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Autore: Norgor    18/04/2013    15 recensioni
One-Shot sulla morte del padre di Katniss.
"Ho un tuffo al cuore. La miniera è crollata a pezzi, il suolo è aperto in un enorme squarcio polveroso e la terra si solleva in aria impedendomi di respirare e mandandomi in confusione. Ma, nonostante non veda più niente e non capisca più dove mi trovi, un solo e indelebile pensiero prende spazio nel mio cervello, tatuandosi a caratteri cubitali sulla mia testa. Mio padre è lì sotto, è intrappolato fra le macerie.
Il mio cuore smette di battere per qualche secondo, mi si offusca la mente e i miei piedi partono a razzo verso quella che prima del crollo era l’entrata per la galleria. Ora, invece, trovo solamente un ammasso di enormi pietre interrate che mi bloccano l’accesso".
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Mr. Everdeen, Mrs. Everdeen, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Charcoal.

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  Una giornata di scuola. Una come tante. Cammino per le vie del quartiere, i consueti stivaletti in pelle consumata che sbattono fortemente sul terreno, sollevando pesanti nuvole di polvere. Il vento è forte, mi scompiglia l’unica treccia scura che ondeggia sulla mia schiena e mi toglie il respiro. C’è molto sole, i vestiti sporchi scottano sulla mia pelle da Giacimento e gli stivali da caccia si appiccicano alle mie caviglie. Cambio strada, e il mio sguardo va a posarsi sulle cime degli alberi della foresta. Un sorriso da bambina innocente si forma sul mio viso, gli occhi invasi da una strana scintilla. Vari ricordi mi annebbiano la mente. Un libro, un arco in legno, un lago. Mio padre. Il suo sorriso perfetto, quell’espressione sempre serena e desiderosa di conoscere il mondo, quel cipiglio perfetto che lo rende simpatico ma severo allo stesso tempo. Non so cosa farei senza di lui. La sua voce soave e intonata mi trapassa il cervello, ricordo quando da piccola mi cantava la canzone della buonanotte. Le Ghiandaie Imitatrici si zittivano, e poi ripetevano il canto ancora meglio di prima.
  Un lieve tonfo. Le strade sono deserte, l’unico suono che mi arriva alle orecchie è il continuo scalpiccio che provoco sullo sterrato. Sono di fretta, voglio vedere come se la sta cavando Prim con la sua nuova capretta. Ha deciso di chiamarla Lady, e porta un fiocco rosa legato alla zampa. Probabilmente mi toccherà vedere anche mia madre, ma sinceramente la cosa non mi fa né caldo né freddo. Rallento mentre una nuvola grigia mi passa sopra la testa, oscurandomi la visuale. Mi rallegro pensando che manca poco alla consueta battuta di caccia del pomeriggio, quella che adoro fare con mio padre ai margini dei boschi. Io non ho paura di addentrarmi nella foresta, ma lui mi ha più volte raccomandato di non allontanarmi dalla recinzione del Distretto, e io non ho nessuna intenzione di disobbedirgli. Mi ricordo quando fino a poco tempo fa nei boschi non ci potevo neanche mettere piede, quando i suoi insegnamenti erano limitati alla distinzione delle piante e alla preparazione di trappole. Ora invece sto crescendo, ho il mio arco e la mia piccola esperienza, e devo ammettere che per essere una bambina del Distretto Dodici non sono messa poi così male. Partecipo alla Mietitura da due anni, devo prendere le tessere per rifornire di cibo la mia famiglia, ma finché mio padre mi sta accanto io mi sento protetta, al sicuro e lontana da ogni possibile pericolo.
  Devio in un cunicolo buio e stretto, e da lontano riesco a vedere i primi cantieri e le prime entrate per le miniere di carbone. A giudicare dall’ora mio padre sarà in servizio, per così dire. Distolgo lo sguardo, e poso gli occhi a terra. A me non piacciono per niente le miniere. Mi fanno sentire chiusa, in trappola, senza via d’uscita. Proprio per questo da grande preferirei essere una guaritrice che un minatore, ma di certo non possiedo neanche le capacità di mia madre. In effetti, l’unica cosa che so fare, o che perlomeno mi riesce bene, è cacciare. Cosa che poi è anche vietata, quindi tanto vale darmi da fare.
