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Autore: Queen000    14/04/2013    0 recensioni
AU. Rinoa Heartilly si trovò in una situazione che non avrebbe mai immaginato potesse capitare a lei.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Nota dell'autrice: quindi mi trovo nella situazione molto imbarazzante in cui mi trovo sempre quando i plot bunny e la mia musa decidono di venirmi a trovare. So che dovrei lavorare al mio romanzo (e ad essere sinceri lo stavo facendo), ma Ashbear mi ha contattata su questa challenge Where I Belong, e volevo partecipare... solo che il blocco dello scrittore mi ha colpito e mi ha costretto a lottare contro questa storia. Non sono del tutto sicura che rientri nella challenge, dato che dovrei avere tutta la storia online entro agosto, e questa sarà divisa in due parti, ma ho immaginato di metterla online comunque.
Questa storia è un po' più cupa di quello che scrivo di solito. A dire il vero, è una storia a cui penso da parecchio e che scrivo, tra alti e bassi, da circa tre anni ormai, quindi ne sono in realtà piuttosto orgogliosa. Spero che vi piaccia leggerla quanto è piaciuto a me scriverla, e se rimanete impressionati o offesi dall'argomento, mi scuso per il vostro disagio. Ne parlerò di più quando arriveremo a quella parte, ma immaginavo di iniziare a scusarmi adesso (perché molto probabilmente lo farò spesso).

Disclaimer: Final Fantasy VIII e i suoi personaggi sono proprietà Square-Enix, e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro: nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

LOCKED IN THE DARK
scritta da Queen000, tradotta da Alessia Heartilly
Capitolo I

Tic... tic... tic...

Si svegliò di colpo, confusa perché aveva la guancia contro qualcosa che sembrava pietra fredda. Ma quel movimento le mandò un dolore rigido lungo il collo, e muscoli che non sapeva nemmeno esistessero gridarono in protesta. Mentre cercava di strofinare dove le faceva male, guardò dove si trovava, in quella che all'inizio era confusione scialba, e poi divenne panico completo. Quel posto non era familiare, anche alla luce tenue che dava un sfumatura giallastra. Si accorse subito, mentre praticamente balzava in piedi, di non avere le scarpe, e rimase sulla pietra solo con i calzini a proteggerla dal freddo del pavimento.

Spostandosi in quella che, si accorse, doveva essere una specie di cella, cercò di capire come avesse fatto ad arrivare in un posto simile. La matematica non era mai stata la sua materia preferita a scuola, e fu grata quando si rese conto di non aver bisogno di calcolare quanto spazio le fosse stato concesso. Contro il muro opposto rispetto a dove si era svegliata vide una brandina - una cosa pietosa fatta di metallo scadente con un solo lenzuolo sottile a coprirla, se avesse scelto di coricarsi (anche se questo portava a chiedersi perché aveva dormito per terra e non sulla branda?) - e un water posizionato in diagonale rispetto a quell'angolo, e un lavandino con il rubinetto che perdeva continuamente sopra l'anello di metallo che circondava il lavabo.

Spostò di nuovo lo sguardo sulla brandina, dove scoprì con sgomento che non c'erano cuscini. A casa aveva il letto pieno di cuscini, a scopo decorativo, e due altri piuttosto grossi che usava per dormire. Notò una coperta che sembrava sottile quanto il lenzuolo, anche se era di poca consolazione, dato che dubitava che avrebbe respinto il freddo se l'avesse usata.

Ma la sua più grande preoccupazione era come era arrivata in quel postaccio, a cui non avrebbe dedicato mai nemmeno un secondo sguardo, se fosse stato per lei. Aiutò la mente confusa a trovare una specie di spiegazione, quando all'improvviso ricordò tutto con tale forza che barcollò.

Uscendo da scuola, iniziò a frugare nello zaino alla ricerca del cellulare. Mai e poi mai avrebbe camminato fino a casa, oltre a dover camminare fino a scuola ogni mattina per due settimane. Se non poteva passare le vacanze ridendo come il resto dei suoi compagni, allora il minimo che potevano fare i suoi genitori era darle un passaggio. Ma ogni tentativo di trovare il cellulare terminò quando qualcosa le calò sulla testa, oscurandole la visuale e costringendola al panico. Cercò di prendere abbastanza fiato da urlare, ma si strozzò con l'aria stantia rimasta nel sacco usato per accecarla. Alzò le braccia istintivamente per cercare di combattere, con la borsa che cadeva a terra, ma chiunque l'avesse presa alla sprovvista era più forte e aveva la meglio. Venne presto trascinata in una direzione che, era sicura, si allontanava dalla scuola, prima di essere gettata forte contro una superficie metallica; capì che era una macchina, o una qualche specie di veicolo, quando iniziarono a muoversi.

