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Autore: Il_Tracotanza    17/04/2013    0 recensioni
La storia che segue, è stata creata per un gioco di ruolo live che si svolge in Sicilia, l'ambientazione è post apocalittica, e i giocatori si ritrovano a dover interpretare un personaggio che deve sopravvivere al disastro.
Il mio personaggio è questo Jeremia, per il quale ho scritto il seguente Background. Credo che in fondo sia anche una bella storia, e per questo ve la presento.
Nella storia narro di circa un anno, che porta Jeremia in un viaggio per gran parte dell'Italia devastata, fino all'arrivo in Sicilia.
Genere: Drammatico, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
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[Nei pressi di Ghost City Eta (ex Perugia)] [23 Dicembre 2040]
-In pratica eravamo con questi tizi e continuavamo a piantare proiettili su per il cranio degli infetti figli di buttana-
Sedici  anni, Sedici anni di cammino nomade, in mente e cuore la cultura gitana e le loro tecniche che hanno permesso a molti nomadi di campare degnamente dopo l'ultimo giorno della terra.
-Ad un certo punto, ci rendiamo conto che erano troppi, non lo so, forse si moltiplicavano cazzo... Giuro che ne ammazzavo uno e ne spuntavano due -
Le parole dell'italiano scorrevano veloci dalla sua bocca alle orecchie dell'ucraino, Jeremia, nato nell'est, ma ben presto riconosciutosi come cittadino delle strade che ogni giorno percorrevano, senza mai fermarsi, perché non esiste un posto sicuro, non più.
-Tu parla troppo veloce-
Qualche parola l'aveva imparata da quei due piemontesi che si erano uniti alla carovana, ma non era facile capire quanto dicevano, e molto spesso si facevano prendere dall'enfasi del racconto, tanto che si dimenticavano di parlare con uno straniero.

La carovana era formata da 27 fra uomini donne e ragazzini, a guidare il tutto c'era Ivan, che si faceva chiamare Ivan il terribile per via di un personaggio di cui aveva letto in un libro trovato anni prima nella sua ormai devastata Russia, e che portava sempre con se. Oltre a Ivan c'erano Katia ed Eugene, i genitori di Jeremia, due forti corpi dell'ucraina. Eugene era un uomo di circa 30 anni, folti baffi sul volto e un corpo possente e grasso, una pancia che sembra la classica gravidanza di chi beve troppo alcool. Katia era una donna di circa 36 anni, un concentrato di muscoli di vario tipo, un corpo robusto e possente, temprato da anni di dura vita, una pancia e le intimità devastate dalle difficili condizioni del parto. Inoltre c'erano Dario e Francesca, due ragazzi del Piemonte, salvati da una situazione parecchio difficile, che ora si mostravano grati e fedeli al grande capo Ivan.  Con loro portavano pure dei carri costruiti in legno e una grossa Jeep ancora funzionante, fungevano da ottimi mezzi per il trasporto bagagli, ma gli uomini della carovana camminavano a piedi, a passo d'uomo, ormai da anni.

Jeremia li aveva presi in simpatia quei due italiani, e non con pochi problemi dovuti al linguaggio ha cercato di comunicare con loro, e da loro pian piano imparava qualche parola di quella che era la lingua del territorio dove camminano.
-Perciò sto tizio, Osvaldo, decide che gli dobbiamo fare da esca, così che lui può scappare-
Dario ha ripreso a parlare più lentamente, gli occhi castani di Jeremia fissi sul ragazzo, ascoltando le sue parole mentre camminano con quel passo lento e costante che è tipico della carovana.
-Mi spara un colpo alla gamba e mi lega, prima io, poi Francesca, ci lascia in mezzo ad un palo e fa vedere a gli stronzi infetti che noi siamo li, poi scappa-
Il racconto era stato fatto più volte, ogni volta aveva aggiunto nuovi dettagli, ad esempio, non aveva mai parlato di un colpo di pistola prima... Jeremia notava questi cambiamenti, ma lo lasciava parlare, in fondo, lo divertiva sentire le sue storie, anzi, la sua storia.
-E' una fortuna che siete arrivati voi, non ce l'avremmo mai fatta altrimenti -
Dice ancora, e poi riprende a parlare, di quanto era bella la sua terra, di come la vita sia una merda, e tutte quelle cose ovvie che tutti sanno, ma che non fa mai male ribadire.

