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Autore: Rota    09/04/2013    2 recensioni
[Murasakibara Atsushi x Himuro Tatsuya]
-Hai cambiato bagnoschiuma.
La mano di Tatsuya lo spinge verso il lato sinistro, così da offrire al phon una parte di testa non ancora del tutto asciutta. Le sue dita smuovono i capelli con delicatezza, e pian piano quelli che erano ciuffi fradici e scomposti si stanno lentamente trasformando in una chioma compatta e uniforme. La spazzola arriverà poi, una volta concluso il tutto.
Atsushi ha gli occhi chiusi, seduto su quella piccola sedia e tutto piegato in avanti, con la nuca ancora ben scoperta, e non ha resistito a farglielo notare – non senza, ovviamente, un certo disappunto nella voce.
Immagina benissimo il sorriso delicato sulle labbra di Himuro, proprio mentre parla.
-Quello vecchio era finito. Ne ho preso uno alla lavanda proprio ieri.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Murasakibara, Tatsuya Himuro
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Autore: Rota
*Titolo: Serenity
*Fandom: Kuroko no Basket
*Personaggi: Murasakibara Atsushi, Himuro Tatsuya
*Generi: Slice of Life, Fluff, Sentimentale
*Avvertimenti: One shot, Yaoi, Lime, What if...?
*Rating: Arancione
*Dedica: A mio fratello, che è tanto bello ùù e a tutte le personcine che su FB mi hanno incitato gentilmente a scriverla (L) chiedo umilmente scusa se non è lemon LEMON, ma questo mi è venuto ùù'''''''''''
*Note autore: Questa cosa è boh, la prima MuraMuro che scrivo. Non vogliatemene male ùù'''' (L)

 

 

 

 







 

Si presenta ai suoi occhi con addosso soltanto un panno alla vita, bianchissimo e bagnato, e un asciugamano altrettanto candido attorno al collo, mollemente adagiato e aperto sulle spalle ben dritte. I capelli, già lisci e neri, sono appiccicati a ciuffi scuri alle tempie e alla fronte, lasciando cadere dalle punte gocce fredde perché, per un'unica corta scia, arrivino al mento e lì rotolino, poi, fino al petto scoperto, e poi ancora più in basso, scemando però prima del ventre piatto in una traccia appena percettibile di brillante. Tutta la pelle, specie quella calda del collo, emana un profumo di balsamo e sapone familiare, ma altrettanto caro.

Non è la prima volta che lo vede in quel modo, libero ma ancora affranto nel corpo da un allenamento appena concluso – nello spogliatoio che lo circonda, nulla si è fermato oltre che le sue palpebre: voci goliardiche, divise lanciate in aria e in faccia come scherzo ilare, ante degli armadietti sbattute senza gloria né delicatezza, il capitano che piange le sue disavventure amorose e i compagni che rincarano la dose ricordando il suo destino avverso.

Himuro, uscito dalla doccia, che calca un passo già pesante sul pavimento lucido di quel piccolo corridoio con delle ciabatte di plastica colorata, viola scuro, e fa ballare il ciondolo che ha al collo ogni volta che mette un piede avanti e ruota, appena, con il busto, lo guarda con l'unico occhio davvero libero in maniera distratta, lo saluta con un sorriso smesso e va oltre la sua figura accovacciata, raggiungendo una parte sgombra dello sgabello lungo che divide la stanza in due. Lì si siede e si apre ad un sospiro soddisfatto prima di cominciare a passare il panno bianco sui polpacci e le gambe, raccogliendo gli ultimi residui di acqua.

Atsushi lo sa bene, perché è un percorso che fanno sempre: appena Tatsuya avrà finito, lo accompagnerà ad asciugarsi i capelli nella stanza accanto, dove sono disposti in una lunga fila dei phon attaccati alla parete, troppo bassi per lui e il suo collo decisamente poco agile, e con mano gentile porterà la sua nuca sotto uno di quei getti caldi e asciugherà personalmente la sua chioma, ciocca per ciocca.

