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Autore: Nyra    16/04/2013    3 recensioni
''Tachicardia piangeva, tra cinque cespugli di rovi insanguinati, e si stringeva a se stessa, conficcando le unghie nella carne delle braccia.
Avvolta da un silenzio tetro e dal buio tombale, lamentava le sue pene.''
Pubblico questa storia perchè vorrei portarvi per un attimo nella mia testa, durante alcuni momenti tetri e magnetici delle mie giornate, quando o mi annoio o provo a tingere con dei colori i miei pensieri.
Anche se a volte non hanno senso.
Questa è la prima nonsense che scrivo, spero piaccia a qualcuno!
Buona lettura!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Tachicardia piangeva, tra cinque cespugli di rovi insanguinati, e si stringeva a se stessa, conficcando le unghie nella carne delle braccia.
Avvolta da un silenzio tetro e dal buio tombale, lamentava le sue pene.
I rami la spogliavano, graffiando le sue sofferenze, e dalle sue labbra sgorgavano sorgenti scarlatte, dai toni soffusi e magnetici.
Gli occhi neri sgocciolavano dalle ciglia di ragno e doppie, triple angosce coronavano i folti capelli, incorniciandole il viso e opprimendo i fulmini che spiccavano nel suo cervello.
Tachicardia piangeva senza controllo, senza briciole ordinate.
Poi le si avvicinò Panico, guardandola dall’alto con sufficienza.
Sdegnava le sue lacrime bagnate, derideva le colpe da lei lanciate verso nessuno in particolare e odiava le fiamme della sua innocenza.
Tachicardia gli sputò addosso e si riavvolse tra le proprie braccia, coi bianchi capelli strappati e rattoppati in più punti che la nascondevano dagli occhi vuoti dei rovi insanguinati.
Panico l’afferrò, tirandola su con profondo disprezzo.
“Cosa sei?” urlò.
Tachicardia fissò i propri piedi.
“Cosa sei?!” la scosse con violenza, ma lei restò muta.
Panico la gettò allora su altri rovi, più spaventosi dei precedenti, che la infilzarono trapassandola da parte a parte.
E Tachicardia si fuse in poltiglia giallastra, svanendo all’interno dei ramoscelli rinsecchiti.
Panico si voltò, i pugni stretti in una morsa gelata e il volto coperto dai fulgidi capelli rossastri.
“Non era niente. Non era niente. Non era niente. Non era niente…” si disse, coprendosi uno degli occhi lividi.
“Niente in confronto a me.” Sussurrò, rivolto alla pozzanghera d’inchiostro rosso che lentamente stava bagnando i suoi piedi.
Un verso né chiurlo, gracidio, belato, gracchio o latrato attirò la sua attenzione, e quando Panico si voltò sorrise di un’amara tristezza.
“O a te.”
Altra polvere rossastra, poi solo sangue.
E i rovi ridevano.
  
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