Ai lati della carovana stavano Simon e Garfunkel, due tedeschi che sapevano molto bene usare quei fucili Springfield che tenevano a tracolla, binocolo fra le mani scandagliavano la zona, guardavano li dove gli occhi umani non potevano arrivare, intercettando ogni movimento sospetto.
Quando venivano avvistati gli infetti non era un grosso problema, l'ordine era di mettersi tutti sotto i carri o sotto la Jeep e aspettare che passassero, nella maggior parte dei casi si limitavano a passare e si risolveva tutto con un po' di paura.
Il vero problema erano i predoni, li si cominciavano a sparare colpi e far volare sangue, perché nessuno vuole cedere i propri averi ad altra gente, e tutti vorrebbero prendere quelli degli altri.
Quando Simon o Garfunkel vedevano qualcosa ci limitavamo a fermarci, appena il pericolo era ben identificato si agiva di conseguenza, di solito si riusciva a spaventare  i predoni visto il gran numero di persone facente parti del gruppo, ma non era certo sempre una semplice passeggiata.
Il segnale era sempre lo stesso, una mano alzata significava pericolo, se poi si alzava un dito erano infetti, altrimenti venivano alzati più di un dito, a seconda dei pericoli che ci si trovava davanti.

Quel pomeriggio, alle 17.54, ora italiana, venne alzato un solo dito, un solo dito che significava infetti. Jeremia odiava gli infetti, chiunque li odia, ma il problema più grosso stava nel dover restare nascosto li sotto, disarmato, senza alcuna possibilità se non sperare bene. La corsa era stata quanto più veloce possibile, e velocemente si era infilato sotto un carro, il silenzio cominciò a regnare sovrano e veniva detronizzato soltanto per pochi secondi, dalle urla degli infetti.
Non si muovevano velocemente, non correvano, si limitavano a camminare come attirati da una forza inesistente, dritto verso di loro, scivolando fra un carro e l'altro, spostandosi senza guardare, superando la carovana lentamente, troppo lentamente.
Gli occhi di Jeremia non si erano mai abituati a quella vista, quelle gambe che camminano di fronte a lui, superandolo lentamente, spostandosi troppo vicine a lui, ogni volta tratteneva il fiato e cercava di contare, fino a quando quelle non scomparivano, ma questa volta era diverso, questa volta erano troppi.
Lentamente aveva contato fino a dieci, poi da dieci diventarono cinquanta, e dopo cinquanta, cento, era arrivato a contare fino a centododici quando sentì il rumore della morte.
Il rumore della morte era nient'altro che un gemito, una lacrima trattenuta da Francesca, la piemontese che si trovava sdraiata accanto a lui, un rumore che attirò subito l'attenzione di chi fin ora li aveva nel loro percorso ignorati.


Francesca era di bell'aspetto, ma quel bell'aspetto che a Jeremia non piaceva per niente, sembrava una sorta di bambola di plastica, perfetta si, in ogni sua forma, ma quasi senza spirito, quasi come se non pensasse.
Aveva degli splendidi capelli neri, lunghi, che in qualche modo riusciva sempre a mantenere  puliti, che incorniciavano un viso perfetto in ogni sua dimensione, un ovale rovinato da due occhi verdi, ma spenti, senz'anima. Non piangeva, non parlava, si limitava solo a scambiare qualche parola con il suo compagno, giusto ogni tanto. Non era intelligente, non sapeva sparare, non sapeva combattere in alcun modo e non era stata in alcun modo d'aiuto alle donne della carovana. Il suo unico modo per campare era scoparsi Dario, e Dario pensava al resto.