Non prova vergogna a guardarlo direttamente, benché la posizione che occupi non sia delle migliori per il suo scopo, e anche se Himuro sente la sua attenzione addosso non accelera i movimenti, né da segno di turbamento – gli fa perdere l'equilibrio, per qualche istante, il saluto molto virile di Kensuke che, con una mano, poggia per qualche secondo tutto il suo peso sul suo corpo e lo assorda con un richiamo inconfondibile, per poi lasciarlo andare e dirigersi verso la porta per l'esterno, accompagnato dal coro altrettanto virile degli altri compagni.

Si rende conto poi del particolare che gli ha fatto alzare gli occhi, e non c'è più alcuna magia in tutto quello.

 

-Hai cambiato bagnoschiuma.

La mano di Tatsuya lo spinge verso il lato sinistro, così da offrire al phon una parte di testa non ancora del tutto asciutta. Le sue dita smuovono i capelli con delicatezza, e pian piano quelli che erano ciuffi fradici e scomposti si stanno lentamente trasformando in una chioma compatta e uniforme. La spazzola arriverà poi, una volta concluso il tutto.

Atsushi ha gli occhi chiusi, seduto su quella piccola sedia e tutto piegato in avanti, con la nuca ancora ben scoperta, e non ha resistito a farglielo notare – non senza, ovviamente, un certo disappunto nella voce.

Immagina benissimo il sorriso delicato sulle labbra di Himuro, proprio mentre parla.

-Quello vecchio era finito. Ne ho preso uno alla lavanda proprio ieri.

Massaggia la pelle attorno all'orecchio arrossato dal caldo come se ci fosse balsamo , e scopre di volta in volta porzioni di cute appena umide, ma non quel troppo da farlo bruciare dal calore o fare del male al ragazzo. Porta le falangi a dividere i ciuffi, con gesti morbidi e calmi, senza mettere alcuna vera forza.

Atsushi si piega ancora un poco verso il muro, perché le sue dita possano toccare di più, nel caso probabile avessero davvero voluto.

-Preferivo l'altro.

Scende verso il collo e Murasakibara volta la testa, sapendo bene qual è l'ultimo punto del capo a cui l'altro ama dedicarsi: la nuca e il pezzo appena sopra, dove una piccola rosa arrotola i capelli in maniera naturale e apre al vuoto la pelle biancastra del cuoio capelluto. Lì Tatsuya si sofferma anche per qualche minuto, stando attento a finire bene il proprio lavoro.

Sorride ancora – Atsushi ne è sicuro.

-Mi spiace. L'ultima volta che sono andato al supermercato non sono riuscito a trovarlo.

Il ragazzo più giovane sbuffa e non si muove dalla propria posizione, sentendo quindi le dita dell'altro allontanarsi da lui e spegnere l'apparecchio.

Quando prova a rialzarsi, è colto da un leggero mal di testa che gli annebbia la vista per qualche istante; Himuro gli da un piccolo schiaffo, per indirizzare il suo sguardo alla propria persona.

Ha ancora il petto scoperto, niveo, ma non c'è alcuna traccia di bagnato sulla sua pelle, non più.

-Forza, ora finisci di vestirti. Dobbiamo andare.

 

Metà della strada, tra le loro case e la scuola, segue lo stesso percorso: tram numero 12 per dieci fermate, la linea nuova sopraelevata che segue con precisione il limite del distretto e, al tramonto, lascia che la luce rossastra del sole morente invada le carrozze dai vetri puliti e corroda con un colore caldissimo ogni altra sfumatura diversa, scurendola fino quasi al viola. Niente nero, neppure sulle divise scolastiche della Yosen.

Atsushi ogni tanto si alza sulle punte dei piedi, con gli occhi rivolti verso il vuoto, e sente la testa premere contro il soffitto metallico, appena appena, nel freddo che lo tocca sui capelli appena asciutti e l'estremità alta della parte parietale del suo cranio. È indifferente a chi lo guarda – per altezza o comportamento, o anche per il quarto dolcetto che Himuro gli allunga dalla tasca della borsa che ha in precedenza abbandonato sul suo grembo – però è costretto a socchiudere le palpebre quando un riflesso della luce, nato da una finestra chiusa male di uno dei palazzi di fronte, lo colpisce direttamente agli occhi e lo ferma nel gesto che sta compiendo.

-Siediti accanto a me, Atsushi.

