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Autore: Kiki87    19/04/2013    3 recensioni
[Ispirata alla traccia "Mistletoe" della Kurtbastian Week di Dicembre]
Come Kurt impara, a sue spese, alcuni incontri sono destinati a cambiare un'esistenza ma non si tratta soltanto di quello fatidico sulla rampa delle scale con il ragazzo che ne strega il cuore fin dal primo sorriso. Con la complicità di un clima natalizio, si troverà suo malgrado "invischiato" in un avvicinamento con Sebastian Smythe e per quanto si ripeta che un bacio sotto il vischio, non ha alcun significato; esso sarà soltanto l'inizio di tutto.
Di una scoperta di se stesso e dell'amore ma in una forma ben diversa da quella che aveva sognato ed immaginato fino a quel momento.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe, Warblers/Usignoli
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon Venerdì a tutti, niente mette più di buon umore di una settimana (o quasi) di buon tempo: ed è sempre un piacere tornare su queste pagine per l’aggiornamento.
Come sempre, voglio ringraziare tutti coloro che leggono, che hanno inserito la fan fiction tra seguite/ricordate e preferite. In modo particolare chi mi dedica un po’ di tempo anche per condividere con me le sue impressioni: niente rende più soddisfacente.
Grazie mille a Giulia e una dedica per le mie Blaine e Sebastian per il sostegno quotidiano ♥
Non vi rubo altro tempo e vi auguro buona lettura :)
 

 
L’orologio rotto è un conforto,
mi aiuta a dormire la notte.
Forse può fermare il domani
dal rubarmi tutto il tempo.
E sto ancora aspettando qui,
seppure ho ancora molti dubbi.
 
Sei entrato nella mia testa,
ho cercato di restare in guardia.
Ma sono un libro aperto invece
e vedo ancora il tuo riflesso
nei miei occhi.
 
Sto cadendo a pezzi,
respiro a fatica,
con un cuore infranto che
sta ancora battendo.
Dal dolore c’è
guarigione.
Nel tuo nome
c’è un significato.
Allora sto resistendo,
trattengo il respiro per te.
 

Broken - Lifehouse[1]
 
 
Ciò che ci teniamo nascosto dentro diventa veleno e ci fa del male: più siamo segreti, più diventiamo malati.
(Andrea Gasparino)

 
 
Capitolo 7.
 
 
 
