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Autore: AnnalisaC    22/04/2013    0 recensioni
La Terza Luna narra la storia di Iker Bauvari, un orfano cresciuto come un servo che ritrova la sua vita diventando uno degli eroi che salveranno il mondo.
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La voce di Richard tuonava per tutta la stanza, sua moglie Patricia e i suoi due figli, Claude e Sendy, mi osservavano impietriti accanto al camino.

Che cosa avevo fatto? Non avevo che mani impiastricciate di fango, non avevo che giocato con gli animaletti del cortile, eppure, lui mi sgridava come se fossi stato il più cattivo dei bambini. Io mi rannicchiavo in un angolo del salone sperando che mi lasciasse andare, che non prendesse la sua solita cinta di cuoio. Dietro alla schiena avevo ancora i lividi della volta scorsa. Non fu così, quel maledetto se la tolse dai pantaloni e cominciò a frustarmi con tutta la forza che aveva in corpo. Il dolore è impresso ancora nella mia mente, come quello stare immobile senza forze, a piangere e a pregare.

Jodie, la cuoca, con il suo dolce fare mi raccolse dal pavimento e mi portò nella mia piccola stanza dove cercò di curarmi le ferite meglio che poteva.

Quando i Bauvari vennero a prendermi all’orfanotrofio, tutti i miei compagni mi dissero che ero fortunato e che con loro potevo essere felice perché era la famiglia più ricca di tutto il paese. Anche Nancy, la nostra tutrice, lo pensava, ma erano tutti lontani dalla verità.

Richard Bauvari era un uomo rude, violento e pensava continuamente a fare soldi. La sua azienda agricola era la più conosciuta di tutti e ogni anno fatturava milioni di euro. Se quell'uomo fosse stato buono almeno la metà di quanto possedeva, allora sì che sarei stato felice. Alla gente diceva che mi aveva adottato per fare del bene, mentre invece, ero uno schiavo perché mi faceva fare di tutto: dal dare da mangiare agli animali al lavoro nei campi, da commissioni in città a faccende domestiche. Eppure alla famiglia Bauvari non mancava il personale e non mancava la possibilità di pagare un altro stipendio, ma Richard sosteneva che lui mi dava da mangiare, una casa e dei vestiti, quindi, dovevo ricambiare con il lavoro. Mi mandava a scuola solo per fare anche i compiti di Claude e in quanto a quello che mi faceva indossare, c’era molto da dire. I vestiti che mi dava, li prendeva al mercatino dell’usato: sosteneva che ero indegno di portare gli abiti smessi del figlio.

Solo due volte all’anno mi faceva vestire con qualcosa di più decoroso e mi tagliava i capelli, quando Nancy veniva a trovarmi. Se la mia cara tutrice avesse saputo la verità sul loro modo di trattarmi, i Bauvari avrebbero sicuramente perso la mia custodia e allora quel maledetto metteva in atto la più ipocrita delle scene. Mi accarezzava la testa, mi abbracciava, mi faceva mangiare a tavola con loro trattandomi proprio come un figlio ed era anche l’unico momento in cui Claude e Sendy mi rivolgevano la parola. Io non avevo il coraggio di dire che in realtà stavo male, che quella gente mi faceva mangiare gli avanzi e che mi trattavano peggio del più umile servo. Non volevo che Nancy soffrisse, così, quando mi chiedeva come era stare lì, sorridevo ed accennavo un “bene”. Come lei, però, andava via, i miei problemi riprendevano di nuovo e da figlio adottivo della famiglia più ricca, mi ritrovavo schiavo della gente più malvagia che esisteva.

Il primo anno che trascorsi con loro, una piccola parte del futuro raccolto si perse nella gelata notturna del 27 Febbraio: una data che restò memorabile. La maggior parte dei paesi europei cadde in una morsa di freddo glaciale e il prezzo dei beni di prima necessità aumentò vertiginosamente. Tutte le aziende ortofrutticole tra la Francia e il nord Italia persero la metà dei loro beni e si temeva, per i successivi mesi, l’assenza sul mercato di molti prodotti. Inevitabilmente la gente correva a fare scorte e tutti i negozi vennero quasi assaliti dalla folla.

