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Autore: yongguk    13/04/2013    2 recensioni
"Era come se ci fosse un filo invisibile che ci tenesse legati, perciò nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo dall'altro. Era solo una mia sensazione? Oppure anche lui aveva provato lo stesso?"
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jongup, Nuovo personaggio, Yongguk, Youngjae, Zelo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prima che cominciate a leggere, sappiate solo che cliccando su alcune parole (ad esempio alla parte delle scarpe o ai titoli delle canzoni) ci sono dei link, che ho pensato di mettere per darvi un'idea dei vestiti, ecc., e così che potete ascoltare le canzoni che sono in alcune scene nel momento in cui le leggete uwu okay scusate il mio schifo di italiano ma sto guardando un film ahahah va bene ciao, buona lettura ♥.

***


Turn up the music


 

Tick tack, tick tack, tick tack, il tempo continuava a scorrere, eppure sembrava essersi fermato. Quel momento sembrava durare un'eternità, se non fosse che la persona che usciva da quella stanza cambiava di volta in volta.

A volte, quella persona piangeva, a volte urlava, tratteneva gridolini di gioia, e a volte, quella persona usciva da lì talmente pallida che sembrava uscita da un film di Twilight.

Ovviamente io speravo di essere una di quelle persone che usciva con il sorriso, ma finchè non arrivava il mio momento, non potevo conoscere la mia reazione né tantomeno immaginarla.

Se fossi passata, avrei pianto? Avrei riso? No, probabilmente no, perché io non piangevo. Non ridevo neanche, in realtà. Non più almeno, perciò la mia reazione sarebbe stata uguale a tutte le altre nel corso degli ultimi anni; una maschera priva di emozioni sarebbe stato ciò che sarebbe uscito da quella stanza quando sarebbe stato il mio turno, che fossi passata o no.

Al contrario, la persona accanto a me avrebbe reagito in modo totalmente diverso. Lei, sarebbe uscita da lì cercando con tutta se stessa di non urlare e saltare di qua e di là, per poi scoppiare a ridere a iniziare a gridare come una posseduta appena quella porta si fosse chiusa, probabilmente soffocandomi in uno dei suoi abbracci come se stesse per finire il mondo.

Sinceramente, speravo davvero di essere presa, ma speravo soprattutto che lei riuscisse a farcela. Perché lei era l'unica persona di cui m'importava ancora qualcosa, l'unica di cui ancora mi fidavo, la sola ed unica persona che avrei sempre voluto al mio fianco. Lei era la mia migliore amica, e sarei stata disposta a tutto pur di mettere la sua felicità davanti alla mia, come spesso aveva fatto lei con me negli anni passati. Perciò, avevo già un “piano” di riserva in caso venisse presa solo una di noi due e quella fossi stata io. Forse non avrebbe funzionato, o forse sì, ma se così non fosse stato allora io avrei semplicemente rifiutato, avrei raccolto la mia roba e sarei uscita da lì con la mia migliore amica. Perché era stata lei alla fine a convincermi a fare quell'audizione, perciò, nel caso una sola di noi due venisse presa e quella fosse stata lei, ovviamente avrei cercato di convincerla il più possibile ad accettare, ma sapevo benissimo che se non c'eravamo dentro insieme allora lei non lo avrebbe fatto. Eravamo fatte così, o entrambe, o niente. Ed era questo che mi piaceva di più della nostra amicizia, che c'eravamo sempre l'una per l'altra, anche se non eravamo baci e abbracci come tutte le amiche, ci capivamo perfettamente e andavamo d'accordo così.

«Sto per farmela sotto dalla paura» il bisbiglio di Kiki interruppe i miei pensieri e il mio fissare ininterrottamente il muro davanti a me.

Ovviamente era nervosa, chi non lo era? In fondo era una delle opportunità più importanti della vita, quella di avere un'audizione per un'importante casa discografica. Avevamo l'opportunità di realizzare i nostri sogni, anche se questo significava trasferirsi dall'altra parte del mondo, in una città sconosciuta, con persone sconosciute e in cui avremmo dovuto parlare una lingua sconosciuta.