Si poteva avere l’erronea concezione che, dopo il primo esordio in pubblico, non vi fosse più alcun timore di esibirsi di fronte ad una platea. Non era sicuramente lo stato d’animo di Kurt che, al contrario degli altri, necessitava di qualche istante di solitudine e di concentrazione prima di poter salire sul palco. Porre da parte l’emozione, il timore e tutto il resto e provare a lasciare che la musica compiesse la sua metamorfosi. In quel momento, tuttavia, sostava immobile: osservava distrattamente Rachel alle prese con il suo discorso di auto-incoraggiamento di fronte allo specchio, seguito da gorgheggi degni di una cantante lirica.
Era stato comunque liberatorio poter ingannare il tempo aiutando gli altri del Glee Club e così aveva già riassettato i loro abiti o aiutato le ragazze a ripassare il make-up o trovare la giusta sfumatura di fondotinta che fosse compatibile all’incarnato di ogni fanciulla e anche di qualche ragazzo per nascondere le impurità del viso.
Ma era di se stesso che si stava occupando in quel momento mentre cercava di acconciare il ciuffo sollevato dei capelli: lo stava ancora fissando con ingente quantità di lacca, dopo averlo già sottoposto a una piega con phon e mousse per capelli.
Vi era un motivo ben preciso per il quale fosse particolarmente restio prima di un’esibizione: era la sensazione del mettere a nudo la propria anima, persino quando il suo ruolo sarebbe stato marginale e avrebbe dovuto sorbirsi l’ennesimo assolo di Rachel, coronato da qualche acuto occasionalmente prestato da Mercedes o da Santana.
Doveva riconoscerle, tuttavia, che l’idea di scrivere brani originali fosse stata brillante ma una parte di sé, malgrado quel momento cruciale fosse così vicino, non riusciva a sentirsi completamente partecipe dello stato d’animo delle Nuove Direzioni.
Il suo pensiero era ancora ed inevitabilmente ancorato a Sebastian e a quell’ultimo istante prima che si allontanasse, in quello che appariva come un vero e proprio addio.
Cercò di ricacciare il pensiero, soprattutto le parole pronunciate da Sebastian molto prima che fosse in grado di accettare quella realtà: quel sogno che era divenuto fastidiosamente ricorrente, quasi a sottolineare la sua colpa.
“Ci cerchiamo e ci allontaniamo ma sempre insieme. Sempre in lotta contro noi stessi eppure mai sconfitti e mai vincitori.
Siamo attrazione e lotta, una continua… estenuante… lotta fino alla fine, per poi ricominciare all’infinito perché è per questo che siamo perfetti”.
Non vi era più alcuno struggente preambolo con l’addio tra Blaine e Rachel ma ogni volta che si avvicinava il momento in cui Sebastian avrebbe dovuto avvincerlo a sé, sembrava dissolversi come una nuvola di fumo, lasciandolo solo in una stanza in bianco e nero e con l’eco di quelle parole che rimbalzavano tra le pareti della sua mente, prima di svegliarsi bruscamente.
Pronunciando lui stesso quelle ultime parole:
“Tutto quello che ti ho detto succederà ma potrebbe essere troppo tardi”.
Ironico come quell’avvertimento fosse stato profetico ma, in fondo, doveva ancora ammettere, era stato lui a determinarlo con la sua fuga, e non avrebbe potuto biasimare Sebastian nell’aver percepito tale gesto come un rifiuto.
Scosse il capo, ancora una volta, un nodo in gola al pensiero che quello stesso giovane si trovasse da qualche parte in quello stesso edificio e in quello stesso momento. Non aveva idea di come avrebbe reagito se, casualmente, lo avesse incontrato: sarebbe stato già difficile osservare la performance dei suoi amici e non focalizzarsi esclusivamente su di lui, per quanto ciò potesse essere controproducente ai suoi nervi.
“SPIE! SPIE!”.
Fu lo strillo di Rachel a riscuoterlo e tutti i membri delle Nuove Direzioni si volsero all’ingresso del camerino e Kurt sgranò gli occhi alla vista di Nick e Jeff. Il primo aveva sollevato le mani quasi a mo’ di resa e rassicurazione, sorridendo pacatamente ma Jeff aveva sbuffato, fissando la moretta.
“Non siamo spie!” aveva ribattuto indignato. “Siamo venuti a salutare Kurt!”.