Himuro parla mentre tiene un altro dolcetto tra le dita, con un sorriso un po' tirato che lascia trasparire quella leggera apprensione più da genitore che da amico, conscio del fatto che, nel caso poco probabile di una fermata brusca del mezzo, la massa corporale del compagno poco dotata di nervi saldi e attenti andrà a collidere senza ombra di dubbio o col pavimento, nel migliore dei casi, o addosso a qualcuno – e quella è sicuramente l'eventualità più catastrofica e terribile.

Murasakibara si lascia tentare dal dolcetto e prende posto accanto a lui, gli prende l'oggetto tra le mani e lo ingurgita come ha fatto con gli altri quattro. Himuro, con la coscienza a posto e con cinque fermate ancora da aspettare, si appoggia allo schienale della propria seggiola e rilassa i muscoli del corpo in un unico gesto di abbandono.

Atsushi si rende conto del movimento dei propri occhi solo quando ormai è stato compiuto: lo attira, della figura del ragazzo più grande, il rumore lieve del suo respiro, e le ciglia lunghe e scure che si muovono, di poco, oltre la frangia che si estende oltre la fronte. Ha la pelle opaca e liscia, di pulito.

Ancora due fermate e Tatsuya sarebbe sceso.

 

La voce metallica va oltre la fermata di Himuro ma non c'è alcun suggerimento nel corpo del ragazzo che alluda all'azione o all'intenzione di abbandonare quel posto. Murasakibara gli appoggia una mano sul suo ginocchio quando si avvicina la propria, aprendo il palmo caldo sui suoi pantaloni, e l'altro smuove appena il mento verso di lui senza però sollevare le palpebre o soffiare più aria del dovuto dal naso. Stringe la borsa di Murasakibara tra le braccia, in un riflesso incondizionato, totalmente istintivo.

-Sto arrivando a casa, Muro-chin.

A quel punto il ragazzo più grande apre gli occhi e si guarda attorno, sbirciando fuori dal finestrino il paesaggio non sconosciuto ma di certo non così tanto abituale. Si increspa una spia di nervosismo, sul suo viso candido, in una piega delle sopracciglia più cruda del solito, e il ragazzo si allunga ancora con tutto il corpo, per confermare il dubbio e la propria irritazione. Arrivati alla stazione successiva, ogni cosa è provata.

Sbuffa, pensando alla nuova coincidenza che avrebbe dovuto prendere a quel punto, e al tempo perso per una disattenzione in più – senza considerare attenuante, in quel preciso momento di sfogo, la pace totale raggiunta dalla carne e dallo spirito per la semplice presenza, per tutta la situazione che condividevano, e lo sguardo dell'altro che ha sentito sopra di sé per quei minuti placidi e lunghi.

Murasakibara prova, e non solo per la propria borsa ancora tra le sue braccia, una certa apprensione nei suoi confronti, poco da amico e ancora meno da genitore. Stringe quindi appena la mano che ha sul suo ginocchio e ricambia lo sguardo, quando quello di Himuro capita sul suo viso.

-Vieni con me?

 

La serenità è quella sensazione che lo tocca davvero per la prima volta, continuamente, e lo rende stupido come una persona che si addormenta sul tram e perde la propria fermata, proprio mentre arriva a casa, con Himuro al suo fianco, e lo introduce dentro il piccolo appartamento e gli allunga, piegandosi appena a terra, le proprie ciabatte pelose a forma di coniglietto; lo capisce in maniera consapevole e allora smette di assecondare il malumore dipinto negli occhi del compagno e borbotta, un poco contrariato, che per farlo stare meglio gli avrebbe preparato la cena con le sue mani. Non che la cosa gli dispiaccia, piuttosto lo irrita ciò che lo ha portato a dire una cosa del genere – e si rasserena assieme all'altro, quando vede di nuovo il sorriso sulle sue labbra nella penombra del corridoio che porta alla propria stanza, proprio sulla porta.

