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Autore: Lantheros    15/04/2013    1 recensioni
Seconda ed ultima parte di quanto iniziato con Cavalcare la Tempesta.
La conclusione della storia tra due pegasi molto speciali, che impararono a volare anche senz'ali.
La storia dei due Campioni di Equestria.
Dash ed Icarus troveranno un modo per rivedersi.
Troveranno qualcosa per cui gioire
E poi perderanno tutto...
...apparentemente.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rainbow Dash
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-Un Raggio di Sole-
 
            Il puledro la osservò intensamente, da lontano, ponendo assoluta attenzione affinché non venisse notato. Lo aveva già fatto in passato ma, ogni volta… era come se fosse sempre la prima.
Ogni volta… il suo sguardo si perdeva sul corpo di lei; sulle lunghe ali piumate; tra i suoi crine simili a filamenti dorati; nei suoi occhi… caldi e profondi: due sfere di bronzo fuso. Semplicemente stupendi. E, ogni volta… si bloccava come il manichino di una boutique.
Si trovavano nel cortile della scuola di volo, in un soleggiato pomeriggio di pausa.
Sunshine era seduta su uno dei gradini nuvolosi della scalinata principale. Nessuno li usava quasi mai, potendo volare. Nessuno… tranne lei.
Il pegaso bianco continuò ad osservarla di nascosto, senza riuscire a schiodarle l’attenzione di dosso.
Un urto improvviso lo fece tornare con gli zoccoli a terra.
“Ah! Daedalus! Razza di cascamorto che non sei altro! Sempre a spiare le belle puledre, eh??”.
L’altro si girò e riconobbe immediatamente il ghigno divertito di Minos, uno dei suoi compagni di corso.
“Oh… E-ehy… ciao, Minos…”.
L’amico si sporse con irruenza, spingendo Daedalus da un lato, con una zampa: “OH! Ullallà! Ti stai rifacendo gli occhi su quella del terzo corso, eh??”.
“Piantala, imbecille!!”, sbottò divincolandosi.
“Andiamo, Ded!”, continuò, assumendo un atteggiamento meno strafottente, “Ormai mezza accademia sa che fai il filo a quella puledra!”.
“Cos…??”, farfugliò imbarazzato, “Lo… lo sa… mezza…”.
“Cosa pretendi? Ad ogni pausa pranzo vieni qui e ti metti a spiarla. E sempre nello stesso punto. Mica è così difficile fare due più due, eh…”.
“M-ma io…”.
Sunshine, intanto, si dilettava nello sfogliare un libro sulle tecniche di volo ed evoluzioni aeree, apparentemente all’oscuro dei due pegasi lontani.
“Per quanto ancora intendi perdere il tuo tempo qui, come un’aringa sul banco di un pescivendolo?”.
“Eh?...”.
Minos si spalmò uno zoccolo sulla fronte: “…Uff… Certo che sei tardo. Quanto ancora vuoi aspettare, prima che qualcuno te la freghi, amico?”.
“Freghi?...”.
“Sì. Ho saputo che Talus le ha messo gli occhi addosso e non perde occasione per civettare con lei”.
Il puledro bianco si grattò la chioma e distolse lo sguardo: “Beh… ma… che vuol dire? Ognuno è libero di… insomma… e poi lei…”.
“E poi lei, cosa? Guarda un po’ là!”, lo invitò, allungando una zampa.
Daedalus notò un tizio dal manto scuro avvicinarsi a Sunshine, con fare inconfondibile: l’atteggiamento di chi “puntava alla preda”. Lo spione si intirizzì e buttò giù un bolo di saliva. L’altro, invece, distolse la puledra dalla propria lettura e attaccò bottone.
“Che ti dicevo, razza di scemo??”, riprese Minos, “Di questo passo finirai solo per consumarti gli occhi e qualcuno se la piglierà al posto tuo!”.
“Ah… m-ma… ma io… cosa… cosa dovrei fare, allora?...”, tentennò, iniziando seriamente a pensare che stesse perdendo tempo prezioso.
“Beh ma che domande! Vai là e parlale!”.
“No”.
“…Come sarebbe a dire… no?”.
“I-io…”, ripeté arrossendo.
Il compagno di corso scosse il capo e lo osservò spazientito.
“Ok, ho capito”, gli disse infine, raccogliendo aria nei polmoni.
“Ehy… ma cosa…”, gli rispose Daedalus, presagendo a qualche gesto insano dell’amico.
“EHY!! SUNSHINE!!! SIGNORINA SUUUUUUNSHINE!!!”, si mise ad urlare all’improvviso, sbracciandosi come un matto.
Il pegaso bianco ebbe un tuffò nel petto e si ritrasse a denti stretti: “Shhhht!!! Ma sta zitto, sei matto?? Ci vedrà!!”.
“Appunto… SUNSHIIINE!!!”.
“Pezzo di idiota!”, lo apostrofò.
La puledra, infine, si girò e scorse il curioso duo di pegasi: uno seminascosto dietro una nuvola e l’altro che sembrava cercasse di volare con le zampe, piuttosto che con le ali. Aggrottò le sopracciglia e Talus, accanto a lei, sembrò decisamente spiazzato.
“SUUUNSHINE!! HAI UN ATTIMO DI TEMPO PER QUESTO QUI?? VORREBBE PARLARTI!!”.
“Oh mamma… oh mamma… tu sei fuori come un balcone!!”, continuò a blaterare Daedalus, sempre più agitato.
            In quel preciso istante… Sunshine non riuscì più a resistere e dovette mostrare un sorriso divertito.
“Ecco! Lo sapevo! Ora penserà che siamo due buffoni!!”, si disperò.
“Io sono figo. Al massimo tu sei un pagliaccio”, puntualizzò Minos.
La puledra congedò garbatamente il suo interlocutore e poi fece cenno a Daedalus di avvicinarsi.
“Ah! Visto! Che ti dicevo?? Vuole che tu vada là!”.
“L-l-lei… cosa??”, domandò incredulo, facendo emergere la testa dalla nuvola.
Ed era vero. Sunshine sorrideva e continuava a muovere la zampa per dirgli di avvicinarsi.
“Occavolo…”, commentò.
“Dai! Muovi i quarti posteriori! Non farla aspettare!”.
“Ma… ma io…”.
“EMMUOVITI!!”, ruggì l’amico, spintonandolo così forte da farlo quasi inciampare.
Il pegaso bianco cercò di non franare sul tappeto nebuloso e, dopo qualche balzello sconnesso, si riportò in posizione eretta. Non sapeva cosa stesse facendo. Sentiva solo un nodo allo stomaco e sudori freddi per tutto il corpo. Incrociò per un istante le sfere di bronzo fuso e riabbassò immediatamente lo sguardo, arrossendo in modo esagerato. Avrebbe voluto sprofondare sotto le nubi… anzi… avrebbe davvero potuto farlo… ma ormai… era troppo tardi.
Raccolse fiato e, con passo incerto, si avvicinò alla puledra, che non smise di sorridergli per un solo istante.
            Quando fu accanto a lei, tentò di schiarirsi la voce, e dire qualcosa.
Aprì la bocca ma, nuovamente, si perse nei suoi occhi.
L’altra rise appena.
“Ciao”, gli disse.
Silenzio.
La puledra tentò di nuovo: “Tu sei…”.
“S-S-Sunshine…”, rispose l’altro. Il pegaso dorato inclinò il capo e lanciò un’espressione ambigua.
“C-cioè!”, si affrettò a correggersi, “T-tu sei Sunshine! Non io! Io… io sono…”.
“Daedalus”.
“Ah…”, esclamò sorpreso, “Tu… tu conosci il mio nome?”.
La giovane aveva d’innanzi a sé un pegaso davvero curioso. Era bianco come l’avorio e, seppur non fosse particolarmente prestante fisicamente, possedeva una certa postura quasi autoritaria. Sembrava dovesse andarsene in giro con un atteggiamento impettito e fiero… che però si sgonfiava puntualmente quando le metteva gli occhi addosso. E la cosa la inteneriva non poco. Sfoggiava una folta capigliatura viola scuro e gli occhi possedevano una tonalità analoga, solo più brillante.
Sì.
Lo trovava carino.
“Conosco il tuo nome perché… volevo sapere chi fosse il tizio che mi osservava ogni volta a pranzo!”, confessò.
Daedalus desiderò l’evaporazione istantanea del proprio corpo.
“E-ecco… i-io…”. Si girò sperando che Minos potesse aiutarlo a sbrogliarlo da quella fastidiosa situazione… ma il maledetto aveva ormai affondato il muso in un osceno panino al fieno fritto. Nessuna forza in cielo avrebbe più potuto riportarlo indietro, ormai.
Se la sarebbe dovuta cavare da solo…
“Ti… ti chiedo scusa…”, continuò, con imbarazzo crescente, “Non volevo… insomma…”.
“E io che pensavo fossi incuriosito solo dai libri che leggevo!”, rispose divertita.
“Ah… i… i libri?...”, domandò, scrutando il trattato di volo, riposto sui gradini, “Ti… ti piace leggere, quindi…”.
“Molto! A te no?”.
“Un sacco!”, mentì.
“Adoro le evoluzioni aeree!”.
“Anche io! Però… non ti ho mai vista… cioè… partecipare agli eventi… e…”.
“No, a me piace osservare le prodezze nei cieli. Non sono tipo da… uh… eseguirle”.
Daedalus arricciò appena il naso. Un pegaso che non smaniava per svolazzare nel cielo? Strano.
“Sì, sì, lo so… E’ una cosa assurda per un pegaso…”, cantilenò Sunshine, come se quella fosse una storia trita e ritrita.
“No beh… I gusti son gusti… Fai conto che io ho la passione… dei… sì insomma dei…”.
“Sì?”, chiese incuriosita.
“…Dei… cirri…”.
“Davvero??”.
“Sì… mi interessano gli assembramenti d’alta quota. Lo so. E’ una scemenza. Sono nubi effimere, su cui non puoi farci granché. Non vanno nemmeno bene come materiale edile, figuriamoci per altre cose…”.
“E’ davvero una cosa bella!”, ammise con sincerità.
“D… davvero?”, chiese titubante.
“Certo! I cirri! Nubi isolate, altissime, poste a metri e metri di altitudine, dove pochissimi sono in grado di arrivare! Non sono come tutte le nubi che ci sono qua! Quelle sono rare e bellissime! Hai presente le trame che dipingono in cielo quando un po’ di vento le scompiglia??”.
 
