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Autore: The queen of darkness    19/04/2013    2 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come sospettava, fu Morgan a trovarlo. Non sapeva come, ma l’uomo aveva imparato a prevedere i suoi movimenti ed elaborare teorie ancor prima di venire a conoscenza della storia integrale; la scienza del profiling non c’entrava nulla in proposito. Era solo istinto.
Derek Morgan era un predatore, un leone, un maschio alfa: come aveva potuto pensare che quel ragazzino mingherlino rintanato sotto al lavello potesse stare nascosto ancora a lungo?
Nonostante l’avesse a malapena intravista aveva una certezza matematica del cento per cento che fosse proprio Lei, l’Eva di tantissimo tempo prima, la sua migliore amica del liceo, la prima ragazza per cui si fosse mai preso una cotta e che lo stesse pure a sentire. La prima e anche l’ultima, da che ricordava, e considerata la sua memoria eidetica non era decisamente un dettaglio trascurabile.
Era altrettanto sicuro che anche lei non si fosse scordata di quel sedicenne allampanato partito dal liceo per laurearsi, nonché unico confidente. Per quanta fiducia nutrisse nelle statistiche, la vergogna gli fece venire voglia di scomparire, di cadere nell’oblio dell’anonimato; ovviamente non era possibile, poiché Eva era una dei pochi esasperati possessori di una memoria incredibilmente precisa e colma di dettagli. I visi non si confondevano mai, le voci rimanevano marchiate a fuoco nella testa, le parole pronunciate erano indelebili anche a distanza di decenni.
“Saremo amici per sempre?” fu l’innocente domanda di quella splendida ragazzina in una giornata invernale. A distanza di così tanto tempo di rese conto di non aver mai risposto, come in previsione di ciò che sarebbe successo. Però quand’erano adolescenti lui ci aveva creduto davvero, aveva sul serio sperato che gli studi e la carriera non li allontanassero tanto irrimediabilmente così com’era successo.
Si rese conto che quella donna lì fuori era la prima persona che avesse mai tradito in un momento molto delicato, sapendo benissimo quanto la sua vita fosse difficile, quanto dolore stesse vivendo, quanto scombussolata potesse diventare in certi pomeriggi, quando rincasava e non trovava nulla di promettente.
Un così abile profiler come lui non aveva saputo badare al proprio comportamento, come se fosse uno sciocco, un bambino capriccioso. Non era mai stato nella sua indole giocare con le persone, e spesso si era torturato sentendo il suono della sua risata rimbalzare fra le pareti del suo cranio giusto per mantenere fresco il senso di colpa derivante dalle sue azioni.
L’uomo di colore entrò circospetto, ma in realtà non aveva avuto il minimo dubbio nel pensare che Reid fosse lì. Il bagno, in quanto poco frequentato, era sempre stato il suo luogo preferito dove trovare asilo dopo una fuga, e quella avvenuta pochi minuti prima non poteva che essere un’evasione in piena regola; già il ragazzo sentì le guance arrossire, tant’era l’imbarazzo per la reazione che aveva avuto.
-Ragazzino, mi spieghi cosa diavolo ci fai qui? – esclamò Derek, non appena intrevide il suo piede, unica parte di lui che non fosse completamente anchilosata o incastrata in pochi centimetri di tubature.
Reid decise di non alzare la testa per non esibire gli occhi arrossati dallo sforzo di piangere, ma tenerla ciondolante senza avere la forza di sorreggerla non contribuì a rincuorare il collega. Anche se non stava guardando sentì il suono delle scarpe dell’uomo mentre si avvicinava circospetto, quasi timoroso di scoprire cosa avrebbe trovato.
Due stivali comparvero davanti ai suoi occhi: uno aveva la punta leggermente rovinata, mentre l’altro aveva un laccio lento, che presto si sarebbe sciolto costringendo il mastodontico agente a piegarsi a metà e a rimetterlo a posto. Se c’era una cosa che Derek odiava, infatti, era quella di apparire in disordine, e non serviva un profiler per capirlo. Essere impeccabile era parte del suo aspetto forte, che contribuiva a renderlo minaccioso in un interrogatorio oppure terribilmente affascinante quando si parlava di appuntamenti galanti.
Dal momento che l’altro non aveva assolutamente intenzione di alzarsi o provare a muoversi, Morgan fu costretto a piegare le ginocchia e portarsi alla sua altezza. Le sue sopracciglia sottili erano corrucciate in un espressione a metà fra l’interrogativo e il preoccupato. Tutti quanti nella stanza dovevano aver già compreso la natura della sua fuga, non scambiandola per, ad esempio, un problema di salute; era sicuro che colui che gli stava davanti non avrebbe mai avuto il minimo dubbio nel fornire un’interpretazione corretta, però gli rimase da sperare che almeno gli altri si bevessero una qualche scusa.
