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Autore: Demone    20/04/2013    6 recensioni
Questa storia è la mia versione personale di cosa hanno fatto gli Originals dopo la morte del fratello Kol. L'avevo iniziata un secolo fa e oggi l'ho finalmente finita. Non ho idea di come sia venuta ma spero che vada bene.
Dal testo: "Suo padre era morto, la madre la considerava un mostro e dalla morte, cercava solo un modo per poter porre fine alla sua vita. Fin aveva provato a farli morire tutti. Elijah non la voleva con lui. Klaus l’aveva tradita troppe volte.
E ora Kol…il suo Kol, quello che una volta si avviava a diventare un uomo, ma non perdeva di vista la sorella, lei, Rebekah. "
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elijah, Klaus, Kol, Mikaelson, Rebekah, Mikaelson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rabbia. Rabbia, odio, rabbia. Dolore. Dolore, rabbia, odio. Ferita. Una ferita sul petto.
Perché odiare sarebbe più facile.
Ma l’odio non arrivava.
Arrivava la rabbia. Il dolore. Non l’odio, e lei voleva l’odio.
L’odio totale. Rebekah Mikaelson voleva odiare la sua famiglia.
La sua famiglia era stata distrutta in tutti i modi in cui una famiglia può essere distrutta.
E ora le rimaneva il vuoto. Altri mille anni con quel dannato vuoto. Nessuno. Nessuno avrebbe ricordato dei bei momenti umani.
Momenti in cui lei era umana.
Suo padre era morto, la madre la considerava un mostro e dalla morte, cercava solo un modo per poter porre fine alla sua vita. Fin aveva provato a farli morire tutti. Elijah non la voleva con lui. Klaus l’aveva tradita troppe volte.
E ora Kol…il suo Kol, quello che una volta si avviava a diventare un uomo, ma non perdeva di vista la sorella, lei, Rebekah.
Elijah li aveva abbandonati. Il maggiore, la guida, li aveva abbandonati, miseramente. Schifato da quei bambini di circa mille anni.
Ma forse…forse l’avrebbe voluto sapere. Era anche suo fratello.
Prese il telefono, con la mano tremante, e compose il numero. Elijah rispose in fretta.
“Reb? Tutto bene? Che succede? Sai che non voglio sapere nulla delle faccende di Klaus.”
La voce era scocciate, anche se c’era una nota di amore in esse. Rebekah aveva un groppo in gola che non passava. Ricordava come l’aveva stretta quando pensavano che era morto Klaus.
Elijah sentiva la sorella respirare, dall’altra parte del telefono, ma non parlava. “Reb?” chiamò ancora. Questa volta era preoccupato. Sua sorella non avrebbe mai fatto una chiamata a vuoto come quella.
“È morto. Elijah, Kol è morto.”
La voce le tremava, la mano sul telefono era stretta così tanto da avere le nocche bianche, mentre alcune lacrime le si affacciavano prepotentemente dagli occhi. Le ricacciò indietro.
Lei, Rebekah Mikaelson, non piangeva, non si arrendeva. 
Ma quel dolore era troppo forte. La distruggeva da dentro. E le lacrime cadevano.
Il respiro di Elijah si era spezzato. Immaginava Rebekah, da sola. Forse stava con Niklaus. Lui riusciva sempre a farla stare bene, quando non la chiudeva in una bara.
Ma chi, chi aveva potuto uccidere Kol? Un originale, forse, un ibrido. Un ibrido come..Klaus.
“Rebekah, chi è stato? Klaus? Dimmi che non è stato nostro fratello….”
Disse minacciosamente. Rebekah scosse la testa, sapendo però che Elijah non poteva vederla.
“I Gilbert. Elena e Jeremy. Sono stati loro. La devo pagare. “
Sussurrò Rebekah, con le parole intrise di un odio che non aveva mai provato. La odiava. Odiava Elena, odiava Jeremy. Dovevano pagare per quello che avevano fatto. Avevano ucciso non solo Fin, ora avevano ucciso anche Kol.