Non poteva capire dove stavano andando, non con il sacchetto in testa e le mani legate strette dietro la schiena, così che non riuscisse a liberarsi di quella cosa puzzolente. Non poté nemmeno capire per quanto tempo era stata costretta sulle ginocchia sul pavimento in metallo della macchina, ma poi sentì il ssshh di una portiera scorrevole che si apriva, e fu trascinata di nuovo via. Su per una rampa di scala e poi giù da un'altra, era del tutto disorientata e non capiva dove stessero andando, ma poi venne spinta avanti e quell'odioso sacchetto le venne finalmente tolto dalla testa, rivelandole la prima cosa che le fu concesso di vedere...

... una scura e disgustosa vecchia cella. Quella in cui si era trovata quando si era svegliata.

Fu allora che Rinoa Heartilly si rese conto di non essersi appena svegliata e di non essersi immaginata tutto, che non era stato un sogno bizzarro e terrificante, e che era davvero in trappola. Quando era arrivata, aveva gridato e urlato fino a perdere la voce, e i suoi rapitori erano solo una confusione di colori di cui non poteva nemmeno ricordare il viso. Mai una volta qualcuno aveva indagato su quel rumore, mai una volta le era stata data attenzione. Prosciugata emotivamente e fisicamente dagli eventi che l'avevano portata lì, si era addormentata per terra, appoggiata al muro di pietra come una bambola di pezza.

Almeno adesso sapeva perché le faceva male il collo, ma era di poca consolazione, perché capirlo la fece sentire peggio, non meglio. Scivolò nella posizione di prima contro il muro e si tirò le ginocchia sotto il mento, non lottando nemmeno contro le lacrime che ora le scivolavano sulle guance. Tirò su con il naso, disperata per la sua situazione, per la sensazione di essere intrappolata e di non poterci fare nulla. Tutto quello che voleva fare era andare a casa e finire i suoi noiosi compiti come una normale studentessa, prima di lamentarsi della vita di un'adolescente in generale. Ma a quanto pareva qualcuno aveva altri piani per lei, che la lasciavano seduta da sola in quel buco schifoso a dispiacersi per se stessa.

Non aveva modo di sapere per quanto tempo era rimasta lì seduta e basta a fissare un punto sul pavimento, piangendo e tirando su con il naso. I lunghi capelli neri le erano caduti sul viso, oscurando quindi tutto tranne il pavimento, e dopo un po' divenne irritante quanto il regolare e quasi ritmico sgocciolare del rubinetto. Dopo un po' gettò infine la testa all'indietro in un tentativo di togliersi le ciocche dal viso, passandosi le mani tra i capelli per tenerli fermi, quando vide una luce rossa intermittente dall'altra parte in diagonale rispetto a lei. Le ci volle un momento per riconoscere che era una telecamera di sicurezza che sembrava vecchiotta.

Lentamente si alzò in piedi, muovendosi con cautela, come se la telecamera fosse un cacciatore nascosto nel buio, che aspettava il momento in cui la sua preda era più vulnerabile. Solo vedendola sentì che qualcosa di diverso dalla disperazione si radicava in lei. Le si scatenò dentro la rabbia per essere stata rapita e portata in quel posto, mescolata con l'indignazione che sentiva nell'essere guardata, senza dubbio come se fosse un pezzo di carne in attesa del macello. Strinse i pugni così forte che le unghie le si affondarono nel palmo, mandandole lampi di dolore fino ai polsi, ma era ben lontana dal badarci; fece un respiro e cacciò un urlo che poteva essere paragonato a quello di un bambino petulante in un negozio, a cui avevano appena detto di rimettere a posto il dolcetto che aveva preso dalla mensola, e non voleva null'altro al mondo.

"Pensi che sia divertente?!" ruggì forte Rinoa, mentre l'adrenalina le correva tra le vene e dava forza a ogni sua emozione. L'eco che era rimbalzata sui muri era solo appena iniziata e lei stava già gridando di nuovo. "Pensi che faccia ridere guardare una ragazza innocente e indifesa soffrire così?! Ti fa sentire tutto potente, sapendo che ho avuto a malapena la possibilità di combattere quando mi hai presa?!"

