Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: vampirella    10/04/2013    1 recensioni
Alla fine degli scontri fra le più grandi casate dei Sette Regni per la conquista del Trono di Spade ben pochi sono i nobili superstiti. In un mondo devastato e sempre più minacciato dalle forze oscure al di là della Barriera due grandi guerrieri lottano per la sopravvivenza del loro popolo, e forse per qualcosa di più.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Jon Snow
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dieci anni. Sono passati dieci anni dalla Grande Guerra. Quante morti inutili, quanta sofferenza senza alcuno scopo… le giornate erano interminabili ma ad Approdo del Re splendeva ancora il sole, impietoso sui cadaveri che ricoprivano le vallate. Il sangue, sparso intorno alla fortezza, rifulgeva sinistro e chi era ancora in vita pregava vecchi e nuovi Dei per la propria salvezza mentre le varie forze del Reame combattevano per ritagliarsi un posto nel mondo.
Sarei un ingrato se non riconoscessi il sacrificio dei molti uomini e delle molte donne che anni addietro misero fine alla pazzia della mia famiglia. Sono l’unico sopravvissuto della casata Lannister e non me ne dolgo: quei cani hanno giocato con il potere, convinti di essere invincibili, arrogandosi il diritto di decidere per delle vite che non erano le loro. Pieni di superbia hanno sfidato il Popolo e con esso coloro che lo hanno a cuore, veri paladini di questa terra. Pensavano che sarei rimasto a guardare il loro scempio? Credevano che fossi come loro? Probabilmente, altrimenti non si spiegherebbe perchè io ancora respiro e loro riposano per l’eternità. Essi cercarono di distruggermi e, come fini strateghi, s’ingegnarono in più modi per terminare la mia vita infelice, ma fui più scaltro di loro e ciò mi permise di continuare questo assurdo teatrino che ci costringiamo a chiamare esistenza.
Mi chiamo Tyrion Lannister e ancora oggi siedo al castello di Approdo del Re come Primo Cavaliere, consigliere della più potente monarchia che mai si sia insediata in quest’ultima Era.
Devo tutto ciò a una persona, a una fanciulla che al termine del Terribile Massacro mi restituì la libertà contro il parere di molti e riconobbe il mio operato e il mio valore. Mi permise di riscattarmi agli occhi del mondo libero e di redimere I miei peccati. Il mio cammino su questa terra ha ormai poca importanza se non quello di pagare il mio debito alla Regina Arya, della casa degli Stark, Sovrana di Approdo del Re e dei Sette Regni.
 
Dal giorno della sua incoronazione Arya era solita svegliarsi prima dell’alba: in questo modo riusciva a sbrigare alcune faccende prima di dedicarsi alle questioni legate al Regno.
La donna si sedette sullo scranno della sua toeletta e chiamò Eiri, la sua ancella personale, con l’intenzione di farle pettinare i capelli. Eiri aveva poco più di quindici anni e la sua infantile bellezza stava sbocciando nella donna che sarebbe diventata.
- Mia signora, oggi è il giorno? - disse lei, slegandole il nastro che teneva ordinata la sua selvaggia criniera. Arya le sorrise amorevolmente.
- Sì Eiri. Oggi arriveranno. -
- E’ vero quello che si dice sui Guardiani della Notte? Sono uomini come noi o sono creature inviate dagli Dei con il compito di proteggerci dall’imminente Inverno? -
- All’apparenza posso sembrare semplici mortali, uomini come noi, ma in realtà sono qualcosa di più: sono eroi. Senza di loro tutti noi saremmo perduti, in balia degli Estranei e di esseri ancora più pericolosi e oscuri e la morte, insieme alle sue terribili compagne, cavalcherebbe in questi territori seminando distruzione. Il loro coraggio è immenso e non troverà mai giusta ricompensa. Saremo sempre in debito per tutti i sacrifici che compieranno in vita: l’unica cosa che possiamo fare è tributare loro il rispetto che si meritano. Sei capace di farlo, Eire? -
- Oh, mia signora, certo che lo farò! - abbassò lei il capo, arrossendo.
Arya la guardò dallo specchio. Piccola Eire! Anch’io una volta ero così impulsiva e ingenua. Poi il corso degli eventi mi ha fatto crescere... La regina si costrinse a non pensare ai suoi cari, ormai dispersi nelle nebbie del Tempo. Guardò la luce del sole dalla finestra, e respirò a pieni polmoni l’aria fredda della mattina.
Ricorda i morti perché sono il tuo passato, le diceva spesso suo padre,ma non dimenticare i vivi perché con essi creerai il futuro.
 
- Uhine, quanto manca alla Capitale? -
- Meno di cinque miglia, Lord Comandante. - rispose il cavaliere, al suo fianco. - Da quanto tempo non tornate ad Approdo del Re? -
- Tanto, troppo tempo. - replicò l’uomo, più a se stesso che al sottoposto. - La Barriera è ormai la mia casa. E tu, Uhine? -
- Mio signore, come ben sapete vi torno ogni anno, in visita ai miei genitori. - rispose l’uomo. - I miei figli aspettano sempre con ansia l’estate per ritrovare i nonni e rivedere la più bella città dei Sette Regni. -
Il Comandante rise. – E’ tuo diritto scegliere di abbandonare la Compagnia, amico mio, te l’ho sempre detto. Le regole sono cambiate da molti anni ormai e la tua famiglia ne è l’esempio. Non sarebbe un disonore voler trascorrere i migliori anni della tua vita con coloro che ami. -
- Non potrei abbandonare il mio posto come attendente, Signore. Questa è e rimarrà sempre la mia risposta. - disse testardo Uhine. Il comandante scosse la testa, i riccioli neri sparsi nel vento.
- Devo forse credere di avere scelto il migliore degli attendenti? -
- Sì, Signore. Il migliore. –
 
