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Autore: Mary West    25/04/2013    6 recensioni
“Perché volevi guardare?” le chiese lui, aggrottando la fronte perplesso. “A casa tua, non c’è l’albero di Natale?”
Virginia annuì, esitante.
“Sì” rispose infine, “ma questo è perfetto.”
Il bambino rise con un filo di rassegnazione e amarezza troppo grandi per lui.
“L’albero di Natale perfetto?” ripeté scettico. “Tutti gli alberi di Natale sono perfetti.”

[Pre-Pepperony ~ ambientato tra i due film ~ prompt 'albero' e 'ricordi'; Rockefeller Center]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Howard Stark, James 'Rhodey' Rhodes, Tony Stark, Virginia 'Pepper' Potts
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Eternal sunshine of spotless minds'
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Avvertimenti preventivi: pre-Pepperony, ambientato tra i due film; Natale, prompt ‘albero’; flashback, Rockefeller Center. TSI e tanto fluff; H/C più o meno diffuso, riferimenti al passato di Pepper da cogliere nella storia di Venezia, riferimenti al passato di Tony ispirati ad Iron Man 2 e sviluppati a mio piacimento.
Conseguenze: tante luci - forse troppe - e tanto amore e tanta, taaaanta, probabilmente a tratti noiosa introspezione. 
Augurio: happy Pepperony


 

Joyeux Noël

 

 
“Papà, papà possiamo aggiungere anche il festone rosso? Ti prego, papà, il festone rosso! È il mio preferito.”
La piccola Virginia saltellava allegramente nelle sue ballerine rosse, la treccia ramata che le danzava sulla schiena e gli occhi stupefacenti che scintillavano di entusiasmo. Tra le manine delicate reggeva un maestoso smerlo dalle sfumature dorate e scarlatte, tanto lungo da avvolgerle in parte le gambe fasciate dalle calze bianche e le braccia coperte dalla stoffa panna della camicetta sotto il vestito smanicato.
Richard fissò con espressione amorevole la sua piccola brillare di gioia e scese dalla scala per aiutarla a districarsi dal festone ingombrante.
“Se riusciamo a cavarti fuori da qui, possiamo mettere tutte le decorazioni che vuoi” le promise sorridendo ampiamente sotto i baffi bruni e folti, mentre le dita si destreggiavano nel liberare l’abitino rosso e castano dalla ghirlanda radiosa. Quando finalmente riuscì a recuperare il festone, lo avvolse tutto attorno ad un braccio e usò l’altro per prendere Virginia contro il petto e portarla con sé sulla cima della scala; una volta giunti all’ultimo gradino, fecero scivolare insieme il filo gioioso attorno all’abete addobbato, completando l’opera e osservandola con lo stesso sguardo ceruleo e felice.
“Oh, papà” fece la piccola, allungando le braccine per cingere il collo al genitore. “Io amo tantissimo il Natale.”
 