Daedalus si sentì fregato.
Il cuore gli batteva forte, dannatamente forte.
Non solo era carina ma aveva quel qualcosa… quel “non so che”.
E, a quel punto, non seppe perché reagì in quel modo.
Lo fece e basta.
 
“Vuoi… vuoi venire con me a… a vedere i cirri da vicino?”, le chiese improvvisamente, interrompendola e fissandola negli occhi, senza imbarazzo.
Sunshine rimase un po’ sbigottita. Questa volta era lei quella senza parole.
Poi si ricompose.
Abbassò appena il muso e alzò gli occhi verso di lui.
Il puledro fu sul punto di esplodere.
 
“…Sì, Daedalus… mi… mi piacerebbe molto…”.
 
*** ***** ***
 
-Sulla Collina-
 
            Sunshine arrossì appena, ritraendosi leggermente.
Daedalus adorava quando faceva così.
“Allora?... Che ne pensi?...”.
La puledra cercò di dire qualcosa ma tutto ciò che riuscì a fare fu sorridere e abbassare le palpebre.
Il compagno si avvicinò a lei e le sfiorò le guance con il muso. L’altra tentò di allontanarsi ma il puledro la abbrancò con le zampe e la strinse a sé.
“Anche se mi fai impazzire, quando fai così, non te la caverai mica!”, le disse.
“Lasciami, scemo!”, strillò ridendo. Si dimenò così tanto da rifilargli inavvertitamente una zoccolata sul mento.
“AHO!”.
“Oh! Scusami!!”.
“Così mi piaci un po’ di meno, lo sai??”, la prese in giro, massaggiandosi la parte dolorante.
“Ohhh… povero il mio pegaso d’avorio…”, lo schernì, dandogli un bacio a livello del collo.
“Mh… Per questa volta passi…”, commentò, trattenendosi dal soffocarla di coccole.
“Come sei comprensivo…”.
La coppia era seduta sulla sommità di una collina erbosa. L’erba era alta e rigogliosa e gli insetti giravano ovunque, alla ricerca di nettare e pollini. La stagione perfetta per una cosa simile.
Daedalus tornò serio: “Davvero, Sun… Cosa… cosa ne pensi?...”.
“È… è una cosa difficile…”, disse.
“Lo so. Non voglio una risposta così su due zampe. Ma… insomma… solo capire cosa ne pensi…”.
“Io…”.
“Ormai… ormai è quasi un anno che stiamo insieme. Forse è ancora troppo presto, non lo so. Però… ci stavo pensando… Se… se io uscissi con buoni voti… e se mio zio sarà d’accordo… potrei iniziare a lavorare presso la fabbrica a Steamdale”.
“È che… Steamdale…”, ammise l’altra, “È… insomma… Il fumo, il chiasso… Scusa se te lo dico ma… non è proprio un luogo che mi stimoli particolarmente. E poi… sbaglio o non è permesso ai pegasi di volare?”.
Il puledro capì le ragioni della compagna e ci pensò su.
Dopo un breve silenzio, propose: “Beh.. e se… se io lavorassi fin là… ma… insomma… noi due andassimo a vivere insieme in una zona vicina. Tra i cieli, magari. Così, ogni volta, basterebbe che io mi recassi a lavoro e poi tornassi indietro”.
“Pegaso pendolare?”, lo derise.
“Beh. Qualcosa di simile. La casa sarebbe lontana dal caos cittadino… ma… saremmo comunque abbastanza vicini da permettermi il lavoro. E’ un lavoro ben retribuito, per uno che inizia da zero!”.
“Lo so, lo so… In effetti… potrebbe funzionare…”.
“Davvero??”, chiese entusiasta, drizzando le orecchie.
“Sì ma non ti montare la testa”, lo ammonì, picchiettandolo sul petto bianco, “Dobbiamo prima finire gli studi”.
“Certo, mia regina! Prima le scartoffie e poi edificheremo il nostro regno tra i cirri di Cirropoli!”.
“Quanto sei scemo quando ti ci metti!”, affermò ridendo.
 
            Alcuni petali dei meleti in fiore fluttuarono tra i due, sospinti da un venticello leggero.
Daedalus li osservò e poi tornò con lo sguardo su Sunshine.
“Senti, Sun…”.
“Dimmi”.
“C’è anche a un’altra cosa… a cui… insomma… a cui pensavo…”.
“No. Ti ho già detto che non sono brava a cucinare… se vuoi l’insalata con mele caramellate che ti piace tanto, allora…”.
“Non… non era quello”, la interruppe.
“Cos’è, allora?”.
Il puledro soppesò bene le parole, prima di sputare il rospo.
“Sunshine…”, ripeté, “Tu… cosa penseresti se… se ti dicessi… che… cioè… Come… come vedresti un… un cucciolo?...”.
“I cani non possono camminare sulle nuvole, Dedy”.
“…Non parlavo di un cane…”.
La puledra impiegò qualche secondo per elaborare correttamente quella frase. Quando il processo fu completo, sgranò gli occhi e si portò le zampe al muso, senza parole.
L’altro pensò di aver detto una stupidaggine: “O-ok… forse era meglio se… se stavo zitto…”.
Ma il pegaso dorato non riusciva semplicemente a parlare.
“Cambiamo discorso, ok?”, buttò lì Daedalus.
“N-no…”, bisbigliò la puledra, “E’… è una cosa… importante… Sono contenta che tu… ne abbia parlato…”.
“Davvero?”.
“Sì”, rispose, con un sorriso estremamente sincero, “E’ una cosa… che… che mi era venuta in mente più volte… Non… non ho mai voluto parlartene perché avevo paura che… che tu…”.
“Quindi…”, cercò di capire, “Mi stai dicendo che…”.
Sunshine lo zittì con una zampa: “Non sto dicendo niente, Daedalus. Ora è presto per pensarci… Ma sappi che… che… insomma…”.
Il puledro bianco sorrise e le strinse la zampa tra gli zoccoli: “Sunshine col pancione, eh?...”.
Di nuovo, l’altra non seppe come altro reagire… se non cercare di ritrarsi imbarazzata.
Questa volta Daedalus la lasciò andare.
“È… è tardi, Dedy. Devo tornare a casa”, tagliò corto, con guance rossissime, e spiccò immediatamente il volo.
 
Quando fu ad alcune decine di metri d’altezza, il pony dalla criniera viola fece conchetta con le zampe e urlò: “PANCIONE!!”.
La traiettoria di Sunshine ebbe uno svarione e intuì come, in quel preciso istante, lei lo stesse maledicendo con foga.
 
*** ***** ***
 
-Vento di Tempesta-
 
            “Fatemi passare!! FATEMI PASSARE!!”, urlò il puledro, galoppando tra i corridoi affollati del complesso.
“DOVE?? D-DOVE??”, blaterò, di fronte al primo infermiere che gli capitò a tiro.
Daedalus sembrava sul punto di collassare. Era sudatissimo, agitato come pochi e col fiatone. L’altro lo osservò preoccupato: “Uhhh… dove… cosa?”.
“DOVE’ MIA MOGLIE???”, gli urlò, strattonandolo con violenza.
“AHHHH! MI LASCI!!”, strillò spaventato.
“Che succede?”, domandò un collega in camice.
“C’è un pazzo che farnetica! Avete lasciato aperta la porta del reparto psichiatria??”, continuò ad urlare, mentre il pegaso lo trattava come fosse un pupazzo.
“Signore! S-signore!...”, intervenne l’amico, cercando di calmarlo.
Daedalus si ritrasse all’improvviso e afferrò una sedia lì vicino. La puntò verso l’infermiere, manco fosse al circo coi leoni.
“V-VOGLIO SOLO SAPERE DOV’È SUNSHINE!!”.
“Si calmi!”.
“Dov’è??”.
“Signore… primo: ci dica cosa è venuto a fare qui…”, avanzò uno dei tanti medici che gli si stavano ormai radunando attorno.
“SUNSHINE!!”.
“Ooookay. Ma… a noi questo nome non dice granchè… E poi… le spiacerebbe abbassare quella sedia? Spaventa i degenti…”.
A quelle parole, Daedalus parve ragionare. Scrutò i dintorni e notò come tutti lo stessero osservando con preoccupazione.
“Abbatti il sistema, compagno!!”, starnazzò uno dei ricoverati, prima che venisse riportato nella propria camera.
“I-io…”, balbettò il pegaso, “S-scusate… mi sono… lasciato trasportare…”, e posò l’oggetto.
“Bene…”, affermò l’infermiere, avvicinandosi cautamente a lui, “Ora… ci può dire perché è qui?”.
“Ah!... I-io… sono appena uscito da lavoro… non appena… ho saputo che Sunshine… insomma… mia moglie… e… cioè… pancione… e… ecco… i… iooohooohhh…”.
Con un ultimo vaneggiamento, il pony dagli occhi viola perse i sensi e cadde a terra.
 