In realtà, riuscivamo a spiccicare qualche parola, ma non andava oltre il “ciao” o il “grazie”, per cui avremmo dovuto impegnarci giorno e notte se fossimo riuscite a passare l'audizione. Non che ci facessi molto affidamento, semplicemente non ero una persona che si preoccupa spesso. Sapevo già che se non fossi stata presa avrei accettato la cosa tranquillamente e sarei uscita di lì a testa alta come ci ero entrata. Non mi ponevo il problema del “cosa farò se verrò presa?” o “cosa farò se non mi accetteranno?”; come si dice, o la va o la spacca. E poi avevamo ancora altre possibilità davanti, il mondo è grande e le opportunità sono tante.

Tornai di nuovo in me quando sentii la porta di fianco a noi chiudersi, facendo uscire una ragazza in lacrime. “Ballerina”, pensai non appena notai la gonna del suo tutù sballonzolare su e giù per via dei suoi singhiozzi.

Continuai a guardare quella sconosciuta piangere fino a finire le lacrime, eppure non riuscii a provare nessuna emozione per lei, che fosse pena o tristezza. Niente di niente, come al solito, così scrollai le spalle e tornai a fissare il muro davanti a me, notando solo ora che Kiki a fianco a me era così agitata da far tremare anche la mia sedia per via del suo ginocchio che batteva continuamente contro il mio.

Senza pensarci le presi la mano e la strinsi per confortarla, come faceva sempre lei con me quando la situazione era capovolta negli anni precedenti. Non c'era bisogno che l'abbracciassi o le dicessi parole confortanti; lei sapeva che tenerle la mano era l'unica azione che sarei riuscita a fare, e le andava bene così. Come ho già detto, non pretendevamo molto l'una dall'altra e non eravamo di quelle amiche che si stanno incollate anche per andare in bagno. Anche perché lei conosceva i miei limiti, e sapeva che anche volendo non sarei riuscita ad andare oltre quello, semplicemente non potevo.

«Come fai a non essere agitata, i-» mi voltai di scatto verso di lei non appena si interruppe improvvisamente, per poi notare che una donna sulla quarantina si era piazzata davanti a lei sfogliando in fretta un'agenda.

Non feci molto caso a lei e mi voltai di nuovo verso il muro che fissavo ormai da più di un'ora e mezza, finché non sentii la donna dire i nostri nomi.

«Joo Smith e.. KiKi Parker?» Chiese la donna incerta alzando lo sguardo dalla sua agenda a noi.

Guardai KiKi per un attimo, e notando che aveva spalancato gli occhi dalla paura e non accennava a muoversi, mi alzai tirandola su con me per la mano, e annuii alla donna che mi rispose con un sorriso.

«E' il vostro turno,» iniziò a spiegarci mentre ci conduceva dietro quella porta. «Siccome avete mandato le vostre audizioni insieme, potete entrare entrambe ma solo una di voi entrerà, a seconda di chi sarà la prima. Poi toccherà all'altra e beh, una volta dentro saprete cosa fare. Buona fortuna, fighting!» La donna, che notai chiamarsi Park Mina dalla targhetta sulla sua giacca – ci sorrise, mostrandoci il pugno per affermare il suo gesto al quale io risposi con un cenno del capo e KiKi sorridendo un po' impaurita.

Park Mina entrò nella stanza di fronte a noi, per riuscire subito dopo e chiamare il nome di KiKi.

Quindi dopo tocca a me”, pensai, senza mostrare di nuovo un briciolo di emozione al contrario di KiKi che sembrava star per avere un infarto.

Park Mina passò il suo sguardo da KiKi a me, quasi come se si aspettasse da me delle parole d'incoraggiamento che ovviamente non sarebbero mancate, così poggiai entrambe le mani sulle spalle della mia migliore amica, guardandola negli occhi che sembravano volerle uscire dalle orbite per quanto erano spalancati.

