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Autore: Shinsey    17/04/2013    0 recensioni
Il punto di vista di Kari :D
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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* La metropolitana era più affollata del solito, tuttavia c’era abbastanza spazio per permettere i movimenti se non altro necessari a mantenere l’equilibrio sul mezzo in movimento.
Parecchie persone stavano sedute, altre ammassate o più larghe, a seconda della posizione. Stare vicino alle porte si era rivelata fin da subito un’impresa ardua, ma non si poteva fare altro.
I suoi genitori le dicevano di dover sempre svolgere i suoi doveri, in qualunque situazione si presentasse e in ogni modo possibile. Così,  nonostante sapesse a cosa stesse andando incontro, Kari si era abbandonata all’idea di dover andare a scuola, sfidando la massa di gente già prevista quella mattina.
Ciò che le dava la spinta giusta e la motivazione nel compiere tutto il lavoro, era la consapevolezza di vivere una giornata nuova, un momento che poteva rivelarsi diverso e che l’avrebbe portata lontano dalla situazione ordinaria che era da alcuni giorni costretta a vivere.
Guardò fuori dal finestrino; non che avesse scelta: non vi era altra possibilità o rischiava un torcicollo.
 Un sottile venticello primaverile scuoteva gli alberi. I rami danzavano e sembravano toccarsi. Come amici, come amanti. Come se avessero qualche cosa in comune. Qualcosa che li tenesse stretti e vicini. Che li agitava e li inquietava ad ogni tocco. Un contatto di cui solo i complici sapevano il significato. E la vita ci rende delle marionette anche se siamo esseri viventi. Subiamo in continuazione ogni suo cambiamento, ogni sua regola.E proprio quando cerchiamo di affrontarla lei ci sbatte da parte, in disparte, in un gioco dove solo lei vince e noi, pedine, siamo sempre in attesa di scoprire ogni suo piano. Possiamo cadere e rialzarci o semplicemente rimanere schiacciati dal peso del rimorso, dei segreti, dell'ignoto.  Kari poteva sentire il flebile e incessante lamento della natura, schiava del tempo. Poteva assaporare ogni suo ingenuo moto di ribellione, e non fare niente per lei. Poteva leggere ogni suo gesto di incontenibile e leggera timidezza nel tremolio delle foglie. Ormai era brava a capirlo.
Stavano viaggiando abbastanza velocemente: non ci avrebbero impiegato molto ad arrivare a destinazione.
Mancava poco, ogni metro li avvicinava al traguardo.
Proprio sul finire del viaggio, Kari sentì un rumore inatteso ma alquanto familiare per lei, e una luce ad intermittenza accompagnò e confermò ciò che fino alla fine del percorso le occupò la mente.
Gli iniziali punti interrogativi si tramutarono molto presto in punti esclamativi ma, man mano si avvicinava a destinazione, sentiva crearsi dentro di lei un’ulteriore vortice di domande.
Sentì l’ansia prendere il posto della calma e della rassegnazione iniziale, e quei pochi minuti che doveva rimanere sulla metropolitana le sembrarono ore.
Quando finalmente le porte si aprirono, scese di corsa spingendo e sgomitando, chiedendo ogni volta scusa e perdono secondo quanto le imponeva l’educazione e la morale impartitale con cura dai suoi famigliari.
Si guardò intorno, un po’ spaesata e timorosa. Quando finalmente si accorse di Koichi, corse da lui e, con un sospiro volto a scaricare e condividere la tensione, chiese *Cosa succede?*
*Caos e disordine. Ecco la situazione che si presentava di fronte a Kari. Parrotmon aveva deciso, o forse era stato mandato, a distruggere la citta' degli umani.
Kari stava cercando di scoprire qualcosa, o se non altro, tentava di inventarsi una qualche spiegazione che stabilisse un legame logico con la presenza del mostro digitale.