Trovò educato per lo meno guardarlo negli occhi, fissando inespressivamente il viso che gli stava di fronte.
Morgan aveva una bellezza molto particolare, estremamente virile ma anche composta da tratti femminei, come il naso sottile o gli occhi color miele. La sua stazza e il cranio rasato davano al contesto un tocco molto militaresco, facendolo tradire anche nel passo secco e svelto oppure nel modo di appoggiarsi agli stipiti delle porte. Dettaglio forse stupido, ma singolare.
-La collega… - disse a fatica, con voce rotta. -…la nuova arrivata, io…la conosco.
Com’era strano parlare di Eva come se fosse una sconosciuta! Si sentiva meschino a classificarla soltanto in qualità di consulente, di membro annesso alla squadra, perché era un modo come un altro di negare tutto ciò che c’era stato in passato. Il petto venne stritolato da una morsa opprimente, che gli mozzò per un attimo il respiro. Decise di non far trapelare nulla per non suscitare un’eccessiva preoccupazione in Morgan, ma non riuscì a fingere troppo bene.
-E allora? – chiese, senza capire il nesso fra quella semplice informazione e lo sconvolgimento in cui il giovane era precipitato. Dietro al suo sguardo intelligente si potevano quasi scorgere i meccanismi della sua testa all’opera, scervellandosi attorno a quell’enigma con la determinazione di risolverlo al più presto.
Forse non ci sarebbe mai riuscito. Insomma, lo vedeva solo come un nerd imbranato e totalmente incapace di gestire le relazioni umane, quindi forse non sarebbe mai riuscito a capire il collegamento fra loro due. In fondo, quella questione era l’unica nella sua vita che non si trovasse in un fascicolo, in una cartella, in fondo ad uno sgabuzzino polveroso, ma solo nella sua mente.
Era per questo che si era sentito perso quando si era accorto di doverle lavorare fianco a fianco per chissà quanto tempo e, a giudicare dell’aura di intelligenza che ancora trasudava, sarebbe stato decisamente molto.
Quel pezzo di vita rovinato con le sue mani voleva tenerlo per sé, ma si rassegnò all’inevitabilità che presto qualcuno l’avrebbe scoperto e portato in luce, magari non con curiosità ma con stupore. Certo, stupore: cosa ci faceva un gracile agente dell’FBI accostato ad una ragazza alta e bella, più adatta ad un red carpet che non alla moquette sporca dell’ufficio investigazione? Chissà quante domande, quanta curiosità, quanto…dolore, nel dover rivangare costantemente il passato.
All’improvviso il collega sembrò credere di arrivare ad una soluzione, perché le sopracciglia ebbero un guizzo e raggiunse un’espressione terribile, dura, che quasi lo spaventò: -Ti ha forse fatto del male? – chiese truce, indagatore e già pronto allo sterminio.
Reid immaginò che il collega non dovesse aver preso bene l’annessione di un nuovo componente alla squadra, così si ritrovò ad indovinare quanto l’uomo stesse cercando un motivo in più per detestare la nuova arrivata. Inoltre, il suo istinto di protezione nei confronti del giovane ragazzo avevano fatto in modo di attivarlo verso la vendetta prima ancora di conoscere la storia per intero.
Si afferettò a cancellare dalla sua testa quell’idea del tutto errata, negando con forza. –No, no! Nient’affatto, anzi…credo di averle fatto io del male, ed irrimediabilmente, temo.
Era la prima volta che lo diceva ad alta voce, e doveva ammettere che faceva un’effetto strano. Qualcuno ora poteva sentire le sue colpe, capire la sua versione delle cose e, finalmente, avrebbe avuto un accusatore concreto per i suoi misfatti. Si sentiva estremamente colpevole, e tale sensazione lo stava divorando dentro come una larva.
Derek ridistese il viso, mentre si affrettava ad inserire questa modifica nella lista di indizi ai suoi ragionamenti. Poté chiaramente osservare quanto cercasse di dare un senso a quella situazione assurda, come cercasse di immaginarsi un Reid violento o spietato. L’immagine di un marionettista crudele non si addiceva per nulla al genio scheletrico rattrappito in quello spazietto minuscolo, in posizione quasi fetale, visto che quando si preannunciava anche solo l’anticamera di uno scontro fisico il ragazzo si allontanava, cercando di non rimanere coinvolto. Non lo faceva per codardia, però era più che sicuro di essere un intralcio e di fallire, in qualsiasi tipo di lotta gli si presentasse davanti.
Tuttavia Morgan, ben conoscendo il rispetto che il collega aveva per le donne, era precipitato nel caos più totale dopo quell’ammissione, fatta con così tanta sicurezza da non poter che essere vera. Insomma, Reid non era il tipo da ferire volontariamente una persona, soprattutto se una ragazza; forse si era dato la colpa come suo solito, riflettè, e magari i fatti erano diversi.