Le strade si colmavano di gente al passaggio dei Guardiani della Notte. Le grida di meraviglia e di giubilo arrivavano alle orecchie dei guerrieri che distribuivano sorrisi e benedizioni dall’alto dei loro destrieri.
Il Comandante era in testa al corteo. Osservava con circospezione la folla, più per deformazione alla guerra che per pericolo. Lui era un uomo del Nord, sempre più diffidente man mano si avvicinava ai Paesi Caldi.
Avrebbe voluto evitare quel viaggio, ma a un ordine della regina non si poteva rifiutare. Specialmente se la regina era sua sorella.
Sorrise al pensiero di rivedere quei ridenti occhi verdi scrutarlo al suo arrivo, il viso tramutarsi in una buffa maschera gioiosa e i suoi zigomi alzarsi verso il cielo.
La fila si fermò davanti al portone del Palazzo e diversi paggi ricevettero le redini dei cavalli. In ordine, i Corvi risalirono le scale ed entrarono nel salone pubblico, dove la Corte, le Guardie e la Famiglia Reale attendevano la loro venuta.
Sul Trono di Spade sedeva, in un lungo abito color del mare in inverno, la Regina Arya. Alla sua destra la sorella maggiore, Sansa, sorrise ai nuovi venuti mentre alla sua sinistra Lord Tyrion osservava l’assemblarsi dei Neri nel grande salone, appoggiato al suo bastone.
Appena tutti i cavalieri si furono inchinati la Regina Arya parlò. - Guardiani della Notte, benvenuti ad Approdo del Re. Questa città, Capitale dei Sette Regni, è onorata di dare asilo ai coraggiosi guerrieri della Barriera. Lord Snow, alzatevi. -
All’ordine della donna il Lord Comandante tornò in piedi.
- Benvenuto di nuovo; tanti anni sono passati dalla mia ultima visita alla Barriera. Quali nuove portate? -
- Mia Signora, i Sette Regni sono ben difesi e i rangers tornano in questo luogo vittoriosi. - si girò verso la folla, intenta ad ascoltare. - La battaglia della Lunga Bufera è conclusa. Vi consegno il dominio di numerose terre oltre le Montagne, fino al Lago Ghiacciato. -
Un grido di gioia e di sollievo si estese in tutta la sala.
La Regina sorrise. - Molto bene. Che la città sia bardata a festa per tre giorni e che i nostri eroi siano celebrati! - esclamò, rivolgendosi verso uno dei Mastri Cerimonieri, che s’inchinò e sparì verso il corridoio. - Nel frattempo, miei signori, vi sciolgo da ogni incarico. Riposatevi e preparatevi per i festeggiamenti. E’ un piccolo dono per i vostri servigi. -
- Vi ringrazio mia regina. - Jon accennò un inchino senza tuttavia interrompere il contatto visivo con la sorella. Quello sguardo, lo sguardo di Arya, lo sguardo della sua regina e della sua migliore amica, gli era veramente mancato.
 
Il Lord Comandante appoggiò la spada a lato del letto, pronto per disfare i bagagli il più in fretta possibile, quando qualcuno bussò alla porta.
Sansa gli buttò le braccia al collo. Si ritrovò immerso nei capelli rossi della donna.
- E’ così bello rivederti! - gli disse lei, sciogliendosi dall’abbraccio e osservandolo a figura intera. - Sei invecchiato, fratello mio! - rise, mentre lui le rispondeva con un’occhiata fintamente offesa.
- Posso dire lo stesso di te, cara sorella. Accomodati. - si sedettero ai lati di un tavolo di legno posto nell’angolo più illuminato della stanza. La ragazza lo tempestò di domande, senza permettergli di rispondere, per poi esclamare - Eravamo così preoccupate per te. La Barriera… -
- La Barriera è dura per tutti. - rispose lui, trattenendo un sospiro. - L’Inverno sta arrivando. Lo sento. Le giornate sono sempre più buie e gelide. Il fuoco ci scalda a malapena, anche se che il freddo che percepiamo proviene più dai nostri cuori che dal tempo. -
Sansa lo osservò, in ansia. - La gente è nervosa. I legati delle contee settentrionali vengono sempre più spesso a chiedere aiuto ad Arya e in città voci terribili si spargono in fretta. - Restò in silenzio per qualche minuto, la fronte corrucciata, poi scosse la testa come per allontanare i brutti pensieri. - Non pensiamo a questo! Sono venuta a dirti che nostra sorella vorrebbe parlarti. Ti chiede di raggiungerla nelle sue stanze, se non sei troppo stanco. -
- No. - L’uomo si alzò. - Mi accompagni? -
- Non posso, ho un compito molto importante da svolgere: devo organizzare un banchetto per uno dei nostri migliori condottieri! – rispose lei, facendogli l’occhiolino e svanendo nel corridoio.
 