            Si destò poco dopo, con un fastidioso neon del soffitto puntato ai suoi bulbi oculari. Si fece scudo con la zampa, per sopportare il fastidio, prima di rendersi conto di essere su una branda nel corridoio.
Un’infermiera si avvicinò a lui.
“Uh… i-io…”, balbettò il puledro.
“Signore… rimanga calmo… Ha avuto un calo di pressione improvviso”.
Daedalus cercò di mettere a fuoco la targhetta sul camice bianco.
“Uhh… S… signorina Cheesnut…”.
“…Chestnut…”.
“Ah… mi… mi scusi… i-io… stavo cercando… insomma…”.
“Sua moglie. Sunshine”.
“Sì! Mia moglie!!”, sbottò, alzandosi all’improvviso.
“Ok, ok! Si calmi!”, lo rassicurò, “Sua moglie sta bene. È nella stanza qui accanto”.
“Davvero??”.
“Sì”.
“E… e…”.
"È andato tutto bene”.
“Oh… grazie a Celestia…”, sospirò, ponendosi una zampa sul petto.
Dopo qualche secondo per riprendersi, il pegaso le chiese: “E… p-posso…”.
“Certamente”, rispose con un sorriso.
Non se lo fece ripetere due volte.
Saltò giù dal lettino e si fece accompagnare d’innanzi ad una porta verde pastello.
La tensione gli salì improvvisamente in corpo e il cuore iniziò a tamburellare come fosse impazzito.
Dietro… lì dietro… c’era…
Si fermò per un istante, sentendosi completamente impreparato ad un evento simile.
Infine… fece un profondo respiro e spalancò la porta.
 
            Una curiosa luce accecante lo abbagliò, giusto per poco.
La stanza era piccola ma munita di grosse ed ampie finestre, da cui filtrava un caldo sole di mattino inoltrato. Nonostante fosse quasi inverno, quella giornata seppe regalare un tepore inusuale per la stagione.
Quindi… la vide.
Sunshine era distesa su un lettino contro il muro. Un sorriso dolcissimo, come mai aveva visto prima d’ora, le adornava il volto. Tra le zampe reggeva un fagottino, qualcosa di piccolo e non meglio definito, in mezzo a tutti quegli indumenti avvolti.
Aprì la bocca, d’innanzi ad una delle scene più belle che mai avesse visto.
Accanto a lei, appoggiato con le zampe anteriori al letto, un piccolo puledrino, di appena qualche anno di età, osservava il fagotto con una strana scintilla negli occhi.
Daedalus si bloccò quando vide una zampina grigia sbucare e allungarsi verso il piccolo pony accanto. Il puledrino distese a sua volta lo zoccolo e i due si sfiorarono.
Chestnut, con molta cortesia, si avvicinò al piccolo e decise di intervenire.
“Vieni, Ate”, gli disse, invitandolo a seguirla, “Lasciamoli soli”. E si congedarono.
 
            Daedalus era spiazzato. Letteralmente spiazzato.
Osservò la moglie, senza sapere cose dire o cosa fare.
L’altra alzò lentamente lo sguardo su di lui.
“Ciao”, gli disse.
“Ci… ciao…”.
Sunshine presentava un volto stanco e appena madido di sudore. Nonostante tutto, però, emanava una dolcezza e una gioia che chiunque avrebbe avvertito.
“S… stai bene…?”, le domandò.
“Mio caro Dedy…”, dichiarò, riportando l’attenzione su ciò che stringeva tra le zampe, “Se fossi stato qui al momento della nascita… come minimo avrebbero dovuto dare più sedativi a te che a me…”.
Il marito deglutì: “Oh… e… È stato così doloroso?...”.
“Molto”, lo informò, con voce lapidaria, “Ma ora… ora è tutto passato…”.
“Meno… meno male… e…”.
L’altra sorrise di nuovo: “Vuoi vederlo?”.
“B-beh… ecco… io…”.
“Non puoi”.
“Eh?”.
“Lui è mio. Tutto mio”, scherzò, affondando il muso tra i panni. Una debole risalata infantile provenne dal fagotto e Daedalus subì un altro affondo al cuore.
Senza più dire niente, il padre si avvicinò ai due. Ancora non vedeva suo figlio… e Sunshine glielo porse delicatamente.
 
            Era leggerissimo. Sembrava di reggere una piuma.
Con un timore che mai provò in vita sua e zampe visibilmente tremanti… decise di scostare lentamente il panno.
E lo vide.
 
Un piccolo pegaso grigio, con una folta chioma viola, lo osservò con occhioni altrettanto viola.
Il fiato quasi gli venne meno.
Senza pensare, senza farsi domande… ma semplicemente seguendo l’istinto… Daedalus lo estrasse dai panni… e lo sollevò d’innanzi a sé.
Il sole alle spalle del piccolo creò un contrasto con la sua figura.
Il nuovo nato allungò le zampine verso il muso del padre, sfiorandolo, e si mise a ridere. Le ali sulla sua schiena si spalancarono e i genitori si resero conto di quanto fossero grandi, per un pegaso così piccolo.
E Daedalus… ancora non riusciva crederci.
 
Non riusciva a capacitarsi di quel piccolo volto sorridente.
 
Di quel corpo magro dalle sfumature color cenere.
 
Di quei grossi occhi vivaci.
 
Di quelle piccole risate.
 
E di quelle ali così belle.
 
Una lacrima gli scese lungo la guancia e portò il muso contro quello del pargolo.
 
 
Mai avrei pensato
Di sentire qualcosa dentro
Come quando ho visto
Questo piccolo pegaso appena nato
 
Mai avrei pensato
Di sentirmi così carico di vita
Come quando stetti accanto
 
A lui…
 
Mai stato
Così fiero
 
Mai stato
Così felice
 
Per lui…
 
 
Mio figlio.
 
*** ***** ***
 
-La Promessa-
 
            Chiamarlo stallone sarebbe forse stato un po’ presto. E magari non lo avrebbe nemmeno desiderato. Ma il tempo passa per tutti. E di certo, lui, ormai non era più un puledro.
Rimane tuttavia aleatoria come definizione. L’età non porta necessariamente a benefici quali la saggezza o la comprensione. E un giovane puledro può scoprirsi già anziano dentro, così come un venerando stallone potrebbe custodire lo spirito di un cucciolo.
Ma non ci furono dubbi.
Quella notte…
Daedalus affrontò qualcosa… che lo distaccò completamente dal mondo della propria infanzia.
Un avvenimento inaspettato.
Un avvenimento terribile.
 
            Il pegaso bianco entrò nella stanza.
Era tutto buio. Non aveva nemmeno acceso una candela. Ma non necessitava della vista per trovarla. I singhiozzi… si sentivano benissimo.
Sunshine era seduta al tavolo, con uno zoccolo a coprirle un occhio e l’altra zampa distesa mollemente sul legno. Le palpebre erano chiuse e le guance bagnate.
Anche il volto del marito era diverso dal solito. Era triste. Spento.
Terribilmente dispiaciuto.
Ma non era quello il momento per mostrarsi deboli. Se lui stava soffrendo… Sunshine, ne era sicuro, stava provando qualcosa di mille volte più intenso. La conosceva bene.
Anche se ancora non riusciva a crederci. Non poteva crederci.
 
Si avvicinò lentamente alla compagna, che continuò a piangere.
Non sapeva cosa dire. In effetti… pensò che fosse meglio non dire nulla.
“Io… io…”, balbettò quindi la giumenta, scuotendo il capo e cercando di contenere i singhiozzi, “Io non… non è possibile…”.
Daedalus abbassò lo sguardo.
“Com’è possibile?...”, continuò l’altra, “Perché?... Perché ad un cucciolo dovrebbe accadere una cosa così terribile??...”.
“Io… io non lo so, Sunshine…”.
Il pegaso dorato si strinse nelle spalle e cercò di parlare ma un pianto straziante le uscì dalla bocca, lanciando il marito nella sofferenza più totale.
“Io…”, riprese l’altra, “Io… io dare le mie ali… Ma cosa dico? Darei la mia vita… per… fare qualcosa per lui… Qualsiasi cosa…”.
Il pony bianco la abbracciò a sé: “Lo so, piccola. E’ una cosa… terribile. Io… io non…”, e si ammutolì, sentendo solo i singulti della compagna, la quale aveva affondato il volto tra le sue spalle.
Chiuse gli occhi.
 
Come poteva essere?
Una malattia sconosciuta?
Uno scheletro di… di vetro?
Senza una cura sicura.
Senza uno spiraglio di speranza.
 
Poteva essere?
 
Lui…
Suo figlio…
Un pegaso… che non avrebbe mai potuto volare.
Il figlio… a cui non avrebbe mai insegnato a volare.
 
Come… poteva essere?
 
“Lui… lui dov’è, ora?”, le chiese.
“È… è in camera sua…”.
Lo stallone rilasciò la presa su di lei e si diresse titubante verso la porta chiusa. Dentro si trovava… Icarus.
Il padre iniziò a respirare velocemente. Qualcosa di fastidioso gli investì ogni cellula del corpo.
Allungò una zampa verso la maniglia… ma…
 
Non ce la fece.
Lo riconobbe subito.
Non ne aveva il coraggio.
Non riusciva… non sarebbe mai riuscito ad affrontare con lui tale situazione.
 
In quel momento Daedalus capì… quanto fosse debole.
Aveva scalato la gerarchia della fabbrica in cui aveva iniziato a lavorare.
Era uscito con il massimo dei voti.
Era divenuto uno stallone robusto, autorevole e rispettabile.
Eppure…
Non trovò la forza di guardare negli occhi…
…suo figlio.
 
Abbassò la zampa.
Si girò di nuovo verso Sunshine, ancora in lacrime.
Dopo aver raccolto aria nei polmoni e con un volto estremamente deciso, le fece una solenne promessa.
 
“Te lo prometto, Sunshine. Farò di tutto… di TUTTO… pur di permettere a nostro figlio di volare. Almeno una volta in vita sua…”.
“M… ma…”.
“Non importa come. Prenderò tutti i soldi che ho guadagnato a Stemdale. Farò ricerche. Troverò medici. Interpellerò incantatori. Unicorni. Alicorni. Zebre. Non importa quanto tempo ci vorrà… o quanto dovrà sacrificare. Mio figlio volerà”.
Nonostante sapesse che fosse più una speranza che altro… Sunshine non poté fare a meno che sentirsi sollevata per quelle parole. Si asciugò le lacrime e, ancora con qualche singhiozzo, gli sorrise appena.
“Domani tornerò a Steamdale. Farò i doppi, anche tripli turni. Non importa”.
“Ma… Daedalus…”.
“Non mi importa delle conseguenze”, dichiarò con tono solenne, dirigendosi verso il proprio studio, “Lavorerò giorno e notte per trovare una soluzione. Mio figlio… mio figlio non si merita questo”.
 