  Passo di fianco al cantiere, la cenere mi riempie il naso e mi brucia gli occhi, ma ormai ci sono troppo abituata per farci caso. Con passo svelto supero la via, e scorgo la mia casa, se così si può chiamare, a pochi metri di distanza. La mia dimora può benissimo mimetizzarsi con il cielo color del piombo che si estende sopra di me. Ad accogliermi sull’uscio della porta c’è mia madre, che con fare annoiato mi avvisa che papà avrà un ritardo sul lavoro. Non ne rimango stupita, ultimamente accade più spesso del solito, ma il broncio si forma sul mio viso prima che riesca a trattenerlo. Sulla soglia levo gli stivali dai piedi e li depongo nella scarpiera del salotto. L’odore di casa mi riempie le narici e mi fa comparire un sorriso sulle labbra. Il sonoro ruminare di Lady mi trapassa le orecchie, e per qualche secondo mi manda in confusione. Non ci ho ancora fatto l’abitudine a questa nuova presenza. Dall’altro lato della stanza mi viene incontro una bambina di otto anni, i lunghi capelli biondi che le ondeggiano sulla schiena, gli occhi celesti che brillano come diamanti.
   – Le ho appena dato da mangiare – sussurra con un lieve sorriso, mentre prende la capra in braccio. Nel movimento che compie si vedono benissimo le deboli ossa che le compongono il braccio. La nostra famiglia vive nella parte meno agiata del Distretto, indi per cui i segni della fame si fanno sentire di più. La avverto ansimare mentre riporta Lady in camera nostra, i vestiti luridi e sporchi che le arrivano alle ginocchia.
  La guardo entrare in camera e cerco di sorriderle. Appendo il giubbotto all’attaccapanni e decido di consultare il libro delle piante di papà, in attesa che ritorni dalla spedizione nelle miniere. Quel tomo mi ha sempre affascinata, la calligrafia di mio padre è impressa nella mia mente come un marchio tatuato a fuoco. I disegni sono precisi e particolareggiati, i colori nitidi e splendenti. Le pagine sono di carta ingiallita, fin troppo aderenti al mio tatto. Il profumo di pergamena mi annebbia la mente per qualche secondo, e io chiudo gli occhi lasciandomi trasportare dai ricordi. Sento ancora lo scrosciare dell’acqua del lago nelle giornate d’inverno, la brezza sulla mia pelle durante una battuta di caccia, il canto delle Ghiandaie Imitatrici che risuona nella foresta.
  – Katniss – sento mia madre che mi chiama, ma non voglio risponderle. Non voglio tornare alla realtà, voglio rimanere imprigionata nelle mie memorie per sempre. I raggi del sole mi colpiscono la fronte, mentre il mio dardo si va a conficcare nel coniglio nascosto dietro il fogliame.
  – Katniss… - la avverto a malapena. Il mio arco è rigido, la corda tesa per il tiro. I miei occhi brillano per la luce riflessa dallo specchio del lago. Sono a caccia, questo è il mondo. Il mio sogno, il desiderio di una bambina di dodici anni che vuole esplorare ciò che le è oscuro.
  Katniss. Un bisbiglio poco percettibile. Le mie palpebre si fanno pesanti e i miei muscoli si rilassano. Piombo nel sonno prima che riesca ad impedirlo.
 
  Un rimbombo acuto mi perfora l’udito, mi trapassa il cervello e mi costringe a svegliarmi di soprassalto. Spalanco gli occhi e, prima che me ne accorga, sento il mio corpo che viene catapultato dall’altra parte del salotto e che atterra con una testata sul pavimento della cucina. Avverto la clavicola destra pulsare di dolore, mentre sono sicura che ben presto i lividi si faranno vedere su tutto il corpo. Sollevo la testa con uno sforzo sovrumano e mi alzo in piedi a tentoni.  Mi guardo intorno, il mio pensiero scatta immediatamente a Prim. La chiamo più volte, e quando mi risponde percepisco già le lacrime che accennano la loro comparsa. Arrivo in camera e trovo mia sorella rintanata vicino all’armadio, un profondo ma piccolo taglio che le attraversa il polpaccio. Senza esitazione la avvolgo fra le mie braccia, cerco a tutti i costi di farla sentire protetta. Mia madre ci raggiunge poco dopo, i capelli scompigliati, con l’aria di chi è stato appena schiacciato contro qualcosa di pesante.