L’aria imbronciata si affievolì appena scorse Mercedes e la riconobbe: sollevò la mano e l’agitò allegramente per salutarla.
Ignorando gli sguardi sospettosi di Rachel – evidentemente stava risparmiando la voce per il momento cruciale – si era alzato rapidamente per abbracciarli entrambi con foga.
“Disturbiamo?” sulla soglia, apparve Blaine che sembrò irradiarli tutti con un sorriso e lo sguardo ambrato che si posava su alcuni di loro che, riconoscendolo dall’ultimo incontro, lo accolsero con maggiore complicità.
“Certo che no” aveva risposto, Rachel, improvvisamente arrossita, lasciando cadere la spazzola per poi rivolgergli il suo sorriso più accattivante.
“A meno che il tuo orto di patate non abbia qualche cetriolo, non gli interessi, nasona” commentò Santana distrattamente mentre sistemava le pieghe del vestito e studiava il proprio riflesso da più angolazioni.
“E’ vegetariano?” chiese Brittany, alle sue spalle, sbattendo le palpebre: il mascara tra le dita che Kurt avrebbe dovuto sottrarle prima che combinasse qualche pasticcio.
“Davvero, Blaine?” fu la replica di Jeff. “Non lo sapevo”.
Kurt rise, la prima vera risata da quel giorno mentre Blaine scuoteva bonariamente il capo ma si volse all’amico per abbracciarlo a sua volta.
“Ho in mente qualche battuta sui gay” evidentemente Santana doveva essersi specchiata abbastanza da comprendere fosse favolosa, perché estrasse la sua proverbiale agenda ma fu Sam a riscuoterla facendo cenno di evitare e trattenendola a sé.
Kurt fece cenno ai tre di seguirlo ed uscì insieme a loro: non fu sorpreso del fatto che non indossassero alcun costume. Conosceva bene, infatti, le tradizioni della Dalton. Quel giorno, se fosse stato ancora tra loro, avrebbe potuto risparmiarsi i patemi d’animo o le irritazioni cutanee procurate dagli abiti cuciti alla meno peggio dai membri delle Nuove Direzioni.
“E’ bello rivedervi” aveva sussurrato, infine, Kurt, una volta che furono soli.
“Non potevamo certo sederci in platea senza farti gli auguri” fu la replica di Blaine e gli altri due annuirono prontamente, lo stesso sorriso caloroso prima che Jeff si rivolgesse al suo inseparabile amico.
“Ma tanto vinceremo noi, vero Nick, vero?” lo stava strattonando per il braccio come un bambino che voleva convincere il genitore a portarlo al luna park ma quest’ultimo gli sorrise con la consueta dolcezza.
“Noi faremo comunque il tifo per te” rispose, osservando l’ex compagno di camera.
Kurt sospirò.
“Siete davvero molto dolci” era qualcosa di struggente e meraviglioso come riuscissero a commuoverlo con così pochi gesti che riuscivano ad entrargli nel cuore come una tenera promessa che quei tempi non sarebbero stati messi da parte.
“E tu, come stai?” aveva chiesto Blaine in tono più sussurrato e poteva essere certo che non fosse una domanda di proforma, visto come lo stava scrutando attentamente, quasi volendo cogliere anche qualcosa di non detto, consapevole che quella non proclamata era la vera risposta.
“Sto bene” sussurrò ma né Nick né Blaine sembrarono convinti: il primo poteva anche basarsi sul racconto di quell’incontro con Sebastian. C’era di buono che, da allora, il giovane non aveva smesso di uscire ma riusciva a tornare autonomamente (e sobrio!) e il suo impegno nel canto non era mai mancato.
“Dagli tempo” lo esortò Blaine, senza bisogno di altre specificazioni. “Il solo alludere a te lo fa imbronciare” spiegò ma Kurt non ne incrociò lo sguardo: un nervo vibrò sulla sua mascella ma strinse le braccia al petto.
“Sebastian può avere tutto il tempo che vuole: la mia fuga ha deciso per entrambi e lui lo sa benissimo” cercò di dire con voce ferma e sicura, quasi persino altezzosa nel nascondere il suo reale stato d’animo.
Vide Blaine e Nick scambiarsi uno sguardo – non è che parlavano di lui e di Sebastian nel tempo libero? – ma prima che Kurt potesse interrogarli al riguardo, fu annunciato il turno delle Nuove Direzioni.
“Buona fortuna, Kurt!” esclamarono di nuovo i tre cingendolo uno alla volta prima di sorridere anche agli altri membri delle Nuove Direzioni ai quali Kurt si unì.
 