“Certo che non ha scoperto nulla... non ne ho fatto la minima parola in sua presenza e non ha intuito assolutamente niente. Quindi, a meno che tu non ti sia fatto scappare qualcosa come tuo solito, siamo salvi e stasera avrà la più bella delle sorprese... no, smettila di dire queste cose, sei ridicolo... colonnello, queste allusioni non sono degne di un tenente del suo grado.”
Il salotto della villa Stark a Malibu era nel disordine più totale: sul pavimento di marmo luccicante sostavano vari scatoli aperti e traboccanti di smerli e fili di luci natalizie, sul grande tavolo ad un lato della stanza una grande quantità di piccole palline colorate spuntava da un contenitore blu e rotolava sulla superficie vitrea su cui poggiava il recipiente, tra i cuscini del divano ad isola erano sparsi biglie intagliate nel legno dalla forma particolare – campane, angioletti, alberi, stelle comete – e tutte quelle allegre decorazioni sembravano volgersi unanimemente verso l’angolo più remoto della stanza, di fronte al pianoforte, dove il mobile di mogano era stato spostato di qualche metro più a destra per fare spazio all’abete il cui arrivo tutti attendevano con trepidazione.
“Ci sentiamo più tardi, Rhodey.”
Pepper finalmente chiuse la telefonata e si fermò al centro della stanza, con le braccia sui fianchi e lo sguardo luminoso che vagava sulla stanza. Un sorriso speranzoso le incurvava le labbra delicate e la pelle del volto sembrava più radiosa del solito, libera dalla chioma ramata che le cascava dietro la schiena, in una coda alta ed elegante, sul tessuto blu del raffinato vestito che avvolgeva la sua figura in morbidi drappi scuri. I polpastrelli si strinsero sull’arricciamento in vita, sotto la scollatura discreta, da dove si apriva la gonna squadrata fino alle ginocchia, fasciate in un paio di collant neri. Il suo sguardo celeste scintillò con entusiasmo sulle decorazioni che addobbavano la stanza, in attesa di andare ad ornare un abete verde dalle foglie di smeraldo, e un guizzo di impazienza quasi infantile risplendette negli occhi incredibili, illuminando ulteriormente il suo sorriso radioso.
Nella mano ancora piccola e graziosa stringeva il cellulare spento e nella mente frenetica si accavallavano l’eccitazione, il desiderio e la speranza di quel giorno speciale in procinto di arrivare, quella notte magica, quella festa a sorpresa che doveva essere e che sarebbe stata un nuovo inizio, l’idea vera di quella festa, la realizzazione di quello che era davvero il Natale.
Le dita fremevano per la smania di agghindare i rami sempreverdi e le iridi continuavano a brillare insaziabili. Che Natale poteva mai essere senza un albero?
 
Il piccolo Tony sedeva tranquillo sul divano accanto alla mamma, lo sguardo concentrato sul proprio lavoro e le mani ruvide e calde ad armeggiare con i cavi rossi e gialli del suo minuscolo, geniale congegno. Maria, seduta di fronte a lui, teneva gli occhi dolci rivolti verso il basso, sul tessuto scarlatto che stava cucendo a maglia. Entrambi continuarono con la propria opera in quel gradevole silenzio e nella stanza piacevolmente calorosa fino a quando Maria non ebbe concluso la sua e mise da parte ferri e stoffa per osservare il risultato del suo impegno, soddisfatta.
“Bene” fece stendendo la maglia davanti ai propri occhi. Il taglio elegante ricordava in modo impressionante quello di Tony. “Ora, alzati tesoro e fammi vedere come ti sta.”
Tony posò sul divano i fili elettrici e ubbidì alla madre con un sorriso dolce sul viso bruno. Stese le braccia verso l’alto e strinse le piccole mani sui lembi del maglione rosso, osservandolo felice.
“Grazie mamma” mormorò con il viso ancora basso. Maria gli sorrise con dolcezza e lo abbracciò, sollevandolo da terra. Quando parlò di nuovo, la sua voce era venata di commozione.
“Sei splendido, tesoro.”
“Ma papà non torna?” chiese lui, sbattendo le palpebre, dispiaciuto. “Non fa l’albero con noi?”
La donna fece per parlare ma, proprio in quel momento, la porta alle loro spalle si aprì con un tonfo e Howard varcò la soglia di caso, borbottando tra sé con fare agitato e nervoso.
“Ciao papà” lo salutò allegramente Tony. “Finalmente sei tornato! Io e la mamma ti stavamo aspettando... dobbiamo fare l’albero, me l’avevi promesso.”
Howard scosse il capo, la fronte incrinata in un’espressione torva e un’ombra buia sul viso serio.
“Non possiamo” disse con voce tagliente. “Devo lavorare.”
Maria sospirò profondamente e rivolse al marito uno sguardo implorante che l’uomo ignorò.
“Le tracce di Steve si sono rivelate un nulla di fatto e non abbiamo scoperto niente di nuovo... solo l’ennesimo buco nell’acqua” concluse con amarezza. Camminò in avanti, ma Tony si districò con dolcezza dall’abbraccio della madre e, incurante dei suoi tentativi di richiamarlo a sé, raggiunse il padre prima che imboccasse il corridoio verso lo studio, strattonandolo per un lembo della giacca.
“Ma papà, l’albero...”
“Non insistere, Anthony!” sbottò Howard iracondo. “L’albero non è importante, è solo una stupida abitudine delle persone che non hanno nient’altro da fare!”
Sferrò un calcio all’abete spoglio alle sue spalle e quello cadde come un fantoccio sul pavimento. Tony deglutì e rimase a fissare il padre dargli le spalle, ignorando quella patina luccicante – non d’entusiasmo, non di felicità – negli occhi color nocciola. Senza aggiungere altro, corse nella propria camera; sul divano, il piccolo abete elettronico rimase spento, i cavi che dovevano dargli luce, che dovevano addobbarlo destinati a non raggiungerlo mai.
 
