Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Be sexy drink pepsi    25/04/2013    0 recensioni
'Ama gli altri come te stesso'
Ma se non si riesce ad amare la persona che ogni giorno si vede riflessa allo specchio, come si possono amare coloro che stanno attorno?
Lei, lei era sempre perfetta.
Lei, lei non commetteva errori.
Lei, lei gli avrebbe dimostrato che il valore di una persona non si giudica dall'altezza.
Lui, lui non era mai abbastanza.
Lui, lui era troppo piccolo.
Lui avrebbe dimostrato d'essere forte ogni giorno, abbastanza per superare tutto ciò che aveva passato e occuparsi degli altri, delle persone, delle nuove generazioni.
Ma non aveva ancora imparato ad amare, se stesso e gli altri.
E chi meglio di una professoressa per insegnarglielo?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa One-Shot è stata scritta su richiesta da una mia amica, la mia Evangeline.
Riferimenti a fatti o persone reali sono totalmente casuali.

b
I'll pay your bill

Boati imponenti rieccheggiavano per l'edificio scolastico.
Nessuno avrebbe potuto udire i battiti di un cuore accellerato che si confondevano coi tuoni, battiti che risuonavano sommessi in una classe dell' ultimo piano.
Nessuno avrebbe potuto pensare che la tempesta che emergeva negli occhi dell'uomo nella stanza non fosse il riflesso di quella tuoneggiante fuori dalla finestra, ma di una tempesta interna, una burrasca che gli divorava l'animo e avvolgeva occhi e sorriso con le sue nubi composte da ricordi che sembrano incubi e incubi fatti di ricordi.
E come tuoni rieccheggiavano da ore nella testa di quell'uomo dalla chioma sempre più rada le stesse parole:

"- ...poi oggi il professor Hernandez mi ha mandata fuori dalla classe, perché avevo chiacchierato.
Non ha un cuore, secondo me, è troppo piccolo per averne uno.
E' antipatico, arrogante e presuntuoso, non lo riesco proprio a sopportare.
Santo cielo, quell'uomo non ha mai avuto amici da ragazzo?
Ammesso che sia mai stato giovane. Non ce lo vedo, sinceramente, a stare con gli amici, con una ragazza...
Ma chi se lo sarebbe mai preso quello lì?
E' così dannatamente basso che perfino Puffetta si rifiuterebbe di stare con lui!-"