Strinsi la presa sulle sue spalle per farle capire di stare tranquilla, e quando finalmente la sentii calmarsi, le dissi la prima cosa che mi venne in mente. «B.A.P.»

Okay, forse non dovevo dirle proprio la prima cosa, ma sapevo che anche quella sarebbe bastata a farla tranquillizzare. In fondo c'era un motivo per cui eravamo lì, e quel motivo aveva parecchio a che fare con loro, soprattutto per lei.

KiKi chiuse gli occhi, sospirò e riaprì gli occhi sorridendomi, capendo ciò che volevo dirle con quella sola parola, così la feci voltare e la spinsi dentro, e l'ultima cosa che vidi era il sorriso di Park Mina mentre chiudeva la porta davanti a me, sparendoci dietro.

Sospirai, guardandomi intorno e accorgendomi solo in quel momento che nel tragitto verso quella porta avevamo passato un lungo corridoio. Incrociai le mani sul petto, appoggiandomi alla parete in attesa che arrivasse il mio turno. Poco dopo sentii partire “Wonderwall” degli Oasis, la canzone che aveva scelto per l'audizione del canto, ma non riuscii a sentirla chiaramente, né tantomeno riuscii a sentire KiKi cantare per via della stanza insonorizzata.

Forse suonerà strano, ma sapete quella sensazione che dicono sembra mangiarti lo stomaco nei momenti di ansia come questi? Beh, per me non ce n'era traccia. Eppure doveva, voglio dire era un'audizione importante e se le cose fossero andate bene, ne sarebbe valso il mio futuro eppure non riuscivo ad essere un minimo impaurita o elettrizzata, niente di niente.

Così per passare il tempo giocai coi lacci dei miei pantaloni, un paio di una tuta presi a caso nell'armadio poco prima di uscire di casa. Non avevo fatto molto caso a come vestirmi quella mattina, non perché non m'importasse ma perché semplicemente non ci avevo dato peso. Ci eravamo alzate in fretta e furia, perciò decisi di perdere il mio tempo nel fare colazione evitando di strozzarmi come KiKi, che aveva buttato tutto giù in un boccone solo per poter correre a farsi trucco e parrucco. In fondo era solo un'audizione, non Miss America.

Il trucco, i vestiti e tutto il resto contavano nel mondo dello spettacolo, ma noi ancora non c'eravamo entrate perciò potevamo anche non sembrare appena uscite da un servizio fotografico di Vogue quando dovevamo ballare e sudare davanti a degli sconosciuti che forse non avremmo più nemmeno rivisto. Ma ognuno era fatto a modo suo, perciò avevo deciso di mettere una normale smanicata e quei pantaloni ormai di un colore indecifrabile tra il nero e il grigio, con una felpa enorme al completare il tutto. L'unica cosa a cui avevo fatto decisamente attenzione quella mattina erano le scarpe. Non che avessi molta scelta tra quali paia mettere, ma le scarpe per me erano fondamentali. Erano le scarpe che facevano un ballerino. Almeno così mi avevano detto, e guardando la gente fare breakdance, footwork e altri stili per le strade, avevo iniziato a crederci dato che non c'era un solo ballerino che non portasse le proprie scarpe. Perciò mi sentivo fiera di me stessa per aver reso quelle scarpe, le mie. Ormai erano vecchie e forse anche rotte, ma è stato il mio primo paio di scarpe da quando avevo iniziato a fare hip hop, e l'avrei portato con me fino alla fine.

Continuai a giocare con i lacci dei pantaloni, passando ogni tanto a quelli della scarpe o al cappuccio della felpa mentre sentivo le canzoni cambiare ogni tanto. Era da poco finita “Toxic” di Britney Spears, ed era appena partita “Dancing in the rain”, una del repertorio dei B.A.P.

Dopo pochi minuti la porta si aprì, e la prima ad uscire fu KiKi, seguita da Park Mina che sorrideva tenendole una mano sulla spalla. In realtà sorridevano entrambe... il che voleva dire che KiKi era passata? Sperai di sì, almeno non avrei dovuto preoccuparmi del dover rifiutare in caso venissi presa solo io.