L’ultimo singolo dei Black Sabbath risuonava a massimo volume nel laboratorio sotterraneo e Tony era profondamente concentrato nella ricostruzione di un braccio dell’armatura, gli occhi celati dietro le lenti da lavoro e la fronte aggrottata e imperlata di sudore. Le dita ruvide e callose lavoravano precise sul metallo dorato e le iridi di nocciola scrutavano con estrema attenzione l’opera compiuta dalle mani formidabili. L’ultimo bullone girò nell’incavo giusto e Tony lanciò il cacciaviti su un tavolo lontano, infilando il braccio libero in quello meccanico, muovendolo con forza e testandone la forza e la funzionalità. Quando finalmente si fu accertato delle condizioni del risultato del suo arduo lavoro, riassemblò la Marx III e rimase ad osservare la tuta montarsi nella teca di vetro davanti all’ingresso del laboratorio.
“Jarvis, che ore sono?”
“Le undici e trentanove, signore.”
Tony annuì e si liberò degli occhi trasparenti, gettandoli con fare distratto su un tavolo ripieno di viti e bulloni, e stirò le braccia verso l’alto con aria stanca.
“Pepper è in casa?”
“Sì, signore” rispose con prontezza il maggiordomo. “È al primo piano, signore. Nel salotto. Vuole che l’avverta che la sta cercando?”
“No, non preoccuparti” fece Tony, raggiungendo la porta a vetri del laboratorio e cominciando a salire le scale verso il soggiorno. “Ci penso io.”
Percorse gli ultimi gradini e raggiunse il boudoir ma, appena mise piede sul pavimento in marmo della stanza, i suoi occhi scivolarono sulla camera e, attirati dai colori sfavillanti e dalle forme particolari, sulle decorazioni sparse sul marmo, sui divani e sul tavolo.
All’improvviso, avvertì un blocco nel petto, come un peso gravoso che non lo faceva respirare, e dischiuse le labbra, alla ricerca di aria, ma non ne trovò.
“Tony!”
La voce di Pepper lo fece trasalire bruscamente e gli occhi del signor Stark saettarono sul volto di Virginia che, d’un tratto, gli comparve dinanzi, impeccabile e sorridente come sempre. Le iridi di cielo sembravano luccicare di una luce diversa e rara che Tony aveva avuto sporadicamente l’occasione di scorgere in quello sguardo sempre così concentrato e diligente e, per un istante, un unico, interminabile istante, quella luce lo catturò e ogni pensiero negativo parve svanire dalla sua mente sostituito dal quella bagliore abbacinante.
“Pepper” disse con voce esitante, “che succede?”
Lei gli porse una cartellina con un sorriso tranquillo e una penna senza cappuccio.
“Deve firmare questi documenti” esordì con fare scrupoloso. “E ho confermato gli appuntamenti della prossima settimana e chiamato il colonnello come richiesto. E questo è il suo caffè.”
Tony allungò un braccio, sbattendo le palpebre perplesso, e firmò il foglio che lei gli stava porgendo e bevve il caffè. Attese che Pepper riponesse ogni cosa al suo posto – la cartellina nel plico sulla scrivania, la tazza nel lavandino – poi pose la domanda che gli stava frullando già da parecchi minuti del cervello e concentrò tutto se stesso nel tentare di porla nel modo più gentile e controllato possibile.
“Pepper” chiese schiarendosi la voce, “che succede qui dentro?”
Pepper lo guardò sbattendo le palpebre dubbiosa, poi gli occhi di Tony caddero di nuovo sulle decorazioni sparse dappertutto nella stanza e quelli di Pepper ne seguirono la traiettoria. Allora, un sorriso raggiante esplose sulle labbra di Virginia e di nuovo quella luce unica e abbagliante luccicò nelle iridi di cielo.
“Addobbi” disse con semplicità. Eppure, non riusciva ad impedire che una nota di sfrenato entusiasmo s’imprimesse nel tono solitamente impeccabile. “Per l’albero.”
Tony sollevò le sopracciglia, incredulo.
