. « Ti avevo detto di starmi dietro. Non sei più capace di correre, eh? »
« Lasciami in pace! »
 
Cercava di divincolarsi come un’indemoniata, tirando su col naso lacrime e sangue e stizza, e la forza con cui lui la stava tenendo ferma non faceva che alimentare la sua frustrazione.
 
« Invisibile, ‘Ponine! Invisibile! Se non sei invisibile, ti prendono. » le strillava e la scuoteva violentemente « E se ti prendono, sei nella merda. Hai capito? »
 
Eponine annuiva vigorosamente, nella speranza che la lasciasse andare al più presto.
 
« Stai fuori dal raggio visivo. »
 
Montparnasse avrebbe voluto calmarsi e dare alla sua protetta una lezione come si deve sui trucchi del mestiere. Eppure non riusciva a frenare la rabbia.
 
« Se ti prendono, siamo tutti fregati. »
 
Io sono fregato.
 
« Una di meno nella banda. Una di meno su cui contare. »
 
Niente più Eponine Thernardier.
 
In un insolito impeto di pietà, tirò fuori un fazzoletto sudicio da chissà dovee le tamponò il naso. Lei rimase buona durante tutta l’operazione, quasi che una tregua fosse possibile, almeno per quella sera. A lui le tregue non erano mai piaciute, però.
 
« E ora, signorina, che ne dici di andare a celebrare il tuo primo colpo in maniera adeguata? »
 
Eponine gli aveva sputato dritto in faccia.
E se non si era ritrovata con il naso definitivamente distrutto, era solo perché in quella faccia, per quanto pallida e solcata da occhiaie infinite, Montparnasse ci vedeva e ci aveva sempre visto un qualcosa.
 
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Tutto avrebbe potuto dire di Eponine, tranne che non sapesse fare tesoro dei suoi consigli. Relegati a fare da palo, come loro solito, si ritrovavano appollaiati su cornicioni, rintanati in vicoli fetidi o semplicemente appiattiti contro un muro – separati o vicini, fingendosi intenti a scambiarsi smancerie. E parlavano.
Nascevano le conversazioni più strane e disparate in quei momenti.
Spesso Montparnasse si ritrovava a pensare che certi argomenti, certi pensieri, abitassero la sua testa solo quand’era in compagnia di Eponine; li dimenticava, nel resto del tempo. Un giorno le parlò del mare, del vecchio custode dell’orfanotrofio in cui era stato un anno o due, da bambino, che raccontava loro del suo paesino vicino a Calais. Un altro, Eponine raccontava di sogni misti a vaghi ricordi di una bambina bionda che spazzava il pavimento della vecchia locanda dei suoi.
Erano giunti alla conclusione che si fosse trattato del fantasma di una poveretta morta in quel posto tanti anni prima, ma che Eponine era stata una bambina tanto perfida e diabolica da aver fatto fuggire lo spettro.
 
Montparnasse si appoggiava al muro e le premeva una mano in mezzo alle scapole per tirarla vicino; poi nascondeva la bocca nel suoi capelli, fingendo di baciarla, e sussurrava.
 
« Mai dalla parte del muro » le insegnava « Mai dalla parte del muro quando sei quella meno forte; non sai quando la situazione potrebbe cambiare e il tuo compagno diventare il nemico. »
 
Eponine annuiva e Montparnasse arrivava quasi a sentirsi orgoglioso di lei. Quando i vestiti diventavano troppo consumati, si premurava di trovarle altri stracci da mettere; lo infastidiva l’idea che altri potessero guardarla.
 
« Invisibile, ‘Ponine. Non farti beccare, da nessuno. »
 
Lei era diventata brava, in tutto.
Riusciva a strappargli il coltello di mano – non sempre, ma nemmeno di rado. Guardava con un certo sdegno le prostitute agli angoli della strada mentre girava con Montparnasse e la banda, la notte. Si sentiva – lui lo sapeva - superiore, in qualche modo. Una combattente più esperta, che aveva armi migliori per sopravvivere. Lo rendeva quasi felice il pensiero che lei potesse essere orgogliosa di qualcosa, qualunque cosa; avevano solo tutti sempre troppa fame per essere avvero felici.
 