Ma sapevo che era impossibile che ciò accadesse, perchè KiKi aveva molto più talento di me.

Non dico di non averne, altrimenti non starei perdendo il mio tempo qui se pensassi il contrario, ma non ero brava quanto lei, almeno non nel ballo dato che nel canto avevamo due stili completamente diversi dato che io facevo rap e lei no.

Ogni volta che la guardavo ballare o cantare ero quasi invidiosa del fatto che potesse esprimere così tanti sentimenti con una sola canzone. Che sia ballando o cantando, lei ci riusciva mentre io sicuramente sembravo appena uscita da un funerale, e il fatto che la mia pelle non fosse esattamente “luminosa” come dovrebbe esserlo per una californiana, non aiutava il tutto.

«Allora?» Chiesi appena vidi Park Mina chiudere la porta che dava all'audizione.

Nessuna delle due mi rispose, e iniziai quasi a preoccuparmi per KiKi vedendola in quello stato. Come se avesse appena incontrato il suo bias e le avesse chiesto di sposarlo. O anche il solo incontrarlo sarebbe bastato a ridurla così, comunque.

Spostai lo sguardo su Park Mina, che sorrise alla reazione di KiKi per poi sorridere incoraggiante a me. “Cos'è successo esattamente lì dentro?” Anche se non lo mostravo, ero curiosa di sapere se KiKi era stata presa o no, ma nessuna delle due accennava a rispondere e io non avevo tempo da perdere in quel momento.

Quindi lasciai le domande – e KiKi imbambolata – a più tardi, e tirandomi su il cappuccio, seguii Park Mina dentro la stanza per la mia audizione. Non perderò tempo a descriverla, in fondo era una sala da ballo come tutte le altre, né più grande né più piccola, tralasciando il lungo tavolino di fronte agli specchi, dietro cui erano sedute alcune persone. Probabilmente il CEO, il direttore della casa discografica, con alcuni produttori e manager. C'era solo una sedia vuota, ma non ci diedi molto peso e mi posizionai al centro della stanza.

«JoJo Smith?» Mi chiese uno degli uomini dietro al tavolo, scribacchiando qualcosa su un'agenda per poi alzare lo sguardo su di me. Annuii, e subito dopo una donna sulla trentina mi sorrise incoraggiante, passando il cd con le canzoni che avrei eseguito al probabile “addetto stereo”. «Quando sei pronta.» Disse la donna sorridendo di nuovo.

Mi abbassai per tirare su una delle gambe dei pantaloni, e abbassai il cappuccio fino a coprirmi gli occhi, lasciando uscire solo i lunghi capelli mossi. Mi misi in posizione e non appena partì la musica, tutto il resto scomparve. Tutto ciò che era intorno a me era sparito, come se fossimo in un dipinto nel quale la protagonista era l'unica cosa nitida mentre il resto era tutto sfuocato. C'eravamo solo io e la musica.

Iniziai a muovermi a ritmo di “Turn up the music”, di Chris Brown, seguendo passo passo la coreografia che avevo provato giorno e notte nelle tre settimane precedenti.

Gli unici suoni in quel momento erano la musica e il rumore delle gomme delle mie scarpe che scivolavano sul parquet, finchè a metà canzone, la musica si stoppò.

Mi fermai di colpo e alzando un po' la testa per vedere sotto il cappuccio, vidi un uomo avvicinarsi con un microfono. «Ora devi fare l'audizione del canto, e quando la musica si stopperà, partirà una canzone scelta da loro» disse l'uomo davanti a me in perfetto inglese, indicando la fila di persone dietro il tavolo, «E dovrai fare ciò per cui sei venuta: canto o rap a seconda della tua specialità. La canzone sarà in coreano così da poter conoscere le tue potenzialità, tutto chiaro?» L'uomo disse il resto della frase tutto d'un fiato che per poco non riuscii a capirlo, ma afferrai il tutto e annuii prendendo il microfono che ancora mi porgeva, per poi tornare al centro della stanza.