“Quale albero?”
“L’albero di Natale” fece Pepper tranquilla. “Quello che si fa tutti gli anni il 24 Dicembre... be’, in realtà l’8, ma non importa... ne ho ordinato uno e dovrebbe arrivare proprio stamattina.”
Tony trattenne con tutte le sue forze l’impulso di pensare, ma l’immagine dell’albero – di quell’unico albero mai fatto – gli sovvenne alla mente prima che lui potesse anche solo tentare di fermarla e da quella riflessione ne colarono tante altre, frustranti e spietate quanto la prima.
Successe all’improvviso: si fermò qualche passo davanti al pianoforte e fissò gli occhi sbarrati e deglutì e percepì il viso sbiancargli di colpo. Un pensiero dopo l’altro abbandonò la sua mente e i ricordi cominciarono a scorrere dolorosi e spontanei nel suo cervello: le immagini che aveva tanto faticosamente messo da parte durante una vita intera, amare e infelici, ritornarono prepotentemente a galla, offuscando tutto il resto, e ogni tentativo di dimenticare quel passato penoso apparve improvvisamente inutile e superfluo nel riaffiorare prepotente di quei trascorsi insopportabili. Tutti i motivi per cui aveva sempre detestato il Natale erano proprio lì, davanti ai suoi occhi, senza preavviso, senza speranza, e di nuovo la voce di suo padre, il suo sguardo severo, la sua assenza costante ripresero ad adombrargli violentemente la testa e si sentì ancora colmo di vergogna ed angoscia come quando aveva undici anni e quel sentimento di inadeguatezza e timore era l’unica sensazione che provava nel suo animo giovane e sempre deluso.
Non seppe perché, ma all’improvviso sentì montargli dentro una scarica di rabbia violenta e sfogarla era un bisogno vitale per evitare che implodesse dentro, che lo uccidesse dall’interno, che lo facesse annegare nell’anima.
“Perché?” chiese e stavolta l’ira s’impresse a fuoco nella sua voce. “Un albero?”
Pepper sbatté le palpebre, stupita da quell’atteggiamento tanto scostante. Aggrottò la fronte, pensierosa, e rispose con tono esitante:
“Un albero” ripeté e quella luce nel suo sguardo parve offuscarsi per un attimo infinito. “Qual è il problema?”
Tony strinse le mani a pugni e serrò la mascella, respirando profondamente dal naso.
“Il problema” sputò tra i denti, “è che non rientra nelle sue mansioni. Io la pago per farmi da assistente, non per addobbarmi la casa a centro commerciale durante queste stupide feste.”
“Io non le sto addobbando la casa a centro commerciale” replicò fredda Pepper. “Volevo solo renderla un po’ più accogliente e calorosa, non pensavo le desse tanto fastidio, considerando che non se ne occupa mai.”
“E così deve essere” ringhiò lui. Le spalle avevano cominciato a scuoterlo percettibilmente. “Questa è casa mia e lei non ha alcun diritto ad occuparsene.”
Il volto di Pepper si schiarì di colpo, ma lei non si fermò dal rispondere:
“Mi scusi se ho cercato di essere gentile nei suoi confronti” ribadì piccata.
“Non ce n’era alcun bisogno” fece Tony con voce furiosa. “A casa sua fa quello che le pare, ma non qui... questa non è casa sua e può anche smetterla di giocare a fare la principessina con me solo per poter scalare le vette del successo attraverso me.”
Pepper strinse le palpebre fino a ridurre gli occhi lucidi a due fessure.
“Sta insinuando che io mi occupo di lei solamente per interesse personale?”