I suoi fratelli…la sua famiglia.
L’unica sua parte umana in tutto quell’eternità, la sua famiglia, e quella ragazzina le stava prendendo tutto.
L’odio per lei era arrivato fin troppo presto.  
“Reb….” Sussurrò Elijah, con un tono stanco e triste. Il viso color porcellana di Rebekah si distese appena, sentendo quel nomignolo. Solo lui, Elijah, la chiamava con quel nomigliolo. Tutti gli altri la chiamavano per il nome intero, solo Klaus la chiamava Beks. Solo Elijah, invece, la chiamava Reb.
Lei chiuse gli occhi, sedendosi sul letto.
“Elijah, ho bisogno di te, qui, ora. “
Sussurrò con tristezza e dolore nella voce.
Un sospiro appena accennato. “Domani mattina mi troverai lì con te, Reb, ora riposati.”
Elijah sentì la sorella annuire e chiudere la telefonata. Pochi secondi dopo, si lasciò cadere di schiena sul letto, con i capelli sparpagliati attorno al viso, e le guance ancora umide per quelle lacrime che aveva versato quando aveva saputo della morte di suo fratello.
Suo fratello….
Ferita. Era ferita. L’avevano piantato a lei quel paletto nel cuore, non a Kol, a lei. L’avevano ferita portandole via Kol. Suo fratello.
Una ferita che perdeva sangue, ma il sangue si trasformava in lacrime che le colavano dagli occhi.
 
 
*Elijah stava disteso sul divano nel suo salone, un bicchiere di sangue in mano e della musica delicata che riempiva il salone dalla luce soffusa.
Lasciò tintinnare il ghiaccio contro le pareti di vetro, ammirando quel sottile rumore che ne usciva fuori. Bello, delicato.
Tranquillità. Era l’immagine della tranquillità.
Il viso inespressivo, se non fosse stato per quel leggero sorriso all’angolo della bocca, il sangue in mano, gli occhi chiusi come se dormisse.
Il telefono poco lontano iniziò a squillare, interrompendo quella perfezione che il tempo gli aveva brevemente donato.
Uno, due squilli, poi l’originale lo prese in mano. Diede una veloce occhiata al mittente della telefonata. Sua sorella Rebekah. Non si sentivano da quando aveva lasciato Mistyck Falls.
Suo fratello era vivo, e Rebekah era legata a lui più che chiunque altro, e lui non voleva più perdere tempo dietro a suo fratello minore che combinava solo disastri in quella casa.
Ma lui voleva bene a sua sorella.
Rispose alla telefonata, per poterle parlare.
“Reb? Tutto bene? Che succede? Sai che non voglio sapere nulla delle faccende di Klaus.”
Aspettava una risposta della sorella. Le avrebbe fatto piacere sentirla, ma non per questo non aveva dei dubbi su quella telefonata.
Forse la sorella voleva solo qualche favore da lui.
Ma quel silenzio, quello era strano. Aggrottò la fronte per un attimo.
“Reb?” chiamò di nuovo, leggermente preoccupato.
La sorella era quasi completamente invincibile, ma non per questo lui non si preoccupava per lei, e anche quel silenzio lo faceva preoccupare leggermente.
“È morto. Elijah, Kol è morto.”
La voce della sorella era inclinata, come se stesse evitando di piangere, cosa non improbabile.
Kol. Kol era morto. Suo fratello era morto. Suo fratello minore. Quello che lui avrebbe dovuto proteggere.
Aveva voglia di distruggere tutta quella casa enorme che lo circondava.
Chi? Chi aveva osato? Klaus…Klaus li aveva chiusi tutti in delle bare, ma non avrebbe mai fatto un qualcosa di simile.
Lo doveva chiedere. Doveva chiederlo a Rebekah.