Iniziò a camminare su e giù nella sua gabbia, proprio come avrebbe fatto un leone cercando una via di fuga tra le sbarre. Avanti e indietro, avanti e indietro. Cinque lunghe camminate da un lato all'altro servirono solo ad aumentare la sua rabbia; si fermò improvvisamente e ricominciò a gridare, urlare capricciosamente verso la telecamera che la fissava indifferente, con la luce rossa che brillava intermittente, monotona e noiosa. "Cosa vuoi da me?! Che cosa ho mai fatto a qualcuno per meritare di essere rinchiusa così da voi pazzi malati?! Che diavolo volete da me?"

L'ultimo grido collassò su se stesso mentre il dolore la raggiungeva, dissolvendo la rabbia e lasciando solo la sofferenza. Cadde più o meno come la sua forza, raggomitolandosi in una palla con un singhiozzo spezzato. Urlare non l'aveva fatta sentire meglio. Le aveva reso la voce più roca di quanto già non fosse, e il nodo doloroso che le legava lo stomaco si rivoltò e si strinse, sapendo che la telecamera non le avrebbe mai risposto.

"Non possono sentirti."

Rinoa alzò la testa di scatto a quel suono, e fissò meravigliata la telecamera. Si accorse velocemente di quanto fosse ridicolo pensare che la telecamera le avesse risposto, e si guardò intorno alla ricerca di chi aveva parlato, accorgendosi a malapena di non essere sola. Ma nel secondo esame della stanza notò qualcosa che non c'era sempre stato. Oltre la cella c'era il buio - la luce fioca che illuminava lei e il contenuto della sua cella non andava oltre i confini delle sbarre, rendendo quindi buio tutto ciò che andava oltre la gabbia. Ma avvolte quasi con calma intorno a due delle sbarre c'erano due braccia che non c'era state quando lei era arrivata, e che arrivavano a malapena ad appoggiarsi polso a polso.

La voce era profonda ma giovane, e Rinoa seppe subito che apparteneva a un maschio. Si alzò subito, vergognandosi all'improvviso del suo spettacolo, ma si costrinse a stare diritta. Non l'avrebbero vista cadere più in basso di quanto avesse già fatto. Sollevando il mento quasi con sfida, strizzò gli occhi nel tentativo di vedere oltre le ombre, per vedere il suo visitatore-carceriere. Tutto quello che poté capire dalla sua breve ispezione fu che aveva capelli scuri che quasi gli nascondevano gli occhi grigi. Era bianco - la pelle delle sue braccia tradiva anche questo, ma non aveva altro indizio sul suo aspetto, a parte questo.

Lo guardò a lungo, a bocca aperta, lottando per non sbattere le palpebre perché aveva quasi paura che fosse frutto della sua immaginazione, e che chiudere gli occhi lo avrebbe fatto scomparire, lasciandola di nuovo sola. Si assicurò che la presenza di questo sconosciuto, che aveva appena assistito al suo sfogo di rabbia vocale, era meglio che essere lasciata sola al buio, con solo una luce fioca e un rubinetto che perdeva a farle compagnia. Ma quando non poté più tenere gli occhi aperti fu costretta a fare quello che non voleva, ma si accorse, riaprendo gli occhi, che lui c'era ancora.

Era consapevole che lui aveva detto qualcosa, ma lo shock di non essere più sola in quel posto aveva distolto l'attenzione dalle sue parole. Quindi riuscì solo a fissarlo stupidamente, mentre cercava di ritrovare la voce tra la sorpresa. Alla fine ci riuscì, e fu a malapena in grado di dire, esitante e molto confusa, "cosa?"

"La telecamera," rispose semplicemente il ragazzo, come se lei non lo avesse appena accolto con sorpresa, sospetto e speranza che lui esistesse davvero. Ci fu un piccolo spostamento nel buio che lei riuscì a malapena a vedere, e si accorse dopo un attimo che lui aveva indicato la telecamera. "Non possono sentire una parola di quello che dici alla telecamera. È inutile gridare e urlare, ti stancherai soltanto. Non guardarla," aggiunse quando lei stava per fare esattamente quello. "Possono comunque vederti, e preferirei che non si accorgessero che parli con qualcuno."