-Reid, se vuoi il mio aiuto devi dirmi le cose come stanno, altrimenti non saprei proprio da che parte iniziare – disse Morgan, cercando di andargli incontro.
La prima cosa che il più giovane riuscì a pensare fu che non aveva mai chiesto soccorso a nessuno. Si era sempre arrangiato in qualsiasi situazione, avendo troppa paura di essere un peso che gravava sulle spalle dei suoi colleghi per cercare di quantificare a parole il suo dolore. Non ne aveva mai parlato nemmeno con il suo terapista di un tempo, John MacGarth, quando si era dovuto sottoporre ad una serie di sedute per smaltire lo stress di diciassettenne laureato.
La seconda cosa che elavorò fu, senz’ombra di dubbio, che Morgan gli stava offrendo la possibilità di trovare finalmente un attimo di pace. Doveva ammettere che già la prospettiva di confessare tutto lo stava facendo sentire più leggero, quasi lei lo avesse perdonato. Ovviamente non sarebbe successo, però aveva bisogno di illudersi per almeno un istante, dove uccidere la tensione.
Fu per questi motivi che fece ordine nella sua testa; era consapevole che quella era la sua occasione, e che non avrebbe mai trovato il coraggio di chiedere nuovamente supporto. Inoltre le offerte del collega erano valide una volta sola, dopo non venivano mai più riformulate.
-Ho conosciuto Eva al liceo, quando abitavo a Las Vegas. Credo che ad unirci fosse il fatto di essere degli emarginati.
Appena pronunciò quelle parole, il bagno, semplicemente, scomparve: le piastrelle vennero sostituite dalle case del suo quartiere, i muri divennero i sorrisi di persone che non vedeva da tantissimo tempo, le tubature assomigliavano sempre più alle pagine pregne di bellissime poesie. Derek, per stare più comodo, si mise vicino a lui, tenendo un ginocchio piegato e una gamba stesa. Appoggiò sul primo l’avambraccio tatuato, poi si mise ad ascoltarlo senza guardarlo negli occhi, come per stimolare la sua fantasia.
-Ricordo che ci vedemmo per la prima volta in biblioteca, a cercare lo stesso libro; glielo cedetti perchè l’avevo già letto, e in fondo non ne avevo bisogno. Però lei insistette per darlo prima a me, sostenendo che se quella storia mi aveva spinto a riprenderlo nonostante mi fosse già nota, allora meritava sul serio di essere riassaporata.
Sorrise al ricordo, ma continuò: -Ci vedevamo spesso, e facemmo amicizia. Eravamo due persone strane, diverse, però sapevamo conciliarci. Mi ha sempre aiutato in tutto, persino a gestire mia madre, e credo che se non avessi avuto lei non avrei mai avuto neppure il coraggio di partire per New York, quel maledetto giorno.
Fece una piccola pausa, sentendo sopraggiungere la parte più dolorosa. In lontananza, rivide la sagoma di Eva che, durante uno dei tanti pomeriggi passati assieme, si voltava verso di lui per salutarlo un’ultima volta. Sapeva che l’avrebbe trovato girato perché in qualche modo aveva indovinato quanto lui amasse vederla camminare.
-A causa di una complicata situazione famigliare, lei dovette trasferirsi ad Atlanta proprio quando dovetti partire anch’io, con la scusa dell’università. Le promisi di spedirle il mio nuovo indirizzo, visto che ancora non lo sapevo, ma non trovai mai il coraggio di chiamare a casa nei mesi in cui stetti via. Non la contattai né mantenni i contatti, venendo meno al mio giuramento. Credo che lei abbia rinunciato, dopo un po’, a mandare a mia madre il proprio recapito, poichè quando, diverso tempo dopo, dovetti tornare a causa del suo peggioramento, scoprii che non aveva mandato nulla; non approfondii e me ne andai di nuovo.
Esponendola così, nuda e cruda, sembrava davvero renderlo una persona abominevole. Aveva rinchiuso colei che gli aveva dato alla luce in un ospedale psichiatrico, aveva abbandonato la sua unica amica, aveva studiato all’estero e continuato la sua vita senza nemmeno domandarsi una volta “dov’è Eva?”. Era chiaro che lei poteva essere arrabbiata con lui, più che evidente.
Morgan intuì che il racconto non era finito, infatti stette in silenzio fino a quando Spencer non riprese la parola.
- Prima di decidermi ad entrare all’FBI ho vissuto per un certo periodo ad Atlanta, sai? Non ho nemmeno provato a cercarla, semplicemente mi sono fatto gli affari miei e poi sono partito di nuovo.