~
 
La loro esibizione sarebbe stata completamente atipica nel panorama musicale di quella competizione: soprattutto l’avvalersi della decisione di esibirsi con canzoni che erano state scritte dai membri stessi. Seppur probabilmente si sarebbe pentito di non aver potuto ascoltare la performance in classe di “Trouty Mouth[2]”; mentre osservava Rachel, sola, al centro del palco, non avrebbe mai immaginato che dalle sue emozioni e dai suoi deliri potesse comporre un brano di simile delicatezza ed intensità. Soprattutto, lo aveva considerato con occhi lucidi, non credeva avrebbe potuto scorgere in ella qualcosa di vagamente simile al suo stato d’animo: la sensazione di star toccando il fondo e che, qualunque cosa avesse fatto, avrebbe soltanto potuto sbagliare e cadere nel baratro, perdendo ogni cosa.
Prima di tutto se stessi.
 
Cosa puoi fare quando il tuo meglio non è abbastanza?[3]
E qualunque cosa tocchi si rompe?
Perché le mie migliori intenzioni fanno solo guai,
voglio solo aggiustare le cose in qualche modo.
Ma quanti tentativi occorreranno?
Quanti tentativi occorreranno prima di fare la cosa giusta?
 
Soprattutto, si domandava, avrebbero avuto l’occasione di rimediare ai loro errori? Oppure essi li avrebbero annientati giorno dopo giorno, con la consapevolezza di essere gli unici responsabili del crollo del loro castello di carta. Ci sarebbe stata l’occasione di una riparazione? Di riconciliarsi con se stessi, anche dopo aver preso atto che tutto stesse cambiando e che persino le paure e l’indecisione erano risposte concrete a qualcosa di molto più vasto. Qualcosa da cui continuare a fuggire.
Ma, dopotutto, soltanto quando si cadeva e si perdeva tutto quanto, si aveva la possibilità di rimettersi in piedi: ricucire i propri sogni con o senza chi li aveva concretizzati. Con o senza il proprio orgoglio ma soltanto mettendosi di fronte al proprio bisogno.
 
Allora solleverò i pugni, colpirò l’aria.
E accetterò la verità: la vita non è sempre giusta.
Sì, esprimerò un desiderio, farò una preghiera
e alla fine qualcuno capirà quanto mi importa.
 