Piccolo.
Già, Thomas K. Hernandez era sempre stato troppo piccolo.
A dirla tutta, era sempre stato troppo: troppo bravo, troppo intelligente, troppo pauroso, troppo fiducioso, troppo tutto.
Essere così basso aveva modificato la sua vita, lo aveva segnato, marchiato a fuoco nell'anima.
Costantemente all'ombra di chiunque, senza mai vedere la luce del sole, senza mai emergere.
Senza mai essere notato, tranne che dalle persone sbagliate.
Invisibile agli occhi di tutti, perfino ora, solo nell'edificio decadente in cui insegnava spagnolo, nessuno lo avrebbe notato, nessuno si sarebbe interessato a quel metro e spiccioli di essere vivente nel quale corpo era costretto a vivere.
O almeno, così pensava.
Ma spesso, gli uomi s'ingannano.
In quello stesso momento, sullo stesso piano, usciva da una classe una figura dai capelli castano chiaro palesemente tiniti, le radici scure per la ricrescita, che nonostante ciò le donavano un'aria distinta.
Passò con la schiena ritta e rigida lungo il corridoio, percorrendolo a passi veloci, ormai sfinita, finché qualcosa non la spinse a fermarsi.
Un uomo che conosceva fin troppo bene stanziava nella classe davanti alla quale stava passando, vicino alla finestra, gli occhi volti verso un paesaggio che sembravano non vedere.
La donna entrò nella stanza e gli si avvicinò.
- Thomas, anche tu qui a quest'ora?- disse, curvando dolcemente all'insù  le labbra ricoperte da un rossetto rosato.
Lui alzò gli occhi, sorpreso, per poi rispondere subito con un abbozzo di un sorriso che non sarebbe potuto essere più piccolo, piccolo come lui, come si sentiva in quel momento.
Ma per un secondo, prima che egli avesse potuto ricostruire la propria maschera, l'altra aveva potuto scorgere sul suo viso un riflesso di dolore, era trasparso il male antico che lo divorava, lo aveva riconosciuto, pur non sapendo da dove venisse e quale fosse la sua natura.
- Eh, già Alexis, sai, avevo tantissimi compiti da correggere...- disse, la voce tranquilla, controllata, fin troppo allenata a non far trasparire nulla.
Ma Alexis Hope Jones non era facile da ingannare, tanto meno da distrarre quando ormai un pensiero le si era istallato nella mente.
-Thomas.- lo richiamò, con lo stesso tono fermo che usava con gli studenti particolarmente indisciplinati.
Il professor Hernandez la guardò, incuriosito da questo suo improvviso cambiamento.
-Sì?
-Che succede, Thomas? C'è qualcosa che non va?- domandò, la preoccupazione sincera che trapelava dalle sue parole.
 Lui abbassò gli occhi, incapace di sostenere quelli della collega.
-Non è niente, solamente oggi, mentre passavo per i corridoi, ho sentito per caso la conversazione di un'alunna...
Alexis continuò a fissarlo, invitandolo a continuare.
-Lei stava parlando di me. Ha detto che sono un'essere spregevole, senza cuore, che sarebbe impossibile che io ne avessi uno, perché sono troppo piccolo, basso e insignificante per poterne contenere uno. Non riesco a digerire ciò che ha detto, non è giusto, non poteva pensarlo sul serio. 
La professoressa Jones sorrise, appogiando una mano sulla sua spalla, per poi farla cadere dolcemente, passando delicatamente sul suo braccio, e ritirandola.
-Thomas, non ti devi affliggere per quello che ha detto. Sono adolescenti, non pensano a quello che dicono, anzi, non pensano e basta. Molti di loro sono perfino riusciti a tradurmi 'mus, muris' con muro invece che con topo! Insomma, hanno tante doti, ma non brillano certo per intelligenza.
Hernandez abbozzò un sorriso, lo sguardo ancora basso, scuotendo la testa nervosamente.
-Sì, ma poi ci si sono messi gli alunni con le loro occhiate omicidie che lanciano durante la lezione, i compiti da correggere, le sue parole che si rigiravano e rigiravano per la mia testa infine, come se non fosse abbastanza, è arrivata una maledettissima tempesta.
Alexis aggrottò le sopracciglia, cercando di far luce.
-La tempesta? Non capisco come possa aver influito in tutto questo. Cos'hai contro le tempeste?
Thomas rialzò improvvisamente lo sguardo, gli occhi infervorati da una luce del tutto nuova.
- Le tempeste sono troppo imponenti, incontrollabili, troppo grandi. Mi fanno sentire così dannatamente piccolo e io non voglio esserlo, non voglio essere basso, non voglio vivere in questo scriciolo di corpo dove sono disgraziatamente nato. 
-Ma, Thomas, non mi sembra un problema così grav...-cercò d'intervenire la Jones, con tono accondiscendente, venendo istantaneamente interrotta da Hernandez, che cominciò ad alzare la voce, camminando nervosamente.
-No, no, tu non capisci. Non puoi capire, sei perfetta tu. Non hai mai avuto a che fare con questi problemi.
Ma io sì. Ho passato la vita a sentirmi insicuro, sempre troppo piccolo, troppo gracile, indifeso, invisibile agli occhi di tutti, tranne a quelli delle persone sbagliate, delle persone cattive che non sanno cosa sia il rispetto. Sei mai stata circondata da rifiuti, Alexis?- chiese, per poi continuare senza nemmeno attendere una risposta.
Si sedette sulla parte laterale della scrivania, le mani appoggiate sulla superficie, come a volersi sostenere mentre il muro che si era costruito per anni crollava.
-Io sì, per ore, e ti assicuro che non è per niente divertente.
Soprattutto se ti senti dire che quello è il tuo posto, in mezzo ai rifiuti, perché anche tu lo sei, sei uno scarto, un rifiuto, alto poco più della lattina sudicia che ti è accanto, calpestato e schiacciato ancor più di essa sotto insulti e colpi di ragazzi molto più grandi di te.
E impari a fingere,  a fingere che vada tutto bene, ad amare lingue come lo spagnolo che ti permettono con la loro pronuncia di sembrare allegro anche quando stai male, anche quando vorresti morire perché sei sempre quello indesiderato, il non considerato.
Sempre all'ombra di chiunque passi, senza mai vedere la luce, senza mai poter emergere.
Ma tu cerchi d'essere forte, di superare, e trovi il tuo modo per distinguerti da quella massa, per essere utile.

Decidi di aiutare le persone, le nuove generazioni ad istruirsi, ad impare lingue per rapportarsi anche con il resto del mondo e non essere chiusi come i loro genitori, a migliorarsi, così magari non ci saranno più ragazzini minuti chiusi in un cassonetto della spazzatura.
Ma non funziona così, non ci sono regole fisse nella vita e io avrei dovuto saperlo.
Da piccolo, da piccolo ti dicono che devi dare per ricevere.
E io ho dato, ti assicuro che ho dato tutto ciò che avevo, ho elargito perdono anche a coloro che mi facevano del male, ho donato tutto l'amore che possedevo a coloro che mi stavano attorno, ma non l'ho visto mai tornare, mai.
Nessuno ha mai pagato il conto.
Non mi rimase che l'odio ma nessuno più da odiare, così odiai me stesso, mi odiai allo stesso modo con cui lo faccio ora.
Ti dicono 'Ama gli altri come ami te stesso', ma se non ami te stesso non puoi amare nessuno e non puoi aiutare nessuno, tanto meno degli studenti.
Non perché non vuoi o sei una persona cattiva, ma semplicemente perché se nessuno ti paga il conto non hai più nulla da dare.
Quella ragazzina, quella ragazzina non capisce tutto questo,  non lo capirà mai, non sa nulla di me...

