“Risparmi la tua verginità. A che scopo? Non è scendendo
al regno dei morti che troverai chi ti ama.
Il piacere d’amore sta solo tra i vivi; nell’Acheronte,
ragazza mia, giaceremo tutti, ossa e cenere.”
Asclepiade.
Vecchio.
Nemmeno in un'altra vita avrei potuto anche solo pensare di cedere alle sue lusinghe; non io, che ogni sera guardavo ad Oriente e immaginavo Achille tornare da Troia per chiedere la mia mano. Lui sì che era un vero uomo: bello, giovano, forte, un eroe. Non come quel vecchio rinsecchito di Asclepiade, che voleva convincermi a donargli la mia verginità.
Si domandava perché non cedessi il vecchio caprone; perché conservassi le mie grazie per l’Acheronte. Lo sapevo benissimo che non si è giovani per sempre, che la bellezza appassisce in un soffio di vento; ma, per Zeus, avrei preferito rimaner vergine piuttosto che concedermi a lui.
In più non lo dovevo nemmeno sposare. A che scopo, quindi, compiere un atto tale con un essere così disgustoso? “E’ un uomo colto, non trovi?” continuava a ripetermi mia madre, che stravedeva per lui e il suo sapere. Ma cosa me ne faccio io della cultura? Un fico secco. Se solo Cleofonte mi avesse guardata come lui, allora sì che avrebbe avuto senso trascorrere la notte con un uomo.
So perfettamente che nel regno dei morti non troverò chi mi ama, non c’è bisogno che un vecchio satiro me lo venga a ribadire; tuttavia, credo che Afrodite mi abbia concesse abbastanza bellezza per aspirare a qualcuno di diverso da Asclepiade di Samo.
Spazio per l'autrice: ho scritto questa in un momento di pausa dallo studio matto e disperatissimo dell'epigramma, in preparazione alla simulazione di terza prova. Quindi, sì. E' una chiara dimostrazione di follia.