“Rebekah, chi è stato? Klaus? Dimmi che non è stato nostro fratello….”
Aveva bisogno quelle parole. I pochi secondi in cui lei non rispose, gli sembrarono un’eternità.
“I Gilbert. Elena e Jeremy. Sono stati loro. La devo pagare. “
La voce piena d’odio della sorella, aumentò la sua di rabbia.
Elena e Jeremy.
E lui li aveva anche protetti! Strinse il pugno.
“Reb…”

Non sapeva neanche lui che cosa voleva dire.
“Elijah, ho bisogno di te, qui, ora. “
Lui no. Non voleva tornare. Non voleva andare via da quel posto, e soprattutto, non voleva andare a Mystick Falls, perché quello non era il suo posto, non era il luogo per lui.
Ma per Kol, per Rebekah, doveva farlo. Per loro l’avrebbe fatto.
E per Niklaus.
Lo odiava, ma anche per Klaus sarebbe tornato lì. Sospirò appena, desiderando stare già lì ad abbracciare Rebekah.
“Domani mattina mi troverai lì con te, Reb, ora riposati.”
Sussurrò, poi chiuse la telefonata.
Il tavolino fu il primo a volare via, poi toccò allo stereo, al mobile, al divano, e poi a tutto il resto. Alla fine si fermò, al centro di una stanza distrutta.
Poche ore dopo era già arrivato a Mystick Falls. Non ricordava neanche come aveva fatto ad arrivare lì, ma c’era arrivato, e ora l’avrebbero pagata.*
Davanti alla casa di Elena, quei pensieri si erano fatti troppi vividi. Il ricordo di quei momenti l’aveva bloccato sul posto. Suo fratello…
Aveva saputo da Rebekah che Klaus era stato chiuso nel salone di quella casa. Doveva entrare, ma non sapeva se ci sarebbe riuscito, senza l’invito.
Aggrottò la fronte. La casa era disabitata in quel momento, lui poteva entrare. Aprì la porta, ed entrò.
La prima cosa che colpì la sua attenzione, fu il corpo di Kol, a terra. Si avvicinò, guardando quell’insieme carbonizzato di carne, lasciato a terra come spazzatura.
Si chinò, guardandolo. Avrebbe almeno voluto poter chiudere i suoi occhi, osservare il suo viso.
Ma il fuoco aveva distrutto anche quello.
“Hanno fatto un bel lavoro, fratello.”
Elijah si girò, e guardò suo fratello. Era seduto su una poltrona, con lo sguardo puntato solo sul corpo di Kol.
Si alzò, avvicinandosi. Sembrava quasi che avrebbe potuto raggiungere Elijah e abbracciarlo.
Invece il muro lo respinse.
“Ha sofferto?”
La secca domanda di Elijah era l’unico segno del suo dolore.
Sperava di no. Sperava che era stata una morte veloce, dettata dalla pietà. Veloce, pochi secondo o anche un qualcosa di meno.
Un colpo solo, al cuore, e poi nulla più.
“Le sue urla hanno riempito tutto il vicinato. “
Sussurrò invece Klaus. Il corpo di Elijah si irrigidì, mentre la sua rabbia lo bloccò sul posto.
No, non rabbia.
Furia.
Avrebbe dato tutto per colpire qualcuno, qualcosa.
No. La calma. Doveva trovare la calma.
“Come hai potuto permetterlo, Klaus? Era tuo fratello, dovevi proteggerlo!”
La calma non esisteva, ora anche le sue parole trasudavano dolore e rabbia, mentre lo sguardo di Klaus si induriva.
“Non ho potuto fare nulla. Si era schierato contro di me, dovevo fermarlo. Avevo solo bisogno di un pugnale che nostra sorella non mi ha dato. Stavo per uccidere Elena, ma mi hanno chiusa qui.”
Sibilò appena l’ibrido.
Elijah alzò il viso dal corpo di Kol, poggiando il suo sguardo su quello del fratellastro.