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Eponine sapeva tenersi a debita distanza quando lui era di pessimo umore o nelle rare volte in cui si ubriacava. L’alchool scaldava, dopotutto, ma non capitava spesso di avere i soldi per arrivare oltre il limite. Lei si nascondeva da qualche parte – si arrampicava, sovente, perché da ubriachi è difficile scalare anche solo una panchina. Quando era sobrio o in sé ma in vena di tormentarla, Eponine si lamentava, sibilava e graffiava come un gatto, pur rimanendo nei paraggi. Montparnasse provava ad allungare una mano, se la vedeva distratta, ma c’era ben poco da toccare in quel cumolo di ossicine. Nondimeno, provarci e farla arrabbiare rappresentava almeno metà del divertimento.
 
Un inverno il freddo si era fatto intollerabile.
Eponine era cresciuta e dimagrita insieme. Certe notti, dormiva talmente avvinghiata a Montparnasse da tenerlo sveglio fino al mattino, perché batteva i denti nel sonno, incessantemente. Una piccolissima parte di lui si rifiutava di dormire per la paura incoscia di svegliarsi e trovarsela morta tra le braccia; il resto era scocciato e sopportava solo in cambio di averla avuta tutta per sé nelle ore precedenti.
Una volta aveva provato a morderla, nell’incavo del collo, per il puro gusto di vedere la sua reazione. Prima di ogni altra cosa, l’istinto di Eponine le aveva imposto di ricambiare l’attacco e Montparnasse si era ritrovato con un labbro sanguinante, che aveva impiegato due giorni a rimarginarsi.
Era così naturalmente portata alla sopravvivenza, la sua ‘Ponine.
 
« Camperai cent’anni. » le aveva mormorato, quasi commosso, senza curarsi della bocca che sanguinava e imbrattava i capelli della ragazza.
 
Si erano addormentati tutti e due molto in fretta.
Un mucchio di ossa, sangue e gemiti – solo di freddo, purtroppo.
Chissà cosa avrebbe pensato una persona per bene se li avesse intravisti nel retro della vecchia panetteria. Chissà che aspetto orripilante, miserabile, avevano.
 
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« Vorrei saper leggere. »
 
Guardavano i passanti dall’alto del loro muro.
 
« Vorrei riuscire a leggere un libro. Studiare, magari. Sarà così interessante come sembra? »
 
Montparnasse non aveva risposto.
Il suo sguardo si era fatto quasi dolce, mentre accarezzava con gli occhi quella figura tanto familiare. Era semplicissimo, davvero. Non c’era bisogni di farne un dramma o rompersi la testa per questo; perfino quella piccolissima, unica lacrima che spingeva per uscire, era superflua.
 
L’aveva persa.
 
Ora, in quell’istante, con quella frase.
Era una consapevolezza improvvisa, ma definitiva. Nessuno shock, nessun sussulto. Da quel momento, ogni immagine di Eponine avrebbe potuto essere l’ultima, perché era finita, finite le notti a vagabondare, ad addormentarsi con il suono dei suoi denti che battevano violentemente, fine delle lezioni di vita e dei graffi, fine di tutto.
Ingoiando la lacrima solitaria, tornò pienamente padrone di sé.
E attaccò, senza pietà.
 
« Sarà così interessante come quel cosino incravattato a cui stai dietro come un cane? »
« Chiudi il becco. »
 
Così doveva essere.
 
« Forse ti vede davvero come un cagnolino. Ti gratta sulla testa se fai la brava e quando ha finito di mangiare lancia gli avanzi. Brava ‘Ponine, hai trovato un padroncino! »
 
Finirono ad azzuffarsi per il resto della serata. Montparnasse cercò di convincerla – in maniera molto poco cavalleresca – a restare con lui per la notte, invano. Mentre la lasciava andare, per un attimo concesse alle idee più folli di vagare liberamente: soprendere quel Marius in una strada isolata e tagliarli la gola, magari; oppure rincorrere Eponine e rinchiuderla nella cantina di qualche vecchia casa abbandonata e lasciarcela finché non avesse ripreso a ragionare. Ovviamente non si mosse, né lasciò trasparire alcuna emozione. Invece pregò - inconsciamente, perché non credeva in nessun Dio – che nonostante tutto lei ricordasse; invisibile, come uno spettro e nulla di più. Finché gli altri non si fossero accorti che c’eri, avevi ancora una chance di cavartela. Ma c’era nato per strada, l’odore di morte lo conosceva; era fin troppo facile capire che le sue speranze erano vane.