   – Che è successo? – ansimo, cercando di riprendere fiato. Una coltre di polvere inizia a riempire la stanza, annebbiandomi la vista. Mia madre ha uno sguardo confuso e preoccupato, segno che probabilmente ne sa anche meno di me. Tossisco varie volte, mentre mi faccio strada per uscire. Non ho il coraggio di staccarmi da mia sorella, ma stavolta è lei che si divincola da me e scappa verso la direzione opposta.
  –  Prim! – la chiamo con tutto il fiato che ho in gola, ma i suoi capelli biondi sono già fuori dal mio campo visivo. – Prim, dove vai? Prim!
  Non ottengo risposta, la preoccupazione cresce. Cerco in tutti i modi di seguirla, ma mia madre mi circonda il braccio con una presa ferrea, e io mi ritrovo fuori di casa prima che possa fare qualsiasi tentativo di liberarmi. Inizio ad urlare, mentre mi rendo conto che mia madre per salvarsi la pelle ha appena mandato a morire sua figlia. Piango, mi sfogo, e la polvere mi entra in bocca. La guardo negli occhi, noto che osserva la casa come se non riuscisse realmente a vederla.  Le grido addosso, voglio farla sentire in colpa, responsabile di quello che ha fatto. Cado a terra, consumata nel mio dolore. Tiro unghiate al terreno finché non mi ritrovo tutte le dita insanguinate. Urlo finché non ho più aria nei polmoni, e a quel punto mi dimeno infuriata.
  All’improvviso, una folata d’aria mi scompiglia i capelli e sento un belato arrivare da lontano. Alzo lo sguardo speranzosa, scorgo un insieme di stracci sporchi avanzare fra la polvere e i resti della casa. Mi si illuminano gli occhi e corro verso mia sorella quanto velocemente mi è concesso. La stringo a me, mentre mi rendo conto che il motivo per cui era scappata si trova a pochi passi da me, Lady, ruminante come non mai. Sorrido lievemente, mentre altre lacrime mi percorrono il viso più volte.
  –  Katniss – stavolta il tono di mia madre è dolce, quasi premuroso. Io mi volto verso di lei, mentre una maschera di disprezzo e freddezza fa capolino sul mio viso. Come ha potuto? Si rende conto che Prim sarebbe potuta morire? La squadro con occhi quasi assassini. Di risposta, lei mi fa un lieve cenno con la mano verso destra. Io strizzo le ciglia e poso lo sguardo al punto indicato. Ho un tuffo al cuore. La miniera è crollata a pezzi, il suolo è aperto in un enorme squarcio polveroso e la terra si solleva in aria impedendomi di respirare e mandandomi in confusione. Ma, nonostante non veda più niente e non capisca più dove mi trovi, un solo e indelebile pensiero prende spazio nel mio cervello, tatuandosi a caratteri cubitali sulla mia testa. Mio padre è lì sotto, è intrappolato fra le macerie.
  Il mio cuore smette di battere per qualche secondo, mi si offusca la mente e i miei piedi partono a razzo verso quella che prima del crollo era l’entrata per la galleria. Ora, invece, trovo solamente un ammasso di enormi pietre interrate che mi bloccano l’accesso. La gente è radunata intorno al luogo dell’esplosione, e prima che possa solo avvicinarmi ad esso vengo bloccata da un Pacificatore. La sua non è una morsa severa, bensì un vero e proprio tentativo di mettermi al sicuro, uno di quelli che solo nelle guardie del Dodici si riesce a trovare.
  Tuttavia io mi strattono, cerco di liberarmi dalla sua presa e di raggiungere mio padre. Papà, dove sei? Io sono qui, sono qui davanti. Cosa aspetti a fare capolino da quelle pietre che mi tengono lontana da te? Non sei mica il più forte dei forti? Il migliore dei migliori? Perché non sei qui vicino a me, papà? Cosa te lo sta impedendo?