A Richard poco importava quello che stava avvenendo nella sua regione perché egli aveva stipulato un contratto con una grande azienda del sud Italia, la Compagnia agricola Sole, che gli rifornì il magazzino di tutti quei prodotti andati persi durante le gelate.

Negli ultimi decenni il governo della Terra stava quasi del tutto abbandonato l’interesse verso l’agricoltura del pianeta. Si preferiva stanziare fondi per le colture che si praticavano su lontani pianeti disabitati o in serre costruite su satelliti artificiali. Anche la maggior parte delle aziende manifatturiere erano ormai state traslocate fuori dal Sistema solare: si puntava a fare della Terra solo un grande centro residenziale e commerciale. Quelli come i Bauvari facevano affari perché servivano a creare una scorta in caso di problemi con il rifornimento esterno e i prodotti erano economicamente alla portata dei più deboli. In quell’anno Richard si strofinò le mani molte volte.

Io di tutte quelle cose non capivo nulla, mentre Claude, benché avesse solo otto anni come me, seguiva il padre nei suoi discorsi e giocava a fare il grande imprenditore. A me tutto ciò che interessava erano i bellissimi occhi azzurri di Sendy.

. . .

D’estate, ricordo, che trascorrevo molte ore al sole per i lavori nei campi e la mia pelle, già scura di per sé, si abbronzava ancora di più. La mia tutrice lo aveva sempre detto che ero un bel bambino, ma nonostante questo, Sendy sembrava non notarmi, mentre io non facevo che pensarla.

Un giorno, siccome lei aveva delle mani piccole, fece cadere un prezioso posacenere di cristallo e tremava come una foglia: Richard sapeva essere molto crudele anche con i figli. Non riuscivo a vederla così impaurita e quando il padre si accorse dei preziosi frammenti a terra, non esitai e mi presi tutta la colpa. Già immaginavo la dura punizione che mi aspettava e credo di non essere mai stato così tanto tempo a digiuno. Dimagrii molto e quando Nancy venne a trovarmi, Richard ebbe il coraggio di dire che io non volevo mangiare. Ci passavo sopra, mi dicevo che avevo fatto un atto di bontà e che in cielo sarei stato ricompensato, come sosteneva sempre Jodie.

Quella, però, non fu l’ultima volta che confessai una colpa non mia, da quel giorno in poi Sendy mi chiese spesso di coprirla e di coprire anche il fratello. I due giocavano sempre di nascosto perché il padre li voleva adulti già da piccoli e vietava loro tutto ciò che per un bambino era giusto fare. Allora, appena potevano, liberati per poche ore dall’autorità paterna, si scatenavano in giochi spesso pericolosi con il risultato di trovarsi sempre in qualche pasticcio. Io divenni la loro ancora di salvataggio.

Ancora oggi mi chiedo cos’era che mi spingeva a farlo, ma quando vedevo il suo viso non capivo più nulla. Sendy, invece, comprendeva molte cose e forse aveva intuito anche quello che provavo per lei; sapeva di poter ottenere da me tutto ciò che voleva. Per un suo sorriso avrei fatto di tutto ed effettivamente, quando mi sorrideva, io cadevo ai suoi piedi.

Una sera Richard aveva invitato a cena il suo socio e almeno per quella volta mi lasciò in pace, così me ne restai buono e tranquillo in cucina. Per giocare dovevo rubare proprio quei pochi minuti che egli era impegnato con il lavoro.

Mentre i grandi se ne stavano ancora a tavola, io ero seduto a terra con i soldatini che mi aveva regalato John il giardiniere e mi divertivo a far cadere i soldati da cavallo. Purtroppo a quell’epoca solo i ricchi potevano permettersi gli ultramoderni giochi elettronici e Claude ne aveva una stanza piena, solo che a me non mi ci faceva mai giocare.

Quella sera ero intento a salvare un plotone di militari minacciati da un barattolo di caffè, quando, nascosta dalla semioscurità del corridoio, vidi una bambina che mi osservava. Aveva i capelli neri, il viso bianco e delle labbra di un rosso intenso. Ci guardavamo senza parlare e io la scrutavo provando su tutto il mio corpo una strana sensazione. “Vuoi venire in giardino con me?” le chiese Sendy raggiungendola e prendendola per una mano. Lei annuì e insieme uscirono fuori. Io restai solo come sempre.