“Sto dicendo che so che l’unica cosa che le interessa è se stessa e che farebbe di tutto per ottenere quello che vuole” rispose Tony ricambio lo sguardo con collera. Ormai tremava incontrollato e le parole incontrollate presero a scorrergli in un fiume di sofferenza e irrazionalità prima che lui potesse rendersene conto. “Non è per questo che ha lasciato la sua famiglia? Mi dica la verità, lei sapeva che io sarei passato per quella strada, non è vero? Cos’ha fatto, si è informata sui miei spostamenti? Ha chiesto ad un investigatore privato di seguire l’erede degli Stark per poi piombarmi addosso all’improvviso e farsi assumere? Così si sarebbe potuta accertare che non ci fosse nessun altro, nella mia vita, se non lei, che fosse l’unica su cui poter contare... raccontandomi poi quella storia della famiglia per entrare ancora più in empatia, no? In più, mi ha appoggiato mentre distruggevo la vita di tante persone e ha fatto di tutto per impedirmi di migliorare come persona... lei ha solo cercato di rovinarmi la vita.”
Pepper trattenne il respiro profondamente e deglutì con forza, stringendo la mascella e le dita finché non sentì i denti tremare per la foga e le unghie penetrarle nella carne. Rivolse a Tony un’occhiata colma di rammarico e mortificazione, aprì la bocca per rispondergli, ma non uscì alcun suono e allora, senza più neanche degnarlo d’attenzione, girò sui tacchi delle Louboutin blu e afferrò con una mano tremante un lembo del Johnson di lana bianco e nero. Lo infilò con lentezza e, sempre dando le spalle a Tony, uscì dalla porta, chiudendola dietro di sé con un tonfo sordo.
Tony rimase fermo per un istante infinito, poi reagì: le mani afferrarono le piccole biglie colorate, stringendole nei palmi forti con tanta energia che quelle gli si frantumarono tra le dita e lui percepì il calore del sangue colargli nei punti in cui i frammenti di plastica e vetro erano entrati troppo in profondità nella pelle martoriata. Con i polpastrelli ancora grondanti di sangue, agguantò gli smerli festanti e li strattonò con violenza, riducendo a pochi coriandoli luccicanti le ghirlande radiose, tirandole per le estremità con decisione e distruggendone le decorazioni vistose. Infine, tese le mani rosse per ghermire le immagini intagliate nel legno e le scagliò rudemente nell’aria, fino a colpire la vetrata della stanza, senza scalfirla neanche di un graffio. Le gambe tirate scalciarono gli schienali dei divani e gli ultimi addobbi rimasti rovinarono miseramente a terra, accanto ai residui di quegli ornamenti sterminati.
Quando ogni briciolo della forza bruta che l’aveva animato parve abbandonarlo e ad accendere il suo corpo rimasero solamente la sofferenza e il rimpianto, i suoi occhi osservarono lacrimanti il risultato del suo dolore distruttivo e il tremore che aveva annullato l’energia della sua frustrazione tornò a scuotergli la schiena e le spalle.
Una musica riempì all’improvviso l’aria tesa nella stanza e Tony sospirò profondamente, guardandosi attorno alla ricerca della fonte di quel maledetto congegno, pronto a distruggere anche quello. Scorse infine il cellulare di Pepper, ancora integro, sotto un cuscino spiumato e lo afferrò con malagrazia, rispondendo senza neanche curarsi di leggere il nome del mittente sul display.
“Sì?” fece svogliato. La voce che gli rispose lo sorprese non poco e la meraviglia fu tale da placare per qualche istante quella sua feroce agitazione.
“Tony?” chiese Rhodey stupefatto. “Perché rispondi al cellulare di Pepper? Sta male?”
Tony sbuffò silenziosamente.
“È uscita di fretta e l’ha dimenticato qui” rispose, impiegando uno sforzo titanico per suonare gentile e non furibondo come si sentiva. “Ma tu perché la cerchi? E da quando vi telefonate?”
Un improvviso senso di irritazione si aggiunse alla pila di sensazione negative che già provava e avvertì un altro gradino di stizza aggiungersi alla già alta scala di furia nei confronti di Pepper.
“In che senso?” domandò Rhodey e, benché il tentativo fu lodevole, Tony era un esperto di bugie.