"Possono vedermi," disse Rinoa, e fu a malapena un sussurro. "Ma non possono sentirmi?" Resistendo all'istinto di guardare la telecamera, si rese conto che era davvero vecchia. Sapeva che le telecamera molto vecchie non avevano la capacità di trasmettere il suono, e potevano solo registrare dei video. Significava che i suoi rapitori probabilmente non avevano i soldi per avere una sicurezza adatta, il che significava che probabilmente non pensavano di tenerla a lungo. Mugolò quando si rese conto che probabilmente non l'avrebbe nemmeno lasciata vivere molto a lungo.

"Cosa vogliono da me?" chiese infine dopo un lungo silenzio. Si maledì per essere sembrata così disperata, così vulnerabile.

"Tuo padre è un uomo molto importante e ricco," disse l'uomo dopo un po'.

"Quindi si tratta di soldi," disse Rinoa con un sospiro. Non sapeva se fosse meglio o peggio che non si trattasse di qualcosa di personale, che la sua presenza lì non era il risultato di qualcosa che aveva fatto. Era vero quello che lui le aveva appena detto. Suo padre era davvero un importante uomo d'affari, con abbastanza soldi da poterci vivere e averne molti da parte. Era anche un uomo molto rigido, che credeva doverosamente nel rispettare la legge, e lei era stata cresciuta con la convinzione che la polizia aiutava a tenere le strade libere dal crimine. Dalle sue parti non ce n'era molto, ma lei era tutt'altro che ingenua, abbastanza da non credere che il crimine fosse stato cancellato da qualsiasi posto.

Sapeva che suo padre aveva licenziato e fatto arrestare molti suoi dipendenti che aveva sorpreso a rubare all'azienda o a infrangere la legge, e questo la portò a chiedersi per un attimo se il rapimento avesse a che fare con quello. Ma no, il modo in cui il ragazzo lo aveva detto suggeriva che la motivazione era davvero il denaro. Se fosse stata cresciuta in una casa dove lottavano ogni giorno per mettere insieme pranzo e cena, dubitava che sarebbe stata lì.

Il ragazzo fece un rumore che la distrasse dai suoi pensieri e si voltò, sentendosi come se si fosse appena persa qualcosa. "Cosa?"

"Nonostante lo sfogo di prima non stai dando di matto quanto gli altri," rispose lui candidamente, quasi sbrigativamente. Rinoa poté solo fissarlo, mentre comprendeva appieno le sue parole. La rese più sicura del fatto che suo padre era diventato un obiettivo solo perché era ricco, non perché aveva fatto un torto a qualcuno che cercava vendetta. Ma significava anche che l'avevano già fatto prima, e sapevano cosa stavano facendo.

Si permise di cadere nuovamente in ginocchio, il peso di quella consapevolezza era troppo. Ma mentre sedeva lì si chiese se questo ragazzo era stato mandato lì a tenerla d'occhio, e all'improvviso si chiese a cosa servisse la telecamera se facevano una cosa del genere. "Sei con questi tizi?" chiese con voi piccola. "Fai parte del loro gruppo?"

"No," rispose lui semplicemente, con l'equivalente di una scrollata di spalla verbale. "Vivo qui e basta."

E tutto d'un tratto si sentì tornare la forza, perché si rese conto che lui non faceva affatto parte delle persone che l'avevano rapita. Oltretutto, c'era un'informazione accecante che aveva ignorato, depressa com'era. "Ma sei dall'altro lato delle sbarre," disse lentamente. "Tu non sei loro prigioniero. Sei libero."

Lui scrollò le spalle - lei sapeva che l'aveva fatto da come le sue braccia si sollevarono un attimo prima di tornare a posto. "Quindi questo significa che tu potresti farmi uscire."

"No, non posso."

La sua voce si indurì, quasi in maniera intimidatoria, quando disse quelle parole. Fece trasalire Rinoa, la fece sentire come se lui l'avesse appena schiaffeggiata, e questo la confuse. Se non era con loro, allora perché permetteva che la tenessero rinchiusa? "Perché no?" chiese.

"Perché non posso," rispose lui, ancora con quel tono brusco. Rinoa si accigliò a quella non-risposta, e stava per rispondere quando lui la prevenì. "Quei tipi non sarebbero felici se facessi una cosa del genere. E comunque non ho le chiavi."

"Ma potresti," iniziò Rinoa.

"No," fu la severa risposta che la interruppe.