La luce nella camera della regina era delicatamente attenuata dai veli posti alle finestre. Un odore d’incenso si espandeva tutt’intorno e pizzicava il naso di Jon.
- Mia Signora… - l’uomo s’inchinò come di consuetudine, ma Arya, veloce come quando lui l’aveva lasciata a Grande Inverno tanti anni prima, gli saltò fra le braccia imitando la sorella maggiore.
Una forte emozione colpì l’uomo quasi da soffocargli la voce in gola. - Sembra un secolo… -
- … che le nostre strade si siano divise. - terminò la ragazza. - Mi sei mancato. - gli rispose, lasciandolo andare.
- Anche tu, Arya. Nostra sorella mi ha detto che sono invecchiato, tu invece diventi bella ogni giorno che passa. -
- Merito della corona. - scherzò lei. Lo rimirò per qualche istante, paga della sua presenza. - Lord Comandante… - ripeté, più a se stessa che al fratello. Il sorriso di lui si fece più esteso. Lei rise. - Ti piace, vero? -
- Cosa? -
- Essere chiamato Lord Comandante. -
- Non posso negarlo. -
Gli anni l’avevano cambiata. La Guerra l’aveva resa indistruttibile, la Corona l’aveva resa saggia. Sapeva che sua sorella era destinata a essere un guerriero, l’aveva nel sangue, ma mai avrebbe pensato che sarebbe diventata un’ottima regina, specialmente in quei tempi così bui.
Sembrò che Arya gli leggesse nel pensiero perché ritornò subito seria, come se fosse richiamata alle sue responsabilità. - Purtroppo non ti ho convocato ad Approdo del Re solo per il desiderio di rivederti. Sono molto preoccupata per l’Inverno. -
- Alludi ai racconti dei legati? Sansa me ne ha accennato. -
- Non solo. Esploratori… si sono recati al di là della Barriera, più volte. -
- Li abbiamo visti. Non si sono fatti riconoscere, non hanno fatto richiesta formale di passaggio. Speravo non avessi dato tu tale ordine, che fosse stato… il Primo Cavaliere. - una smorfia comparve sul viso del guerriero. - Avrei preferito non sapere di questa tua ingerenza. -
Arya gli lanciò uno sguardo duro ma l’uomo la vide mordersi un labbro. - Sono tempi difficili. Avere più informazioni possibili è alla base di ogni strategia di guerra. -
- Non avrei saputo dirlo meglio. Allora, quali sono i vostri ordini? -
- Ho deciso di mandare nuove forze a nord. Uomini di tutti i Sette Regni, cavalieri di ogni casata saranno al tuo comando e a quello dei tuoi uomini fino a quando lo riterrò opportuno. -
- Come desiderate, ma credo… -
- Non mi altererò se non saranno mai chiamati allo scontro, ma ritengo una precauzione necessaria rinforzare gli avamposti. Voglio che il mio popolo dorma sonni tranquilli finché io vi sarò a vegliare sui di lui. Jon… - Arya si sedette sul letto e gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei. La sua voce si fece più dolce e timorosa. - Devo parlarti anche di altre questioni. Più personali. -
Lui non la raggiunse ma rimase all’ascolto, curioso.
- Sai meglio di me che Varys è stato incarcerato per tradimento. Da molti anni marcisce nelle segrete del palazzo, rivelando i più oscuri segreti che circondano le famiglie più potenti del Reame. Un mese fa è morto lasciandoci l’ultimo. Un segreto che… - la ragazza si bloccò. Voleva dire che non avrei mai voluto sentire ma sapeva che in realtà non lo pensava veramente. – Potrà turbarti. –
- Dubito che poche parole ‘rivelatrici’ potranno recarmi molta sofferenza, sorella mia. –
Arya sussurrò lentamente, guardando l’altro lato della sala. – Jon, noi non siamo fratelli. -
- Come? -
La regina alzò lo sguardo su di lui, cercando di contenere l’emozione. - Non siamo fratelli. -
- Io… - Sul volto stupito dell’uomo comparve la rabbia. - Stai cercando di rinnegarmi? -
- Cosa? -
- Dopo tutto quello che ho fatto per la nostra famiglia? E’ un modo per togliermi il comando, per screditarmi? -
- No, non intendevo nulla di simile! -
- Sono stato cacciato alla Barriera perché non era tollerabile che il bastardo di Ned Stark continuasse a portare disonore nella casata. - Jon stava ormai urlando, sconvolto più dalla reazione fin troppo pacata della sorella più che dalle rivelazioni di Varys. - Ho accettato di andarmene perché amavo mio padre e amavo voi, ho cercato di provarvi che ero un buon soldato, volevo che foste orgogliosi di me. Ho rischiato la vita numerose volte, sperando di meritare l’amore della nostra famiglia... -
- Ma noi ti amiamo!-
- …e ora affermi che Ned non era mio padre?-
- Se solo tu mi ascoltassi...-
- Se volete che me ne vada, MIA SIGNORA, allora lo farò. Se questa è tutta una cospirazione per revocarmi il titolo di Lord Comandante allora lascerò il posto che mi aspetta di diritto senza che voi siate costretta a dire simili ignominie sul mio conto. Ebbene sì, sono figlio di una donna umile, ma mio padre era un grande condottiero e sono convinto di avergli reso onore con il mio operato e potrei continuare a farlo, ma siete la mia Regina e obbedirò a ogni vostro comando, seppur a malincurore. Ricordate però che alla Barriera vi sono ancora molti soldati a me devoti che non accetteranno con benevolenza la vostra decisione. Non sarà semplice riportare ordine e fiducia fra i vostri più coraggiosi servitori! -
- Non dovrai lasciare il tuo posto, stupido somaro! - urlò la regina Arya con quanto fiato aveva in corpo per sovrastare il suo monologo. Le lacrime le riempivano gli occhi ma non li abbandonarono. - Nessuno mette in dubbio il tuo valore, qualunque sia la tua discendenza. -
Jon si quietò un poco ma rimase guardingo. - Credi alle parole di Varys? -
- Egli era custode delle notizie più sconosciute e, sì, gli ho creduto poiché mi ha dato prova della sua onestà, almeno in questo frangente. -
Arya si diresse verso un piccolo portagioie e ne estrasse un anello. - Questo è l’anello di vostro padre. Era fra i vostri averi quando arrivasti a Grande Inverno, me lo disse Glendra, la più anziana delle nostre serve, quando tornai per cercare risposte alle illazione dell’eunuco. Mio padre lo nascose questo tesoro a tutti, persino a mia madre, credo. Vedi il sigillo? -
Jon si avvicinò alla mano della ragazza. Il suo volto rimase senza espressione benché aveva capito cosa significava quel gioiello. - Questo significa… -
- Voi siete il figlio di Robert Baratheon. -
Il silenzio scese nella stanza.
- Re Robert... -
-...Sì. Lui. Ned si assunse la tua paternità per tenerti al sicuro da probabili giochi di potere. Al termine della guerra contro il Re Pazzo ti portò da noi, a Grande Inverno, facendo credere a tutti di essere nostro fratello. -
- Ma… perché? Perché non abbandonarmi alla sorte che tocca a tutti i bastardi, compresi quelli del re? -
- Ai tempi Re Robert era di buon cuore. Probabilmente chiese a Ned di allevarti e di permetterti una vita felice poiché era ancora un uomo buono. Non saprei che altra risposta darti. -
Jon si guardò intorno, spaesato. Rivolse lo sguardo verso la corona della giovane, posta in un angolo della stanza. - Perché dirmelo ora?-
- Nella mia, seppur breve, vita ho imparato quanto sia indegno appropriarsi di ciò che non si è legittimati a possedere. Per linea di sangue sei tu il legittimo re dei Sette Regni. Se accetterai il tuo ruolo, abdicherò. - Arya lo osservò mentre gli occhi dell’uomo si spalancarono per lo stupore. Jon boccheggiò per qualche secondo, incapace di proferire una frase di senso compiuto tanto era forte la sua inquietudine. Infine si avvicinò ad Arya e s’inginocchiò davanti a lei, la testa sprofondata nelle vesti. - Non accetterò mai tale titolo. Voi siete la regina che i sette Regni hanno voluto e io mi piego al loro volere. -
Arya lo guardò titubante, perso tra le pieghe della sua gonna. - Sapevo che avresti risposto così, per questo motivo voglio proporti un patto. - Sospirò. - L'Inverno sta arrivando. La gente ha paura. Devo fare in modo che la mia guida sia forte e stabile, in attesa del buio che verrà. -
Jon alzò il viso verso di lei, ancora piegato al suo cospetto. - Lo sarà, mia regina. -
Arya gli prese un braccio e lo obbligò ad alzarsi. - Se avrò al mio fianco un re meritevole di tale nome. -
- Non capisco. –
- Rivelerò la tua discendenza e per discendenza sarai nominato nuovo Re, ma la gente mi ama, quindi… un matrimonio permetterebbe di rafforzare la linea dinastica ed evitare conflitti intestini al regno. Inoltre la gente si sentirà più al sicuro, avendo come re il Lord Comandante più valoroso che la Barriera abbia mai avuto. -
- Mia signora...-
- Arya. Per te rimarrò sempre e solo Arya. -
- Ho fatto giuramento di castità.-
- Giuramento infranto da molti di voi da quando le regole sono mutate. -
- Non è nella mia indole infrangere ciò che ho promesso davanti agli Dei. -
- Il solito testardo. – lei lo guardò con un misto di ammirazione e tenerezza. – Con la nostra unione potremo infondere speranza, dove il timore di un nuovo Inverno indebolisce i cuori e le menti. -
- Sono sicuro che la guida onesta della loro Regina potrà bastare. I miei doveri sono altrove. -
- Non ti sto dicendo di dimenticare la Barriera. Ti sto chiedendo di essere il condottiero che questo Regno aspetta ormai da troppo tempo. -
Jon cominciò a camminare in cerchio attorno al letto.
- L'idea... è di Tyrion? Quel piccolo... -
- Lord Lannister non c'entra nulla, se non nel fatto che fu lui ad ascoltare l’ultima confessione di Varys. Se hai altre domande da porre su quest’argomento, ti invito a chiedergli udienza. - Arya si diresse vero la scrivania colma di fogli e libri. - E ora, se mi vuoi scusare, ho molto lavoro da fare. -
Continuando a camminare in lungo e in largo passò dietro le spalle della donna per osservarne l’operato. – Quali sono le condizioni del regno? -
Arya sospirò. - I raccolti scarseggiano per le temperature rigide e i contadini hanno fame. Dobbiamo assolutamente trovare un modo per sfruttare i campi più a sud altrimenti si scateneranno carestie e ribellioni. -
- Ci riuscirete, ne sono sicuro. - Jon si congedò senza aggiungere altro, ma mentre richiudeva la porta dietro di sé, sentì la dolce voce della sua non più sorella - Jon? -
L’uomo si girò verso la donna, ma per uno scherzo della stanchezza, o forse della memoria, non vide la potente regina del Reame seduta sul suo scranno ma la piccola e dolce ragazzina con cui aveva giocato per intere giornate durante la sua adolescenza.
- Pensaci. –
 