Aveva dovuto asciugare gli occhi ma si era unito agli applausi scroscianti della platea, prima che calasse il silenzio. Notò solo distrattamente Mr Shue invitarli a prendere posto sul palco mentre la musica che li accompagnava era di tutt’altro genere, pronti a coinvolgere gli spettatori: se prima erano le emozioni che venivano scosse, quel brano avrebbe dovuto puntare sull’energia e sulla coesione di gruppo. Sulla fierezza di essere se stessi ed essere accettati in virtù di questo.[4]
Soltanto allora aveva scorto la distesa dei Warblers che seguivano l’esibizione, alcuni persino muniti di gadget sportivi per un vero e proprio tifo da stadio.  Ben presto si levarono tutti, coinvolti dalla musica a ballare insieme alle Nuove Direzioni e gran parte del pubblico. Quasi tutti: Sebastian, al centro della fila, accanto a Blaine, levò uno sguardo infastidito ai compagni ma non si mosse e neppure incrociò mai il suo sguardo.
L’unico che sembrava completamente estraneo ed indifferente alla situazione; l’unico del quale avrebbe disperato un qualsiasi gesto.
Probabilmente non gli avrebbe concesso la possibilità di scusarsi realmente o di ammettere di fronte a lui il proprio rincrescimento e probabilmente sarebbe stato l’equo prezzo da pagare, una sorta di compensazione di ciò che aveva innescato lui stesso.
Probabilmente sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero incrociati e forse non aveva più neppure diritto di replica. Ma forse ciò era soltanto uno stimolo a non arrendersi perché prima o poi avrebbe potuto fare la cosa giusta.
 
~
 
Le Nuove Direzioni presero posto in platea, laddove poco prima sedevano i Warblers: la soddisfazione ancora aleggiava su tutti i membri, soltanto Kurt si sentiva come estraneo a tutta quella situazione, quasi la stesse ancora osservando dall’esterno. Mai si era sentito così poco parte dello spirito di gruppo, così indifferente a qualunque fosse stato l’esito della competizione.
Applaudirono tutti educatamente quando Blaine, di fronte al coro, prese parola con il microfono per presentare il loro numero: in qualità di Capitano fu suo il primo assolo in una straordinaria cover dei Queen “Don’t Stop Me Now” nella quale diede sfoggio delle sue straordinarie qualità di cantante e di pianista, mentre il gruppo si esibiva in una coreografia ben abbinata al ritmo coinvolgente. All’ammirazione degli avversari si mescolava la soggezione, confermando il sospetto: erano proprio i giovani della Dalton ad essere il nemico con cui competere per l’assegnazione del titolo.
Seppur si fosse alzato a sua volta, Kurt non riuscì a lasciarsi completamente avvincere dall’energia del brano: aveva osservato gli sguardi di Nick e Jeff e la serenità con cui sembravano far riferimento l’uno all’altro, persino in quel momento; fu piacevolmente avvinto dalla scioltezza dei movimenti di Sebastian che guidava la coreografia come un leader naturale ed affermato che si era presto avvalso della stima di tutti gli altri ed era evidente tale sintonia a rendere il tutto ancora più perfetto.
Quando il silenzio scese nuovamente, dopo una fragorosa standing ovation, i Warblers si disposero nuovamente ordinati e in riga ma Blaine rimase seduto al pianoforte e si sporse al microfono.
“Il secondo brano è stato scelto dal mio co-capitano, Sebastian Smythe: in realtà non era previsto nella scaletta originale ma dal momento che non è assolutamente un tipo romantico-“. ammiccò verso il pubblico e Sebastian, di fronte ai compagni, gli volse uno sguardo schifato.
“Sta zitto e suona” lo rimproverò aspramente di fronte al microfono e il pubblico sembrò dividersi tra il divertimento di un simile alterco poco professionale e lo stupore.
Rachel levò gli occhi al cielo, affondando nella poltroncina e incrociando le braccia al petto.
“Il solito vanesio” commentò saccente ma Kurt non la stava ascoltando: in realtà sembrava completamente alienato dalla situazione. Neppure si avvide di Brittany che si era sporta al suo orecchio, visibilmente confusa.
“Ma non si chiamava Sebastian?” aveva chiesto ingenuamente.
Seppur lui lo stesse volontariamente ignorando, lo sguardo corse allo stesso Sebastian, il cuore in tumulto e il respiro convulso: aveva la sensazione che quella stessa canzone, scelta da lui (e non avrebbe mai ringraziato abbastanza Blaine che, lo sapeva!, doveva aver pronunciato quelle parole a suo beneficio), contenesse molte risposte, alcune persino di domande che non avrebbe avuto il coraggio di proferire ad alta voce.
Attese, il respiro trattenuto al diffondersi della melodia mentre, ordinatamente, i compagni di corso abbandonavano la platea.
 