“In quel senso, Rhodey, ce n’è solo uno” replicò stizzito. “Dovevi dirle qualcosa?”
Il colonello sbuffò, palesemente seccato.
“Rhodey!”
“E va bene” si arrese infine. “Ma Pepper mi ucciderà... ha fatto i salti mortali per non farti sapere niente.”
Tony grugnì qualcosa di incomprensibile, poi tradusse:
“Sì, è brava a fare le cose di nascosto” sibilò indispettito. “E di preciso, di che si tratterebbe questa volta?”
Il tenente tirò un lungo sospiro e confessò:
“Ha organizzato una festa” spiegò con voce pacata, ma visibilmente orgogliosa. “Per te, a casa tua. Sa che non ami particolarmente il Natale e voleva che avessi... “una seconda occasione per scoprire quanto è magico”, così ha detto. Così ha chiamato alcune persone, quelle a cui lei sa che tu tieni, e mi ha chiesto di aiutarla per non farti sapere niente prima di stasera... dovevo chiamarti tra un’ora e farti uscire di casa in modo che lei potesse organizzare la cosa mentre non c’eri e poi farti trovare tutto perfetto una volta che fossimo tornati insieme. L’ho chiamata per dirle che l’albero che ha ordinato è un po’ in ritardo, ma che arriverà prima di sera.”
Tony trattenne bruscamente il fiato e improvvisamente la sua stupidità gli fu chiara in testa. Arricciò le labbra screpolate e sospirò profondamente, rendendosi conto di quanto fosse stato ottuso e cieco e quanto avesse sbagliato nei confronti di Pepper. Aveva permesso che i ricordi di un passato per cui lei non aveva colpa – nessuna colpa – affiorassero con violenza e glieli aveva gettati addosso senza indugio e senza motivo, ferendola con parola perfide che lei non meritava per niente e che lui non pensava affatto. Ma la rabbia aveva avuto vinta la partita e adesso si sentiva più colpevole e disperato che mai.
Pepper si era sempre occupata di lui, più di qualsiasi altra persona al mondo: gli aveva dimostrato di appoggiarlo in tutte le circostanze, l’aveva aiutato e aveva rischiato la vita per lui, gli aveva stretto la mano e gli aveva sorriso quando aveva creduto di non potercela fare e gli aveva organizzato una festa perché sapeva quanto fosse tremendo il suo passato e voleva dargli una seconda opportunità.
Se c’era una persona, una sola, un’unica persona che teneva davvero a lui, quella era Virginia Potts.
“Tony?”
La voce di Rhodey lo richiamò subito alla realtà e la mente di Tony lavorò frenetica e decise in un istante.
“Devo andare” disse senza dilungarsi in ulteriori spiegazioni. “Facciamo che io non so niente, va bene? Pepper ha degli impegni e non può organizzare la festa, ma fallo tu. Io devo occuparmi di una faccenda prima.”
“Ma Tony...”
Senza ascoltare le proteste dell’amico, Tony spense il telefono e lo infilò nella tasca del giubbino, afferrando al volo le chiavi della macchina e altre piccole cose che potevano essergli utili durante il viaggio.
“Jarvis?”
“Sì signore?”
“Ho bisogno che mi aiuti” disse con voce frettolosa. “Chiama qualcuno a sistemare questo disastro, poi ordina delle nuove decorazioni e aiuta il colonnello ad organizzare tutto nei minimi dettagli. Dev’essere una festa perfetta... sono stato chiaro?”
“Perfetta nel senso suo o della signorina Potts?”
Tony sollevò le sopracciglia scettico.
“Molto divertente, Jarvis. Fai il bravo, tornerò il prima possibile.”
Fece per aprire la porta di casa, ma prima che ci riuscisse, inciampò in una delle decorazioni sopravvissute alla sua folle ira: era un alberello piccolo, elettronico, illuminato da luci collegate ad alcuni cavi rossi e dorati. Tony lo afferrò con un palmo tremante se lo rigirò tra le mani; sulla cima dell’abete, una lunga pergamena arrotolata scritta con calligrafia elegante e familiare recitava:
 