Per quanto la vedesse come una donna vuota, Jeremia non provava nessun sentimento avverso a lei, semplicemente si limitava a constatare come questa difficile vita possa svuotare l'anima. Jeremia non l'aveva mai odiata, almeno fino a quando non sentì quel rumore. Riflettendoci dopo, dirà pure che quello è stato l'unico momento in cui lei ha mostrato di avere un anima, peccato fosse il momento più sbagliato che potesse pensare.
La speranza di non essere stati sentiti era flebile, ne rimase un poco per qualche secondo, che svanì quando vide le gambe di un infetto bloccarsi di fronte alla Jeep. Jeremia portava sempre con se un coltellino, legato ad una gamba, lo prese.
L'infetto comincio ad abbassarsi, in due secondi che sembrarono una vita, Jeremia respirò profondamente, il coltellino in mano, attendendo di vedere il volto dell'infetto.
Il corpo dell'infetto continuava a piegarsi, velocemente, troppo velocemente per riflettere, il volto dell'infetto si mostro quindi di fronte agli occhioni castani di Jeremia, e subito dopo, quello che sentì, fu un urlo, un lungo urlo dell'infetto, contornato da una leggera spruzzatina di saliva che usciva dalla sua bocca.
Quell'urlo nella testa di Jeremia suonò con queste parole: "Piacere, siamo un orda di infetti, vi abbiamo appena trovato e quindi siete fottuti!"

Ebbe poco tempo per pensare, aveva già pensato prima, il coltellino venne piantato lungo l'occhio dell'infetto, con buona forza, che lo spinse lontano dalla macchina. Ora Jeremia si ritrovava disarmato, scoperto, e fuori da qualsiasi speranza di sopravvivere, cominciò a pregare, non che ci credesse più di tanto, ma potrebbe sempre aiutare, rotolò goffamente di lato, e uscì da sotto quella Jeep, si rialzo velocemente, ed ebbe solo il tempo di dare un occhiata intorno.

Simon e Garfunkel erano già usciti da sotto i loro carri, e cominciarono a sparare colpi, facendone fuori molti, ma non abbastanza. Intorno a loro c'era un gruppo di circa una trentina di infetti, e loro erano troppo pochi per sopravvivere ad essi. La scena era troppo spaventosa, veniva difficile reagire, e la vista era quasi annebbiata mentre tutto l'ordine che aveva visto fin ora veniva distrutto. Un infetto cadde accanto a se, dopo un colpo ben assestato alla nuca, non se n'era quasi accorto, cadde accanto a se ed ebbe solo il tempo di guardarlo, prima di sentire la voce di suo padre che gridava, in ucraino . Non voleva abbandonarli, ma non aveva mai discusso un ordine di suo padre, e sapeva quanto sarebbe stato inutile in quella situazione. Ci pensò poco, e la sua decisione fu affrettata da due infetti che correvano verso di lui, Jeremia cominciò a scappare

Non era mai stato un buon corridore, ma la paura è un ottimo carburante per ogni uomo, cominciò a correre come mai aveva fatto, un disperato che cerca di aggrapparsi alla propria vita, corse con tutto il fiato e la forza che aveva in corpo.
Certe volte però, la terra è infame, anzi, era parecchio tempo che la terra era infame. Si ritrovo di fronte ad una scarpata, una discesa troppo ripida e troppo alta da fare senza conseguenze, si voltò, gli infetti erano troppo vicini, e lui era disarmato, c'era poco da fare.
Cominciò a scendere, cercò di farlo con cautela, ma riuscì a mantenere l'equilibrio per pochi secondi soltanto, poi cadde, comincio a scivolare e rotolare, da un altezza considerevole, cadde sopra il tetto di quello che sembrava un vecchio casale, sfondò il vecchio tetto di legno marcio e si ritrovò dentro una casa abbandonata.
Il dolore era lancinante, immenso e terribile, non riusciva più a muovere la gamba destra, e faceva un male terribile, aveva battuto il naso, gli colava sangue copiosamente, e si era tagliato o ferito qualsiasi parte del corpo, le ginocchia e i gomiti sbucciati, il dolore atroce, talmente atroce che non riusciva neanche più a gridare. La vista si offuscava, lentamente, vedeva sempre meno, prima di dormire l'immagine di un uomo, e parole italiane, non ben capite, qualcosa che suonava molto simile a: -Prendetelo, se si riprende ce lo vendiamo-
  
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