Il marito chiuse lentamente la porta dietro di sé.
Sunshine sapeva bene quanto stesse soffrendo, anche se cercava di non darlo a vedere… e quello era il suo modo per isolarsi… e sfogarsi. Senza che nessuno potesse vederlo. Lui era fatto così.
 
Ci fu però una cosa che la lasciò ancor più preoccupata.
Era contenta che lui si prodigasse così tanto per la salute del figlio. Non poteva essere altrimenti.
Ma…
Quelle parole…
Lavorerò giorno e notte per trovare una solzuione. Mio figlio… mio figlio non si merita questo”.
La giumenta si incupì ed osservò la porta della stanza di Icarus.
“Attento, Daedalus…”, disse tra se e se, tirando su col naso, “Tuo figlio… si merita comunque un padre… Cerca di stargli vicino…”.
 
“Cerca di non allontanarti da lui…”.
 
*** ***** ***
 
-Ogni Cosa-
 
            “No… No! NO!!”, sbottò il pegaso, battendo un colpo sulla scrivania metallica.
Si trovava nel suo ufficio a Steamdale: la fabbrica di componenti per gli zeppelin. La struttura che era riuscito ad ereditare dai parenti, dopo un periodo di duro e faticoso lavoro.
“Sono stato chiarissimo, a riguardo!”, ruggì, facendo abbassare le orecchie al pony che aveva d’innanzi, “Avevo chiesto tre metri cubi di nembostrato incantato e due incantesimi per il cannocchiale!!”.
“Ah…”, si scusò l’altro, che era solo un semplice faccendiere, “I-io… ci dev’essere stato un errore, allora…”.
Il volto del pegaso era adornato da profonde occhiaie e trasudava nervosismo in ogni direzione.
“Senti…”, riprese, stringendosi gli occhi tra uno zoccolo, “Non mi importano le tue scuse. Ho bisogno di quelle nuvole. E di un cannocchiale che possa essere collocato in cima ad esse”.
“Certo, signor Daedalus… Vedrò di modificare l’ordine…”.
“Sarà meglio…”.
Con un gesto, gli fece cenno di andarsene.
L’ufficio era pieno di caos.
C’erano diverse parti metalliche dispose alla rinfusa per ogni angolo della stanza, sia per terra che su appositi ripiani. Contro la parete si trovava un’enorme lavagna piena zeppa di scarabocchi, fogli appesi e progetti quasi incomprensibili. Tra tutti, spiccava la gigantografia di una nuvola, su cui era stata riportata la scritta “Cirrus High 4000”.
Il pegaso puntellò le zampe anteriori sulla scrivania e sospirò, lasciando cadere i lunghi crine scompigliati sul muso.
Dalle ampie vetrate a muro poteva scorgere invece la catena di produzione vera e propria della fabbrica: ingranaggi, stantuffi e pistoni si muovevano incessantemente per ottenere i componenti dei velivoli di Steamdale.
O meglio… sperava che ancora fosse così. Da mesi a quella parte non aveva fatto altro che prodigarsi per trovare una soluzione al problema del figlio. Non riusciva a pensare ad altro, al punto da lasciare quasi incontrollata la gestione dell’azienda.
 
Qualcuno bussò e il proprietario fece cenno di entrare.
Un pegaso color ciliegia ed un unicorno azzurro si palesarono all’unisono. Possedevano un’aria autorevole e sembrava sapessero il fatto loro.
Si collocarono di fronte alla scrivania, cercando di schivare il disordine.
Daedalus li degnò appena di attenzione: “Qualche notizia?...”.
Fu il pegaso a prendere la parola: “Sì, signor Daedalus. Ci sono due possibili locazioni, attualmente. Una si trova nella periferia di Steamdale”.
“Bocciata”, si affrettò a liquidarlo, “E l’altra?”.
“Mhh… una piccola zona rarefatta nei dintorni di una piccola cittadina. Si chiama Ponyville”.
“Ponyville? Mai sentita”.
“Non è molto lontana da Cloudsdale. E Canterlot sarebbe a tiro di treno”.
“Mhf…”, bofonchiò, “Se non c’è niente di meglio… informatevi e poi portatemi i dettagli. Se fosse un luogo tranquillo, potremmo pensare di costruire lì l’abitazione”.
“Invierò allora gli specialisti per un sopralluogo”, gli comunicò, annotando qualcosa su un pezzo di carta.
“Tu, invece?”, chiese all’unicorno, “Hai qualche novità?”.
“Non molte, signor Daedalus. Stiamo proseguendo le ricerche sui cirri d’alta quota”.
“Dopo tutti i soldi che vi ho dato… mi aspetto qualche risultato…”.
“Arriveranno di sicuro. Ci vuole solo un po’ di tempo”.
Il pegaso dalla chioma viola parve incupirsi: “E… e invece per… per la…”.
“La cura?”.
“…Sì”.
“Ancora niente. Stiamo interpellando l’equipe di pegasi e incantatori che ci ha indicato. Stavamo pensando di sfruttare anche dei dottori”.
“Dottori?”.
“Medici. Specialisti. Forse, attraverso sforzi combinati di tre parti distinte, si riuscirebbe ad ottenere qualcosa. Una traccia per iniziare, perlomeno”.
“Sarebbe meglio di quello che avete ottenuto fino ad ora. Cioè niente”.
I due si osservarono, un po’ spiazzati.
Daedalus reclinò di nuovo il capo, come se gli mancassero le forze per tenerlo alzato, e l’unicorno riprese a parlare: “…Uh… Sta… sta bene, signor Daedalus?”.
“Sì… sì sto bene…”.
“E’ sempre… chiuso qui dentro… per fare queste ricerche… Non è affar mio ma… è sicuro di non esagerare? Di non aver abbandonato la fabbrica a se stessa?...”.
“Hai detto bene. Non è affar vostro. Vi pago per fare ricerche e non come rappresentanti della mia coscienza”, rispose infastidito, “Ora… se non avete altro da dirmi… vi inviterei ad andarvene”.
Il duo ubbidì e abbandonò il locale, lasciando lo stallone nella solitudine, accompagnato soltanto dal clangore dei macchinari lontani.
 
            Il pony bianco sospirò sommessamente.
Deambulò per l’ufficio, senza un’idea chiara in testa.
Si sentiva stanco. Molto stanco.
Svuotato. Nel corpo… e nell’anima.
Gli occhi si posarono per un istante sulla scrivania, su cui notò una foto quasi del tutto sommersa da un mare di scartoffie. Si avvicinò e la estrasse.
 
Era la foto… di Icarus.
Di suo figlio.
Nell’istante dello scatto, era nato da poche ore.
Piangeva tra le braccia della mamma.
Una mamma dolcissima.
Con un sorriso stupendo.
 
Passò lentamente uno zoccolo sulla figura di lei, lasciando poi che scivolasse sull’immagine del figlio.
Sentì l’impulso di piangere.
Ma si contenne e rimise la foto al suo posto.
Riportò lo sguardo verso i progetti sul muro.
 
“Tu volerai, Icarus. Fosse anche solo per un’ora nella vita… tu volerai.”
 
“Te lo prometto”.
 
