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Autore: lulubellula    08/04/2013    2 recensioni
Elena Vincenti è una giovane donna che vive con la nipote Livia, orfana di entrambi genitori.
Lei è intelligente e determinata, ha una grande passione per i libri e lavora in una grande libreria nel centro della sua città, è a un passo dalla promozione, dal divenire responsabile delle vendite.
Tuttavia il posto che sognava da tempo e che si era guadagnata con fatica viene assegnato a Roberto Benelli, un uomo freddo, presuntuoso e anche misterioso.
Sarà odio a prima vista o amore a poco a poco?
Entrate e scopritelo ...
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Come il sole d’inverno

Capitolo Primo


La città stava dormendo a quell’ora di notte, le luci erano soffuse e fioche, oppure appartenevano ad opprimenti insegne al neon di una qualche pizzeria di provincia aperta sino a tardi, le macchine rare e silenziose sfrecciavano nella notte a velocità sostenuta, incuranti del buio e delle strade deserte e tristi, gli autobus, radi e malridotti, camminavano lentamente inoltrandosi nel grigiore notturno.
Anche Elena stava dormendo o perlomeno stava facendo credere al mondo intero di essere addormentata, il che probabilmente non doveva essere del tutto sconveniente perché il mondo che stava ingannando si restringeva a due soggetti, sua nipote Livia e la sua gatta Holly, che dormivano beatamente l’una nella sua cameretta, l’altra nella cuccetta in cucina.
La donna se ne stava a letto con le lenzuola fresche di bucato e il piumone caldo sin sopra le tempie, le ginocchia lievemente flesse portate contro il ventre, strette attorno alle mani, in posizione fetale come una fanciulla, sola e indifesa, che tentava disperatamente di difendersi dal mondo esterno.
Non riusciva a tenere le palpebre serrate per più di una manciata di secondi, proprio non ce la faceva, nonostante tutti gli sforzi di chiudere occhio, nemmeno stavolta le era andata bene.
Così proprio non poteva andare avanti, almeno non per sempre.

 