Qualcosa, nelle sue parole, gli aveva fatto capire il suo dolore.
Sapeva quanto ci teneva agli ibridi, era sempre stato il suo più grande sogno, e se aveva quasi ucciso Elena voleva dire che la morte del fratello l’aveva colpito come nient’altro in quel mondo.
Fece un passo in avanti, poggiando la mano sulla spalla del fratellastro.
“Mi spiace, Nick. Sono io il maggiore, dovevo essere io a occuparmi di lui. Non è colpa tua. Sto con te.”
Gli occhi del fratello lo scrutarono a lungo, poi i suoi occhi si fecero leggermente lucidi. Mise il suo braccio sulla spalla di Elijah e annuì con un gesto secco.
“Grazie, Elijah.” Sussurrò appena.
Lo sguardo del vampiro si indurì appena, allontanandosi da Klaus, fino ad entrare nella stanza.
“Devono pagare. Hanno ucciso il nostro fratellino. “
“Si, Elijah. Pagheranno. Moriranno. “
Si guardarono. L’avrebbero fatto, davvero. Ora erano davvero uniti.
Avrebbe voluto ridere, piangere, fare qualcosa.
Aveva appena perso un fratello, e si era appena unito ad un altro suo fratello.
Quel dolore non poteva essere lenito, e di sicuro non sarebbe stato Klaus a riempirlo. Non si sarebbe mai riempito.
Kol era sempre stato il piccolino, il più giovane. Lui l’aveva sempre protetto.
Era il suo fratello preferito, non aveva problemi ad ammetterlo. E il suo corpo, a terra….
Lo sguardo di Klaus.
Si, soffrivano entrambi.
Il dolore diventava rabbia, la rabbia diventava odio. Ma l’odio non avrebbe mai riportato Kol indietro. Mai. Invece ora voleva riavere suo fratello.
Sulla guancia di Elijah, il vampiro che strappava cuori senza pensarci due volte, cadde una lunga lacrima.
 
*Aveva sbattuto Damon al muro, era debole, quasi meno di un umano, lo poteva uccidere in molle modi diversi, ma non c’era tempo. La telefonata di suo fratello era stata chiara. I Gilbert lo volevano uccidere. L’avrebbero ucciso, lo sentiva, e Kol pensava che era colpa sua. non era così, non poteva essere così.
Non poteva perdere Kol.
Nulla valeva come la sua famiglia.
Nessuna cura,nessuna resurrezione, niente. Neanche i suoi ibridi valevano come valeva la sua famiglia, la sua vera famiglia, Rebekah era stata chiara quando gliel’aveva fatto capire.
Guardò Damon negli occhi, ordinandogli di dirgli quello che sapeva, ma lui continuava a negare di non sapere nulla. Era possibile, dopotutto era stato chiuso lì dentro. In ogni caso, doveva esserne sicuro.
Lo soggiogò, sentendo la risposta negativa del vampiro.
Allora cosa stava succedendo? Lo lasciò andare, facendolo cadere su quel lurido letto, e uscì di corsa da quella casa.
Non camminava, correva. I muscoli, il suo corpo, si contraeva e si stendeva, mentre correva più veloce del vento che gli fischiava nelle orecchie, più veloce, ma non abbastanza.
Era spaventato, spaventato per suo fratello.
Lo sentì, ancora prima di arrivare. Prima di vedere quello che accadeva nella casa, prima di vedere la porta sfondata.
Le urla. Le urla di dolore di Kol. Urla che lo raggiunsero come uno schiaffo dato in pieno viso.
Urla di dolore.
Cosa stavano facendo a Kol? Il suo Kol, suo fratello.
Quello che se ora stava in pericolo era colpa sua.
Corse ancora più veloce, anche se era quasi impossibile, e raggiunse la casa dei Gilbert. La porta era stata buttata a terra. Guardò all’interno, e all’inizio non vide nulla, ma sentiva Kol gridare.