*** ***** ***
 
-Sopravvivere-
 
            “COME SAREBBE A DIRE??”.
“Calmadi, Dedy…”, cercò di tranquillizzarlo Sunshine.
“Calmo?... CALMO??”, scoppiò, “Come faccio a star calmo?? Ma ti rendi conto?? Gli ha fratturato un’ala!!”.
“Sì è vero ma…”.
“Cosa diavolo le è saltato in mente?? A prendere… a prendere un puledro in quelle condizioni e portarlo… IN UNA TEMPESTA??? Ma stiamo scherzando??”.
Lo stallone era assolutamente furioso.
I genitori di Icarus si trovavano nel giardino dell’ospedale all’Emerald Lake. Lo stallone aveva preso in disparte la moglie, per non far risuonare la sfuriata tra le mura dei corridoi interni.
“Dedy… Non è successo niente…”.
“Una tempesta!! Sai che avrebbe anche potuto… anche potuto…”.
“Ma non è successo…”.
“E come se non bastasse, lo prende, lo tira fuori dall’ospedale e lo porta in cima… in cima d un grattacielo!! Dico, ma lo sai in che stato l’ho ritrovato??”.
La giumenta parve leggermente infastidita: “Mhf… Icarus viene preso, Icarus viene tirato fuori, Icarus viene portato, Icarus viene ritrovato… Parli di lui come se fosse uno stupido che viene sollevato e poggiato come un soprammobile…”.
“Cosa… cosa stai dicendo?”, le chiese interdetto.
“Senti, Daedalus…”, rispose con foga, “Lo so che sembra una cosa assurda… ma… da quando Icarus ha incontrato questo pegaso… Rainbow Dash… è come… come se qualcosa fosse cambiato…”.
“Fandonie!!”, sbottò bruscamente, “L’unica cosa che può avergli giovato è quella cura che…”.
“La cura?... La cura?? Sai cosa sta facendo la cura a nostro figlio, Daedalus?? Lo sta spegnendo giorno dopo giorno!! Viene rinchiuso qui, tra quattro mura asettiche e imboccato come un poppante!”.
“Lo sai che è per il suo bene…”.
“Non lo so. Non ne sono più così convinta…”.
“Bene!”, rispose ironico, “Allora lasciamo che se ne esca di qui e vada a sfracassarsi le ossa da qualche parte allora!”.
“Sinceramente, Ded?”, gli disse con sincerità, “L’ho visto più felice con un’ala fratturata che non qui all’Emerald Lake! E poi… avresti dovuto vederlo… dopo… dopo la tempesta che quella folle ha deciso di portare qui…”.
“Già. Anche lì è una bella storia… Una tempesta per riempire il lago prosciugato… Solo a certe pazzoidi potrebbero venire in mente certe id…”.
“Tuo figlio”, lo interruppe, a zampe conserte e sguardo ammonitore.
“Eh? M-mio figlio?”.
“L’idea l’ha avuta tuo figlio”.
“Ah…”, esclamò.
“Vedi??”, lo riprese, mostrandogli a gesti l’altezza a cui si trovava la finestra della sua camera, vista dall’esterno, “Sei così preso con questa faccenda della cura da lasciar perdere tutto il resto! Scommetto che non sai nemmeno dove si trova esattamente la camera di nostro figlio!”.
Il marito non rispose.
“Da quanto tempo è che non passi un po’ di tempo con lui?? Quand’è stata l’ultima volta che vi siete visti… per… per parlare?”.
“Ma… veramente…”, cercò di buttar lì.
“La strigliata dell’altra volta non conta, mi pare ovvio! Sei sempre focalizzato su come salvare la vita di tuo figlio che stai perdendo di vista una cosa ancor più importante!”.
“Ridicolo!!”, rispose, usando la stessa espressione che, evidentemente, un altro pegaso cocciuto aveva ereditato da lui, “Cosa c’è di più importante se non la salvezza della vita di…”.
“E’ questo il punto!!”, dichiarò, afferrandogli le zampe e sfoggiando un volto al limite dell’esasperazione, “Prima di salvargli la vita… tu… DEVI FARLO VIVERE!!!”.
“I-io…”.
“Icarus deve vivere!! Non sopravvivere!! Deve… deve essere felice per quello che è e per quello che ha!”.
“Insomma… deve essere felice senza volare? Senza che nemmeno ci proviamo?”, chiese stizzito.
“No!! Oh, per Celestia! Perché non capisci??”.
“Non sono io quello che non capisce!!”, ribatté.
“Daedalus!! Tuo figlio… è proprio tuo figlio! E come tale ha bisogno di un padre che gli stia vicino e che gli voglia bene! Poi spacchiamoci pure la testa nel trovare un rimedio ma, prima di tutto questo, dobbiamo dargli affetto! Quell’affetto che non ha mai avuto e che sta trovando solo ora con una puledra mezza matta che, non so per quale diavolo di motivo, gli vuole un bene dell’anima!”.
Il pegaso bianco emise un lungo respiro e si distaccò momentaneamente dal discorso, facendosi pensieroso.
Non condivideva appieno il discorso della compagna… o forse… un po’ sì? Ma il problema… era che… per più di dieci anni… dieci lunghissimi anni… lui non aveva fatto altro che dedicarsi a quella cura. Come poteva, di punto in bianco, lasciar perdere la cosa? Forse… forse erano davvero sul punto di scoprire qualcosa… Non poteva saperlo con certezza ma… E se quella fosse stata la strada giusta? Sarebbe bastato così poco per scoprirlo…
Non era per la questione della marea di soldi spesi.
Non era orgoglio.
Non era semplice testardaggine.
Lui ci credeva davvero. Si sentiva così vicino ad una possibile soluzione… ed ora Sunshine sembrava improvvisamente contraria.
Icarus soffriva… vero. Ma… se avesse funzionato… quella sofferenza sarebbe valsa a qualcosa. E sarebbe presto stata dimenticata, in prospettiva di un futuro più roseo.
 
            Lo stallone si girò e spalancò le ali.
“Ehy! Daedalus! Che fai?”, gli domandò Sunshine.
Il marito, scrutandola appena con la coda dell’occhio, rispose: “…Scusa piccola… Capisco cosa vuoi dire… Ma… Non posso mollare tutto proprio ora”.
“Ma… non ti sto dicendo di mollare!”.
“Lo so. Semplicemente… devo andare. Devo parlare con… con un pegaso”.
“Cos…”.
Lo stallone spiccò il volo, sbattendo con imponenza le enormi ali bianche.
“Daedaluuus!!”, strillò l’altra, mentre lo vedeva allontanarsi.
 
*** ***** ***
 
-Il Vento Sotto le mie Ali-
 
            Era notte.
Tutto taceva.
Non si udiva alcunché.
Il silenzio più assoluto.
 
Una porta di metallo si aprì lentamente, accompagnata da un vagito rugginoso, lasciando che un debole spiraglio di luce penetrasse dall’uscio.
La sagoma di uno stallone si palesò per un istante, prima che richiudesse la porta alle proprie spalle, con un tonfo che riecheggiò nell’enorme struttura abbandonata.
Quella… era la sua fabbrica.
Non c’era nessuno. E non perché fosse notte.
Semplicemente… non esisteva più.
Senza più soldi… dopo aver investito tempo ed energie in ben altra faccenda… non poteva durare. E così…
 
Daedalus si trascinò lungo i corridoi, con passo lento e rassegnato. Scrutò i dintorni immersi nell’ombra: le macchine abbandonate, i tavoli ricoperti di strumenti e… il suo ufficio in fondo al capanno. Le vetrate sporche di polvere e tappezzate con fogli vari.
 
Lo stallone non stava pensando a nulla.
Non sentiva nulla… se non un enorme senso di fallimento e abbandono.
I suoi crine erano appesantiti: non se li curava da giorni ormai. Le ali cascanti e gli occhi un po’ arrossati.
E il cuore… una ferita aperta nel petto.
 
Poco più di una settimana fa…
Tutto…
Tutto era crollato.
 
La speranza di una vita.
Un lumino nel buio.
Ormai spento per sempre.
 
La cura in cui aveva investito ogni energia, ogni singolo centesimo… non aveva funzionato.
Sentì di aver fallito. Ma, più di tutto, fu terribile pensare a…
 
Suo figlio.
Icarus.
Che mai avrebbe potuto volare.
 
Aprì l’ufficio e scrutò i dintorni. Nonostante fosse buio, notò i rimasugli dei progetti. C’erano ancora tutti. La Cirrus High affissa al muro. Le schede mediche. I fogli per incantare le nuvole…
Già. Le nuvole. Ora, senza più un soldo, senza più l’attività in piedi… come avrebbero fatto a mantenere la casa incantata a Ponyville? Cosa sarebbe successo?
Come sarebbe riuscito a guardare negli occhi… suo figlio?
 
Accese una lampada a gas, che portò un poco di luce nell’ambiente.
Cammino ancora per un po’ tra le quattro mura, scrutando gli oggetti presenti, con sguardo assente, decidendo poi di sedersi alla sua vecchia scrivania di metallo.
Si accasciò sulla sedia come se non avesse davvero più la forza di vivere.
Portò le zampe alla fronte e si appoggiò ad esse, chiudendo gli occhi.
Respirò. Lentamente.
Dopo svariati minuti, sollevò lo sguardo… e incrociò la vecchia foto che era stata scattata all’ospedale, poco dopo il parto.
La osservò intensamente. Molto intensamente.
La prese e la avvicinò a sé, passando nuovamente lo zoccolo sulla superficie un po’ impolverata.
 
Il… il piccolo Icarus.
 
Una sensazione straziante e terribile gli fece tremare le zampe.
Daedalus chiuse gli occhi.
Alcune convulsioni lo investirono senza preavviso.
Mai come allora… aveva pianto in quel modo: si portò la foto al petto e scoppiò in lacrime. Fu così tanto il dolore che fu costretto quasi a raggomitolarsi su se stesso, poggiando la fronte sul bordo del tavolo.
E pianse.
Pianse di un dolore così grande da lasciare senza forze… senza fiato. Un dolore grezzo e travolgente, incapace di farti pensare e ragionare.
 
“Mi… mi dispiace, Icarus…”, singhiozzò, osservando l’immagine del cucciolo grigio, “Mi dispiace tantissimo… Non… non ce l’ho fatta… Ho… ho fallito… Non… non ho mantenuto la promessa… Mi dispiace… mi dispiace… mi dispiace da morire…”.
Riportò l’attenzione sulla mole di progetti alla rinfusa, ritenendoli ormai anni e anni di lavoro sprecato: “Ho… ho sbagliato tutto… Non… non sono stato in grado di aiutarti… Io… io volevo solo che tu… che tu stessi meglio… che potessi… che potessi… vivere più sereno… volevo solo questo… per… per mio…”.
 
            Il rumore di una porta lontana risuonò per l’intera struttura.
Daedalus alzò repentinamente il capo e riconobbe alcuni zoccoli trottare verso l’ufficio, con l’eco degli scalpiccii sul metallo. Non sapeva chi fosse ma, istintivamente, cercò di ricomporsi: rimise la foto dov’era e fece di tutto per asciugarsi le lacrime, un istante prima che Sunshine facesse il suo ingresso.
“Sunshine!”, disse sorpreso.
“Daedalus! Allora sui qui!...”, gli rispose, con il fiatone.
“Cosa… cos’è successo?”, le domandò.
La giumenta si prese qualche istante per recuperare aria nei polmoni, quindi si avvicinò al marito e sfoggio un inaspettato sorriso.
“È… è successa una cosa straordinaria, Daedalus!!”.
“Una… cosa straordinaria?”.
“Sì!! Non ci crederai mai!!”.
“Già…”, commentò tristemente, “Ormai ogni cosa sarà meglio di quanto sta succedendo…”.
“Aspetta, aspetta!!”, lo interruppe con foga.
Il pegaso dorato aprì una sacca a tracolla ed estrasse una rivista, con i denti. La posò sulla scrivania.
“Guarda!! Leggi!!”.
L’altro non parve convinto: “Mhf. Cos’è?”.
“Zitto e leggi!”.
Lo stallone iniziò a controllare la prima pagina, con aria rassegnata.
 