Avevo ancora il cappuccio su gran parte degli occhi, ma li chiusi lo stesso per riuscire ad isolarmi come facevo con il ballo, e nell'istante in cui li chiusi partì “The real Slim Shady” di Eminem, che avevo scelto per il rap.

Continuai a rappare senza sbagliare né una parola né una nota, finché a metà canzone, di nuovo, la musica si stoppò per far partire “Warrior”, sempre dei B.A.P.

Iniziai con il rap di Yongguk, e non sapendo se dovermi fermare o no nelle parti del canto, continuai, stavolta a cantare fino ad arrivare alla parte del rap LTE di Zelo, e dopodiché la musica si stoppò di nuovo, stavolta definitivamente.

Alzai di poco lo sguardo verso il tavolo, notando che la sedia che poco prima era vuota adesso non lo era più, ma non riuscii a vedere chi ci fosse seduto dato che quello che doveva essere un uomo aveva la testa abbassata e portava un cappello che non permetteva di vedere oltre i suoi capelli.

Un breve e lieve applauso partì da alcune delle persone sedute, così mi inchinai per ringraziare.

«Molto bene...» cominciò l'uomo che doveva essere il CEO data l'aria da duro e il completo formale che indossava. «Davvero molto bene signorina Smith», continuò col suo accento in un inglese migliore dell'uomo del microfono di poco prima. «Le faremo sapere.»

Detto ciò, capii che era finita lì così mi inchinai di nuovo e per caso posai gli occhi sull'uomo col cappello di poco prima, incrociando il suo sguardo.

Non era un uomo ma bensì un ragazzo, e aveva un'aria piuttosto familiare, solo che non ricordavo dove lo avevo già visto. Non avevo amici asiatici né tantomeno nemici o parenti, perciò di certo non era qualcuno che conoscevo di persona.

Restammo a fissarci per quella che parve un'eternità, finchè poi non interruppi quello scambio di sguardi e uscii fuori, dove trovai KiKi seduta per terra con le mani tra i capelli.

Quando vide che ero uscita non esitò un attimo ad alzarsi e saltarmi addosso, urlandomi nell'orecchio così forte da rompermi quasi un timpano. «Allora, allora, allora com'è andata?!?»

Iniziò a saltare su e giù, tenendomi le mani per poi lasciarle e prendermi le guance, tirandole come si fa con i bambini.

Ecco, quella era una cosa che odiavo. “Qualcuno mi salvi”, pensai guardando Park Mina quasi supplicandola, ma lei sorrise e girò i tacchi per poi sparire lungo il corridoio e dietro la porta da cui eravamo entrate inizialmente.

«Cosa aspetti?! Dai, racconta!» Urlò di nuovo KiKi, tenendo la stretta sulle mie guance.

«Se lasci vivere le mie guance magari ci riesco, sai» le risposi ciancicando le parole per via della sua mania del tirarmi le guance. Quando finalmente realizzò, mi lasciò andare e smettendo di saltare tornò seria.

«E' andata bene...» dissi tagliando corto, in fondo non c'era niente di più da dire, no?

«Beh per forza è andata bene, altrimenti non saresti tu, ma non c'è per caso un motivo o meglio, un qualcuno, per cui è andata davvero bene?» Chiese ancora, facendo su e giù con le sopracciglia come un maniaco.

«Di che parli?» Le chiesi non capendo, aggrottando le sopracciglia involontariamente.

«Davvero non lo sai?» Chiese KiKi di nuovo, con uno sguardo tra il sorpreso e il confuso. «Vuoi dire che non l'hai visto?!»

Okay, adesso davvero non capivo. Cos'è che non avevo visto?

«Cos'è che non avrei visto?»

«Stai scherzando! C'era Yongguk e tu 'non l'hai visto'?!» Urlò così tanto che sicuramente l'avevano sentita anche le persone nella stanza dietro di noi, stanza insonorizzata o meno.