 
Piango, ma dopo un po’ mi accorgo di non essere l’unica. Tutta la folla radunatisi intorno geme, è preoccupata per la sorte dei minatori sepolti qui sotto. Eppure, io sono più che sicura che mio padre stia solamente scherzando. Che sia ancora vivo, ma che voglia farmi uno scherzo, uno di quelli che mi faceva da piccolina. Mi ricordo di come avessi paura, ma al contempo mi divertissi a giocare con lui. Ma il gioco è finito, vero papà? Sussulto lievemente quando mi rendo conto che, forse, il gioco non è mai esistito. Sospiro e fremo leggermente. Un tocco famigliare mi prende da dietro e mi allontana dalle macerie. Per quanto sia ancora arrabbiata con mia madre, in questo momento non posso che buttarmi fra le sue braccia. Un cipiglio confuso si forma sul mio volto quando mi accorgo che l’abbraccio non è ricambiato. Mia madre ha lo sguardo fisso, vuoto e apparentemente senza scintilla. Non si muove, è rigida e immobile. Che anche lei stia giocando? Dubito. In ogni caso, questo gioco lo detesto. Perché non finisce tutto e non si ritorna come prima? Perché non rientriamo in casa e non aspettiamo che mio padre ritorni dal lavoro, come ogni altra giornata? Si vede che stavolta il gioco non l’ho vinto io.
  Mia sorella mi guarda confusa. Si chiede perché pianga, perché non la vada a rassicurare come è mio solito fare in queste occasioni. Piange anche lei, ma solo perché lo sto facendo anch’io e perché, come ogni sorella minore che si rispetti, non desidera altro che imitarmi.
  Mi portano lontano, mi fanno sedere e mi circondano il corpo con una coperta. Mi porgono fra le mani una tazza di tè bollente, che per me rappresenta solamente la conferma di quello che è successo. Mio padre non uscirà più dalle miniere, e questo non è affatto uno stupido gioco. Non potrò più rivedere il suo dolce sorriso, la sua espressione saggia ma divertente, le sue tenere fossette. Chissà se le sue ossa sono ancora integre, se la sua pelle è ancora intatta… Un tonfo. Un suono di vetri infranti e troppo tardi capisco che il liquido è ormai sparso sul pavimento. Non mi muovo, non cerco di riparare al danno. La tazza è come il mio cuore in questo momento. Spezzato, sgretolato e disintegrato. E fra poco calpestato da qualcosa di più grande.
  Non piango più. Il mio sguardo diviene rigido, quasi freddo. Non posso accettarlo, mio padre non può essere davvero… non riesco neanche a pronunciare quella parola. Morto. Non può essersene andato senza prima salutare, avermi abbandonata senza neanche un addio.
  Ma forse, in fondo, è proprio quello che ha fatto. E ormai è inutile piangere sul latte versato. Non vale la pena dispiacersi per qualcosa che è già successo. Bisogna andare avanti. Ed è quello che farò, quello che mio padre vorrebbe che facessi. Ma ciononostante non lo dimenticherò mai. Le giornate passate insieme, le risate sotto il sole di primavera, le battute di caccia nella foresta… tutto rimarrà impresso nella mia mente.
  Per sempre. Addio papà, ti voglio bene.
  Ti ho sempre voluto bene. 

Angolo autore: 
Ok, giuro che nella mia mente era più bella XD Vabbé, spero vi sia piaciuta lo stesso. In questa OS ho voluto presentare una situazione poco usata nelle FF del fandom, ovvero la morte del padre di Katniss. Inoltre, essendo un argomento quasi non trattato dalla Collins, ho interpretato gli avvenimenti aggiungendo qualcosa di mio :3 *risata isterica* Comunque, se c'è qualcosa che non combacia, potrebbe essere una modifica intenzionale come non, quindi in ogni caso segnalatemelo per recensione ;)
Ok, detto questo, recensite in tanti <3 Ditemi cosa ne pensate u.u 
Ringrazio comunque chi si è preso anche la briga solo di leggere questo mezzo-didastro XD Grazie davvero, significa molto per me <3
Alla prossima! :D

   
 
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