Allora andarono, lo Spirito e Scrooge, di là della corte verso una porta alle spalle della casa. Si aprì loro davanti, mostrando un camerone nudo e malinconico, che pareva anche più vuoto di quel che era per certe file di banchi e di leggii. Ad uno di questi, presso un misero fuocherello, leggeva tutto solo un ragazzo; e Scrooge cadde a sedere sopra uno di questi banchi e pianse a riveder sé stesso, misero, dimenticato, come allora soleva essere. [...] Questo sapeva che le cose erano andate così per l'appunto; e che egli stava lì, solo come prima, sempre solo, quando tutti gli altri ragazzi erano scapolati a casa a godersi le buone feste.
 
[...]
 
Scrooge rivide sé stesso. Era adulto, nel fiore della vita. [..] C'era nell'occhio una mobilità irrequieta, avida, ardente, che rivelava la passione radicata e dove sarebbe caduta l'ombra dell'albero nascente.
Ei non era solo. Sedeva accanto a una bella fanciulla vestita a bruno. Alla luce dello Spirito, brillavano di lagrime gli occhi di lei.
 
[...]
 
Il riso con cui disse questo, e il riso con cui pagò il tacchino, e il riso con cui pagò la carrozzella, e il riso con cui diè la mancia al ragazzo, furono soltanto sorpassati dal riso che lo prese tutto mentre si lasciava andare senza fiato sul suo seggiolone, e rise, e rise fino a che scoppiò a piangere.Non era agevole il radersi, perché la mano gli tremava sempre; e il radersi richiede un po' di attenzione, anche quando non ballate, facendovi la barba. Ma se pure si fosse mozzato la punta del naso, vi avrebbe appiccicato un pezzo di taffettà e sarebbe stato contento come una pasqua.
 
[...]
 
Scrooge fu anche più largo della sua parola. Fece quanto avea detto, e infinitamente di più. Divenne così buon amico, così buon padrone, così buon uomo, come se ne davano un tempo nella buona vecchia città, o in qualunque altra vecchia città, o paesello, o borgata nel buon mondo di una volta. Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch'egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro.
 
Le mani di Tony tremavano incontrollate e la luce che adesso gli animava gli occhi non era odio, sofferenza, frustrazione, rabbia o rimpianto; era riconoscenza e affetto, più forte e incredibile di quanto ne avesse mai provato, quanto avesse mai pensato di poterne mai provare in tutta la sua esistenza. Non sapeva bene cosa fosse, ma lo riempiva, dentro e fuori, lo avvolgeva e lo invadeva, era caldo e perfetto, azzurro come il cielo radioso e le iridi che diverse e rare l’avevano sempre accudito, aiutato, amato.
Dopo quelli che sembrarono anni, posò il piccolo congegno nella tasca più profonda del giubbino e finalmente mise in moto.
 
