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Autore: Cohava    17/04/2013    1 recensioni
Riccardo è un festaiolo, un accannato dalle imprecazioni volgari e fantasiose. Carlotta è la compagna di classe che tutti hanno, quella con tanto mascara sulle ciglia e tanti piccoli drammi quotidiani. Clarence è il giovanissimo cantante e chitarrista dal volto sempre truccato, quello che ammicca dai video su Youtube e regala qualche minuto di un sogno. Antonia è la bibliotecaria dal grande cuore e dal duro passato.
Questi e altri sono i personaggi che, bene o male, fanno parte della vita di Luna, un'adolescente felice. Saranno loro ad accompagnarla alla scoperta della felicità e dell'infelicità e di qual'è il limite che le separa.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La mia storia, volendo, si può riassumere in quattro parole: sono una persona felice. E’ una bella storia, non è vero? Una bella storia e una bella consapevolezza. E ci sono arrivata a partire da un bicchiere sul pavimento.
Ero alla festa di una mia compagna di classe, cui ero stata invitata senza avere la disinvoltura necessaria per questo tipo di serate: mi ero rintanata in una poltrona insieme a due compagni di classe, nel classico angolo da cui si guarda il resto del mondo con occhio lucido e ironico, l’”angolo alla Jane Austen” , se si esclude il piccolo particolare che tanto lucida io non ero. E per questo mi ritrovavo a fissare, perplessa e divertita senza motivo, quel povero bicchiere abbandonato tra piedi barcollanti e incespicanti, come si guarda un dettaglio incongruo nello schema fisso delle cose.
Surrealista, avrei detto qualche giorno dopo, con un sorriso.
In effetti, mi stavo divertendo molto, anche se mi sarei divertita ancora di più senza la musica a tutto volume che mi trapassava il cervello. Avete presente il genere, no? Tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz-tunz… Roba da liquefarti i neuroni. Mi alzai e mi diressi verso lo stereo, pensando confusamente di farla smettere.
Ovviamente, non sapevo neanche dove mettere le mani.
Altrettanto ovviamente, venni intercettata da qualche sbraitante compagna di classe che voleva farmi ballare, e accennai qualche movenza impacciata, a disagio. Non sono il tipo che si lascia andare facilmente.
E, non del tutto improbabilmente, visto il tipo di festa, mi piombò addossi uno sconosciuto semiubriaco, aggrappandosi letteralmente a me.
-Ahbbella!
-Ehm…
Era pesante, troppo per me che mi sentivo già le gambe molli. Rischiava di schiantarci entrambi a terra, mi stava urlando nell’orecchio e puzzava di sigarette. Ma il suo corpo era tiepido e non del tutto spiacevole contro la mia pelle. Mi mossi, a disagio, senza osare staccarmi dalla sua presa invadente: avevo paura che rovinasse sul pavimento.
-Ucci ucci, sento odor di vagina…
Sorpresa, mi lasciai scappare, mio malgrado, una risata. Ridacchiò anche lui come un’ebete, e cominciò a strusciare il naso contro la mia spalla nuda.
-Ucci ucci…
Mi divertiva. Mi divertiva e, ammettiamolo, ero anche compiaciuta da quelle attenzioni, scherzose, certo, da parte di un ubriaco, certo. Ma mi facevano ugualmente piacere.
Mi strinse più forte e lo strinsi anch’io, di rimando, per evitare che cadesse e perché il calore del suo busto compensava la mia canottiera leggera. Mi sentivo euforica, pronta a stare al gioco.
-Che te la voi fa ‘na scopata cor grande Ricky?
-No! – Sbottai, divincolandomi e spingendolo via, quasi terrorizzata. Mi strinsi le braccia al petto, in una posa difensiva, e fissai lui che oscillava pericolosamente. Sembrava incazzato.
-Aoh, guarda che mica c’ho un trapano al posto der cazzo, sai?
Arretrai, ancora più sulla difensiva: il suo approccio diretto, volgare, mi aveva spaventata. Finchè si scherza…
E risi ancora, per reazione, risi in faccia a quel ragazzo sconosciuto che quasi non si reggeva in piedi. Per fortuna, a quel punto arrivò qualcuno a trascinarlo via.
Mi girava la testa.
Mi guardai intorno, alla ricerca di un viso amico, ma non vidi nessuno. I miei “compagni di sventura”, essendo ancora sobri, erano stati obbligati a reggere la testa a qualcuno che vomitava o a qualche altro compito poco edificante. Tutt’intorno era pieno di gente che ballava, strillava e si faceva una canna dopo l’altra a ritmo di un tunz-tunz sempre più martellante.
Recuperai la mia giacca e mi avviai alla ricerca della padrona di casa per salutarla, anche se ormai probabilmente non era già più in grado di intendere e di volere: per me era arrivato il momento di levare le tende.

  
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