Quando a Tatsuya è permesso vedere l'interno della camera da letto, nota il consueto disordine sulla scrivania da studio, dove sono sparse per lo più cartacce di merendine e snack dai vari sapori e varie dimensioni, e un bel vestito da casa colorato appeso per un manichino all'anta dell'armadio. Atsushi abbandona in un angolo del grande letto le cose inutili e superflue, come la parte superiore della propria divisa scolastica e la borsa piena di libri che gli ha gravato per ben due isolati sulla spalla, e lo invita a fare altrettanto. Mentre sente i suoi passi avvicinarsi, più leggeri di prima per semplice cortesia e attenzione, recupera da uno dei suoi cassetti una maglia viola e larghissima con cui è solito dormire la notte, durante le prime notti di primavera, e la porge all'ospite.

-Se vuoi, puoi cambiarti.

Ci sono quindi altri particolari che gli occhi di Murasakibara colgono, nella figura di Tatsuya, come la particolare calma con cui il ragazzo più grande si libera della divisa scura e si allenta la cravatta fino a sfilarsela dal collo, come le sue dita aprono, a uno a uno, tutti i bottoni della camicia che gli copre il busto, e con che placida piacevolezza apre quindi l'indumento dell'altro e lo fa proprio, lisciando quindi il tessuto sul ventre una volta indossato – l'anello che ha al collo, come sempre, sfugge alla vista, inglobato dalla maglia così grande da arrivargli ben oltre la linea della vita, e questo è solo un bene: ora profuma di lui.

-Grazie.

Una voce femminile li richiama, allegra e festosa, e la signora Murasakibara fa la sua comparsa ancora in tenuta da lavoro, portando tra le braccia un buon pezzo della cena di quella sera.

 

Litiga, persino, con la signora madre, mentre questa è occupata a intrattenere il consueto ospite con chiacchiere più o meno frivole, più o meno interessate, e discute allo stesso tempo col figlio intento a raccogliere cibo e ingredienti dal grandissimo frigo, in una montagna di oggetti e confezioni dalla conformazione e indirizzo non ben identificata. Il piatto di sushi che lei ha comprato, per l'intero stomaco di Atsushi, giace ora su un ripiano del frigorifero in attesa di una tavola apparecchiata e di quattro commensali seduti. Ma è quando fa il suo ingresso in casa anche il signor Murasakibara che la scena si anima davvero, in un via vai che rende la cucina quasi frenetica, animata e vivace, piena di profumi e di vapori pregni da ricordare vagamente una tavola calda in tutta la fattispecie e il dettaglio. Le pentole sul gas aumentano, così come i vassoi e i piatti, arrivando persino a usare un carrello aggiuntivo – già visto, già conosciuto in ogni sua rotella poco funzionante – per le altre portate previste, già preparate o in procinto di esserlo.

È una cosa che rende tipica la sera passata in quella casa e da un senso di famiglia più che di già visto, dove Himuro occupa tranquillo un posto a tavola e risponde, quando richiesto, alle domande dei tre Murasakibara su quanto pepe vorrebbe sul pesce oppure se preferisce le zucchine grigliate o in pentola.

Se prima si è sentito sereno, in questo momento anche acuire i sensi lo aiuta a un rilassamento completo, che lo mette a proprio agio come poche altre cose al mondo.

 

Ma è quando si ritrovano soli nella stanza di Atsushi, davanti al grande televisore disposto tatticamente di fronte al letto, che entrambi e nello stesso momento sono toccati da quella sensazione di pace totale, dettata soltanto un sacchetto di patatine gigante condiviso, mentre lo schermo rigettava un continuo di immagini e suoni tra pubblicità e programmi su idols della musica e del canto, a cui il ragazzo più giovane si interessa quanto avrebbe potuto della matematica e del calcolo – ovvero poco niente, a dirla tutta. Atsushi indugia sulla punta delle labbra con il bordo di una patatina quando sente la spalla dell'altro sfiorare la propria in un tentativo di allungarsi e prendere un'altra manciata di fritto, con il palmo già sporco e le dita coperte di olio e sale. Vede il ciuffo scuro, che di norma copra una buona metà del viso di Himuro sporgersi in avanti e lasciare anche il secondo occhio chiaro scoperto alla vista; guarda quindi le ciglia lunghe muoversi, quando il ragazzo sbatte le palpebre una, due volte, e poi il ciuffo torna a suo posto e Tatsuya lontano da lui, così si risolve a volgere lo sguardo allo schermo.