Le ritornarono alla mente scene di anni prima, in cui il Giappone, cosi come tutto il resto del mondo, era stato invaso da digimon.
Di solito la risposta si celava dietro qualche piano diabolico, e il fatto di andare sulla Terra era provvisto di uno scopo.
I flashback si fecero largo tra i pensieri della ragazza senza aspettare che lei li decifrasse: sapeva gia' di cosa si trattasse, li aveva rivisti migliaia di volte, come se il semplice fatto di averli vissuti non fosse stato abbastanza.
Sentiva un peso sullo stomaco mentre accanto a lei si mostrava uno scenario di paura e desolazione.
Pian piano, come se fosse stata attratta da qualcosa che la spingeva verso di se', Kari si ritrovo' in mezzo ad una folla impazzita, accecata dallo sconforto e dal timore. Le sembrava di essere in mezzo ad un ciclone, e veniva trascinata a destra e sinistra, secondo il scostante ingorgo di terrore che si prendeva gioco della tranquillita' di un'onesta cittadina.
Urla e schiamazzi, grida e pianti si sovrapponevano l'un l'altro, ma uno solo fu cosi forte che attiro' l'attenzione della digiprescelta, colpendola dritta al petto: un bambino cercava il suo gattino
 ignaro di cio' che avveniva alle sue spalle, come se tutto quello che gli importasse fosse lui: lo chiamava, rigurgitando in un pianto tutte le emozioni del momento; uno sfogo che non limitava il tono della voce, ma lo appesantiva e lo rendeva piu' acuto a volte, a seconda di un qualche meccanismo messo in moto dal suo cervello.
Kari si rivide in quel bambino, anni prima, con la semplicita', la forza e la testardaggine tipica dell'eta'.
Quel suono cosi debole ma nel frattempo toccante e acuto come una lama tagliente, le infondeva coraggio e determinazione, uno degli effetti secondari della tenerezza e della pieta'.
Si avvicino' a lui, scansando la gente che tentava di separare lei e Koichi, i quali erano comunque sempre stati vicini, per infondersi l'un l'altro sicurezza e protezione.
Prese per mano il bambino e si accuccio' in un angolo.* Hai paura?* gli chiese. Lui affermo', improvvisamente senza emettere altri suoni dalla sua rosea bocca.
Le lacrime gli rigavano il volto, allora Kari, cercando di confortarlo, lo abbraccio'. Non si conoscevano, ne' si erano mai visti. Ma nei momenti piu' bui tutti hanno bisogno di qualcuno su cui fare affidamento, e cosi il bambino, che doveva avere all'incirca 6 anni, mosso dal desiderio di protezione e amicizia, infranse in un solo abbraccio tutte le raccomandazione dategli dai genitori nei confronti degli estranei.
Qualcosa striscio' accanto al piede della ragazza, e le fece abbassare lo sguardo: era il gatto che il bambino stava
 cercando. Finalmente era tornato dal padrone.
Kari lo prese tra le braccia e lo pose su quelle del bambino, che abbozzo' un sorriso, tirando su col naso.
La ragazza fece un sospiro e gli disse, quasi ignorando il frastuono alle sue spalle, mantenendo un tono dolce e rassicurante * Ti fidi di me?* 
Il bambino, non potendo fare a meno di mostrare una punta di perplessita', acconsenti dopo alcuni secondi.
A quel punto la ragazza insistette affinche' lui le facesse una promessa: sarebbe dovuto rimanere li, nascosto, al riparo. Inoltre aggiunse, mentre si stava alzando, sempre con un sorriso tutt'altro che minaccioso, *se tu ti fidi di me, io sono piu' forte. Insieme ce la possiamo fare, siamo una squadra: possiamo salvare il mondo!*.
Il piccolo, evidentemente rassicurato, le fece l'occhiolino mentre passava la mano destra sul pelo del gattino.