Mentre mettevo i soldati in fila sul marmo del piano cottura, Jodie e la sua aiutante Teresa andavano avanti e indietro per servire le portate ed erano arrabbiate per il troppo da fare. Quando le due donne uscirono dalla cucina per l’ennesima volta con dei piatti ricchi di sofisticati manicaretti, sentii la delicata vocina di Sendy strillare e corsi fuori lasciando a terra tutti i miei giocattoli. Temendo per la sua salute, arrivai in giardino agitato. Lei era a terra, mentre la bruna bambina era in piedi e immobile. Mi parai subito fra le due perché Sendy diceva che la sconosciuta l’aveva picchiata e io non ci vidi più dalla rabbia. Con molta violenza cominciai a spintonarla fino a farla cadere; la piccola pianse attirando l’attenzione dei grandi. Come al solito diedero la colpa a me e per cinque notti di seguito dormii nella stalla. A me non pesava quella punizione perché avevo salvato Sendy e credevo di passare ai suoi occhi come un eroe. A volte sembrava così, a volte no, dovevo capirlo da solo perché lei non parlava molto, trascorreva ore in silenzio a guardare il giardino o chiusa in camera a giocare. Allora non capivo perché tutte le volte che giocava con le sue bamboline, si chiudeva sempre a chiave.

All’età di dieci anni conobbi la gelosia. Sendy ne aveva nove, ma cominciò a frequentare, di nascosto dai genitori, ragazzi più grandi di lei. Si soffermava ore a chiacchierare con loro e io la spiavo innervosendomi per quell’atteggiamento da donna vissuta.

Cominciai così ad odiare tutti i ragazzi e a chiudermi sempre più in me stesso. Coltivavo un profondo odio, ma non per lei, per la mia vita, mentre, Richard continuava a trattarmi come un servo facendo crescere in me anche la rabbia.

Per Patricia, invece, io non esistevo, si ricordava di me solo quando doveva rimproverarmi. Spesso mi afferrava con le sue gelide mani e mi sbatteva verso il muro; io cadevo e per ogni botta che prendevo, credevo sempre più che al mondo ci fosse solo cattiveria. Se non era per Jodie che ogni sera mi leggeva il Vangelo, sarei sicuramente diventato un cattivo ragazzo.

. . .

Negli anni seguenti per me la situazione non cambiò di molto. I Bauvari m’iscrissero alla scuola superiore, ma solo per continuare ad aiutare Claude nei compiti. I suoi genitori lo avevano sempre saputo che aveva scarse capacità di apprendimento.

Un giorno rivelai al mio amico Meth che avevo intenzione di scappare, ma lui mi ricordò che non avevo di che vivere e che almeno così avrei potuto diplomarmi: cosa rara a quei tempi.

I figli di Richard erano sempre vestiti elegantemente, io dovevo arrangiarmi con un paio di jeans ed una maglietta. C’era una cosa, però, che mi dava tanta soddisfazione, riscuotevo fra le ragazze della scuola più attenzioni di Claude.

Sendy, intanto, era diventata ancora più bella; il suo fisico snello, le sue mani affusolate e il suo viso dai dolci lineamenti mi offuscavano la mente. L'amavo. Purtroppo il fratello aveva capito qualcosa e s’era posto a guardia della sorella; non lasciava che mi avvicinassi, anche durante il tragitto verso la scuola. La scena era sempre la stessa: loro due avanti e io dietro da solo come un lebbroso.

Claude non era tanto bello, i suoi occhi erano piccoli e troppo ravvicinati, il naso deviava verso sinistra e i suoi capelli erano sottili e pochi. Io, invece, avevo una folta capigliatura castana, gli occhi neri ed un viso perfetto. Grazie ai tanti lavori che facevo fin da piccolo, avevo anche un fisico allenato ed ebbi molte fidanzate, mentre lui neanche una. Oggi ricordo ancora qualche nome, Maria, Celestina, Valérie… Tutte belle, ma io stavo con loro solo per far ingelosire Sendy e forse ci riuscii anche perché un giorno lei venne da me.

Ero nella stalla a dar da mangiare ai cavalli, la figlia di Richard aveva ancora indosso la divisa della scuola; si avvicinò a me guardandomi con occhi languidi. Io sudavo e pensavo che finalmente si era accorta di me, poi lei con un tocco leggero mi accarezzò il petto e facemmo l’amore senza neanche parlare. Fu il momento più bello della mia vita.