- Quanti anni sono passati dalla Grande Guerra? -
- Dieci, mio Lord. -
- Dieci anni... - Lord Lannister vagò con la mente nei meandri dei suoi ricordi. Osservò il giovane uomo. - Scommetto che mi trovi cambiato. -
- Un po'. - rispose Jon, atono.
Tyrion accettò la diffidenza del ragazzo con un cenno del capo. Scese dalla sedia e si diresse verso lo studio, aiutandosi con l’immancabile bastone. - Suppongo tu non abbia mai accettato il fatto che io sia diventato consigliere della regina, vero?-
- Confido nella sua capacità di scelta nel circondarsi di servitori fedeli. -
- Certo, ma non ne condividi le preferenze. Io sono uno dei mali che ha colpito la tua famiglia e su questo non riuscirai mai a passare sopra. -
- Quale famiglia, signore? Gli Stark o i Baratheon? -
Il nano restò qualche minuto a fissarlo, poi rise. - Arya ve l’ha già rivelato, dunque.-
- La regina Arya. -
- Certo, certo. Cosa cerchi Lord Comandante? Prove su ciò che vi ha rivelato?-
- No. – Jon si trattenne per qualche istante. Sembrava incerto prima di cominciare la frase. - Voglio sapere se è stata una vostra idea. -
- Quale? Ne ho tante di idee...-
- La Regina mi ha proposto un matrimonio per unire le linee dinastiche. –
- E’ comprensibile, considerando che, se rivelata la vostra vera provenienza, le sarà tolta la corona per affidarla a voi. –
- Io non voglio questo tipo di potere. Sarei ben felice di farmi da parte. -
- Oh. Beh, suppongo sia un offerta comunque molto vantaggiosa. La Regina e il Lord Comandante… ottimo per il morale del Paese. – rifletté a voce alta il nano, soppesando a lungo la notizia per comprendere bene l’effettivo valore di quell’informazione.
Jon cominciò a passeggiare per la stanza, a disagio. - Voi...non lo sapevate? -
- Devo essere sincero, avere grande potere significa avere molte responsabilità e molti doveri, e questo mi ha costretto - e sottolineò la parola - a fare cose che avrei preferito non dover mettere in atto. I matrimoni combinati erano una di quelle. Lo ammetto, ho sempre spinto per ottenere unioni vantaggiose ai miei scopi ma non per questo non ho sofferto per la sorte di coloro che mettevo sul piatto della bilancia. Con la fine della Guerra e l’elezione di Lady Stark a regina mi era data la possibilità di sostenere una donna senza dover attuare subdoli giochi di potere... Rovinare il magnifico operato di quella ragazza mettendole a fianco un uomo mediocre, anche se potente o ricco? Ah! - esclamò Tyrion. - Voglio vivere in pace gli ultimi anni della mia vita e penso che la regina riuscirebbe a garantirmi una vita agiata e serena anche senza un marito al suo fianco. -
- Ella afferma che il suo governo sarebbe più stabile e il suo popolo più sicuro con un marito. -
- E quale migliore re se non il Lord Comandante, l’uomo che più di tutti si prodiga nella difesa del regno? -
- Vi prendete gioco di me? -
- Al contrario. - Tyrion si sedette davanti alla sua scrivania, osservando senza particolare importanza le carte che erano disposte disordinatamente sul tavolo. - Come ho già detto, trovo questa una mossa molto saggia. -
Lord Snow si sedette davanti all’uomo, lo sguardo ancora diffidente ma un poco confuso. - Io… non posso accettare. -
- Non siete suo fratello. Nessuno metterà in dubbio il vostro idillio. -
- Ma… per me Arya rimane mia sorella. Sento solo un grande affetto verso di lei. E sono un Corvo. Ho stretto il Giuramento. -
Tyrion mosse la mano come per voler scacciare una mosca. - Il Giuramento è stato sciolto. Voi stesso avete partecipato all’evento. Per quanto riguarda l’amore, vi prego di pensare alle parole della regina. E’ un matrimonio per il bene del regno. A quanto ho capito Arya lo ritiene un dovere e vi chiede il medesimo impegno per un obiettivo comune. E’ già tanto che ve lo abbia chiesto e non comandato, sebbene abbia pochi diritti sugli uomini della Barriera. -
Jon chinò il capo, pensoso. - Cosa succederebbe se… declinassi? -
- Suppongo… nulla. Voi tornereste ai vostri compiti e Arya governerebbe sul suo popolo con la stessa onestà e magnificenza che l’ha contraddistinta per questi anni. - rispose leggero il nano, senza però risparmiarmi nello scrutarlo a fondo. Rimasero lì, qualche minuto, in silenzio. - Eppure non credo che voi mi abbiate esposto tutto quello che volevate chiedermi. -
- Temo di dovervi contraddire. -
- Sarà, ma conosco a fondo l’animo umano e so riconoscere un’anima in pena quando me la trovo davanti. - prese un’anfora di vino e ne verso il contenuto in un bicchiere, che porse al giovane. Poi si prodigò a versarsene una per sé. - Siete libero di credermi o confidarvi con me, ma comprendo il vostro scetticismo. Voglio dirvi una cosa però: il cuore è uno strano organo. Ci permette di stare in vita, ma allo stesso tempo ci spinge a compiere scelte pericolose, a un passo dalla nostra distruzione. A prescindere da come lavora il vostro, starei bene attento a quello che vi sta comunicando. –
 
