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Autore: _Niada17    14/04/2013    1 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA. (chiedo perdono soprattutto a te, Cla)
A parte i convenevoli, io non conoscevo per nulla i Davies.
Cioè, sapevo che abitavano in quell’enorme villa alla fine della strada costeggiata di cipressi (che a mio parere contribuivano ad accrescere l’atmosfera tetra e lugubre del posto), ma per il resto e nel resto c’era anche loro figlio, non conoscevo altro.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                                                                                                                     - PROLOGO -                                                                                                                                                          

Correvo.

Correvo per dimenticare.

Correvo per non dover dire la verità come invece avrebbe fatto una persona matura e responsabile.

Correvo per non dover vedere quei sorrisi e quegli sguardi incoraggianti.

Ma poi: che stavano incoraggiando? O meglio, chi?

Probabilmente la sottoscritta. Ma era così evidente che non avessi la minima voglia di sposarmi? Sicuramente non a quell’età. Non a diciotto anni e con una vita davanti, non con dei sogni e dei desideri che escludevano senza remore il matrimonio. Aggiungiamoci che non amavo né mi piaceva lo sposo e abbiamo fatto tombola, o forse terna? Oh no aspettate: alla tombola ci arriviamo. Non potevano certo mancare all’appello i fattori x e y, rispettivamente  l’identità sconosciuta del tizio con l’abito nero e i miei genitori. Maledetti i genitori. Era colpa loro se io mi dovevo sposare con un perfetto estraneo che, per quanto ne sapevo, poteva benissimo essere un serial killer di professione o un maniaco. Poteva anche essere brutto, con i brufoli che gli impiastricciavano la faccia, con dei grandi occhiali da nerd e con il fisico che poteva competere con un’acciuga. Ma io dovevo sposarlo. Perché? Dovevate chiederlo a mio padre e a mia madre, dovevate chiedergli cosa gli passava per la testa quando hanno prosciugato fino all’ultimo penny l’eredità di zia Rose per i loro sciocchi capricci da adulti di mezz’età. E io mi ero ritrovata ad un tavolo, a sentirmi dire che ero l’unica che poteva salvare il nome della nostra famiglia. La famiglia Williams. Da mesi ormai il denaro aveva cominciato a scarseggiare, ma mai avrei potuto immaginare quanti pochi  passi ci mancavano dall’essere al verde, letteralmente. L’unico modo per non morire affogati sotto i debiti era che io mi sposassi con un erede di una prestigiosa e potente famiglia di Londra i cui genitori erano ‘pappa e ciccia’ con i miei, ma almeno loro sapevano fermarsi prima di arrivare ad un punto di non ritorno. A  parte i convenevoli, io non conoscevo per nulla i Davies. Cioè, sapevo che abitavano in quell’enorme villa alla fine della strada costeggiata di cipressi (che a mio parere contribuivano ad accrescere l’atmosfera tetra e lugubre del posto), ma per il resto e nel resto c’era anche loro figlio, non conoscevo altro. Era pur vero che non ero mai stata una persona socievole ed aperta, al contrario, non avevo amici o amiche e spesso tendevo a star sola e se possibile evitavo anche gli spazi affollati. Preferivo senza ombra di dubbio legger un buon libro in biblioteca, con quel suo odore di carta invecchiata nel tempo e libri chiusi da troppo, che andare a fare una passeggiata in centro come era solita far mia madre con le amiche della Sala.

Arrestai la mia corsa: stavo continuando a pensare e ciò non mi aiutava a dimenticare.

Scrutai il paesaggio intorno a me e mi accorsi di avere dei ribelli ciuffi di capelli che mi erano ricaduti davanti agli occhi, impedendomi la visuale completa del posto. Avevo sempre odiato i miei biondi capelli lunghi che mi facevano sembrare una di quelle vecchie bambole di porcellana, perfette e senza difetti. I capelli erano opera di mia madre, a lei piacevano così. Ma certo il mio aspetto non contribuiva a smentire l’impressione che poteva avere la gente di me: avevo gli occhi blu, blu come il mare, che incorniciavano la candida e lattea pelle del mio viso e una rosea bocca che ormai aveva disimparato cos’era un sorriso vero. O forse non l’aveva mai imparato.

Scostai i ciuffi e mi accorsi di un’altra presenza vicino a me, in quello che appariva come un capanno abbandonato circondato da alte erbacce che lasciavano dedurre che nessuno ci aveva messo piede da tempo.
E proprio lì, appoggiato con una spalla al tronco di un albero, vidi un giovane che doveva avere pochi anni più di me. Nella penombra non riuscii a scorgere i suoi occhi, ma i suoi capelli neri come la pece risaltavano. Li teneva leggermente lunghi sul capo, malgrado non arrivassero alle larghe spalle coperte da una camicia bianca. Se non avesse avuto le maniche rigirate sui gomiti che gli davano un’aria casual, sarei scoppiata a ridere visto l’abbigliamento non proprio adatto alla campagna dov’eravamo.