In un giorno come oggi
ti ho guardato e
e ho visto qualcosa accadere:
tu fissavi il cielo[5].
 
La voce di Sebastian era vellutata, quasi una carezza sussurrata alla brezza estiva: non avrebbe mai immaginato che nel canto potesse esprimere una tale dolcezza in versi, qualcosa che sembrava andare ben oltre la sua apparenza tracotante ed arrogante. Ma era probabilmente l’incanto della musica nel lasciar emergere anche sfumature altrimenti oscurate e Sebastian non faceva eccezione. Avrebbe voluto socchiudere gli occhi e lasciare che la melodia e il brano parlassero per lui ma la verità che non avrebbe mai voluto perdersi qualcosa di quel momento o del giovane.
Se era vero che il canto era, da sempre, un modo di esprimere il proprio stato d’animo, la sola scelta della canzone sembrava dire ciò che non gli avrebbe mai sentito pronunciare a voce.
Si sporse quasi dalla poltroncina, persino Rachel sembrò non trovare una critica: almeno per i primi cinquanta secondi della sua performance.
 
Ho visto che eri stufo
dei miei malumori.
Se solo sapessi come mi sento,
mi piacerebbe davvero dirtelo.
 
Non sapeva cosa fosse: l’intensità del brano o la voce di Sebastian in quei pochi versi che sembravano esprimere un reale dolore e una mancanza. Sentì gli occhi farsi più lucidi e disperò che Sebastian aprisse i propri e potesse davvero contemplarlo in quel momento, schiudergli il cuore ancora più di quanto non stesse rischiando di fare in quel momento.
Disperando non solo di trovare le parole di Sebastian ma persino una parte di sé, perché -  e questo era stato assurdamente chiaro in quel momento – nessuno aveva mai capito qualcosa di loro o di se stesso, più di quanto Sebastian era stato in grado per tutta la sua permanenza alla Dalton.
Non erano mai state le sue parole pronunciate ma gesti e sguardi, quel non detto e quel segreto: non un bacio sotto il vischio ma molto, molto di più.
 
Ma sembra che non sia mai riuscito a dire
le cose che avevo bisogno di dire.
In un giorno come oggi,
altre parole non funzionerebbero.
 
 
Non stava cantando per la competizione e forse neppure cercando un perdono o un pretesto ma era forse la parte più difficile: l’accettazione di se stessi, qualcosa con cui lui stesso continuava a scontarsi giorno dopo giorno.
Aveva gli occhi lucidi e neppure cercava di nascondere le lacrime che scivolavano lungo il volto, neppure osservò il sorriso di incoraggiamento di Blaine, lasciò che quel dolore sordo trovasse espressione, sentendolo più vicino che mai malgrado fossero separati. Sentendo che quel momento fosse soltanto loro e quel brano fosse un’espressione di loro stessi, qualcosa che li avrebbe uniti da quel momento in poi, persino se le loro strade non si fossero più incrociate.
Ignorò la stretta della mano di Mercedes e gli sguardi preoccupati o confusi degli altri membri delle Nuove Direzioni: sentì il respiro venir meno quando, agli ultimi versi, sottolineati dalle note di Blaine, Sebastian finalmente schiuse gli occhi e lasciò andare le ultime parole in un sussurro velato. In uno sguardo che si perse in un punto indefinito, senza tuttavia incrociare il proprio.
 
Non riesco a trovare le parole da dire.
E non so perché.
 
Una resa forse, un ultimo addio e Kurt non attese che gli applausi riempissero la sala e tutti si levassero ad esprimere il loro favore. Si mise in piedi, profittò della confusione per uscire dalla propria fila, ignorando il richiamo di Mercedes ed uscì rapidamente dall’auditorium, per poi trovare rifugio nei camerini.
Si lasciò cadere lungo la parete, le ginocchia raccolte al petto: come quando da bambino ancora cercava un anelito della presenza della madre, nascondendosi anche per ore intere in un armadio i cui vestiti sembravano trattenerne un’essenza. Qualcosa cui era stato difficile rinunciare quando la famiglia Hummel-Hudson si era trasferita in una casa più grande.
Si sentiva smarrito e solo, proprio come quel bambino ancora troppo piccolo e fragile per comprendere ad accettare i misteri della vita.
Non frenò più le lacrime e lasciò che anche i singhiozzi sgorgassero senza più trattenere nulla di ciò che ne metteva il cuore in simile agitazione.
 