Aveva bisogno di una tregua, una manciata di ore di sonno filate ogni notte, qualche pomeriggio o serata di svago, qualche centinaio di euro in più per arrivare a fine mese.
Non le sembrava di chiedere troppo, né di comportarsi come un’ingrata.
Dopotutto erano anni che teneva la testa bassa e ingoiava rospi su rospi, senza battere ciglio, qualche sfizio se lo poteva pure concedere o almeno poteva provarci.
Anzi, avrebbe potuto provarci, dal momento che il suo dannatissimo senso del dovere aveva soffocato ogni suo minimo tentativo di ribellione per la centesima volta nell’ultima ora e dire che questa volta era quasi riuscita a convincersi a rallentare un po’ i ritmi serrati.
Quel continuo e logorante trantran routinario casa-nipotina-lavoro in libreria-di nuovo casa la stava spegnendo e allontanando dalla vita spensierata che una giovane donna di venticinque anni meritava di avere.
Per questo motivo non riusciva a dormire, le preoccupazioni, le responsabilità e il timore dei soldi che sembravano non bastare mai la stavano spegnendo a poco a poco, togliendole lo smalto e la serenità che l’avevano caratterizzata un tempo.
Dopo essersi rigirata per l’ennesima volta ed aver buttato le lenzuola a terra, Elena si arrese all’evidenza e si alzò dal letto trascinandosi nel salottino antistante alla piccola cucina, provvista dello stretto necessario per preparare i pasti principali e cenare.
Non era decisamente la soluzione più adatta per lei e la piccola Livia, ma quella mansarda, piccina e un po’ soffocante era il massimo che lei riuscisse a permettersi con il suo stipendio di commessa in una libreria in centro.
Tutto sommato, però il suo lavoro le piaceva e gli orari flessibili le permettevano di conciliare il suo ruolo di donna indipendente e lavoratrice con quello di tutrice legale della piccola Livia.
Inoltre le era indispensabile per pagare l’affitto di casa e le bollette che puntualmente si accumulavano sul tavolino all’ingresso, nonché il sostentamento per sé e per la nipotina, perciò non le sembrava di certo il caso di lagnarsi per niente, anzi, cercava di fare di tutto per tenerselo stretto.
Elena si voltò per guardare l’orologio da parete in soggiorno, un esemplare in pura plastica stinta che risentiva anch’esso del trascorrere del tempo e dell’andirivieni di inquilini, a dimostrare lo scarso appeal che la mansarda aveva suscitato negli affittuari che l’avevano preceduta.
Erano solo le quattro e dieci del mattino, ma sembrava molto più presto, dato il grigiore e la nebbia di Ottobre, che rendevano il paesaggio ancora più greve e opprimente del dovuto, ed Elena si trovava a rovistare in cucina tra la sua scorta di tisane e tè, per scovare un aroma particolare e insolito con cui inaugurare la giornata.
Incerta sulla scelta, aprì la finestra della sua stanza nella speranza che la luce filtrasse nei suoi polpastrelli, che le accarezzasse il viso e i capelli, invece venne assalita dalla solita triste ed opprimente nebbia ottobrina che le entrò prepotentemente nella pelle, nelle ossa, che le cinse le spalle e i fianchi e le provocò un' ondata di malinconia e di malumore, che, lei era certa, l’avrebbe accompagnata per l' intera giornata.
In preda al suo solito vortice di pensieri e riflessioni dalle molteplici sfumature emotive, decise di uscire dalla sua stanza e rientrare in cucina, o per meglio dire, in quel minuscolo angolo cottura attiguo al bancone multiuso, che a seconda delle sue esigenze, si adattava ad essere talvolta piano di lavoro, talvolta tavolo da pranzo.
Accese il fornello e appoggiò il bollitore sul fuoco, poi afferrò una bustina di tè ai frutti rossi; le sue dita tamburellano con noncuranza e nervosismo, mostrandosi emotive e fragili come la sua persona, curiose e impazienti, ma pur sempre insicure e frettolose.
Non aveva mai capito il motivo per cui lei concentrasse le sue ansie e le sue frustrazioni proprio sulle mani; quando era nervosa o triste, le dita sembravano godere di vita propria, tamburellavano, giocavano con i suoi capelli, si portavano alle tempie.
Persino mentre parlava sentiva l'esigenza di gesticolare e di muovere mani e dita per veicolare i suoi pensieri e le sue parole.
Aspettò il bollore dell’acqua e poi lasciò scivolare la bustina nella teiera smaltata, spense la fiamma e aprì il barattolo dei biscottini al burro, per poi constatare con disappunto che era vuota, come del resto la credenza e gli scaffali.
“Credo di non poter rimandare più il momento della spesa” pensò tra sé e sé, mentre rovistava tra i barattoli dello zucchero e quello del caffè, anch’essi praticamente vuoti, alla ricerca del nascondiglio segreto in cui riponeva i suoi risparmi, il quale consisteva in una scatola di latta di modeste dimensioni.
Trovato il bottino, sospirò di fronte all’evidenza: nemmeno questo mese sarebbe riuscita a risparmiare qualcosa in vista di spese future, come acquistare un’auto di seconda mano che non fosse al capolinea e ansimante come quel macinino che era costretta a guidare, che minacciava di lasciarla a piedi da un momento all’altro, un giorno sì e uno no.
Probabilmente si sarebbe dovuta accontentare di prendere i mezzi pubblici più spesso e di fare lunghi tratti di strada a piedi, dal momento che il quartiere in cui risiedeva era scarsamente servito dagli autobus di linea e distante dalla stazione ferroviaria.