Rinoa si imbronciò, dato che non le interessava particolarmente che i suoi rapitori fossero felici o meno che lei fuggisse. "Ma io non dovrei stare qui!" esclamò. "Ero a scuola e poi ero qui quando dovrei essere a casa con i miei genitori. Non ho chiesto di essere portata qui, l'hanno fatto e basta. E tu lo sai, non sei stupido, l'hanno già fatto! E se questa non è la prima volta, probabilmente sai cosa mi succederà quando avranno quello che vogliono. Sono in pericolo, la mia vita è in pericolo, non lo vedi? Non ti interessa nemmeno?"

"Diciamo che ti faccio uscire," disse il ragazzo dopo un minuto. "Diciamo che tiro fuori miracolosamente le chiavi della tua libertà e ti lascio semplicemente uscire da qui. Non dovresti più preoccuparti di questo posto, vero? Non dovresti interessarti delle conseguenza del fatto che io ti liberi."

E lei si rese conto, con lo stomaco che si stringeva, che lui aveva assolutamente ragione. Se le fosse stato permesso di andarsene, lo avrebbe fatto senza guardarsi indietro, tornando alla sua vita con la capacità di dimenticare che era successo tutto quello. Ci sarebbe voluto un po', ma le cose sarebbero tornate normali per lei. Ma questo ragazzo sicuramente sarebbe rimasto con la patata bollente tra le mani, alla fine di tutto. E se fosse stato sorpreso ad aiutarla davvero, non c'era dubbio per lei che avrebbe dovuto pagare le conseguenze di quel gesto, e questo le lasciava una sensazione ritorta e colpevole nella pancia al solo pensarci.

"Allora vieni con me," si offrì, sapendo che se fosse venuto via con lei sarebbe stato pulito quanto lei. Non avrebbe dovuto preoccuparsi delle conseguenze se se ne fosse semplicemente andato da quel posto e da quella gente grazie a un gesto di gentilezza. "Vattene e basta, lasciati alle spalle questa gente. Vedo che non sei una cattiva persona, il solo fatto che sei qui a parlare con me lo dimostra. Se mi aiuti e non torni, allora non c'è nulla di cui preoccuparsi."

"Esattamente dove andrei?" La risposta fu veloce e improvvisa, come se lui stesse giusto aspettando che lei finisse per sputarla fuori.

"Ovunque tu voglia," rispose Rinoa, riflettendo però su quella strana domanda. "Potresti lasciare la città, farti un nome da un'altra parte. Ricominciare, avere una nuova vita che non riguardi rapire la gente e tenerle in celle scure e sporche per avere un riscatto. Potresti fare un lavoro onesto, costruirti una vita onesta..."

Le si spensero le parole in gola quando vide quegli grigi socchiudersi mentre parlava. Invece di ispirare coraggio e fiducia, sembrava che lo facesse arrabbiare di più, e sotto a quello sguardo duro sentì di volersi soltanto raggomitolare e scomparire. Deglutendo, Rinoa si chiese se forse lo aveva insultato in qualche modo, ma quando stava per dire qualcosa lui interruppe il silenzio spesso che aveva minacciato di toglierle l'ossigeno dal petto. "È fuori questione. Non vado da nessuna parte e nemmeno tu, ed è l'ultima volta che lo dico."

"Ma...!" protestò Rinoa, ma scoprì che non aveva nulla da ribattere, soprattutto visto che le parole erano state dette in un tono di voce così freddo e terra terra, pieno di qualcosa di definitivo. Si sentiva come se fosse stata schiaffeggiata di nuovo, e si trovò a combattere con le lacrime. Le parole rimbalzarono sui muri e riecheggiarono da lei in maniera quasi assordante e assoluta.

"Senti," disse lui con un sospiro, e sembrò stanco quando distolse lo sguardo. All'improvviso lei sentì di poter respirare di nuovo quando le tolse gli occhi di dosso. "La situazione non è del tutto disperata. Tutto quello che devi fare è stare seduta ad aspettare che tuo padre collabori e dia loro quello che vogliono. Ancora meglio se lo fa prima che poi. Tornerai alla tua vita perfetta prima che te ne renda conto, e potrai dimenticare che sia anche solo successo tutto questo."

