Dead hearts
Camminava lenta lungo la larga strada che correva vicino alla Senna, svoltò in una delle stradine laterali.
Man mano che procedeva la strada si faceva sempre più
spoglia.
Era passato poco
tempo dall’ultima volta che aveva visto quelle case
“vive”, con le travi dei
tetti al loro posto, i muri intatti e delle persone che le abitavano.
Riusciva
ancora a ricordarsi tutto, ma sapeva che col tempo avrebbe dimenticato
tutto
ciò che aveva visto, che era stato.
Si
fermò vicino a
un palazzo a tre piani, guardò davanti a se e vide i resti
di una delle
barricate che erano state costruite dagli studenti universitari.
Le
pietre del terreno erano ancora sporche di sangue secco.
Sollevò
lo sguardo
verso il palazzo davanti al quale si era fermata: dalle finestre
pendevano
delle bandiere, due per la precisione, di colore rosso. Una
era stracciata.
Abbassò
lo sguardo
sconsolata e continuò a camminare verso i palazzi in fondo
alla via. Non poteva
certo affermare che quella rivoluzione non fosse servita a nulla: il re
era
stato cacciato, ora le cose sarebbero certamente andate meglio. Con
Luigi
Filippo la Francia sarebbe tornata libera, come doveva essere.
Ma
quante vite
erano andate perse, quelle dei soldati e quelle dei rivoluzionari fra
cui
c’erano molti ragazzi.
Si
fermò davanti
ad un altro palazzo, quello era più basso del precedente, a
un piano, ed era
l’edificio più distrutto fra tutti: probabilmente
era stato il più colpito
dalle cannonate.
Lui
aveva
assistito alla rivoluzione, a quei tre giorni di massacri, lei invece,
in
quanto donna, era dovuta restare a casa e non si era potuta avvicinare
alle
barricate.
Osservò
attentamente
quel palazzo: i vetri delle finestre erano quasi tutti sfondati, i muri
recavano i segni dei proiettili e delle cannonate. La porta
d’ingresso mancava,
probabilmente era stata usata per la barricata, e le scale erano
semidistrutte.
Chissà
cosa aveva
visto quel palazzo? Chissà cosa avrebbe potuto raccontare se
avesse potuto
parlare?
-Raccontami
cosa è
successo, raccontami ciò che hai visto.-
-Loro
avevano luce
negli occhi, loro hanno combattuto per i loro ideali-
-Avevano
paura?
Per favore, per favore dimmi com’erano.-
-Avevano
paura, ma
l’hanno affrontata con coraggio. Lo sai, erano ragazzi che
una volta conoscevo.
Erano ragazzi che una volta conoscevo, ma che ora non conosco
più dopo che li
ho visti combattere per morire.-
-
Non mi inganni,
li ho visti avere paura ma combattere per vincere; non mi convinci, lo
puoi
dire ma non mi convinci.-
E
cosa avrebbe
provato quell’edificio nel vedere quel massacro che, come
vittime, aveva i
ragazzi che erano nati vicino a lui ed erano cresciuti fra le sue mura.
-E
dimmi ancora,
come ti sei sentito nel vederli cadere nel sangue?-
-
Mi hanno fatto
crollare a pezzi.-
-
Erano ragazzi
che una volta conoscevo.-
-
Erano ragazzi
che una volta conoscevi, ora sono cuori morti per te.-
-
Ora sono cuori
morti per me.-
Quante
domande
avrebbe voluto porre a quel palazzo, se solo lui avesse potuto
rispondere.
Ma
lui non poteva
parlare, e quelle domande sarebbero sempre rimaste avvolte nel
silenzio, le
domande non sarebbero state poste e le risposte non sarebbero state
date.
Il
mondo cambiava,
andava avanti e non sempre c’era tempo di fermarsi a
osservare il passato e
ricordarlo.
Ma
la giovane
ragazza che aveva trovato il tempo di guardare i fantasmi del passato
avrebbe
sempre ricordato i cuori morti di quei ragazzi che una volta conosceva,
che
erano morti lottando per ciò in cui credevano.
Mentre
il cielo si
incupiva coprendosi di scure nubi e il vento cominciava a soffiare, la
giovane
si sistemò i lunghi capelli dietro le spalle e chiuse gli
occhi distaccandosi
da quel mondo caduto a pezzi.
Tanti
volti le
affollavano la mente, tanti volti da
ricordare.
E
così, sospinta
dal freddo vento che l’autunno portava con sè, la
ragazza si allontanò
silenziosamente da quella strada.