Pochi secondi dopo, lo vide.
Si aggrappò al tavolo, accasciandosi, mentre urlava dal dolore.
Vedeva il paletto che brillava per colpa delle fiamme che circondavano il corpo.
Provò ad entrare nella casa. Doveva farlo. Doveva entrare. Doveva avvicinarsi al fratello, prendere il paletto e strapparlo dalla carne. Anche a costo di bruciarsi le mani.
Suo fratello doveva essere salvato.
Non poteva farlo.
Non poteva entrare.
E suo fratello stava morendo davanti ai suoi occhi.
Un urlo, lacerante, più degli altri, poi nulla. Il corpo a terra, nell’ultima agonia della morte.
Stava per urlare anche lui. Anche Klaus stava per urlare. Sentiva la voce pronta ad uscire dalle sue labbra, mentre gli occhi gli si riempivano di rabbia e dolore.
Suo fratello. Suo fratello era morto, stava a terra, morto.
Tutto quello….tutto quello che avevano passato, tutto ciò che era successo con Kol, era svanito in quelle poche parole.
Lo riteneva colpevole.
Colpevole della sua morte.
I drink presi al Grill, le chiamate, l’incontro con lui. I secoli precedenti, gli incontri con le ragazze, le pellegrinazioni, le lunghe lettere del fratello.
Tutto finito. Morto con il fratello. Morto insieme alle urla del fratello.
Sentì le parole uscire di bocca, spinte da una rabbia così grande da non poter essere descritta. Elena e Jeremy sarebbero morti. Presto, troppo presto. Avrebbero sofferto, uccisi dalle stesse fiamme che avevano circondato il corpo del fratello.
Entrò in casa, dopo avere sentito l’invito di Jeremy, incurante della streghetta. Pochi attimi dopo era rinchiuso in quella prigione che era in realtà il salone di quella casa, e davanti a lui c’era solo il corpo del fratello. Il corpo di Kol.
Era rimasto inginocchiato, vicino alla soglia della stanza, osservando quell’ammasso di carne bruciata che era stato un membro della sua famiglia.*
 
Klaus si appoggiò al divano, con lo sguardo fisso sul corpo di Kol. Contava solo quello. Lo vedeva e il suo pensiero era diretto ad un solo punto. Kol era morto pensando che lui lo voleva tradire. Credeva che era stato lui ad ordinare che lo uccidessero, quando poi lui non l’avrebbe mai fatto.
Kol. Il suo Kol. Il suo fratellino.
Klaus voleva urlare per esprimere quella rabbia che lo riempiva da dentro, ma non lo faceva. Fissava il corpo e stava in silenzio, ricordandosi di quando erano vivi. Insieme. Una famiglia unita. Ed ora Elena e suo fratello avevano ucciso Kol. Loro. Loro due.
Non gli importava degli ibridi. Non gli importava di loro se la morte di Kol doveva rimanere impunita. Anche quella strega l’avrebbe pagata per averlo rinchiuso lì dentro.  Bonnie. Tutti. Sarebbero morti tutti. Nulla valeva quanto la sua famiglia, la sua vera famiglia.
Ripensò all’incontro con Elijah, suo fratello. Fra di loro una volta correva buon sangue, ma Katherina aveva distrutto tutto. Non lo avrebbe mai ammesso ma era uno dei motivi per cui le dava la caccia. Aveva rubato il cuore di suo fratello, mettendoglielo contro, ed ora doveva pagare. Doveva avere paura, doveva scappare fino a non sentire più le gambe, doveva continuare così per molto, molto tempo.
Ora però suo fratello l’aveva perdonato. Si erano riuniti, l’aveva capito guardandolo negli occhi. La morte di Kol li aveva riuniti. C’era un sottile filo di sarcasmo in quello che era successo. Aveva guadagnato un fratello perdendone un altro. Gli ricordava la frase di un film. Qual’era? Ah, si, Ben Hur.