Il banchetto era ormai agli sgoccioli. I pochi cavalieri ancora sobri si divertivano alle spalle di coloro che, troppo ubriachi per poter stare in piedi, inneggiavano canti d’altri tempi sbattendo le coppe fra di loro in brindisi sempre più osceni. I giullari compivano le ultime loro magie invano, poiché donne e bambini si erano ormai ritirati da tempo.
La regina sbadigliò. Accanto a lei Jon osservava i suoi uomini, come una lupa tiene amorevolmente sotto il suo controllo una nidiata di lupacchiotti. Arya nascose un sorriso dietro la mano: paragonarlo a una mamma affettuosa non si addiceva proprio ad un guerriero del suo calibro.
O forse sì.
- Dimmi Jon, conosci bene i tuoi soldati? -
- So i loro nomi, le loro radici e la loro discendenza, se è questo che mi chiedi. - rispose lui, senza togliere gli occhi di dosso dalla tavolata. Sembrò corrucciarsi ma non distolse lo sguardo vigile dalla scena. - Sono per me come dei fratelli o dei figli e mi sento responsabile per ognuna delle loro vite. Ogni volta che andiamo in battaglia spero stupidamente di poterli proteggere tutti. -
- Non è stupido. - Prima che lui potesse ribattere, Arya si alzò e congedò i suoi lord, che risposero tutti, sobri e ubriachi, con un cenno del capo. Rivolse un ultimo sorriso a Jon, che nel frattempo si era messo a seguire ogni sua mossa, e che di risposta si alzò, un po’ impacciato, e le chiese di poterla accompagnare alle sue stanze. Un po’ stupita, molto soddisfatta, la regina accettò.
Camminavano lungo uno dei corridoi interni, circondati dal buio della notte. Le ancelle personali della donna li seguivano alcuni passi indietro.
- Potrai non credermi, ma stasera fa freddo. - gli sussurrò la ragazza, cercando di riempire il silenzio che si era creato fra loro.
- Ti stai disabituando al clima della tua terra natia. Spero solo che non ti divezzerai anche di lei. - Si mise a scherzare Jon. Arya gli rifilò un colpetto sul braccio, mostrandosi amichevolmente arrabbiata.
- Il Nord rimarrà sempre la mia casa. -
- Lo so. -
- Come tu rimarrai sempre nel mio cuore, sai anche questo? -
La stessa tensione che si era proposta negli appartamenti della regina ruppe quel piccolo momento di allegria come un fulmine a ciel sereno. Jon non rispose.
- Cosa ti ha detto Tyrion di me? - cercò di cambiare discorso Arya, credendo di aver osato troppo dopo le discussioni che si erano svolte, dopo l’imbarazzo e l’umiliazione che la donna aveva provato nel vedersi, seppur galantemente, rifiutare dal più grande condottiero vivente.
- Che siete una donna intelligente e coraggiosa. - Jon si girò verso le ancelle, intente in qualche modo a carpire la loro conversazione. Arya fece loro cenno di fermarsi mentre i due continuarono a passeggiare nel chiostro.
- Tyrion ha una buonissima opinione di me. La verità è ho tremato durante tutti gli anni della Guerra sperando che la mia famiglia ne uscisse illesa. Ho pianto tanto alla notizia della morte di mia madre. E Robb… - la voce gli morì in gola. - Il dolore di vedere l’esecuzione di mio padre… non sono stata coraggiosa.-
- Lo sei stata nel momento in cui ti è stato richiesto. -
- Ho ancora paura, sai? Non per me. Per coloro che sono rimasti in vita, per coloro che mi sono cari. Ancora oggi prego per te, tutte le notti prima di andare a dormire; spero che tu possa vivere ancora per un altro giorno e che presto possa rivederti. Solo pensare alla tua morte… mi mancano le forze. E allora spero che tutto possa proseguire nel migliore dei modi, che la Barriera rimanga intatta, e che tu… possa tornare da me. So che non potrà andare sempre così. E allora vivo nella paura, mentre il popolo creda che io sia impavida. - Forse per il vino, forse per la calma e il buio che li circondava, ma Arya aveva sentito l’impulso di confidarsi con l’unica persona che sapeva non l’avrebbe mai giudicata, che aveva sempre avuto fiducia in lei e credeva nelle sue capacità. Anche quando era una bambina… Jon la sosteneva, la proteggeva, era tutto per lei. Aveva voluto bene anche ai suoi fratelli e adorava Sansa, ma Jon… era diverso, era speciale.
L’uomo si girò verso la ragazza e la prese d’impeto per le spalle. - Non dire questo… tu… non ti devi preoccupare di me. -
- Tu lo fai, per me? -
- Ogni singolo giorno. Sei la regina dei Sette Regni, l’agguato è dietro ad ogni angolo e ne sono cosciente. A volte - Jon cercò di ridere, ma il suono scemò prima di arrivare alle sue labbra. Girò il viso in modo che la donna non notasse l’angoscia che lentamente gli cresceva dentro. - spesso faccio degli incubi. Ti vedo morire in battaglia, uccisa nel tuo letto, condannata al boia. Mi vedi e invochi il mio nome: ma io non posso fare nulla se non urlare. Tra le grida mi sveglio e ringrazio gli Dei che sia solo un sogno. -
Arya rimase qualche istante interdetta, le emozioni che prendevano il sopravvento nel suo esile corpo. - Cosa faresti se qualcuno mi uccidesse? - chiese a bruciapelo, senza neanche pensarci. Desiderava ardentemente saperlo.
- Chiunque ti uccidesse sarebbe condannato per mano mia alla morte più dolorosa che io possa concepire. - disse lui, poi la guardò dolcemente, passandole la mano fra i morbidi capelli castani. Arya fremette ma il suo sguardo rimase impassibile.
- Non sopporterei di vivere un altro minuto su questa terra se sapessi di non averti più al mio fianco. -
Lord Snow non si rese neanche conto di aver pronunciato quelle parole. Erano fuoriuscite da sole, come un canto tributato a una notte così impietosa e magica.
Arya aprì la bocca ma non poté proferire parola. Si limitò a un inchino, e sparì verso le sue stanze.
 
Erano anni che non le batteva il cuore così forte. La mattina dopo quella specie di dichiarazione Arya era felice ma nello stesso tempo dilaniata dall’impazienza. Qualcosa era successo quella notte, l’aveva ben compreso. Avrebbe voluto parlare di nuovo con Jon, godere della sua presenza e sperare che le loro parole non rimanessero isolate a uno specifico evento, ma non poteva. Non vi erano programmati incontri con i Corvi quel giorno, anzi: doveva fare visita a un piccolo ospedale di fortuna, situato ad Ovest dei territori della città. Era ben felice di portare sollievo alla sua gente, tuttavia in quel momento non si sentiva adatta al compito.
Due giorni dopo i Guardiani sarebbero tornati alla Barriera e Jon sarebbe partito con loro. Le sue parole l’avevano turbata… era esattamente quello che aveva sempre desiderato sentire da lui, eppure sapeva che quel discorso non eliminava assolutamente la sua dedizione al Giuramento che aveva tenuto molti anni addietro. Jon era sempre stato impacciato, nella sua figura di uomo adulto, ma a lei piaceva per questo. Era umile e rispettoso fin dalla gioventù ma aveva un cuore coraggioso. Era il miglior cavaliere che avesse mai conosciuto ed era l’uomo che avrebbe sempre ammirato e adorato, ma era anche rigido e parecchio testardo.
La regina sospirò e spinse via il piatto.
- Non avete fame oggi, mia signora? - le chiese Eire, guardandola preoccupata.
- Non molta, a dire il vero. Tra quanto partiamo? –
 