Ma poi… il suo volto iniziò a dipingersi di strane espressioni: prima incredulità, poi sorpresa crescente e infine… sbigottimento più totale!
Guardò Sunshine dritta nelle sfere di bronzo fuso: “C-cos’è?... Uno scherzo?...”.
“No, Dedy!!”, disse festosa, “E’ tutto vero!! Nostro figlio… nostro figlio ha volato!!”.
“Nostro… nostro figlio…”.
“Ha volato!! Ha volato davvero!! Con le proprie ali!!”.
“Non è possibile”, rispose.
“Cavolo, Daedalus, hai letto?? Ha volato! Ti rendi conto?? Si è spinto nel cuore della notte, solcando i venti e… cavolo io te lo dico lo stesso!! Ha cavalcato una tempesta!! Tutto da solo!!”.
La compagna non stava più nel pelo, mentre l’altro ancora non riusciva ad accettare la notizia.
“Dovresti vedere com’è felice ora Icarus!! Sembra un altro puledro! È… è felicissimo!!”.
La moglie continuò a lanciare commenti di gioia, una gioia che si fece lentamente strada anche nel petto dello stallone. Ma… c’era una cosa che continuava a tenerlo inchiodato sul quotidiano. Una foto, in particolare… una foto che ritraeva… un pegaso. O forse… non esattamente un pegaso…
“Sunshine”, la interruppe.
“Sì?”.
“È… è vero quello che… quello che c’è scritto qui?...”.
“Ti… ti riferisci a…”.
“Sì… a lei…”.
Sunshine si pose in un atteggiamento a metà tra il commosso e l’afflitto: “Sì… Sì, Daedalus. È successo davvero…”.
“Non… non posso crederci…”, commentò, scuotendo il capo e non riuscendo a distogliere gli occhi dalla foto.
“Credici, Daedalus”, incalzò, mostrando un sorriso accompagnato da lievi rughe di stanchezza, “Tuo figlio… è riuscito a far breccia nel cuore di qualcuno… in un modo che nemmeno io riesco a concepire… E… e quel qualcuno… ha compiuto un gesto estremo… solo per lui. Solo per questo. Solo per regalargli… un’ora di volo”.
E Daedalus davvero non poteva crederci. Non ce la faceva.
Non ci riusciva.
 
“Quel pegaso blu…”, continuò Sunshine, “Ha affrontato il proprio ultimo volo… solo per Icarus. Solo per lui”.
 
“E… in un modo o nell’altro… non hai infranto la tua promessa, Daedalus. Icarus ha volato. Icarus ha volato per davvero”.
 
*** ***** ***
 
-Quando Nasce un Sole-
 
            Pensieri d’ogni sorta accompagnarono Daedalus per il tragitto di ritorno a Ponyville.
Lo stallone era seduto nella cabina del treno, a notte inoltrata, e si stava quasi mangiando gli zoccoli dal nervoso. Sunshine, invece, si era accoccolata contro di lui, con un sorriso di beatitudine che non le vedeva in volto ormai da anni.
Il paesaggio notturno scorreva veloce, sullo sfondo, accompagnato da una luna calante che illuminava debolmente il territorio.
Nonostante fosse stanco morto, e avesse più di un motivo per essere finalmente felice per qualcosa… non riuscì proprio a dormire.
            Il mattino, quando la moglie si svegliò, passarono un po’ di tempo a discutere (il viaggio era lungo e sarebbero arrivati solo tra qualche ora). Si chiesero cosa avrebbero fatto per il futuro. La fabbrica era fallita, la casa troppo costosa per essere mantenuta e, sostanzialmente, non avevano più un soldo.
“Beh”, propose la compagna, “Icarus potrebbe… stare da Dash per un po’. Che ne dici?”.
Per un istante l’altro parve trasalire: “C-cosa?? Icarus con… con una…”.
“Eddai, non fare il papà iperprotettivo! Rainbow ha una casa tra le nuvole. Icarus potrebbe stare in una zona a lui confortevole, così, non ti pare?”.
Daedalus non era convinto ma, alla fine, soprattutto dopo tutto ciò che aveva saputo, non poté far altro che ritenerla la soluzione migliore.
“E noi… noi che faremo, Sunshine? Non abbiamo soldi… non abbiamo un lavoro…”.
“Mah, tecnicamente”, buttò lì, con sguardo furbetto, “Brutus ha quel locale che…”.
“Cosa??”, sbottò, “Vuoi proporre di… di lavorare in quel buco ammuffito??”.
“Che vuoi che ti dica, caro?”, gli rispose con aria di sufficienza, dandogli due colpetti sulla testa, “Si fa di necessità virtù!”.
“Ma… ma… Brutus!! Io quello non lo posso vedere! E tantomeno odorare!! Puzza come una capra sudata!”.
“Quello oppure siamo punto e a capo”.
“Bah. Dannazione”, concluse con rassegnazione.
 
            Quando giunsero a Ponyville, non sapevano dove si trovasse il figlio. Poteva essere da Rainbow, come in città.
Il viaggio e il carico di emozioni, tuttavia, li aveva sfiniti entrambi.
Decisero così di sistemarsi in un piccolo bungalow per gli ospiti, riposarsi e solo in un secondo momento procedere alla ricerca di Icarus.
Dopotutto… aveva cavalcato una tempesta. Non avrebbe di certo avuto problemi a girovagare per una cittadina. E poi… ormai Daedalus ne era sicuro: lì, più o meno, erano tutti matti. Tanto valeva mettersi l’anima in pace e lasciare che le cose proseguissero per i fatti loro.
 
            Calò quindi la sera.
Sunshine ciondolava letteralmente dal sonno ed il marito era affacciato nervosamente alla finestra, controllando i dintorni manco fosse una vedetta.
“Pensi… pensi che stia bene? Non… non l’ho visto per tutto il pomeriggio…”, buttò lì il padre.
L’altra, che conosceva bene il figlio, non era minimamente preoccupata: “Mh… stai tranquillo. Starà benissimo”.
“E se gli fosse successo qualcosa?? Lui… lui ha lo scheletro fragile, lo sai, e…”.
La moglie cacciò uno sbadiglio assonnato e si stiracchiò i muscoli: “Senti… vieni a dormire… Domani mattina, quando tutta la città sarà sveglia, chiederemo e vedrai che salterà fuori”.
“…Un… un carro! Metti che sia passato un carro a piena velocità e… O-oppure un muro pericolante! Gli hai visti i muri, qui?? Sono vecchi e malandati! Non come il metallo di Steamdale o i cumuli di Cloudsdale! Basta che uno ci passi vicino e…”.
La compagna entrò in modalità “tono di voce con cui non puoi discutere” e disse: “Daedalus…”.
“Uh… sì?”, chiese girandosi.
“Vieni a dormire. Subito”.
“O-ok…”, farfugliò, sbrigandosi a salire sul letto e sistemarsi sotto le coperte.
Sunshine si accoccolò a lui: “Dai, mio stallone color avorio… ora dormi. Vedrai che domani lo troveremo e sarà tutto a posto”.
Il marito sospirò e fissò il soffitto per un istante: “Mhf… ok”.
E chiuse gli occhi.
 
Gli occhi, tuttavia, non rimasero chiusi a lungo.
Ne spalancò timidamente uno e vide che Sunshine ronfava pesantemente.
Diavolo, non si ricordava russasse in quel modo!
Quindi… con attenzione… estrema attenzione… cercò di divincolarsi dalla presa della giumenta.
Come capita solitamente, qualche volta sembrò svegliarsi… ma furono solo falsi allarmi.
La notte era calata e lui troppo nervoso per resistere fino al mattino.
Aprì lentamente la porta ed osservò i dintorni.
Tirava un’aria leggera ed erano stati stanziati al limitare tra la città e la campagna.
“Certo che”, disse sottovoce, “Non sono propriamente un esempio di furbizia… Potrebbe trovarsi ovunque… Bah, al diavolo!”, sbottò infine.
“Se non provo nemmeno a cercarlo, non lo troverò di sicuro. Male che vada mi farò l’ennesima notte insonne”.
Richiuse silenziosamente la porta e, con un colpo d’ali simile al battito di un cuore, spiccò il volo verso il cielo notturno.
 
            Volò. Salì di quota, fino ad inquadrare pienamente i tetti di Ponyville sotto di sé, appena illuminata da alcune luci soffuse.
In effetti, non era poi così grande, come cittadina.
Il problema è che era buio pesto: oltre a rendere difficili le ricerche, significava che Icarus sarebbe stato all’interno delle abitazioni e quindi impossibile da individuare.
Poteva essere a casa di Rainbow Dash? Forse. Ma, prima, conveniva almeno dare un’occhiata a terra.
Gonfiò le ali e planò silenziosamente a qualche decina di metri dal suolo, scrutando con attenzione il luogo.
Fece alcune virate e ripeté il processo, per essere sicuro che non vi fosse proprio nessuno.
E proprio quando stava per decidersi a riprendere quota, notò qualcosa volare verso terra, molto lontano da lui. Aguzzò lo sguardo e fu sicuro si trattasse di un pegaso.
Poteva essere chiunque ma decise comunque di seguirlo, tenendosi a debita distanza.
Il pedinato toccò quindi il suolo. Daedalus fece lo stesso, restando però parzialmente nascosto da un muro cittadino, per non farsi vedere.
Si sporse e…
Ma quella… quella era proprio una… una Cirrus High 4000!
Quel pegaso l’aveva portata fino a terra ed ora stava parlando con qualcuno. Lo stallone bianco, tuttavia, era collocato in un’angolazione da cui non riusciva a vedere bene. Il pegaso che aveva seguito era un giovane puledro dal pelo scuro e la criniera a spazzola, azzurro chiarissimo. Sul fianco riportava un marchio identico ad una nube temporalesca. Evidentemente, era stato lui a spingere la Cirrus fin lì.
Si sporse un po’ di più e… lo vide.
 
Icarus.
Suo figlio. Di fronte al pegaso dalle piume nere.
I due stavano parlando. Quando il padre lo riconobbe, sentì realmente un peso cadergli sullo stomaco. E… non capiva perché. Ma era lui… oltretutto con un portamento sorprendentemente corretto. Certo, le zampe ancora soffrivano di un problema ormai impossibile da risolvere… ma il suo sguardo… non era affatto com’era abituato a vederlo. Non era affatto come… all’Emerald Lake.
Drizzò un orecchio, per sentire meglio il loro discorso.
 