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Gli spari continuarono incessantemente per ore, ore ed ore.
Impossibile anche solo pensare di avventurarsi per le strade – che andassero all’inferno, quel branco di studentelli, e si portassero dietro le loro fottute barricate.
Libertà un accidente.
Strade impraticabili, ecco a cosa portava la rivoluzione.
Ci vollero secoli prima di avere qualche notizia e nessuno si stupì nell’apprendere che, con ogni probabilità, non avrebbero superato la notte. Né qualcuno pareva soffrirne troppo – la gente moriva ogni giorno, anche senza issare una bandiera color sangue per preannunciarlo.
Si parlava di come il popolo non fosse insorto, come avevano sperato quelli della barricata; qualche idiota però c’era stato, che si era fatto ammazzare finendo in mezzo al fuoco. Un ragazzino, per esempio, aveva provato a raggiungere la barricata durante la notte. Sciocco.
Cosa c’era di più stupido che esporsi alle canne dei fucili della Guardia, quando avrebbe potuto restarsene rintanato da qualche parte?
Un’imprudenza così sfacciatamente ridicola che Montparnasse non dovette nemmeno domandare per sapere che il ragazzino era – o meglio, era stato – Eponine Thernardier.
All’alba, gli studenti l’avevano già seguita, tutti quanti.
La vita era uno schifo che per una volta era stato equo nel dispensare i propri maledetti doni e la sua esistenza era così miserabile che questo si era rivelato abbastanza, per compensare la morte di ‘Ponine.
 
Quando i Thernardier annunciarono che sarebbero andati alle nozze di un qualche nobilotto da due soldi, lui non si fermò nemmeno ad ascoltare il piano. Montparnasse non aveva nessuna intenzione di immischiarsi in certe faccende. Solo molti giorni dopo il ricordo del nome pronunciato dalla vecchia carogna gli tornò in mente, tormentandolo.
 
« Pontmercy, aveva detto? » andava domandando in giro.
« E che te ne importa? »
 
Pontmercy?
 
« Sant’iddio, Montparnasse » lo prese in giro qualcuno, finalmente « Stai invecchiando bello mio. Era uno dei disgraziati. Uno studentello delle barricate – qualcuno gli ha salvato il culo, a quanto pare. »
 
Marius Pontmercy.
 
Era tornato ad arrampicarsi sul loro muro, dove pensava non avrebbe mai più nemmeno osato posare lo sguardo. Giocare da soli non era divertente.
Li guardava tutti, i giovani che passavano, rivedendo in ognuno di loro qualcosa di quel Marius Pontmercy. Eppure non abbastanza in nessuno.
Si malediceva per non averlo fissato a dovere, per non essersi impresso nella mente i lineamenti di quel volto che ora smaniava dal desiderio di distorcere, martoriare con la lama del proprio coltello. Dal suo angolo d’ombra, dov’era invisbile, la visuale non era sufficiente; e così vi era rimasto intrappolato, vivo per modo di dire, vivo per abitudine, dove nessuno l’avrebbe mai trovato né ucciso, dove non era abbastanza nemmeno per vendicarsi del bastardo che aveva ammazzato la sua ‘Ponine.
 
 
Note
L’idea é venuta con i versi di Valjean “ stay out of sight/there’s danger in the streets tonight”, poco prima di On my own. Lo starsene nell’ombra, essere invisibili per non finire nei guai, é una tematica che salta fuori un po’ ovunque, ma l’ultima volta che ho visto lo show quei versi in particolare mi hanno ispirata.
 
Che dire?
Montparnasse ed Eponine, a quanto so, hanno trascorsi inquietanti nel Brick, ma nel musical sono quasi canon XD Vabbé, io esagero, ma ci sono dei momenti bellissimi tra di loro …specie nella Robbery quando compare Marius.
E poi, come ho già detto, Andy Coxon é un Montparnasse spettacolare e la sua interpretazione meritava un minimo di seghe mentali da parte della sottoscritta.
 
Il “ gioco dei bambini illegittimi”, chiaramente, richiama il fatto che Gavroche sia fratello di Eponine.
 
“Strade impraticabili, ecco a cosa portava la rivoluzione.” Questo è più o meno il rapporto che abbiamo io e mia madre con le manifestazioni in centro a Torino – “ Autobus che non passano, ecco a cosa portano le manifestazioni!”. LOL
 
E dopo aver traumatizzato la Gondolin a vita (che mi aveva traumatizzato con i racconti di Eponine che ha i delirii da fame, comunque ùù) vado a fare qualcosa da qualche parte :) Adieu!
 
 
 
  
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