Jon si svegliò nella tiepida luce dell’alba. Guardando al di fuori della finestra di pietra si mise a pensare alla sua avventatezza nel rivelare i pensieri reconditi del suo animo alla donna più potente dei Sette Regni.
Come aveva potuto rivolgersi in quel modo ad Arya? Per l’amor del cielo, rimaneva sempre la sua signora, la sua regina! Jon si mise addosso la casacca mentre ripensava agli occhi di lei e al suo viso, alla sua reazione quando l’aveva sfiorata. Era veramente stato così avventato oppure semplicemente il suo istinto gli aveva consigliato di rivelare ciò che segretamente loro sapevano ormai da anni? La guerra, la famiglia… il mondo non aveva permesso loro di essere esattamente quello che volevano diventare. Avevano percorso strade diverse eppure si erano ritrovati. Insieme avevano il compito di dare vita a una nuova era di pace e prosperità dove tutto era possibile. Bisognava solo… farlo.
Il Lord Comandante scese nella sala comune dove i soldati facevano colazione rumorosamente. Uhine aspettava seduto a un tavolo il suo superiore, in attesa degli ordini giornalieri.
- Ti avevo dato la libera uscita o sbaglio? - lo salutò Jon, sedendosi vicino a lui e prendendo una scodella di zuppa.
- Credevo avesse bisogno di me, signore. -
- Uhm. Beh, non ne ho bisogno, mi spiace. - Jon cominciò a mangiare. - Hai altro da dirmi? -
- Ho saputo che oggi la regina ha in programma di visitare i territori intorno alla città. Mi chiedo se non sarebbe rispettoso, per non dire… istituzionale… fornirle una guardia scelta dei nostri come accompagnamento. -
- Perché mai? Se ella ci vuole alle sue dipendenze ce lo avrebbe potuto comandare, giusto? -
- Signore, con tutto il rispetto, nonostante i suoi poteri la regina non può, e non vuole, avere tutto questo potere sulla Barriera. - Uhine abbassò il tono di voce, un poco imbarazzato. - Sono un uomo di Grande Inverno e le sono molto devoto, ma a volte penso che voi siate troppo deferente con lei. -
- Uhine, cosa stai cercando di dirmi? -
- Voi siete un condottiero. - Il sottoposto spostò il suo viso vicino a quello del superiore. - I Corvi non hanno padrone, ricordate? I Sette Regni ne rispettano l’indipendenza e non possono fare altrimenti, perché loro sono l’unica arma contro il mondo che, al di fuori dei confini, tenta inesorabilmente di distruggerli. -
Jon lo osservò per qualche secondo. - Credi mi comporti come un volgare leccapiedi nei suoi confronti? -
- Non lo direi mai! -
- Prima di essere un Corvo sono un cittadino di questo reame ed è mio dovere portare rispetto a colui o colei che mi governa! -
- Prima di essere un cittadino siete il Lord Comandante e avete responsabilità di vita e di morte su tutti coloro che abitano queste terre. - rispose nervoso il suo intendente.
Jon sbuffò. - Sei libero di pensare quello che vuoi, Uhine, ma ti prego di non pronunciare mai più un discorso di questo genere in mia presenza, altrimenti sarai destinato alla frusta e bandito dal tuo Corpo. E’ alto tradimento. -
- Lo so, signore. Lascerò il vostro servizio, se lo ritenete opportuno. - rispose testardo l’uomo. Jon cercò di rimanere serio, ma si rendeva conto di non poter litigare con l’uomo con cui aveva combattuto tante battaglie e che l’aveva tirato fuori dai guai ormai numerose volte. Cominciò a ridere sempre di più nel vedere lo sguardo sorpreso dell’intendente alla sua reazione.
- No, ma per le tue parole ti sei perso un giorno di vacanza. Verrai con me ad accompagnare la TUA Regina. Lo ritengo oltremodo doveroso, per non dire istituzionale. - sogghignò Jon prima di prendersi un’altra porzione di zuppa.
 
Il Lord Comandante guardò la scena svilupparsi sull’uscio dell’umile capanna dove era stato allestito l’ospedale di fortuna. Un brutto male aveva colpito quella parte del reame ed era quasi arrivato alla capitale. Fortunatamente, grazie alle cure e alle buone pratiche messe in atto dalla popolazione il morbo era scemato, portando con sé poche vittime.
La regina si allontanò dalla casupola insieme alle sue ancelle. I soldati la raggiunsero, mentre lei saliva sul suo cavallo e si apprestava a passare lungo le vie del villaggio. Aveva appena terminato di confortare la povera gente che cercava di sopravvivere a quella pericolosa malattia, e aveva offerto il denaro necessario per comprare loro viveri e cure.
Al limitare del bosco che costeggiava la strada per tornare ad Approdo del Re Arya si accostò al cavallo del Lord Comandante. - Mi ha stupito il vostro desiderio di unirvi a noi quest’oggi. -
- Finché rimarremo nella Capitale siamo al servizio di sua maestà. -
La donna non rispose subito, intenta a riflettere. - Come si chiama il tuo intendente? -
Jon la guardò curioso. - Uhine. -
- Lord Uhine. - lo chiamò la donna. Il suo cavallo si accostò agli altri due. - Sareste così gentile da prestarmi la vostra spada? -
I due uomini la guardarono allibiti. Lentamente Uhine si slacciò la custodia dai fianchi e gliela passò.
- Ti ringrazio. Ora vorrei che conducessi la comitiva verso il castello. Io e il Lord Comandante vi raggiungeremo più tardi. -
- Mia signora. - si limitò ad accennare Uhine, guardando indeciso Jon. L’uomo gli fece un cenno e il sottoposto si diresse a compiere gli ordini.
Arya diede un leggero colpo ai fianchi del cavallo, guardando maliziosamente Jon.
- Seguimi, devo mostrarti qualcosa. –
 