Non gli piace, ma all'altro sì, specialmente quando quei ragazzetti si mettono a ballare e a destreggiarsi nelle loro coreografie di gruppo – gli ricorda abbastanza l'America, nelle sue intenzioni di fondo, e dipinge il tutto con quel qualcosa di nostalgico e irrinunciabile che Murasakibara si sforza di non lamentarsi, seppur non capisca niente e non voglia capirci nulla né di canto né di ballo. Pretende però per sé più patatine e il secondo pacchetto di palline al formaggio, così che l'aria pulita della stanza si riempie, oltre che dell'odore di fritto, di fragranza dolce di emmenthal.

Himuro allunga una gamba oltre il bordo del materasso e lo poggia, dopo qualche istante di temporeggiamento, sulla coscia del compagno, che alza le braccia nel preciso momento in cui lo scorge con la coda dell'occhio e gli permette di accomodarsi come meglio desidera. Il ragazzo, quindi, si stende fino ad arrivare a coprire con i capelli tutta la federa del cuscino, e da quella posizione continua a guardare la trasmissione della televisione, sgranocchiando l'ultima patatina del proprio mucchio.

Completamente disinteressato ad altro e senza neppure più il cibo con cui distrarsi, avendo finito davvero tutto, Atsushi guarda la propria maglietta che l'altro indossa, a livello del ventre, e la osserva mentre si alza e si abbassa con lentezza e tranquillità, lasciando nelle pieghe un vuoto morbido di tessuto colorato, che suggerisce un fisico ancora più minuto di quello che in realtà è.

Ha sentito Tatsuya chiedere alla propria madre il permesso di rimanere fuori casa anche per la notte, che non è la prima volta e di sicuro non succederà nulla quella sera, e quindi Atsushi si può concedere l'immagine di lui dormiente, acciambellato come un gatto di lato mentre respira sui propri polsi tutto rannicchiato contro il cuscino, con le gambe strette al petto – immagina e basta, perché sa bene come Himuro si addormenti dopo di lui e si svegli prima, quindi quella è una cosa che poche volte se non mai è riuscito ad ammirare. Si pulisce le dita con le labbra, sovrappensiero, e in quel momento il ragazzo alza gli occhi su di lui.

Sorride.

 

Ha la mano fredda di saliva quando lo tocca vicino all'ombelico: glielo suggeriscono i brividi tesi dei muscoli del ragazzo e il suo riso leggero, che gli fa muovere la testa di lato e poi lo fa tornare a lui, sempre ridente.

Lo scopre pezzo a pezzo, senza fretta, ma gustandosi le sue reazioni lente e lo sguardo che gli scivola addosso, come acqua languida. Quando Himuro solleva le gambe, portando le cosce attorno alla sua figura, risponde semplicemente avvicinandosi di un poco a lui e stendendo ancora di più il braccio, fino ad aprire la mano fresca sopra il petto, distante dall'anello quanto basta per non esserne irritato o infastidito. Non si ferma tanto per sentire il battito del suo cuore, che è una cosa che trova ridicola e parecchio vicina ad un concetto più medico che altro della fisicità, ma perché Tatsuya ha fatto un gesto con le labbra – le ha chiude e riaperte subito, in un movimento durato pochi secondi – e lui l'ha semplicemente colto, interessato.

Gli solleva la maglia fin oltre le ascelle e lo guarda dall'altro, lasciando che il tessuto si depositi tutto sul suo collo e lasci scoperto il resto, tranne le spalle ritte e la parte iniziale delle braccia.

È lo stesso fisico, amato, che lo ha colto impreparato qualche ora prima, nello spogliatoio della scuola. E non è strano guardarlo ancora una volta, nudo sotto di lui, arreso forse solo nelle apparenze, ma pronto, ricettivo, attivo quanto il suo: è la seduzione che Himuro conosce e sa efficace per uno come Atsushi, molto propenso a impegnarsi poco persino in quelle cose così piacevoli, così semplici. Muove la mano e tocca, concretamente, la fisicità reale del corpo del ragazzo, assieme al calore della carne che contagia la pelle e i polpastrelli delle dita, ancorati ora in un solo punto, attorno ad un capezzolo roseo e probabilmente teso per il freddo.