Ci fu un attimo di denso silenzio. Nessuno osava più parlare, ma il confessore stava incredibilmente meglio. Ciò che aveva fatto era ancora imperdonabile, certo, ma ora non aveva più lo stesso sapore marcio di prima; se Morgan l’avesse accusato traendo in fretta le sue conclusioni, sarebbe forse stato del tutto libero. Finalmente avrebbe ottenuto un conteggio oggettivo dei suoi crimini contro di lei, e sicuramente l’uomo gli avrebbe evidenziato la sua meschinità.
Bastava solo aspettare, nulla di più. Eppure, il collega non si decideva a dir nulla, fino a quando pronunciò le parole che Reid non si sarebbe mai aspettato.
-Ragazzino, tu mi stai dicendo che sei scappato come una femminuccia solo per questo? – prima che lui potesse ribattere, Morgan recuperò la sua aria dominante piazzandoglisi davanti e fissandolo dritto negli occhi. –Ascoltami bene: quanti anni avevi, sedici? Beh, tutti facciamo degli errori a quell’età. Se persino lei ha smesso di provare a cercarti, allora vuol dire che dopo un po’ non avresti ripreso i contatti comunque.
-E questo dovrebbe farmi sentire meglio? – gemette Spencer, affranto.
-Sì. Perché in qualunque caso non è colpa tua, ok? Non lo è. Ti stai solo accusando per niente.
Questa frase lo gettò nella disperazione più totale. Come poteva Morgan non accorgersi di quanto stupido e crudele fosse stato con lei? Cosa le aveva fatto? Non aveva cercato nemmeno una volta sue notizie, per chissà quale paura di ricevere spiacevoli aggiornamenti su di lei, o forse ancora per egistici motivi!
-L’ha fatto, Morgan! – esclamò Spencer, esasperato. –Mi ha mandato il suo indirizzo in una lettera, quasi un anno dopo la sua partenza.
Il collega si bloccò, tornando a ragionare su ciò che aveva sentito. Forse ora non era più sicuro delle sue tesi e, se avesse continuato nella spiegazione dei fatti, le avrebbe sgretolate del tutto.
-Mia madre mi ha mostrato, qualche tempo fa, una busta verde che sapeva di pesca, dicendo che ne aveva bruciato il contenuto durante un attacco d’ansia. Non ho mai cercato di rimediare, mai. Nemmeno una volta.
Ora non era forse evidente lo stato di colpevolezza in cui di giorno in giorno sprofondava? Aveva bisogno di qualcuno che gli ricordasse che tutte le ore sprecate a rimpiangere Eva non erano state vane, ma che tutto trovava giustificazione nella realtà.
Morgan gli prese i bicipidi poco allenati fra le mani, scuotendolo leggermente come per farlo rinsavire. –Appunto! Cosa dovevi fare, sentiamo! È stata Diana durante un momento di follia, mica devi sempre prenderti la responsabilità.
Spencer cercò di insistere, ma di parola in parola si faceva sempre meno sicuro di ciò che doveva dire. Se avesse avuto torto e la responsabilità non era del tutto sua, allora gli anni di disperazione potevano considerarsi una punizione più che sufficiente.
-Sono un federale, Derek – disse. Raramente lo chiamava così, e tanto bastò a farlo tacere. –Potevo cercarla, trovarla, andare a sapere come se la passava, tutto qui. Invece no, non è mai successo, mai, me lo sono impedito fino all’ultimo.
Il collega si scostò rassegnato, premendo le dita contro le tempie. Poi si passò le mani sugli occhi e sospirò. –La mia opinione la sai. Adesso sta a te decidere cosa fare, se lasciarla andar via di nuovo oppure prendere in mano la tua vita e rimediare in parte alle colpe che credi di avere.
Riappuntò il suo sguardo su di lui: -La scelta è tua.
Reid si concentrò su quelle parole per un lungo momento, capendo fino in fondo quanto l’uomo avesse ragione. In effetti, quella si poteva considerare una seconda possibilità, e aveva rischiato di mandarla in fumo già una volta, comportandosi come un ragazzino sconclusionato. Però poteva sempre rimediare, come sosteneva l’amico, ponendo fine a quella catena di incomprensioni e cercando di creare delle basi per un futuro, sempre che lei fosse stata d’accordo. Ovviamente non si sentiva nella posizione per dettare condizioni, ma capì che era il momento di lasciare la ragione da parte.
Mentre un piano si disegnava nel suo cervello, si voltò verso l’uomo e, con occhi spiritati, realizzò: -Morgan, io devo parlarle.
Detto questo, prese la cartella, si azò agilmente da terra e spinse la spalla magra contro la porta, fino a venire inghiottito dal corridoio anonimo. Prima di sollevarsi a sua volta, Derek scosse piano la testa, con rassegnazione.
-Chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe fulminato per una ragazza? 
  
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