E Alexis guardòi suoi occhi nocciola, ormai sull'orlo delle lacrime, e si sorprese a pensare per laprima volta a quanto fossero belli, perfino così lucidi del dolore accumulato negli anni di lacrime non versate.
Così accarezzò il viso di Thomas, sollevandogli il mento per poter ammirare direttamente in tutto il loro splendore le sue iridi.

-Ssssh- bisbigliò Alexis, ponendo un dito sopra la sua bocca.
Avvicinò il viso al suo orecchio.
-Pagherò io il tuo conto...- sussurrò dischiudendo le labbra, lascinadole scivolare seguendo i controni della mascella, fino ad arrivare a quelle dell'altro, che sfiorò, sorridendo con un misto di dolcezza e malizia.
Fece passare la sua lingua sulla bocca dell'altro, insinuando la sua lingua alla ricerca di quella dell'altro, che non tardò a raggiungerla, in un bacio delicato, un bacio scambiato tra chi è perso nell'oscurità e chi è pronto a donargli la propria luce.
Ma l'innocenza venne presto dimenticata, sostituita dalla passione.
Il bacio di fece sempre più approfondito, pieno di disperazione e di vuoto, che Alexis cercava di riempire mettendoci tutto il suo cuore, donando tutto il suo amore in quel bacio, cercando di far rinascere la speranza e la vita nell'uomo che aveva dinnanzi.
Thomas morse il labbro inferiore della compagna, che scese a baciargli il collo mentre slacciava i bottoni della sua camicia.
Lasciatolo a petto nudo cominciò a baciargli la pelle scoperta, lasciando impronte del suo passaggio, marchiandolo coi segni del sesso, che già erano passati su quel corpo, e dell'amore, ospite sconosciuto.
E Thomas tremò sotto alla forza di quel sentimento che non aveva mai assaggiato di persona, ma solo offerto senza mai riceverne.
Incominciò a sbottonare la propria camicetta ma venne bloccata per il polso da una presa ferma.
-No.- disse Hernandez.
Lei lo guardò, confusa.
-No? Se non vuoi più io...
Lui la zittì prontamente con un bacio.
-Faccio io...- pronunciò, osservandola con uno sguardo colmo di malizia, prendendo a slacciare i bottoncini in madreperla di quello strato di stoffa,oramai decisamente di troppo, che ricopriva il corpo pallido ma perfetto della compagnia, un fisico asciutto, dalla pelle vellutata, delicata sotto il suo tocco.
Tolta quella vennero sfilati i pantaloni di entrambi, per poi eliminare l'intimo.

Si stesero lungo la cattedra, poi lui entrò in lei, con un solo colpo, facendole sfuggire un gemito.
Iniziò a spingere dentro quel corpo morbido, prima con delicatezza, poi sempre più veloce, affondando sempre di più, facendo sfuggire gridi alla compagna.
Gli graffiò la schiena, stringendosi al suo collo per coprirlo di baci finché non lanciò un gemito più acuto e venne, seguita da lui dopo poche altre spinte.
Restarono così, ad accarezzarsi, i corpi nudi, sdraiati uno accanto all'altra.
Poi Alexis si alzò e cominciò a raccogliere i suoi indumenti e si rivestì.
S'avvicinò ad Hernandez, afferrando la sua giaccia, e fece sfiorare per l'ultima volta le loro labbra.
- Nomen omen...- sussurrò, poi sorridendo uscì dalla classe, andandosene.
Hernandez, ancora confuso da ciò che era successo, iniziò a raccattare le proprie cose.
Quella sera tornato a casa, gli tornarono in mente quelle parole:'nomen omen', cioè 'un nome, un destino'.
Aprì Internet e guardò.
''Thomas Karl: uomo libero, uguale a se stesso''.
Un piccolo sorriso si dipinse sul suo volto, poi fece per chiudere la pagina quando si bloccò, colpito da un pensiero improvviso, e riprese la sua ricerca
''Alexis Hope: difenditrice della speranza''.
Chiuse la pagina e andò a letto a cuor leggero, dopo tanti anni.
La mattina dopo, quando si svegliò, aveva un enorme sorriso stampato sulla faccia, come se l'uomo che era stato fino alla notte precedente e il dolore che lo aveva accompagnato fossero spariti, scivolati via come un sogno al mattino.
Thomas guardò la finestra: il cielo era ancora nuvoloso, ma lui si sentiva felice.
Sorrise fra sé e sé: il conto era stato pagato.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Be sexy drink pepsi