Mentre io guardavo lui, lui guardava me. Era un gioco di sguardi che si rincorrevano fuggitivi, e il primo che avesse abbassato il proprio avrebbe perso. Sul suo viso era nato un accenno di un sorriso furbo e malizioso. Mah, probabilmente credeva di essere bello e che io lo stessi fissando perché mi piaceva e aveva ragione, o almeno in parte. Perché io sì, non potevo non ammettere la sua straordinaria bellezza contando che dovevo ancora vedere i suoi occhi, ma sicuramente non mi piaceva. Sembrava uno di quei tipici ragazzi belli e fin troppo consapevoli di esserlo, di quelli con una scia di ragazze che gli vanno dietro senza un minimo di dignità e che ben poche riescono nel loro intento. Insomma, di quelli che io, se possibile, evitavo peggio della peste.
Eravamo come in una bolla immaginaria e satura dei nostri respiri, il mio ancora affannato per la lunga corsa, i quali erano l’unico rumore che spezzava l’innaturale silenzio creatosi. Non un cinguettio, non uno zampettare di animaletti del bosco a poche miglia. Il silenzio campeggiava maestoso intorno a noi e arrivati a quel punto pensai fosse colpa della bolla in cui eravamo finiti. Fu lui a romperla, e un po’ me ne rattristai perché nel frattempo ero riuscita a non pensare ai miei problemi.
‘Non ti avevo mai vista da queste parti, chi sei?’ previsioni esatte, infatti aveva usato un tono troppo arrogante per i miei gusti.
Non ebbi il tempo di rispondere che continuò ‘ se sei qui per Ryan puoi anche tornare da dove sei venuta, invece se sei qui per Jake..’ mi squadrò da capo a piedi e per la prima volta mi imbarazzai davanti alla sua sfrontatezza ‘..beh, poco probabile.’ E apparve l’ennesimo sorriso da schiaffi.
Decisi che era arrivato il momento di reagire.
‘Giusto per sapere, chi sarebbero questi due?’ e a mia volta usai un tono quasi di sfida. Volevo fargli capire di che pasta era fatta Lilith Williams.
Il suo viso fu attraversato da un lieve ma malcelata sorpresa, sicuramente aveva colto la sfida nella mia voce. Comunque tornò presto a fare capolino il famoso sorrisetto che ormai odiavo.
‘Nessuno di importante,  in ogni caso è maleducazione non rispondere alle domande altrui.’ Quel tizio aveva deciso di morire, era ufficiale. Ma come si permetteva a darmi della maleducata? Neanche mi conosceva!
Maleducazione è anche non salutare quando si incontra una persona.’ Dissi decisa.
‘E tu che hai fatto?’ mmmh, già mi aveva preso in una brutta giornata, poi ci si metteva pure lui! Il divertimento era evidente nei suoi occhi che scoprii essere verdi quando avanzò di un passo e uscì dalla penombra. E che verde, da togliere il fiato. “Lily, ma che stai facendo? Adesso incominci ad ammirarlo? E’ solo un odioso presuntuoso!” pensai tra me e me.
‘Ah, vede che è maleducato? Già mi dà del tu e neanche ci conosciamo.’ Ah ah, avevo vinto io.
‘Perché, le piacerebbe?’ rispose e calcolò il “le” per beffarmi. Bene, ora si metteva anche a fare il malizioso e non solo a sembrarlo, ma che mi aspettavo dopotutto?
‘Sinceramente no. Preferirei attraversare nuda l’intera città piuttosto che fare la sua conoscenza.’ E aggiunsi una finta aria da dispiaciuta, che batteva di gran lunga i finti capelli di nonna Kelsie. Cioè, tutti sapevano che portava il parrucchino!
‘E, le posso assicurare, che a me non dispiacerebbe affatto.’ Mi fece l’occhiolino, che razza di..!
‘Comunque, detesto le formalità, perciò mi presento. Sono Ryan.’ Continuò dopo pochi secondi. Un attimo, ma prima non aveva accennato ad un certo Ryan? Possibile che parlasse di sé stesso in terza persona? Cos’era, matto?
Probabilmente lesse tutte quelle domande nei miei occhi, perché si affrettò a dire ‘tranquilla, non sono scemo e sì, prima era di me che parlavo. Sai, lo faccio per tenere lontano le persone fastidiose.’
‘Ah.’ Esalai alla fine della spiegazione. ‘comunque, anche io detesto le formalità a dire il vero, perciò mi presento. Sono Lilith, ma puoi chiamarmi Lily.’ Conclusi facendogli il verso, mi piaceva il nostro punzecchiarci.
A quel punto mi sorrise nuovamente e più apertamente, ma quello era un sorriso sincero e diverso dai precedenti. Ne rimasi abbagliata, e non potei fare a meno di sorridere a mia volta.
Quello che più mi sorprese era il fatto che anche il mio era sincero, forse il primo in tutta la mia vita.
Possibile che un perfetto estraneo fosse riuscito ad insegnarmi a sorridere?



Buonasera care lettrici e cari lettori (?)
rieccomi con una nuova storia che è nata nella mia mente pochi giorni fa.
All'inizio non volevo pubblicarla, perché avevo paura facesse la fine dell'altra che ho dovuto a malincuore eliminare.
Ma poi delle amiche mi hanno incoraggiata, ed eccomi qua, a rompervi di nuovo.
Volevo scusarmi innanzitutto con chi leggeva la mia precedente Fan Fiction, è che ho passato un brutto periodo e non avevo voglia di scrivere e le idee scarseggiavano.
Forse l'argomento di questa nuova storia sarà uno di quelli triti e ritriti, ma proprio per questo volevo dare la mia versione!
Spero vi appassionerà, un bacione e alla prossima xx



  
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