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Autore: Morwen_Eledhwen    22/04/2013    3 recensioni
E se le cose fossero andate diversamente?
Storia ambientata durante e dopo la battaglia alla barricata, con un nuovo personaggio (che, diciamolo, ha una pesante cotta per Enjolras): Angèle, che si reca alla barricata in cerca di Éponine.
Gli si avvicinò e quella fastidiosa sensazione di inferiorità si impossessò di lei come tutte le volte in cui aveva assistito ai suoi pedanti comizi: si sentiva inutile in quella rivoluzione, inutile per il popolo francese, inutile per il povero Gavroche. Enjolras, invece, pareva un angelo portatore di salvezza.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso tantissimo per l'immenso ritardo con cui posto questo capitolo. Purtroppo non potrò più aggiornare la storia molto frequentemente, ma sappiate che continuerò ad aggiornarla. Magari bisognerà aspettare un po' di più per ogni capitolo, però spero che questo non vi spinga ad abbandonare la lettura. Chiedo perdono a tutti, farò tutto quello che potrò per non farvi attendere troppo!




VIII. When Tomorrow Comes  




Javert era immobile da alcuni minuti, seduto al tavolo del suo ufficio con il viso tra le mani ed i gomiti appoggiati sul tavolo di legno. I suoi colleghi erano stati chiamati da un altro dipartimento per una piccola mansione ed egli era completamente solo.
Stava ripensando al terribile sogno che aveva fatto quella notte: si trovava su un altissimo ponte sopra la Senna, in un punto dove essa formava una sorta di enorme vasca nella quale le acque si riversavano violentemente, scrosciando ed ululando come un mare in tempesta. Intorno a lui vi era il buio completo di una notte senza stelle. Anche le stelle che lui aveva tanto amato, che riteneva le proprie guide, l’avevano abbandonato. Poi, all’improvviso, senza riuscire ad opporre alcuna resistenza al proprio corpo, egli si era lasciato cadere in quegli abissi, per poi svegliarsi di soprassalto, coperto di sudore.
Che cosa significava un tale incubo?
Javert faticava ad ammetterlo, ma, in cuor suo, sapeva che quello strano sogno non era stato creato dalla sua mente per pura casualità, poichè, più di una volta, egli aveva pensato di porre fine a quella vita priva di senso.
Ora che Jean Valjean aveva fatto crollare quel muro di ideali, giustizia e fermezza che con tanta fatica Javert si era costruito in tanti anni di servizio, egli si sentiva vuoto ed inutile. Non sapeva più in cosa credere e non sapeva più che cosa fosse giusto e che cosa fosse sbagliato. Inoltre non era ancora riuscito a trovare quello studentello che aveva innescato la rivoluzione e capeggiato l’inutile barricata di via Chanvrerie, riuscendo perfino a scampare alla polizia, e questo contribuiva parecchio a farlo sentire un completo fallimento.
Che cosa doveva fare? Forse quel sogno gli era stato mandato dall’Alto ed egli doveva obbedire? Forse Dio voleva punirlo per le sue azioni? Javert non sapeva più cosa pensare. Ogni sua certezza, ogni sua credenza era andata in frantumi.
Mentre era immerso in questi pensieri, non si accorse della figura che fece capolino dalla porta dell’ufficio.
«Ispettore?»
Javert alzò lo sguardo e vide una donna in piedi sulla soglia. Doveva appartenere ad uno dei ceti bassi del popolo, poiché le vesti erano sicuramente di seconda mano, anche se portava sulle spalle uno scialle e sulla testa una cuffia che, risistemati con ago e filo secondo la moda del periodo, volevano farla sembrare una donna più raffinata.
«Posso entrare?»
«Certo, certo», rispose Javert ancora piuttosto confuso poiché era stato colto alla sprovvista, indicandole la sedia posta di fronte al tavolo a cui egli stesso era seduto.
«Ditemi», aggiunse, ritornando in sè ed abbandonando ogni pensiero riguardante il sogno.
Mentre la donna prendeva posto sulla sedia, egli lanciò un’occhiata alle finestre e si rese conto di essere rimasto a meditare per più di un’ora, poiché era ormai tardo pomeriggio e presto sarebbe calata la sera.
«Dunque, ispettore», iniziò la donna, e Javert notò che le mancavano alcuni denti, il che la rendeva ancora più sgradevole.
«Sono venuta a comunicarvi un fatto che forse potrebbe interessarvi.»
Javert cercò di evitare di posare lo sguardo sui denti mancanti della donna e concentrarsi su ciò che aveva da dire.
«Questa mattina stavo lavando i panni alla Senna, quando arriva una ragazza...»
Javert stava già iniziando ad annoiarsi. Probabilmente si trattava di una semplice lite tra donne. Zitelle e megere come quella non facevano altro che prendersi a botte per un nonnulla.
«...che si mette a lavare una casacca rossa.»
«E quindi...?», chiese Javert che stava già iniziando a spazientirsi.
«E non ho potuto fare a meno di notare che c’era una coccarda francese appuntata su quella casacca. Una di quelle che avevano gli studenti che hanno alzato le barricate.»
Javert aggrottò le sopracciglia, improvvisamente interessato.
«Una coccarda francese, dite?»
«Sì. Ma non solo questo: ad un certo punto siete passato voi poco lontano da lì e, non appena la ragazza vi ha visto, mi è parsa molto a disagio. Sembrava che non volesse farsi vedere da voi.»
Javert si portò una mano sul mento con fare meditabondo.
«Una casacca rossa, avete detto?», riprese Javert.
«Sì. Vedete, il mio sospetto è che la ragazza stia nascondendo il giovane studente che guidava la rivoluzione.»
«Può essere, può essere», disse Javert con il viso che, improvvisamente, si illuminava di una luce nuova.
Stava cercando di ricordare la fisionomia del ragazzo che l’aveva consegnato nelle mani di Jean Valjean perché lo facesse fuori. Forse non tutto era perduto e sarebbe riuscito a fargliela pagare, finalmente. E gli venne in mente che aveva notato, in effetti, la presenza di una ragazza, quando quel borioso studentello dai ricci biondi gli era sfuggito.
«La vostra dichiarazione è molto preziosa, signora, poiché ciò significa che il ragazzo è ancora in città. Ve ne saremo molto grati se riusciremo a prenderlo.»
«C’è dell’altro», disse la donna con un sorriso malizioso che pareva quello di una strega.
«Andate avanti», la incalzò Javert, cercando di guardare da un’altra parte.
«Fortunatamente si dà il caso che io sia una persona molto curiosa e, perciò, ho deciso di seguire la ragazza. Senza che lei mi vedesse, naturalmente.»
Javert alzò un sopracciglio, pensando: “Ecco di cosa sono capaci queste megere. Ti seguirebbero persino alla toilette per sapere i fatti tuoi”. Ma, in questo caso, ciò gli tornava utile.
«E dunque avete scoperto dove tiene nascosto il ragazzo?»
«Oh beh, non sono potuta entrare per verificare se ci fosse lo studente rivoluzionario, ma ho visto in quale casa è entrata.»
Sul viso di Javert apparve, per la prima volta dopo parecchio tempo, un sorriso compiaciuto. L’indomani sarebbe stato un gran giorno: avrebbe organizzato tutto alla perfezione per stanare la preda.
 