Rinoa non sapeva cosa fosse peggio: il fatto che lui lo stesse dicendo, o che sembrasse che quelle parole dovessero tranquillizzarla e farla pensare positivo. La sua vita era tutt'altro che perfetta, ma non erano affari di quel ragazzo. Ogni famiglia aveva i suoi problemi, e solo perché la sua era ricca e non doveva preoccuparsi dei soldi non la rendeva diversa. E come diavolo doveva dimenticare di essere stata rapita e rinchiusa contro la sua volontà in una cellula buia e spaventosa ad aspettare che suo padre soddisfacesse le loro richieste, quando sapeva che era il tipo d'uomo che non cede ai ricatti? E come poteva anche solo credere a una parola che diceva questo ragazzo, questo ragazzo di cui nemmeno sapeva che esistesse solo ventiquattr'ore prima? Non c'era assolutamente nessuna garanzia che questi rapitori tenessero al suo bene, anche se suo padre avesse collaborato. Diamine, probabilmente stavano pensando ai molti modi in cui potevano disfarsi del suo cadavere dopo averla ammazzata, per quel che ne sapeva lei.

"Sai una cosa?" disse all'improvviso. Era tornava la rabbia e lo fissò con uno sguardo omicida mentre lasciava che le sue parole riecheggiassero da lui. "Vaffanculo."

Vide uno spostamento dietro le sbarre, e soddisfatta di avere la sua completa attenzione, continuò a parlare, trasudando rabbia praticamente da ogni poro. "Non ho bisogno della tua pietà. Non ho bisogno delle tue rassicurazioni. Non sono stupida e nemmeno tanto ingenua quanto pensi tu. So che le possibilità che io torni a casa calano fino a quasi a niente dopo le prime quarantotto ore. Ho visto abbastanza tv da sapere che di solito è l'ostaggio ad avere le budella sul pavimento alla fine dello scambio. Quindi scusami se non trovo consolazione nelle tue parole di conforto. Risparmiami la stronzata dell'andrà-tutto-bene.

Non sai un cazzo di me, quindi non pensare di sapere com'è la mia vita," continuò Rinoa, in un tono calmo che tradiva la sua rabbia. "Ma posso decisamente dire qualcosa di diverso su di te. Tu che rifiuti di fare altro a parte startene con le mani in mano e fare come ti hanno detto. Beh, sai una cosa? È la tua inattività, il tuo rifiuto di fare qualcosa per aiutarmi, che ti rende pessimo quanto questa gente che mi tiene prigioniera. Ti rende persino peggiore, perché almeno questa gente sta facendo qualcosa!"

Le sue parole risuonarono nella cella come lo scampanellio a scuola, tornando da lei con un'intensità che percepì. Ma tutto questo si fermò quando vide che le braccia intorno alle sbarre tornarono nelle profondità buie. Le ci volle un minuto per capire che se ne stava andando, e all'improvviso le dispiacque avergli urlato contro per non averla aiutata. Avrebbe fatto di tutto per evitare che lui se ne andasse, qualsiasi cosa per evitare di essere sola di nuovo.

"No, aspetta!" gridò correndo alle sbarre, ma ormai aveva perso ogni traccia di lui. Tentando di premere il viso nei buchi tra le sbarre, afferrò forte il metallo tra le mani fino a farsi sbiancare le nocche. "Per favore non andartene! Mi dispiace, mi dispiace tanto! Non volevo dire quelle cose, giuro, per favore torna!"

L'unica risposta fu una porta che si chiudeva, un suono che riecheggiò quanto le sue parole di poco prima. Ricadendo contro le sbarre, cedette ai singhiozzi rendendosi conto di aver appena cacciato l'unico contatto umano che aveva da ore. Potevano essere già giorni per quanto ne sapeva lei. E ora era sola, sarebbe stata sola, fino a quando quei criminali probabilmente sarebbero tornati a farla fuori. Il ragazzo non sarebbe tornato, nessuna persona sana di mente sarebbe tornata dopo quello che gli aveva detto.

Il silenzio fu il suo unico compagno mentre piangeva disperatamente.

*****
Nota della traduttrice: la parte due di questa storia (che è comunque completa) non è ancora stata pubblicata dall'autrice. Se e quando lo sarà vi dirò il titolo originale, così potrete leggerla, se vorrete. In ogni caso sarà tradotta, se e quando verrà completata.
Come al solito, ringraziamenti alla mia beta Little_Rinoa e ogni commento verrà tradotto e inoltrato all'autrice originale, e ogni eventuale risposta sarà ritradotta e inserita come risposta alla recensione nei siti che lo permettono. Inoltre, piccolo momento di "promozione" personale: ho aperto anche una pagina Facebook mia, dove segnalo gli aggiornamenti delle traduzioni - tutte, anche di altri fandom - e delle mie storie (i cui aggiornamenti sono più rari, ma vabbè...): la pagina è questa :) Alla prossima! - Alessia Heartilly

   
 
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