Mentre la baciavo, mentre dolcemente accarezzavo i biondi capelli, pensavo che avevo fatto bene a resistere, a restare in quella maledetta casa. Ogni passata pena spariva al contatto delle sue labbra con il mio corpo.

Nei giorni seguenti vidi che Sendy continuava a non rivolgermi la parola e se ne stava a metri di distanza da me. Io pensavo che forse si vergognava perché la sua famiglia, cattolica praticante, le aveva sempre imposto un matrimonio in bianco e adesso lei aveva “sbagliato”, era caduta nel peccato.

Io comprendevo il suo stato d’animo e me ne stavo in disparte promettendomi di sposarla, ma una sera decisi di rassicurarla dicendole che tutto il mio amore era solo per lei. Ruppi così quel muro di silenzi che c’era fra noi e le chiesi se stava bene; Sendy con una voce flebile m’invitò a seguirla e andammo nel fienile. “Cosa vuole da me?” mi chiedevo” Solo sesso?”. Quella sera, però, non c’eravamo solo noi, ma anche il fratello con altre ragazze accanto ad un fuoco. Le prime parole di Claude furono: “Allora, amico, ce la spassiamo?”.

Non so cosa mi prese; era per amore nei confronti di Sendy? Perché non volevo diventare oggetto di scherno? Non lo so ancora, resta comunque il fatto che accettai. Quella sera, alla luce del fuoco, feci l’amore molte volte sia con Sendy che con le altre ragazze e anche lei.

La mattina seguente ero distrutto nel corpo e nell’anima.

Purtroppo il fienile s’incendiò e ancora una volta, per non dare dispiacere alla mia amata, mi presi tutta la colpa. La punizione di Richard fu devastante! Per una settimana intera dovetti fare il lavoro di tre uomini e a quei due non venne neanche in mente l’idea di darmi una mano, anzi, seppi da Meth che essi continuarono con le loro attività amorose in varie case.

Mi guardavo allo specchio e mi dicevo di essere uno stupido. A darmi fastidio non era tanto il fatto che agli occhi del paese Sendy e Claude erano i più timorosi di Dio, ma la facilità con cui essi entravano in chiesa come le più candide delle creature. Io non dico che quella notte nel fienile non me la passai bene, solo che per un mese non riuscii ad andare a messa, neanche per le prove con il coro. Oggi ho compreso che a dispiacermi fu l’aver messo me stesso in quella situazione solo per compiacere lei. Sandy utilizzò il nostro incontro d’amore come un’arma per ottenere da me tutto quello che voleva e con suo fratello mi comandava sotto la continua minaccia di “Altrimenti dirò a mio padre che hai abusato di me!”.

Inizialmente quelle parole mi tenevano buono, ma poi, quando lei ripeté per l’ennesima volta quella frase, vidi i suoi occhi azzurri diventare improvvisamente neri come il più oscuro degli abissi e pensai finalmente di andare via.

Scappare, sparire era l’unica alternativa ed avevo terminato anche gli studi, ma fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e feci e disfeci la mia borsa molte volte. Quando uscivo di casa e facevo il primo passo, vedevo davanti a me il vuoto e quel vuoto mi faceva ritornare indietro.

Una notte stavo seduto su un grosso masso ad osservare le stelle, le conoscevo tutte, sapevo i loro nomi, la loro distanza dalla Terra e il loro diametro. Ero sempre stato bravo a scuola, ma quella vasta conoscenza non mi faceva provare più niente. Poteva essere bello quel cielo, ma non era magico per me. Era un posto in cui l’uomo non poteva vivere senza un’adeguata strumentazione, ma mi attirava in una maniera inverosimile.

Abbassai la testa portando il mento quasi sul petto, quella posizione mi provocava una fitta dietro al collo, ma continuavo a starci. Mi chiedevo cosa ci poteva essere al di là del dolore una volta superata quell’intensa sensazione di malore.

Cosa può esserci?” mi chiesi ridendo “O passa o resta!”.

L’occasione propizia per andare via, arrivò quando la Terra subì un ennesimo attacco da parte degli alieni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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