“…E così Dash mi ha chiesto di venirti a prendere”, gli disse Thunderlane.
“Uh… grazie?”, rispose l’altro, che lo stava incontrando per la prima volta.
Lo aveva già visto, in passato, attraverso il cannocchiale. Sapeva benissimo che era un pegaso davvero in zampa, che più di una volta aveva dato spettacolo in testa a testa con l’amica dalla chioma multicolore.
“Spero non ti sia di troppo disturbo”.
“Nà. Figurati. Per Dash, questo ed altro”.
“Mi fa… piacere sentirlo”.
Qualcosa poi, nell’espressione di Thunderlane, sembrò cambiare all’improvviso: il puledro si fermò e scrutò Icarus, con sguardo decisamente severo.
“Certo che…”, buttò lì, con fare un po’ arrogante, “Dash ha fatto quello che ha fatto… per uno come te?”.
Il pony grigio si bloccò a sua volta, impreparato ad un commento simile.
Anche Daedalus corrugò la fronte. Quel tizio… che stava cercando di dirgli?
“Come, scusa?”, gli domandò Icarus, titubante.
“Sì, insomma…”, commentò, osservandolo come se si trovasse su un piedistallo, “Ora che ti guardo… mi chiedo cosa le sia saltato in mente a quella puledra. Andamento traballante, fisico magro… nessuna possibilità di volare…”.
Lo stallone lesse una certa sofferenza nel volto del puledro e la rabbia iniziò a salirgli. Si preparò ad uscire allo scoperto, pronto a cantarne due a quello sbruffone. Come si permetteva di maltrattare così il suo povero…
Ma Icarus sfoderò uno sguardo degno di un leone e, allungando leggermente il collo verso l’interlocutore, rispose: “Beh?? Hai dei problemi??”.
Quella reazione lasciò il padre sbigottito. Quello… quello era davvero suo figlio? Lui non… non se lo ricordava affatto così. L’ultima volta che lo vide… sembrava… inerme. Incapace di reggere un confronto. Sapeva che fosse testardo ma…
Alla fine, decise di restare a guardare.
“Sì”, riprese Thunderlane, “Un asso del volo che sacrifica la propria passione per uno così… mi lascia alquanto perplesso…”.
“Pregiudizi, eh?”, commentò Icarus, senza scomporsi, “Chissà perché non ne sono sorpreso. È tutta la vita che affronto un mare di pregiudizi. Puoi dirmi quello che ti pare. Prendimi in giro per il mio fisico. Per il mio aspetto. Anche per il mio carattere, te ne darei ragione. Ma tieni fuori Dash da questa faccenda”.
“Cos’è? Hai paura che possa pensare male di lei e di quello che ha fatto?”.
“Te lo ripeto, Thunderlane”, ribadì, con tono minaccioso, “Non osare parlare di cose che non conosci e di cui non sai niente”.
“Non è solo quello, Icarus. Io credo che…”, continuò il pegaso nero, senza perdere il velo d’arroganza, “Insomma… Io non credo che tu… che tu meriti… una come Rainbow”.
“Come sarebbe a dire?...”.
“Icarus…”, gli spiegò, “Tu non sei propriamente un pony facile. Da quanto ne so… hai un caratteraccio. Hai evidenti problemi fisici. E non puoi volare. Mentre Rainbow non aveva nulla di tutto questo. Beh forse un po’ il carattere, lo ammetto. Ma, nonostante ciò… ha voluto… sacrificare tutto per uno come te. Ed io… mi sto domandando… se tu ti meriti davvero una puledra fantastica quanto lo è stato lei”.
Daedalus notò il figlio abbassare lo sguardo a terra, come se qualcosa lo stesse rodendo dall’interno, e fu di nuovo sul punto di balzare fuori.
Ma… il Campione di Equestria lo bruciò sul tempo.
“Sai, Thunder?”, gli disse, con estrema calma e pacatezza, “Anch’io all’inizio… mi ero chiesto la stessa cosa. Come… come può Dashie… apprezzare… uno come me?... Al punto di… sacrificare se stessa… per me?”.
Icarus sorrise e sia Thunder che Daedalus rimasero spiazzati da tale comportamento.
“Ma poi… nonostante i mille dubbi che ancora mi assillano… ho capito… che lei… che non so per quale motivo… ma lei…”.
Il pegaso grigio deglutì: “Per lei… io sono le sue ali. Non l’ho scelto io. Non l’ho voluto. Eppure… è così. Lei ha rinunciato alle proprie ali… per me. Ed ora… io sono quelle ali”.
Il sorriso si fece più dolce e lo sguardo acquisì una sicurezza ancor più profonda. Fissò Thunderlane dritto negli occhi: “Per cui… tu non potrai mai capire… cosa significhi… essere le ali… di qualcuno. Tu non potrai mai capire… E proprio perché sono le sue ali… io la sosterrò. Finché potrò… finché ci sarà il desiderio di rimanere assieme… io farò di tutto per farla volare, più in alto che posso. Farò di tutto per far sì che non si penta un solo istante della sua decisione. Non so se ci riuscirò… Ma io… io sono le sue ali, Thunderlane. Io volerò per lei. Solo per lei. Qualunque volta lei lo vorrà”.
 
Quello… era suo figlio.
Non riusciva a crederci. Rimase imbambolato ad osservare la scena.
E in quel momento… capì quello che Sunshine aveva sempre cercato di dirgli in passato.
Sei così preso con questa faccenda della cura da lasciar perdere tutto il resto!
Tuo figlio… è proprio tuo figlio! E come tale ha bisogno di un padre che gli stia vicino e che gli voglia bene!
E lui… dov’era stato, fino a quel momento? Cosa conosceva, ormai, di suo figlio? Non sapeva quasi più niente. Quasi non lo avrebbe riconosciuto. Ripensò all’Icarus debole e titubante di un tempo e… e ora…
Lui era…
 
Thunderlane chiuse gli occhi e sorrise a sua volta: “Mpf. Ora capisco davvero perché Rainbow abbia voluto proprio te…”.
“Scusa?”, gli chiese l’altro, non riuscendo più a capirne gli intenti.
“Ti chiedo scusa, Icarus. Non parlavo sul serio. È che io… sono fatto così. Volevo metterti alla prova… vedere di che pasta sei fatto…”.
Il pony grigio continuò ad osservarlo con sospetto, non essendo più sicuro di dove iniziasse la sua sincerità e dove finisse.
“…Ed ora mi sono reso conto…”, ammise, ponendogli una zampa sulla spalla, “Che sei… davvero forte, Icarus. Hai coraggio da vendere. E sei… Niente, non sono bravo a dire certe cose… Ma… sappi… che mi sembri davvero un pegaso come pochi ne appariranno mai su Equestria”.
“Guarda che se mi stai di nuovo prendendo in giro io…”.
“No”, lo interruppe, con volto sincero, “Sono serio. Se sei riuscito a reggere gli insulti di prima… se davvero credi in quello che hai detto... Beh… ti faccio i miei complimenti, Icarus. Sei davvero uno dei Campioni di Equestria”.
“Mh”, concluse l’altro, accettando questa volta la versione del pegaso dalla chioma azzurra, “Guardati le spalle però, d’ora in avanti… perché sappi che te la farò pagare”.
“…Ed hai un caratteraccio del tutto analogo a quella della tua puledra”.
“L-la mia…?”, balbettò imbarazzato.
“Su! Monta su sto trabiccolo, che ti porto da lei! Sai… tra l’altro, un giorno, dovremmo chiedere a Celestia di nominarvi entrambi Campioni di Equestria!”.
“Sì, come no… ti ho detto di non prendermi in giro. Un po’ va bene ma poi…”.
E il duo iniziò un lento volo verso il cielo.
 
            Daedalus, invece, era ancora sbigottito per quanto aveva appena sentito.
E si sentì davvero un pessimo padre.
Dopo tutto quel tempo… non solo aveva gettato via denaro ma… si era perso… suo figlio.
Mentre cresceva… lui era rimasto segregato a Steamdale, in un ufficio, sperando di fare la cosa giusta. E la cosa giusta, alla fine, era successa. Un pegaso blu, che di certo non era lui.
Già… un pegaso blu. Lo stesso pegaso a cui aveva chiesto di stare alla larga da Icarus.
Scosse la testa e capì quanto fosse stato uno stupido.
L’unica cosa bella che mai fosse capitata al figlio… e per poco lui li avrebbe quasi separati.
Davvero… davvero poteva essere così stupido??
Daedalus… lo stallone dal portamento fiero e abile pony d’affari… poteva realmente essere tanto stupido?...
Ma… forse una piccola cosa poteva ancora farla.
Sapeva dove abitava lei, lo aveva letto mille volte sui quotidiani, ultimamente… ed Icarus doveva per forza di cose volare lentamente, sopra il cirro.
Non poteva lasciar perdere la cosa… DOVEVA almeno sistemare quell’unica faccenda!
 
            Spalancò le ali e schizzò come una saetta in direzione di Cloudsdale, stando ben attento a non incrociare gli altri due lungo il tragitto.
In meno di dieci minuti fu sul posto: planò tra le varie abitazioni e rintracciò l’indirizzo di Dash.
Non sapeva cosa le avrebbe detto… o cosa avrebbe fatto. Sapeva solo che… che doveva parlare con lei… La puledra… che aveva sacrificato tutto per suo figlio.
            Giunse di fronte all’uscio della casa, con un leggero fiatone. Buttò uno sguardo nei dintorni: Icarus ci avrebbe messo molto più tempo per arrivare. Per allora, se ne sarebbe già andato. Non voleva… non sarebbe riuscito… a parlare con lui. Non ancora, perlomeno.
Bussò e attese con impazienza che qualcuno gli aprisse.
Dopo alcuni secondi e un giro di serratura, una puledra dalla chioma arcobaleno fece la sua comparsa, già intenta a comunicare qualcosa: “Oh, finalmente sei arrivato! Lo sapevo che Thunderlane era troppo lento pe…”.
Si bloccò, rendendosi conto che colui che le stava d’innanzi… non era Icarus… ma… bensì…
“D-Daedalus??”, sbottò, sgranando gli occhi.
“I-io… sì… io…”, farfugliò, sempre con un vago fiatone, “Buona… buonasera, Rainbow Dash”.
“A…ah... buonasera… Daedalus…”, rispose, vagamente intimorita dalla presenza di quel pegaso dalla postura autoritaria.
“Posso… posso entrare, giusto un attimo? Prometto… prometto che me ne andrò subito…”, le chiese, buttando un ultimo sguardo al cielo.
“Vuoi... vuoi entrare? O-ok…”.
“Grazie”, e si accomodò.
Quando Rainbow gli diede le spalle, lo vide subito: era tutto vero.
Dash… non aveva più le sue ali… e la cosa… lo fece sentire ancora peggio.
 