~
 
Non seppe quanto tempo fosse passato: se fu questione di pochi istanti nei quali nessuno avrebbe potuto avvedersi o qualcosa di prolungato. In quel momento, non sentiva di aver forza per far altro che lasciar sfogare quella sofferenza e lasciare che lo annientasse nel profondo: c’era qualcosa di quasi consolante nel sentire il cuore frantumarsi. Sembrava un ottimo pretesto per restare immobile a raccogliere i cocci della propria autostima e del proprio autocontrollo e lasciare che semplicemente tutto gli gravasse addosso, senza opporre resistenza.
Neppure si era avveduto del padre che, l’espressione preoccupata e le braccia incrociate al petto, si era appoggiato allo stipite della porta: aveva notato soltanto distrattamente che quel giorno aveva rinunciato alle sue camicie da taglialegna e i terribili berretti ma indossava quello che sembrava uno smoking completamente nuovo, sicuramente era stata premura di Carole che quel giorno fosse elegante per sostenere i figli.
“Quindi è lui” non sembrava una domanda ma quando Kurt, gli occhi arrossati, levò lo sguardo ed annuì, sospirò quasi con fare affranto ma consapevole.
Si era passato una mano sul capo, in un gesto che Kurt gli vedeva fare molto spesso quasi lo aiutasse a trovare le giuste parole da esprimere.
Era entrato nella stanza, e si era fermato di fronte a lui, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e cercò di abbozzare un sorriso appena più ironico.
“Certo, Brillantina è tutta un’altra storia” esordì quasi volesse smorzare la tensione o riuscire, in qualche modo, a lenire quel dolore o persino permettere che il figlio potesse tornare in sé e reagire. Aveva sospirato, appoggiandosi con la schiena alla stessa parete lungo la quale Kurt si era lasciato scivolare al pavimento e rilasciò l’ennesimo sospiro prima di guardarlo attentamente.
“Ma se quella canzone era per te, credo tu abbia tutte le risposte che non ti ha dato di persona” la sua voce era limpida e stava asserendo quelle parole come altre verità nascoste che Kurt non aveva ancora passato al vaglio, non nel modo giusto.
“Ora sta a te a decidere”.
Seguì un lungo silenzio ma quelle parole, per qualche motivo, probabilmente non furono neppure impregnate di conforto. Al contrario, ancora una volta Kurt sentiva che tutte le responsabilità gravavano sulle sue spalle ed era meno che mai propenso a prendere la situazione tra le mani ed agire. Sarebbe stato tutto molto più semplice se, ancora una volta, fosse stato Sebastian a prendere l’iniziativa.
Lo avrebbe lasciato fare quella volta?
Aveva scosso il capo nell’incrociare lo sguardo del padre, scostando le lacrime dalla guancia ma parlò nuovamente con voce gutturale e tremula.
“Ho rovinato tutto” asserì come se ciò fosse un dato di fatto che avrebbe condizionato qualsivoglia tentativo di cambiare le cose, se non decidere, infine, di arrendersi a ciò che stava accadendo e accettarlo completamente.
“Allora non hai nulla da perdere” fu la pronta replica di Burt che, ancora una volta, non si lasciava condizionare dal suo atteggiamento di resa o di timore ma volgeva i suoi consigli ad una soluzione concreta, perché si avviasse ad essere l’uomo che riusciva ad intravedere persino nelle sue fragilità. Soprattutto quel timore di essere realmente amato e di imparare ad amare qualcuno che non fosse il suo convenzionale sogno.
“Non mi sembra ti abbia dedicato una canzone d’odio come quella biondina country che ha vinto tutti quei non-ricordo-cosa dopo esser stata scaricata”.
Kurt aveva sbattuto le palpebre.
“Stai parlando di Taylor Swift, per caso[6]?” un vago sorriso ironico nel potersi concentrare su quel mero dettaglio quasi a tergiversare anziché agire e Burt si limitò a scrollare le spalle, evidentemente disinteressato alla questione di per sé.
“Fa davvero differenza, figliolo?” sembrava che gli stesse chiedendo ben altro a giudicare dallo sguardo d’intesa che corse tra i due: come sempre non erano importanti soltanto le parole che venivano effettivamente pronunciate perché si comprendessero. Vi era ben altro.
Kurt si strinse nelle spalle, sollevandosi lentamente.
“Cercavo di prendere tempo” ammise, una mano che corse a sfiorarsi i capelli e ravviarli nervosamente ma Burt gli appoggiò la mano sulla spalla e lo guardò dritto negli occhi.
“Ne hai avuto, Kurt, e io credo che tu sappia perfettamente cosa devi fare” non avrebbe potuto mai mentirgli mentre lo guardava negli occhi e con tale serietà e preoccupazione, ancora una volta resosi conto di quanto quel pilastro nella sua vita fosse fondamentale alla sua serenità. Di quanto non avrebbe mai potuto rinunciare a quella presenza, per quanto potesse lottare con il mondo per realizzare i suoi sogni più ambiziosi o trovare l’amore della sua vita.
Aveva annuito ma ciò non sembrava, tuttavia, essere ancora sufficiente perché si morsicò il labbro inferiore.
“Ho paura” sussurrò e per un istante parve lo stesso bambino che correva tra i corridoi bui della propria camera, cercando il padre e facendolo accorrere alla prima minaccia di un presunto mostro che gli impedisse di dormire. E poco importasse che si improvvisasse ghostbuster o un cacciatore di alieni o creature fantasy, quasi sempre il suo abbraccio era l’unica consolazione o il saperlo vicino fin quando non si sarebbe addormentato.
“Non sparirà” convenne in tutta sincerità, stringendogli maggiormente la spalla. “Ma la tua vita continuerà a scorrerti accanto, se tu non la dirigerai, Kurt.
Realizza la tua favola o creane una a vostra misura. Ma basta nascondersi e-“.
“Basta segreti”
Terminò Kurt per lui: per quanto sembrasse concentrarsi sulle sue parole, su quell’ultimo e prezioso consiglio; in quel momento sembrò giungere lui stesso ad una conclusione, dopo aver rivalutato tutto ciò che era accaduto, quando tutto era iniziato.
Quando il segreto non era stata l’arma di Sebastian per ricattarlo e piegarlo al suo volere, ma un’estenuante tortura con la quale aveva quasi rinunciato alla sua libertà d’amare.
Burt lo scrutò a lungo ma sospirò, il viso inclinato di un lato.
“Non sono tanto sicuro di voler conoscere i retroscena senza la mia poltrona o una tequila” affermò e, malgrado tutto, Kurt emise una risata ma si sporse a stringerlo e affondò per un lungo istante contro la sua spalla sulla quale aveva trovato conforto più volte.
Indugiò in quel momento, quasi quello necessario a raccogliere coraggio e determinazione, sorridendo quando le braccia del padre lo trattennero con fermezza.
“Grazie papà”.
Gli aveva sorriso, Burt, ma lo scostò delicatamente da sé e ne sfiorò la guancia.
“Vai, è ora che il sipario si apra davvero”.
 