Enjolras era intento a sfogliare un libro che aveva trovato sotto il letto della propria stanza e che conteneva certe assurdità che riguardavano alcuni giganti scritte dal famoso autore cinquecentesco Rabelais, il cui stile risultava piuttosto lontano da quello dei saggi di diritto che leggeva di solito, ma che, allo stesso tempo, lo incuriosiva, quando all’improvviso udì alcuni rumori provenire dalle scale.
I tonfi si facevano più forti ed irregolari, perciò posò il libro sul letto e si diresse verso la porta, chiedendosi che cosa stesse combinando Madame de Lamartine e se avesse bisogno d’aiuto.
Ciò che vide quando aprì la porta, però, si rivelò piuttosto diverso, ma non del tutto inusuale. Enjolras aveva infatti visto Grantaire ubriaco più volte, ma forse mai a tale livello. Il ragazzo si stava trascinando su per le scale, ondeggiando come una bandiera esposta al vento e sbattendo ripetutamente prima contro la ringhiera e poi contro il muro, scivolando sui gradini e ritornando più volte al punto di partenza.
Sospirando, Enjolras accorse in aiuto dell’amico, afferrandogli un braccio per posarlo intorno alle proprie spalle e ponendo un proprio braccio intorno alla vita dell’altro, per sostenerlo e trascinarlo fino alla propria stanza.
«Oh sei tu, Apollo di marmo.»
«Quanto hai bevuto stavolta?! Diamine!», disse Enjolras piuttosto infastidito dall’epiteto che Grantaire gli aveva appena dato.
«Viva la Repubblica!», urlò il moro concludendo la frase con un sonoro colpo di singhiozzo.
«Shhh, taci!», gli intimò Enjolras, sperando che Madame de Lamartine non accorresse per vedere il giovane in quello stato.
«Dov’è Ang... Ange... l’angelo!»
«Se ti riferisci ad Angèle, era venuta a cercarti», gli rispose seccamente Enjolras, mentre chiudeva la porta della stanza dietro di sè e cercava di adagiare l’amico sul letto.
«Ah, ma lo so che l’hai nascosta, hic! La vuoi tutta per te»
Enjolras aggrottò le sopracciglia, lottando con Grantaire per farlo stendere sul letto.
«Che caspita stai dicendo. Cerca di dormire adesso. E non ti azzardare a vomitare.»
«Ma in fondo ha ragione lei, sai. Lo sappiamo tutti che sei il più bello tra noi. Chiedilo anche a Combeferre»
«Dormi!», ordinò Enjolras, alzando gli occhi al cielo.
«Macché dormire! Dobbiamo andare al Musain! Gli altri ci aspettano!», disse Grantaire mettendosi seduto.
Enjolras, senza dire nulla, lo spinse di nuovo giù per farlo dormire.
«Non andare senza di me...», aggiunse Grantaire con le palpebre che si abbassavano.
«Dormi», ripeté Enjolras, improvvisamente triste. Stava ripensando a tutti i compagni che, seguendo lui, erano morti alla barricata. L’avevano seguito fino alla fine.
«Sai, Apollo, Les Amis de l’ABC non sono nulla senza di te», disse Grantaire con un gran sorriso e gli occhi chiusi, sprofondando la testa nel cuscino.
Un attimo dopo stava dormendo profondamente.
Enjolras rimase seduto sul bordo del letto a pensare, con gli occhi lucidi e lo sguardo malinconico.
In quel momento la porta si aprì di scatto ed Angèle apparve sulla soglia assumendo improvvisamente un’espressione stupita.
«Ma allora è qui!», sussurrò per non svegliare Grantaire.
Enjolras annuì, poi si alzò e le andò incontro, facendole cenno di uscire dalla stanza.
La seguì e, posandole delicatamente una mano dietro la schiena, la spinse verso le scale, dicendo: «Usciamo a prendere un po’ d’aria.»