Cosi Kari e Koichi si incamminarono, apparentemente senza fretta, per poi, una volta usciti dalla visuale del bambino, correre contro corrente, in cerca dei loro amici.*
*Kari e Koichi dopo diversi tentativi, riuscirono finalmente a raggiungere gli altri, o almeno la maggior parte di essi.
Con grande gioia vide che il gruppo si stava ricompattando, con l'aggiunta degli altri membri.
un' unione condivisa sia "spiritualmente" che "fisicamente".
Sapevano tutti, o meglio, si chiedevano, cosa avrebbero dovuto fare in quelle circostanze, senza digimon accanto materialmente.
Tutti quanti erano giunti ad una conclusione, un fine, uno scopo che automaticamente si erano proposti fin dall'inizio: attirare Parrotmon nel varco che l'avrebbe portato a Digiworld.
Sembrava facile a dirsi e difficile a farsi, o se vogliamo usare un altro proverbio, tra il dire e il fare c'e' di mezzo il mare.
E il mare c'era davvero. Una distesa di detriti si stava espandendo intorno a loro, come orma del passaggio del mostro.
Si dice che tutti in qualche modo vogliano lasciare dietro di se' un'impronta che testimoni la loro venuta, ma era possibile che pure lui avesse questa intenzione?
Una cosa era certa: qualunque cosa dovessero fare, doveva essere svolta in fretta.
Pressione, ansia, adrenalina.
Kari si sentiva corrodere da un fuoco che le bruciava lo stomaco e la gola. Per quanto lei si sforzasse di pensare, le veniva in mente solo la scena di pochi minuti prima, traslata sul piano frontale di desolazione e disastro. La mente annebbiata da sensi di colpa e dalle lacrime del bambino che continuava a tormentarla. Si sentiva inutile e impotente.
Finalmente Matt ebbe
L'intuizione che lei aspettava invano da tempo.
I digivice! Ma certo! 
Si senti una stupida per non averci pensato prima e guardo' con stima il ragazzo.
Quando si volto' di nuovo, si senti diversa, pervasa da una determinazione e una forza straordinaria. Che fosse stata l'amicizia di Matt? Probabile.
Avanzo' tra i detriti, decisa a dare una svolta alla situazione e contribuire al cambiamento.*
 *Kari chiuse gli occhi, come per concentrarsi, ma in realta', cercava dentro di lei la forza per guardare davanti a se'.
Avrebbe voluto cancellare tutto, abbassando semplicemente le palpebre in modo tale che non arrivassero al cervello le immagini di quella devastazione.
Ma era inutile, inutile come una una semplice lettera solitaria che di per se' non significa nulla. E cosi lei si sentiva: se non potevano comunicare e combattere con i loro digimon, essere digiprescelti non significava nulla. Procurava loro solo ulteriosi pesi, erano pur sempre semplici ragazzi schiacciati dalla responsabilita' e il loro umore in quel momento pareva spiaccicarli a terra, tra le macerie.
Kari era esausta e sconsolata: quella volta avevano vinto per puro caso o fortuna che fosse, ma la prossima volta? Ci sarebbe mai stata una seconda volta? E se tutti i loro tentativi si dimostrassero ad un certo punto vani? Lei non lo poteva sopportare. Sentiva le voci dei suoi amici, ma non le ascoltava. Solo quando riapri gli occhi realizzo' la situazione: il gruppo si stava sciogliendo per tornare a casa, a rassicurare i genitori. Anche lei doveva farlo, non voleva che i suoi soffrissero per la sua negligenza, quindi, nonostante la voglia sembrava non esserle complice. Forse sarebbe potuta rimanere lì e niente sarebbe comunque cambiato. Forse. Presa da un senso di nostalgia, fece un ultimo cenno di congedo, per poi correre a casa.
Arrivata sulla soglia di casa pero', non la oltrepasso'. Scrisse un
 biglietto e lo infilo' sotto.