Mi guardai intorno sperando che non fosse così, e tappandole la bocca la portai lungo quel corridoio che separava la stanza dell'audizione dalla sala d'aspetto, da cui uscì di nuovo Park Mina seguita da una ragazza che pregava sottovoce per la sua audizione.

Aspetta... ha detto Yongguk? Cioè, quel Yongguk? Dei B.A.P? Il rapper, leader e mio bias nei B.A.P? Okay, bias insieme a Jongup ma questi sono dettagli.

Come poteva essere lì? Non l'avevo vi- okay, stop. Era lui allora il ragazzo che mi sembrava di conoscere? Il ragazzo che continuavo a fissare come un'idiota? Il ragazzo che ricambiava il mio sguardo? Sì.. per forza era lui, gli altri erano tutti uomini dai quaranta in su, mentre lui... lui era lui, era Yongguk.

Forse dovrei agitarmi, dovrei saltare da tutte le parti e urlare come un'assatanata come probabilmente aveva fatto KiKi durante la mia audizione, ma ciò che provavo era solo sorpresa e curiosità. Sorpresa del perché fosse lì, a delle audizioni di ragazze qualunque quando magari poteva essere con gli altri membri a fare chissà cosa, e curiosa del perché mi aveva fissata per tutto quel tempo. Non lo avevo notato prima, ma ripensandoci era come se ci fosse un filo invisibile che ci tenesse legati, perciò nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo dall'altro. Era solo una mia sensazione? Oppure anche lui aveva provato lo stesso?

A dirla tutta mi sentii un po' stupida a pensarci, ma lasciai correre e tornai a pensare a KiKi che sembrava ancora fuori di sé. Senza neanche risponderle la presi sotto braccio e la trascinaii fuori di lì mentre lei continuava a blaterare su quanto Yongguk fosse perfetto e bla bla bla. E pensare che il suo bias era Himchan.

Continuammo a camminare per le vie di Los Angeles, entrando nei negozi di tanto in tanto, per lo più in quelli di musica per me e quelli di vestiti per KiKi. Nel frattempo parlammo delle nostre audizioni, di come sarebbe stato se fossimo state accettate entrambe e cosa invece avremmo fatto se non lo fossimo state, e la risposta era che non avremmo fatto niente, avremmo continuato le nostre vite come se niente fosse, perché in fondo nella vita bisogna anche essere rifiutati, no? E comunque avremmo continuato a provare entrambe, fino al prossimo provino, che fosse per un programma televisivo, per una qualche compagnia di ballo o canto, per un musical o per un'altra casa discografica. Avremmo provato fino allo stremo, ma pensando ad altri futuri provini, di certo non avevamo nemmeno immaginato che quella stessa sera, la casa discografica TS Enternainment, ci avrebbe telefonate dandoci la fatidica notizia.



 

***
Okay salve, innanzitutto ringrazio chiunque si sia fermato a leggere questa cacata, perché davvero lo è e mi dispiace D:
è che non scrivevo da un anno e da qualche mese leggo solo fan fiction in inglese (chi conosce AFF alzi la mano)
perciò mi veniva da scrivere in inglese ahahah ma vabbè non vi interessa e_e
comunque spero che questo primo capitolo non faccia così schifo come penso e che piaccia almeno
a qualche povera anima pia, perché tengo tantissimo a questa storia siccome ce l'ho in mente da un bel po',
e anche se magari a volte non riuscirò ad aggiornarla presto o altro, sappiate che la porterò fino alla fine
al contrario di fan fiction iniziate e non arrivate neanche a metà su un mio vecchio account qui
ahahah ma quella è storia passata ed era di un mio periodo bimbominchia in cui ero pazza per un certo gruppo..
comunque, grazie ancora a chi è riuscito a sopportare questa schifezza fino alla fine,
prometto che aggiornerò presto ma vi prego, se vi è piaciuta o anche se non è così,
commentate! Mi farebbe davvero piacere sapere ciò che pensate di questo primo capitolo,
e sappiate che il secondo arriverà presto dato che lo inizierò domani uwu
Ciao

 

  
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