Quel tocco provocò dei piacevoli brividi lungo la spina dorsale della ragazza, che, però cercò di tornare in sè.
«Ma te la senti?»
«Sì. Non preoccuparti, non andrò in giro, voglio solo sedermi qui fuori.»
Uscirono in strada e si sedettero tutti e due sul marciapiede, incuranti della sporcizia che lo ricopriva. Era ormai calata la sera ed una fredda brezza soffiava nella via deserta.
«Era ubriaco», dichiarò Enjolras.
«Oh», disse Angèle sorpresa.
«Non è una novità. Ma ha farfugliato alcune cose... Crede che gli altri siano ancora vivi.»
Angèle lanciò un’occhiata piena di compassione verso il biondo, il quale, seduto accanto a lei, aveva lo sguardo chino sul selciato.
«Mi dispiace tanto», fu l’unica cosa che riuscì a dire. Avrebbe voluto posare una mano sulla spalla di Enjolras, ma non lo fece. Aveva paura di dargli fastidio.
Poi si ricordò del foglietto che aveva trovato alla taverna dietro la barricata e lo estrasse dalla manica per porgerlo all’altro.
Enjolras le rivolse uno sguardo interrogativo e si mise a leggere.
Angèle gli spiegò dove l’aveva trovato e gli chiese chi potesse averlo scritto.
«Non saprei, somiglia alla scrittura di Courfeyrac... O forse Prouvaire... Ma non è possibile, io li ho visti morire davanti ai miei occhi.»
«Potrebbe essere stato Grantaire?», azzardò Angèle.
«Impossibile. Riconoscerei la sua scrittura. E non penso proprio che sia capace di scrivere qualcosa del genere.»
Un vago ricordo si fece strada nella mente di Angèle.
«Hai visto morire anche Marius?»
«Uhm... Non ricordo dove fosse Pontmercy quando siamo rientrati nella taverna per cercare di salvarci.»
«Ricordi quell’uomo che non c’entrava niente con voi studenti, ma che vi stava aiutando con i feriti?»
Enjolras sembrò riflettere.
«Ah sì. Quello che disse di voler uccidere Javert ma che poi, a quanto pare, non lo fece. Perché me lo chiedi?»
«Perché io l’ho visto fuggire portandosi via Marius in spalla.»
Enjolras la guardò.
«Credi che Pontmercy sia ancora vivo?»
«Non lo so. Può essere. Non potrebbe essere la sua scrittura?», gli chiese indicando il foglietto.
«Ora che mi ci fai pensare, potrebbe. Ma non me la ricordo bene.»
Poi calò il silenzio. Una piccola scintilla di speranza si stava accendendo nelle menti dei due: senza dirlo, entrambi sapevano che l’indomani sarebbero andati in cerca di Marius, come una famiglia alla ricerca di un fratello perduto. La scoperta di un altro sopravvissuto gettava una nuova luce sui loro animi, come una nuova alba che scaccia l’oscurità di quella rivoluzione finita in tragedia.
Mentre si aggrappavano a quella speranza, la notte si faceva più fredda ed Enjolras vide Angèle rabbrividire. Senza dire una parola, si sfilò la giacca rossa che lei gli aveva lavato quella mattina e gliela avvolse intorno alle spalle.
Angèle, imbarazzata, voleva fargli sapere che non ve n’era bisogno, ma, con la coda dell’occhio, vide che il viso di lui era vicino, vicinissimo, al proprio, e le mancò il respiro. Alzò lo sguardo e per qualche attimo si ritrovò davanti due intensi occhi blu e rimase come ipnotizzata. Poi lui distolse lo sguardo e tornò ad osservare il selciato illuminato dalla luna, in silenzio.



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Ancora un enorme grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono! :)

  
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