Lei doveva occuparsi di un'altra faccenda prima, doveva verificare che il bambino e il suo gattino che aveva lasciato nascosti si fossero salvati. Era un suo dovere. Ma forse stava anche scappando dal dolore e dal timore di essere troppo protetta da mamma e papa'. Svelta raggiunse il luogo dove si erano visti l'ultima volta. E lo vide. Un corpicino tra le macerie.la stava aspettando: aveva mantenuto la promessa.
Senza dire niente, lo prese per mano, un contatto che le procuro' un calore e un'energia che le arrivo' fino al cuore.
Si incamminarono cosi, vicini, uniti nella loro stretta di mano formale ma allo stesso tempo, complice.
Una volta portato a casa sano e salvo, si indirizzo' verso la scuola, dove si erano dati tutti appuntamento.
Inutile dirlo: era in ritardo, ma loro l'avevano aspettata.*
Le donne si fanno attendere*disse cercando di cogliere al volo l'occasione per sdrammatizzare.*
 
 [...]
 
*Kari rifletteva. 
Era insieme agli altri, tutti i suoi compagni che come lei si erano ritrovati catapultati in un mondo diverso, un luogo di cui lei non avrebbe mai immaginato l'esistenza. 
Loro, amici o fratelli che fossero, erano sempre stati vicini, pronti a proteggersi l'un l'altro, a guardarsi le spalle a vicenda.
Aveva sempre pensato -un pensiero che andava via via scemando con la scoperta di nuovi digiprescelti- che loro, semplici bambini quali erano stati, fossero stati scelti (o mandati a caso) da qualcuno. 
Credeva che esistessero solo pochi ragazzi che come lei avessero la possibilita' e l'opportunita' di proteggere i due mondi.
E invece, era solo un pensiero egoista o ignorante, o forse semplicemente ingenuo.
Ormai il mondo digitale, quello che lei una volta avrebbe definito "il suo mondo", non era altro che una proprieta' conosciuta da varie organizzazioni.
Il suo segreto non era mai stato tale in fondo, e lei biasimava tutto cio'. 
Tutto quello che la circondava dava idea del contrario, di quanto lei fosse piccola di fronte alla realta' e di quanto fosse forse arrogante nel sperare in una risposta.
Ma da Digiworld non giungevano mai risposte. E la situazione sembrava spesso sfuggirle di mano.

Cosi Kari rifletteva, e continuava a farlo, come se fosse stata davanti a uno specchio, solo che invece della sua forma riflessa, vi erano tutti i discorsi mentali e monologhi ai quali aveva dato sfogo.
Nonostante fosse con gli altri, si sentiva ancora una volta isolata, e si sentiva in qualche modo ferita. 
Non aveva motivo di esserlo: il fatto che Digiworld fosse organizzata o controllata da altri, una volta l'avrebbe incuriosita. Ma non quella volta, in cui si sentiva abbandonata.
Aveva per tanto tempo lottato per quel pianeta e non si era mai resa conto di come fosse realmente.
Le mancava Gatomon e tutti i digimon che erano morti per aiutarla, fin dalla sua prima avventura.
C'erano mille domande che frullavano nella sua testa, e lei non aveva spazio per ospitare altri punti interrogativi, percio' non presto' nemmeno attenzione alle parole degli altri. 
In compenso segui il corteo, stando al passo, non come Joe che era rimasto poco piu' indietro immerso nei suoi pensieri.
Almeno questa volta aveva avuto i riflessi pronti, anche se non sapeva cosa stesse facendo.
Attendeva solamente un punto esclamativo, un segno tradotto ormai sempre da una parola: pericolo. Era abituata e non aspettava altro.
Lo avvertiva dietro l'angolo, celato da quel velo di sicurezza che invadeva i cuori degli altri ma non il suo.
Lei aveva imparato a non stupirsi, ma nonostante cio', non era sufficiente: continuava ad accumulare sconfitte.*
  
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