“Gli dei hanno modi davvero bizzarri di divertirsi”
Sussurrò al vuoto, o forse al corpo del fratello. Già, era proprio così. In quel caso non poteva dargli più ragione. Gli dei hanno modi incomprensibili di divertirsi.
Sentì qualcuno aprire la porta. Il suo viso in un attimo diventò una maschera dura, con un sorrisetto sprezzante, mentre si versava un bicchiere di liquore.
“Allora, chi di voi è venuto a vedere come l’ibrido più potente l mondo sta passando il tempo, con il corpo del fratello davanti?”
Non poteva fargli capire quanto fosse arrabbiato, quanto la morte del fratello l’avesse colpito. Sentì un rumore di passi femminili. Ecco, ora chi sarebbe arrivato? Elena? L’assassina aveva deciso di tornare a casa? Invece dei capelli scuri della neo vampira la prima cosa che vide furono i capelli biondi della sorella. Klaus poggiò il bicchiere sul tavolino, avvicinandosi alla parete che lo bloccava lì dentro.
“Rebekah.”
Disse con la bocca secca. Non si aspettava di vedere lei, proprio lei. Avevano litigato. Lei non gli aveva voluto dare il pugnale. Pensava che non sarebbe mai venuta. Già, cosa gli assicurava che era lì per lui? C’era il corpo del fratello a terra, poteva essere venuta per lui, anzi, probabilmente era quello che era successo, era venuta per Kol.
“Niklaus.”
Il suo sguardo vagò per la stanza, fermandosi sul corpo di Kol. La sorella non si impressionava per nulla, aveva torturato vampiri e uomini nei modi più impensabili per secoli, ma la vide mentre si portava una mano sulla bocca e tentare di avvicinarsi.
“No, non farlo. Non vale la pena, Bekah.  È morto. Vieni qui.”
Rebekah si fermò per un momento e guardò Klaus. Aveva gli occhi umidi. Quante volte Klaus poteva dire di averla vista piangere? Pochissime. Sua sorella non piangeva. Si avvicinò a lui e superò quella barriera invisibile.
Solo lui la chiamava Bekah. Solo lui, Klaus, il fratello che l’aveva fatta soffrire più di tutti ma quello che non l’aveva mai abbandonata.
“Non può essere lui..non è lui, Klaus, non è Kol…non è lui…”
Sussurrò appena. Le lacrime avevano iniziato a correre sul suo viso, bagnandoglielo.
“Vieni qui.” Klaus la strinse a se e Rebekah poggiò il viso sulla sua spalla.
“Sssh, calmati Bekah. Calma. Va tutto bene”
Le accarezzò i capelli, mentre Rebekah si stringeva a lui.
“Non è lui…non è lui..”
“Ho visto il paletto affondare nel suo petto, Rebekah, è lui. Mi spiace.”
Le lacrime sul viso della sorella si fermarono per un momento e si allontanò da lui, indietreggiando fino ad arrivare contro il muro.
“È colpa mia, solo colpa mia. Ti dovevo dare quel pugnale, così Elena non avrebbe fatto nulla, non lo avrebbe ucciso.”
Klaus la afferrò per le spalle, fissando i suoi occhi in quelli della sorella.
“No, no Bekah, non è colpa tua. È stata Elena, hai detto bene, Elena e Jeremy, e loro la pagheranno. Ti fidi di me, vero? Loro la pagheranno. Lo giuro”
Rebekah annuì e si lasciò scivolare a terra. Klaus si sedette affianco a lei e Rebekah poggiò la testa sulla spalla.
“Non allontanarti”
Un timido sorriso apparve sul volto di Klaus. Rebekah era la sua sorellina, l’unica che riusciva a capirlo davvero. Le accarezzò di nuovo i capelli
“Non vado da nessuna parte, Bekah.”
  
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