Himuro ride ancora soffusamente, perché glielo dice sempre che non è così sensibile come crede, lì, ma Atsushi se n'è convinto e Atsushi da quel posto non si sposta, e seppur Tatsuya non prova fisicamente quasi nulla quando sente le sue unghie arrivare quasi a graffiarlo di certo si eccita, e non poco, quando, in un fruscio di capelli che ricadono in avanti e scorrono sulla sua pelle a ogni movimento leggero del capo, il ragazzo più giovane si china su di lui e inizia a leccarlo piano. Himuro trattiene il respiro e inarca la schiena, avvicinandosi a lui, sentendo quindi le sue braccia che gli circondano il busto in un abbraccio non molle e neppure troppo dolce – ma quando lui apre le mani sulla sua schiena e lo accarezza, a modo suo, perde la voglia di lamentarsi. Però, gli solleva il volto fino al proprio e si lascia mangiare, letteralmente e totalmente, da un suo bacio vorace.

 

L'ha colto nel momento in cui si è reso conto di poter dormire tranquillamente solo accanto a lui, o con lui nella stanza, o con lui vicino in qualche modo; di poter mangiare bene, qualsiasi pietanza di questo mondo, solo condividendo con lui lo stesso tavolo e magari anche le stesse posate, lo stesso bicchiere o qualcosa del genere; di poter interessarsi di qualcosa, di qualsiasi cosa, se era lui a parlarne o se vi era coinvolto in qualche modo, con il corpo o lo spirito – persino il sesso, così sconosciuto ad Atsushi, è diventato a suo tempo materia niente affatto banale, nella forma tranquilla e posata che Himuro sapeva suggerirgli. È semplice e diretto, come pensiero, immediato e chiaro nell'intenzione e applicazione, ed è una cosa così adatta a Murasakibara da adattarsi a lui come una seconda pelle, senza che ci siano distinzioni con altro.

Gli piace e non si fa domande a riguardo. Neppure quando Himuro sorride per l'ennesima volta quando alza la propria mano al suo capo e immerge le dita nella chioma chiara che lui stesso ha asciugato e pettinato con tanta cura e dedizione, perché lo fa a pochi centimetri dalla sua faccia e gli pare bello, con le labbra appena lucide e gli zigomi arrossati. Gli piace e non si fa domande a riguardo.

Sente la nudità completa del suo corpo contro il proprio e sa che di certo l'altro percepisce altrettanto, ma non c'è vergogna che gli impedisca i movimenti quando afferra con mano sicura la sua coscia e la sposta, di lato, perché lo lasci muovere meglio contro di lui; Himuro asseconda il suo volere e lo lascia fare, chiudendosi però in un abbraccio a livello delle spalle e sussurrandogli dolce qualcosa all'orecchio che Atsushi riconosce solo nel tono ma non nella forma. E va bene così, perché qualsiasi cosa l'altro gli abbia detto, gli piacerà sicuramente.

Ha le sue labbra contro la pelle del collo, che succhiano piano, quando si unisce ancora a lui con un colpo del bacino – Himuro trema ma non si stacca, non lo molla, ed è così caldo che Atsushi non vorrebbe proprio mai lasciarlo o uscire dal suo corpo. Quindi arretra e torna da lui, in continuazione, cercando di catturare lo sguardo dei suoi occhi vacui quando si alza appena sul materasso del letto.

Lo chiama, scordandosi di abbassare la voce per non farsi sentire oltre la porta della stanza. Tatsuya torna da lui per l'istante successivo, non sorride e gli manda un bacio con le labbra, dicendo qualche parola e tornando quindi a gemere e a sospirare, forte, annebbiato nella mente e nelle intenzioni dal proprio stesso calore.

Gli piace e sa che, per lui, poche cosa saranno mai così tanto belle come il suo collo bianco ed esposto quando il piacere gli fa buttare la testa all'indietro e chiudere gli occhi, o il petto che si alza e si abbassa ad un ritmo impazzito e le gambe, le cosce calde che gli stringono la vita.

Lo chiama ancora, e allora Himuro si alza a propria volta dal materasso e lo afferra, con un sol braccio, trascinandolo con sé in un bacio quando ricade lungo disteso.

   
 
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