~
 
L’entusiasmo e la realizzazione della loro splendida performance era palpabile ma sembrava completamente estraneo a tutto quel sentimento di cameratismo e l’ottimismo che serpeggiava a dire che, finalmente, la Dalton Academy avrebbe avuto il riconoscimento che meritava. Certo, l’iniziativa del McKinley non era stata indifferente e aveva ammesso lui stesso che la mossa era parsa strategica ma avrebbe potuto giurare di esser riuscito a catturare l’attenzione generale e che quel pezzo più malinconico fosse riuscito a incantare la platea, soprattutto dopo un’esibizione molto più frizzante come quella di Blaine.
Si era imposto di riflettere in quei termini: presto avrebbero proclamato la scuola vincitrice, a quel punto avrebbe lasciato quell’auditorium e tutto sarebbe finito; strinse le mani nei pugni nascosti dentro le tasche del blazer.
Non avrebbero avuto reale bisogno di camerini non avendo costumi di scena ma aveva comunque desiderato ritirarsi per quegli istanti prima di essere chiamati per conoscere il verdetto dei giudici.
Soltanto il tempo necessario per tornare ad essere completamente se stesso, quasi avendo parvenza di aver lasciato andare molto, troppo di sé, con quel brano.
Varcò la soglia della stanza ma lì rimase con occhi sgranati nello scorgere quella familiare fisionomia: Kurt Hummel era seduto sulla panchina e sollevò gli occhi cerulei quando sentì lo scalpiccio di passi. Appariva nervoso: gli occhi erano arrossati e gonfi a testimoniare un recente pianto e sembrò immobilizzarlo con lo sguardo, quasi disperando, forse, di poter scorgere qualcosa che lo incoraggiasse ad alzarsi.
Si limitò ad attraversare la stanza e volgergli le spalle per raccogliere la propria borsa: lo sentì mettersi in piedi ma quel silenzio che seguì lo fece soltanto ulteriormente incupire. Poteva immaginarlo fermo alle proprie spalle, nell’atto di morsicarsi il labbro e scrutarne le scapole, probabilmente necessitando di qualche parola gentile o un incoraggiamento.
Sorrise ironico tra sé, tergiversando con la propria borsa prima di gettargli appena un’occhiata con la coda dell’occhio. Scrollò le spalle con finta indifferenza.
“Se credi che te l’abbia dedicata, potrei offendermi” esordì e non si sarebbe sorpreso di sentirlo trasalire o di percepirne il verso di sorpresa o persino imbarazzo. Quando così non fu, aggrottò le sopracciglia ma continuò a parlare con tono volutamente indifferente.
“Non sono io a cantare jingle pubblicitari nei cortili delle scuole pubbliche” una frecciatina volta ai metodi di dichiarazione poco convenzionali di Blaine Anderson, qualcosa che probabilmente gli avrebbe fatto sciogliere il cuore. Qualcosa che testimoniasse come fosse proprio lui, il suo tipo ideale. Quello da cui avrebbe voluto essere ricambiato, quello da cui avrebbe atteso una reale dichiarazione degna di una scena da musical strappalacrime.
Non sembrava ascoltarlo, Kurt, tanto che, di fronte a quel silenzio prolungato, si volse ad osservarlo: lasciò cadere lo zaino con pacata indifferenza e affondò le mani nelle tasche del blazer, le sopracciglia inarcate.
Fu allora che sembrò notare che il giovane che aveva di fronte era lo stesso che aveva abbandonato fuori dalla Dalton dopo quelle parole ingloriose, lo stesso che era schizzato fuori dall’auditorium in quella che appariva una femminea crisi di pianto; ma, al contempo, diverso nell’intensità di quello sguardo con cui sembrò letteralmente fermarlo sul posto.
Quasi impedendogli di compiere un’ulteriore mossa o di schernirlo, adesso che lo stava guardando dritto negli occhi.
Quasi comprendesse, persino in quel silenzio, che tutto stesse cambiando e si rendesse conto che non aveva davvero preventivato quel momento.
“I segreti sono fatti per essere svelati”.
Aveva sussurrato, infine, e lentamente il viso sembrò illuminarsi per il sorriso che ne fece distendere i lineamenti di porcellana, nello sfolgorio che ne attraversò le iridi mentre compiva un passo in avanti.
Trattenne il respiro, Sebastian, apparentemente indifferente ma lasciò che Kurt si avvicinasse e non sembrò trovare una risposta. Non una immediata almeno.
Forse un altro segreto era l’insperata attesa che pronunciasse quelle parole.
 
 
 
Lo so, questo capitolo è forse il più breve (ma la revisione è stata infernale °-°) e la conclusione è stata sadica da parte mia, ma mi farò perdonare con il prossimo, è una promessa ;)
Intanto, giusto per stare in tema, qualche piccola anticipazione:

 
[Nel prossimo capitolo]
  “In realtà… è una lunga storia” “…condita di sfumature thriller”.
“Hai ben appreso, mio Padawan” “Che l’amore sia con voi, ora e sempre”.
“Non sono mai stato così felice e ho paura di rovinare tutto”.

Non mi resta che augurarvi un buon weekend, appuntamento a Venerdì 3 Maggio.
Un abbraccio a tutti,

Kiki87


[1] Per ascoltare il brano: qui
[2] Per chi non lo ricordasse, si tratta della canzone che Santana aveva scritto in “onore” di Sam: “Bocca di Trota” in quanto in questo periodo si frequentavano (My Samtana Feelings ;____;).
[3] Traduzione di alcuni versi della canzone originale: “Get It Right”.
[4] Promemoria: il secondo brano originale era “Loser Like Me”.
[5] So di aver espresso più volte il mio favore per questo gruppo ma vi consiglio caldamente l’ascolto di questo brano, tra i più delicati e suggestivi della discografia dei Keane.
“On a Day like today”.
Per ascoltarlo e vedere il testo originale: qui
[6] Non me ne vogliano i fan della cantante ma sapete quanto Burt sia poco conoscitore del mondo dello spettacolo e cerchi sempre di sollevare Kurt anche in modo più scherzoso :P
   
 
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