            Fu un incontro singolare e imbarazzato, quello che seguì.
Non era tanto per il disordine un po’ ovunque… quanto per la situazione in sé: quello che Daedalus non saprebbe se sarebbe riuscito a dire. Dash, invece, non sapeva che diamine ci facesse il padre di Icarus da lei… lo stesso stallone che l’aveva presa in disparte a Steamdale… lo stesso pegaso che, da come aveva percepito, pareva detestarla per tutti i problemi che aveva causato al figlio.
E quindi… perché era lì??
Il pony bianco rimase imbambolato in mezzo alla stanza e Rainbow cercò di rompere il ghiaccio in qualche modo.
“Uh… tutto bene?”, gli chiese, con volto vagamente preoccupato.
“Eh? Ah! Sì! Sì… va tutto… va tutto bene…”.
“Ok…”.
“Sì…”.
“E…”.
Daedalus capì che stava tentennando come fosse al primo giorno di scuola: “Ah… ecco io… volevo… volevo solo…”.
La puledra continuò a non capire e l’altro sembrò in palese difficoltà, quasi avesse ingoiato un cactus.
“Ecco… io…”.
Poi… più tempo passava li dentro… e più il groppo che gli impediva di parlare iniziò a sciogliersi. Fece mente locale… e riportò alla mente tutte le cose splendide che lei aveva fatto per Icarus. A quel punto… si sedette… raccolse il fiato… e si sentì in obbligo di confessarle ogni cosa.
Rimase a muso basso per tutto il tempo, raschiando nervosamente gli zoccoli anteriori tra loro, quasi non riuscisse a reggere lo sguardo di lei. Una cosa che non gli era quasi mai capitato in tutta la vita.
“I-io… io volevo dirti…”.
Deglutì.
“Mi… mi dispiace, Rainbow Dash…”.
“Ti… ti dispiace? Per cosa?...”, chiese stupita.
L’imbarazzo, nell’altro, era palpabile: “Mi dispiace… per… per non essermi accorto prima… di cosa tu… significassi… per Icarus…”.
“Ah… ma… veramente… Veramente non è il caso… di…”.
Quando Daedalus rialzò lo sguardo, il pony blu capì che non stava affatto scherzando: i suoi occhi erano lucidi e la voce aveva perso di energia.
“Mi dispiace, Dash… Dico… dico davvero. Stavo… stavo solo cercando… di essere… di essere un buon padre. Non avrei mai voluto… che… insomma…”.
L’altra capì che si stava realmente impegnando in uno sforzo emotivo e cercò di tranquillizzarlo: “Ma… ma no. Guarda che è tutto a posto…”.
“Rainbow!!”, sbottò di colpo, mettendosi su quattro zampe. Dash quasi fece un balzo all’indietro, dallo spavento.
La voce di Daedalus tremò appena: “Rainbow… Io ti chiedo scusa… Chiedo… chiedo scusa ad entrambi… E’ che… è che non credevo che… ci potesse essere… qualcuno come te… pronto a… fare tutto questo… per mio figlio. Non l’avrei mai immaginato… non avrei mai… potuto… se non vedendolo… con i miei stessi occhi…”.
I due si osservarono in silenzio e l’ex pegaso capì. Capì cosa stesse cercando di dirgli il padre… quel padre che, probabilmente, si era creato un muro per riuscire ad aiutare il figlio per come avrebbe potuto. Per tenersi lontano dal dolore provocato dalle maldicenze dei superficiali. Per continuare a fare quello che aveva sempre cercato di fare… aiutare Icarus… sobbarcandosi sulle spalle il peso di crescerlo… e di tentare in ogni modo di ottenere una famiglia felice. Per lui. Per Sunshine. Per il figlio.
Così… proprio come accadde altre volte, Dash si sentì stranamente calma e serena, nel pronunciare le parole seguenti. Gli sorrise addirittura.
“Daedalus…”.
L’altro la osservò, quasi sul punto di riversare un paio di lacrime.
La puledra manifestò un’espressione di profonda comprensione: “Io non credo ci sia niente… di cui… tu ti debba scusare. Hai cercato di fare il meglio per le persone a cui volevi bene. Hai cercato… di aiutare Icarus fino alla fine. Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo. Anche io… ho creduto alla cura. Ci abbiamo creduto un po’ tutti, penso. E alla fine…”.
Dash si bloccò per un istante e poi… dopo una breve pausa… gli sorrise più dolcemente che mai: “Sai, Daedalus?... Tuo figlio… Icarus… è un sole. Non è una semplice stella. Di pony come lui ne nascono pochissimi, credo”.
“Un… un sole?”.
“Sì… Perché… continuo a vederlo… Ovunque passi lui… ovunque ci sia Icarus di mezzo… la gente viene accecata dalla sua luce. C’è anche chi si ustiona. Perché brilla di un calore che investe ogni cosa. Io mi sono bruciata più di una volta, stando con lui. Stando accanto alla sua luce. Nonostante sia un’arrogante testa di legno… ha qualcosa dentro. Un sole… e c’è chi rifugge la luce, per paura di scottarsi. Quelli sono tutti coloro che lo hanno sempre allontananto… semplicemente perché… avevano paura di lui… o ne invidiavano la luminosità…”.
Quelle parole… fecero spalancare sempre di più la bocca al padre che, inavvertitamente… non si accorse del liquido che iniziò a rigargli le guance.
“E proprio come un sole… la sua luce può spaventare ma anche far nascere qualcosa, su un terreno che è pronto ad accoglierla. Icarus doveva solo… trovare l’occasione per brillare. E io credo che ora ci sia riuscito. Un pegaso… un corpo magro e un po’ acciaccato… ma con un sole immenso dentro. Questo è tuo figlio, Daedalus. Non dimenticarlo mai. Non ha bisogno di compassione. Non ha bisogno di essere difeso. Non necessita nulla se non un cielo in cui risplendere. Ed è quello che dovrebbero imparare tutti… Forse c’è qualcosa di splendente in ognuno di noi. Ed Icaurs… lui ne è la prova…”.
 
Lo stallone ebbe quasi un tremito alle zampe.
Questo è tuo figlio, Daedalus. Non dimenticarlo mai.
 
“Papà!”, esclamò una voce familiare.
Il pegaso bianco si girò…
Suo figlio… il Campione di Equestria… il cavalcatore di tempeste… il sole del cielo… era appena entrato in camera.
“I-Icarus…”, farfugliò, cercando di nascondere le lacrime, “M-ma… ma come hai fatto… a…”.
Vedere il padre fu l’ultima cosa che si sarebbe aspettato il puledro. Era completamente sbigottito e non sapeva letteralmente a cosa pensare.
“I-io… io ho le chiavi…”, fu l’unica cosa che riuscì ad esclamare, alzandole leggermente con una zampa.
Daedalus si rivolse verso Dash, vagamente adirato: “Lui… lui ha le chiavi?? E non me l’hai detto??”.
L’ex pegaso si gratto la chioma e arrossì dall’imbarazzo.
“P-papà?... Che cosa… che cosa ci fai qui… da… da Dashie?...”, balbettò il pony grigio.
Lo stallone riportò lo sguardo su di lui… E tutto ciò che riuscì a sentire dentro di sé… fu…
 
Una gioia immensa.
Per ciò che lui era diventato.
Per quanto stesse vivendo.
Per quanto quel pegaso cocciuto stesse dimostrando al mondo intero cosa significasse… affrontare la vita a muso duro… e… nonostante aver perso una battaglia... essere in un certo senso riuscito… a vincere la guerra.
 
“Icarus… io…”.
Icarus non riuscì a trattenere un debole sorriso.
 
E poi… accadde.
 
Daedalus scorse la luna dietro di lui, attraverso la finestra… e quella scena… lo riportò inspiegabilmente indietro di anni ed anni.
Il sorriso dell’attuale Icarus si sovrappose per un singolo istante a quello dell’Icarus appena nato, nella clinica.
 
Quando lo tenne di fronte a sé, tra le sue zampe, con il sole nella stessa posizione della luna attuale.
 
Sentì le piccole zampine sfiorargli il muso.
 
Udì la sua risata di cucciolo.
 
Si perse nei suoi profondi occhi viola.
 
Le ali spiegate.
 
Il corpo magro e leggerissimo.
 
…Dalle sfumature color cenere.
 
 
Mai avrei pensato
Di sentire qualcosa dentro
Come quando ho visto
Questo piccolo pegaso appena nato
 
 
Daedalus, nel presente, si avvinghiò ad Icarus e lo strinse a sé con forza.
L’altro sgranò gli occhi.
 
Mai avrei pensato
Di sentirmi così carico di vita
Come quando stetti accanto
 
A lui…
 
Lo stallone capì di stringere tra le zampe un bene prezioso.
Un pony unico e speciale, che più tra tutti gli aveva donato qualcosa di splendido, nella vita.
 
 
Mai stato
Così fiero
 
Altre lacrime gli uscirono dagli occhi.
“Ti voglio bene… Icarus…”.
 
Mai stato
Così felice
 
Per lui…
 
“Anche… io ti voglio bene… papà…”.
Per il più grande Campione in tutto il Creato…
 
 

 
Mio figlio.
 
   
 
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