- E’ qui che ti alleni? -
- Non ho mai smesso con le mie ‘lezioni di ballo’. - rispose lei. Il sontuoso vestito che indossa faceva a pugni con la custodia della spada che le cadeva pesantemente dai fianchi. - Sono molto più forte di quando mi hai regalato Ago. -
- Dov’è andata a finire quella spada? -
- E’ andata perduta. - la ragazza guardò gli alberi maestosi che circondavano la radura. Non aveva voglia di pensare a quella parte della sua vita. Si girò, raggiante come una bambina. - Mi fareste l’onore, Lord Comandante, di un duello? -
Jon rimase un attimo congelato dalla domanda. Poi scoppiò a ridere.
- Mia… signora… non potrei mai. -
- Oh, andiamo! - la donna estrasse la spada dalla fondina e lo pungolò gentilmente sulla cotta di maglia. - Nessuno si farà male. -
- Non era questo che temevo. E’ tradimento! -
- Ci sono solo io qui! E te lo sto chiedendo! - il tono della ragazza era diventato più deciso. Jon riconobbe la ragazzina testarda a cui, tanti anni prima, aveva insegnato a tirare con l’arco.
Il Lord Comandante scosse la testa. - Dovremmo tornare con gli altri. -
- Siete un codardo, lo sapete? -
- Come, prego? -
- Un codardo. Lo siete ora, come lo siete stato ieri sera. -
L’aria si fece all’improvviso più pesante. Arya aveva cercato di correggere quel maledetto difetto di dire tutto ciò che le passava per la testa. Era riuscito a tenerlo a bada in situazioni diplomaticamente più delicate ma davanti ai tumulti del cuore era tornata la ragazzina impulsiva di un tempo.
Si mise una mano davanti alla bocca, come per fermare ciò che aveva appena pronunciato. Abbassò lo sguardo e chiese al cavaliere di perdonarla e di ignorare le sue parole.
- Mia regina, sapete quanto io vi rispetti ma vorrei… -
- No! No, ti prego. E smettila di darmi del voi quando cerchi di eludere le mie domande. - Arya si mise in posizione di attacco. - Jon. -
- Non lo farò. Non combatterò contro di te. Nemmeno per finta. -
- Allora ti attaccherò io. -
- Non lo farai. -
La ragazza scattò verso di lui, mirando alla spalla destra con la punta della sua spada. L’uomo fece un mezzo giro su sé stesso sguainando la sua e mettendosi nella posizione di difesa. Le lame guizzavano nella luce del mattino mentre non vi era altro rumore che il fiato dei due duellanti. Arya era impacciata dai suoi abiti femminili ma rimaneva comunque molto agile. I capelli erano ormai scarmigliati e la sua acconciatura sfatta. Mostrava una grande determinazione nel cercare di disarmare il Lord Comandate, che dal suo punto di vista era a metà fra il divertito e l’amareggiato: odiava dover puntare l’arma contro di lei.
- Sarebbe assurdo, vero? -
- Che cosa? Che vincessi tu? -
- Che mi uccidessi. -
Le parole confusero l’uomo, che per la sua svista si vide perdere l’arma dalle mani. Arya raccolse la sua spada e la gettò lontano. Poi fece lo stesso con la sua.
- Arya, sei impazzita? -
- Ieri sera. - ansimò la donna, tornando immediatamente seria. - Mi hai detto di non poter vivere senza di me. -
- Arya. -
- Ieri sera mi hai confessato qualcosa di più grande della devozione di un soldato! -
- Io… sì. - urlò lui, sconsolato. - Non avrei dovuto. -
- Io ti amo. -
Un fruscio passò fra le foglie. Le urla di alcuni pastori che richiamavano il gregge arrivava da lontano. La Regina e il Comandante si guardavano, i respiri pesanti a sovrastare i pensieri.
Jon deglutì. - Io… non avrei dovuto. Perdonami. -
Gli occhi della donna cominciarono a velarsi di lacrime. - Cosa? -
- E’… sbagliato. Io non avrei dovuto. -
- Io ti ho detto che ti amo. Ti ho offerto la mia mano e la pace nel regno! -
- Il regno è già in pace. Ha te. -
- SE SOLO TU ASCOLTASSI IL TUO CUORE OLTRE CHE ALLA TUA DANNATA TESTA! - con le lacrime agli occhi la regina corse verso il suo destriero, vi salì strappandosi le gonne. Lo spronò verso la foresta, incapace di pensare ad altro che a fuggire via da lui.
L’aveva sempre amato… prima come un fratello e infine, quando il dubbio si era insinuato in lei e la verità aveva fatto il resto, aveva capito di non poter provare quel sentimento per chiunque altro. Soffrire per lui faceva sempre più male, rivederlo in quelle poche volte che era stato possibile era come un balsamo per lei in quei giorni in cui il buio sembrava farsi sempre più impenetrabile.
No, non era lei che avrebbe dovuto ereditare quel trono. Non era abbastanza forte. Forse era buona, giusta e fidata, ma non ce l’avrebbe fatta senza l’unica persona che credeva in lei più di ogni altro, compresa lei stessa. Aveva bisogno che il suo Lord Comandante la difendesse. Aveva bisogno di un sostegno, di quel sostegno.
- Arya! - le urlava lui nel vento. Sentiva sotto le sue mani i muscoli della sua cavalla guizzare mentre l’animale prendeva sempre più velocità…
 
- Sorella mia, ma cosa… -
- Va tutto bene, Sansa, io… -
- Sei ferita? Perché le vesti sono strappate? -
- Non è niente, sul serio. -
- Dov’è Jon? Mi hanno riferito che vi siete divisi dalla compagnia qualche lega prima di tornare al castello. Gli è successo qualcosa? Siete stati attaccati? -
- NO! - urlò Arya, per sovrastare le insistenti domande della sorella. - E’ rimasto indietro per alcune faccende. I miei vestiti sono rovinati perchè… sono scivolata e caduta da cavallo. –
- Non prendermi in giro, so benissimo che non sei facile da buttare giù da un destriero! Dimmi cosa è successo. –
- Io…
- Arya! –
- Ho chiesto a Jon di duellare con me. E’ stato un gioco… - si difese la donna, improvvisamente trasformatasi nella monella discola di un tempo.
- Oh, Arya! - sospirò Sansa. - Ancora questa storia dei duelli! Quante volte devo dirti che una regina si deve comportare come una perfetta dama di corte e… -
- Una regina deve sapersi difendere! -
- Hai dei cavalieri che ti possono difendere! - la ragazza dai lunghi capelli rossi le si avvicinò, sussurrando preoccupata. - Ti rendi conto che se qualcuno avesse visto la scena avrebbe portato Jon al patibolo senza neanche dargli pena di una giusta difesa? -
- Non avrei mai permesso che una cosa simile accadesse. - rispose lei, ciò nonostante s’insinuò in lei l’idea che nessuno l’avrebbe ascoltata nell’evidenza dei fatti. - Perciò lasciami in pace e chiama le mie ancelle. Devo prepararmi per stasera. – terminò perentoria, ma comunque scossa, la discussione con la sua ultima sorella.
 