Inoltre si poteva scordare quel paio di stupende décolleté avorio che aveva adocchiato la settimana prima nella vetrina di una boutique in centro, durante una pausa pranzo, trascorsa con la sua amica Azzurra, impiegata in un’agenzia viaggi piuttosto nota in città, che era esasperata per l’ultima ed ennesima lite con il fidanzato.
“Pazienza – si disse Elena – nella vita non si può avere tutto. Oltretutto quelle scarpe costavano tre settimane del mio stipendio, perciò era praticamente impossibile che riuscissi ad acquistarle”.
Si sedette sullo sgabello in salotto e appoggiò la schiena contro il tavolino sghembo in noce, poi sorseggiò piano il tè ai frutti rossi e rifletté, voltando il viso verso la finestrella che dava sul cortile interno, un ammasso di asfalto e arbusti agonizzanti, erbacce e auto mal parcheggiate.
L’aspettava una giornata come tante altre, di lì a poco sarebbe tornata in camera sua, nel suo letto, per dormicchiare svogliatamente sino alle sette e un quarto, poi il suono metallico e fastidioso della sveglia sul comodino, l’avrebbe svegliata, tramortendola e riportandola nel mondo reale.
Si sarebbe trascinata nuovamente in cucina ed avrebbe messo la caffettiera sul fornello, poi sarebbe entrata nella cameretta di Livia e l’avrebbe fatta alzare facendole il solletico e stampandole un bacio sulla fronte.
In seguito avrebbe constatato con una leggera stizza di aver bruciato il caffè e di aver macchiato il piano cottura di quel liquido nerastro e bollente, di cui peraltro restavano pochi grani ancora da macinare nel barattolo.
Avrebbe così preparato il biberon di latte con i biscotti per bambini per Livia e bevuto il tè avanzato dalla notte insonne.
Si sarebbe vestita e pettinata in tutta fretta, scegliendo vestiti sempre uguali e un po’ scialbi, che l’avrebbero spenta e non le avrebbero reso giustizia.
Camicia azzurra ormai stinta e tendente al grigio, un paio di jeans oppure di pantaloni di velluto neri, un cardigan celeste, blu o beige, che la rendevano informe e sgraziata, come se lei avesse voluto nascondere il più possibile il suo corpo sotto fitti strati di tessuto acrilico.
Anche le scarpe non facevano eccezione, rigorosamente beige o marroncine, dal taglio classico e un tantino vecchiotto, non contribuivano a snellire la sua figura e a slanciarla, anzi la facevano sembrare più bassa del suo dignitoso metro e sessantatré.
Avrebbe poi preparato la piccola Liv, come chiamava affettuosamente la nipotina, avrebbe afferrato zainetto, borsa e chiavi della macchina, per poi dirigersi nel cortiletto interno e constatare che il solito vicino maleducato le aveva sbarrato il passaggio con il suo fuoristrada ultimo modello.
Litigata con il soggetto e traffico a parte, avrebbe accompagnato Livia al nido, aspettando di vederla sgambettare in direzione della sua amichetta Sara, poi sarebbe salita in auto per raggiungere il suo posto di lavoro.
Il 15 Ottobre era incominciato come tutti gli altri giorni, stessa fastidiosa insonnia, stessa routine sfiancante e noiosa, stessi abiti anonimi.
Tuttavia alla libreria “Bookstore, Libri & Libri”, Elena notò che c’era qualcosa di diverso, non era un cambiamento radicale, era più una sensazione, come un profumo, un suono, qualcosa di difficile da spiegare perché piuttosto astratto.
Arrivata in negozio, salì al primo piano, nel reparto in cui lavorava da ormai quasi sei anni, quello dei libri per bambini e dei classici per l’infanzia.
Ad accoglierla trovò Oscar Petrini, il caporeparto, che stava parlando con un uomo che non era sicura di conoscere e nemmeno di voler conoscere.
Oscar era un uomo piuttosto sgradevole, sulla cinquantina, piuttosto alto, tarchiato e con i capelli quasi certamente tinti, aveva la cattiva abitudine di mettere le persone in cattiva luce e di scaricare le sue colpe e mancanze sugli altri, così da non dover pagare le conseguenze delle sue azioni di persona.
“Ciao, Elena. Vieni, vieni, un attimo, ti voglio presentare Roberto Benelli, da oggi prenderà il posto di Alessandro come responsabile del reparto, nonché tuo principale”.
Elena, suo malgrado, fu costretta ad avvicinarsi a lui e a sorridere.
“Buongiorno, è un piacere conoscerla. Io sono Elena Vincenti, commessa del reparto Infanzia e Letteratura per bambini”.
La donna porse la mano in direzione dell’uomo e lui la strinse con riluttanza.
“Roberto Benelli” rispose lui, senza aggiungere nient’altro, girò sui tacchi ed entrò nell’ufficio che Elena sapeva di essersi meritata e che lei era stato nuovamente soffiato sotto ai suoi occhi da uno sconosciuto arrivato lì da una manciata di minuti, per giunta scorbutico e per nulla amichevole.
 
 
 NdA: 
Questo capitolo introduttivo vegeta nel mio computer da qualche mese in attesa di una possibilità, stasera ho deciso di concedere una chance a questa storia, una storia a cui sono molto legata.
Dopo aver scritto principalmente fan fiction, soprattutto nel fandom di Grey's Anatomy, mi inoltro nei meandri delle storie originali.
Vi chiedo di scrivermi qualche impressione, dritta, consiglio, critica, tutto ciò che si possa rivelare utile al proseguimento della storia.
Al prossimo capitolo
lulubellula
 
 

   
 
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