L’ultimo giorno di festa era arrivato e con esso l’ultimo banchetto. La regina Arya rigirava silenziosamente il suo bicchiere fra le mani, distratta. Accanto a lei Lord Snow osservava rigido i suoi uomini, tentando di ignorare il dolore che infieriva come una stilettata ogni qualvolta osservava la sua ormai non più sorella. Poche ora prima lui, Arya, Sansa e Tyrion si erano riuniti nello studio di lui, con l’obiettivo di discutere delle sorti del regno.
- Lord Snow, siete sicuro di voler tenere nascosto il vostro lignaggio alla popolazione? -
- I Sette Regni hanno già una regina. - rispose stringato l’uomo, senza guardare nessuno in particolare. Arya si agitò a disagio sulla sedia.
- Potresti sempre abdicare. - aggiunse imbarazzata Sansa, mordendosi un labbro. Riconosceva la tensione fra i due suoi fratelli (perché, qualunque fosse la verità, per lei Jon rimaneva parte della famiglia) e non ne capiva il motivo.
- Non voglio rischiare una guerra civile per nulla, l’abdicazione ufficiale sarebbe un ottimo pretesto. - rispose lui.
- Resterà Lord Comandante, come ha deciso. - ribatté dura Arya, alzandosi senza tante cerimonie, mentre gli altri rispondevano al suo congedo. Il suo sguardo era freddo mentre osservava il Lord Comandante. - Partirai domani? -
- Così è deciso. -
- Bene. Avrai l’onore di chiudere il banchetto di stasera, se lo desideri. -
Jon si alzò e attirò l’attenzione dei vari invitati. Si accomiatò senza tante pretese, ringraziò il reame e la regina di tutti i popoli rinnovando la lealtà nei suoi confronti. Era impeccabile nella sua divisa d’ordinanza e ogni parola era stata accuratamente scelta per rendere solenne quel momento. Arya lo osservò rigida, sfidandolo con lo sguardo, ma non disse una parola fino alla fine del monologo.
 
Jon osservava la notte dai bastioni del castello di Approdo del Re. Un velo di tristezza gli era sceso nel cuore. Si sentiva agitato, disorientato dagli eventi di quei giorni, eppure sentiva che qualcosa, finalmente, si era liberato in lui, la terribile consapevolezza di poter provare sentimenti talmente belli da distruggere la pace della sua anima. La ricordava ancora quando aveva sedici anni, durante la Guerra, china al suo capezzale nella tenda dei feriti. L'aveva curato per giorni mentre lui, febbricitante, era in bilico fra la vita e la morte. Poi una mattina si era svegliato e nel pallore dell'alba aveva scorto il suo volto, addormentato, appoggiato sul bordo della sua branda, le braccia stese scompostamente vicino a lui. Ancora debole le aveva preso la mano: aveva riconosciuto in lei la sua vecchia amica.
Arya si era risvegliata al suo tocco e gli aveva debolmente sorriso. Era sfinito, erano sfiniti, ma finalmente erano insieme dopo uno dei periodo più bui della loro esistenza. Non erano ancora Lord Snow e Lady Stark. Erano due ragazzi che avevano perso tutto, tranne il loro amore.
Amore? Allora era amore quello che provava per Arya. Si costrinse a pensare a lei come una sorella ma non ci riuscì: troppo spesso quelle poche notti ad Approdo del Re aveva sognato il suo sorriso, aveva desiderato stare con lei...
Al suo fianco Spettro reclamò attenzione: in quei giorni non erano stati poi molto assieme poiché il fidato amico era solito prendersi la libertà di girare dove più gli aggradava in completa solitudine. D'altronde non provava angoscia saperlo errante per i Sette Regni, in libertà: i metalupi Stark godevano di una buona reputazione e nessuno gli avrebbe fatto torto, tant’è che l’animale sapeva difendersi ottimamente nello scontro. Quella sera finalmente Spettro era tornato, conscio dell’imminente partenza da quei luoghi.
- Cosa c'è amico mio? - gli chiese Jon sovrappensiero. Per risposta Spettro emise un leggero ringhio e tirò il mantello del padrone. - Vuoi che ti segua? -
I due s’incamminarono nei meandri del castello. A un certo punto Jon riconobbe il chiostro su cui davano le stanze della regina. L'uomo vide in un angolo, stesa, Namyria. Li guardava placidi ma con attenzione.
L’uomo si avvicinò e le passò le mani sul manto. - Era lei che volevi farmi vedere?- si rivolse affettuosamente al metalupo, che nel frattempo si era seduto vicino all’altro animale.
- Jon? - Arya sbucò da una delle siepi elegantemente curate. Uno sguardo di sorpresa comparve sul viso del Lord Comandante.
- Mia signora. - s’inchinò l'uomo, cercando di nascondere il suo turbamento.
- Come mai sei qui?-
- Spettro mi ha condotto dal tuo metalupo. -
La donna osservò amorevolmente i due animali.- E’ un peccato che non possano incontrarsi più spesso. -
- Potrei dire lo stesso di noi. -
Arya lo ignorò. - E’ stato un bellissimo discorso quello di stasera. I vostri uomini ti ammirano e il popolo ti ama. Saresti un ottimo re. -
- Te l’ho già detto, non ambisco alla corona. -
- Già. - Arya sorrise. - Aitante, coraggioso e senza alcuna ambizione. Sei sempre stato il migliore di noi, Jon: non hai un difetto. -
- Temo di dover dissentire. Mi hai detto che non sono capace di amare, ricordi? -
Arya lo osservò a lungo nella semioscurità. Restarono in silenzio, gli occhi illuminati dalle fiaccole, senza dire una parola. Alla fine, riscuotendosi, Jon parlò - Verrai presto alla Barriera, mia regina?-
- Se me lo permetterai. -
- Sarai sempre benvenuta nella mia casa e nel mio cuore.-
Arya si avvicinò titubante e lo abbracciò. - Rimani con me. Ne ho bisogno. -
- Non posso. Le nostre strade sono destinate a dividersi per il bene del regno. -
- Non sai cosa è meglio per esso. - Replicò lei, serafica.
- E tu? Sei sicura che ciò che credi non sia meglio per te piuttosto che per il tuo popolo? - Jon la osservò. Gli occhi di lei erano asciutti ma velati di panico. Soffriva a vederla così. - Arya, ti prego, cerca di capire... -
- NO! - si staccò lei, urlando. - Non voglio credere che tu non senta quello sento io. Lo vedo nei tuoi occhi ogni volta che posi il tuo sguardo su di me, lo vedo nei tuoi gesti. Vorrei che fosse ancora quella sera per vederti senza questa maschera! Vorrei che tu mi amassi.... -
Jon la baciò, in un impeto che poco aveva a che fare con la cieca rabbia della battaglia, sentimento nato per il puro istinto di conservazione. La baciò perché ne aveva necessità, lo desiderava ormai da così tanto tempo che ormai non riusciva più a nasconderlo a sé stesso. Quel dolore che gli torturava il petto si stava lentamente sciogliendo sotto le mani di lei, così calde e benefiche. Lui la prese per la vita e la strinse contro di sé, cancellando ogni pensiero che non fosse diretto verso lei, che non fosse lei, la sua unica fiamma di speranza in quel mondo sempre più buio e freddo. Non l’avrebbe lasciata per molto tempo.
 



Non seguo molto Game of Thrones e non so bene a che punto la trama si sia sviluppata (non leggo neanche i libri, fate voi). Però una cosa mi aveva colpita all'inizio della prima stagione: esattamente, la scena fra Arya e Jon quando lui le consegnò Ago. Pensai subito: 'questi due si mettono assieme'. Ma come? Beh, la mia versione è quella scritta sopra (le fans di Arya/Gendry mi vorranno morta, penso :). Io c'ho provato, fatemi sapere com'è andata.



   
 
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