La neve era caduta copiosa e soffice quell’anno e aveva riempito le strade illuminate, imbiancando i sentieri affollati e dipingendo la città notturna con il suo manto baluginante.
Quella vigilia di Natale, l’atmosfera newyorkese era più calorosa e festante del solito e lo sguardo luminoso della piccola Virginia ammirava estasiato lo spettacolo meraviglioso e sognante che la circondava. Avvolta in pesanti strati di lana colorata, camminava lentamente sull’asfalto bianco, i piedi negli stivaletti bruni che affondavano gradevolmente negli svariati centimetri di neve al limitare del sentiero che percorreva e le guance frustrate dal vento accese di rosso. Una manina andava di tanto in tanto a scostarle qualche ciocca liscia dal viso, dietro la schiena, sul cappotto scuro, cercando di frenarla nel cerchio del baschetto nero nonostante la brezza che le soffiava contro. Le iridi cerulee vagavano frenetiche sul mondo magico che attraversava, veloci, smaniose di osservare ogni cosa, di imprimere a fuoco ogni singolo particolare di quel panorama mozzafiato nella sua mente incantata.
All’improvviso, il suo sguardo si posò su qualcosa di eccezionale e più magico di qualsiasi cosa avesse mai visto nella sua vita: era un albero di Natale, ma non era un albero di Natale qualunque, era grandissimo e maestoso, decorato con luci abbaglianti e festoni raggianti, biglie radiose. Sostava davanti alla facciata di un palazzo imponente, alla fine di un sentiero che si apriva tra file di angeli e riverberi tanto luminosi da abbacinare il volto di Virginia e attrarla perdutamente.
Le dita calde lasciarono la stretta paterna per andare incontro a quell’abete incantevole e le piccole gambe fasciate nelle calze rosse la condussero fino ad un passo dal tronco solenne, che vedeva ogni anno e che ogni anno la stupiva.
Con un istante di ritardo, Virginia si accorse che qualcun altro ammirava quell’albero.
Era un bambino, non molto più grande di lei, stretto in un cappotto di lana nera e i piedi immersi in un paio di stivali grandi, spessi come quelli di lei. Il volto bruno era illuminato dalle luci e le iridi di nocciola luccicavano di gioia e fascino, ricoperte da una patina di emozione.
Quando il rumore delicato dei passi della piccola risuonò alle sue spalle, il bambino si girò di scatto e un guizzo di apprensione gli attraversò i begl’occhi castani.
“Chi sei?” le chiese guardingo, arretrando di un passo. Virginia sbatté le palpebre, spaventata.
“Virginia” mormorò con voce alta e sicura. “Volevo solo guardare.”
Il bambino arricciò le labbra e lo sguardo scorse sulla figura della piccola tanto a lungo che lei avvampò e abbassò il viso verso le punte degli stivaletti marroni.
“Perché volevi guardare?” le chiese lui, aggrottando la fronte perplesso. “A casa tua, non c’è l’albero di Natale?”
Virginia annuì, esitante.
“Sì” rispose infine, “ma questo è perfetto.”
Il bambino rise con un filo di rassegnazione e amarezza troppo grandi per lui.
“L’albero di Natale perfetto?” ripeté scettico. “Tutti gli alberi di Natale sono perfetti.”
Virginia ascoltò rapita quella frase e osservò incantata il volto del ragazzo davanti a sé. Forse era un genio; ecco perché c’era tutta quella magia, nell’aria.
“E allora perché tu lo guardi?” chiese con ingenuità. Lui scrollò le spalle, ostentando un’indifferenza che non ingannò la piccola.
“Mio padre non ha voluto fare l’albero” sussurrò mortificato e, di fronte a tutto quel dispiacere e tutta quella dolcezza, Virginia avvertì l’istinto di abbracciarlo. Suo padre diceva sempre che gli abbracci riscaldavano il cuore, soprattutto a Natale.
“Sono sicura che questo non significa che non ti vuole bene” disse con voce ferma. “Solo è un po’ distratto.”
Il bambino sollevò il volto, stupito, e osservò Virginia con aria colpita. I loro occhi si incontrarono dolcemente, ai piedi dell’abete abbagliante, e la magia li avvolse con delicatezza.
“Virginia!”
La voce di Richard fece trasalire entrambi e la bambina si guardò alle spalle, mordendosi un labbro con fare indeciso.
“Devo andare” disse con voce preoccupata. Il bambino le sorrise – il primo sorriso, quel Natale – e annuì.
“Ciao principessina.”
Virginia scoppiò a ridere, arrossendo nuovamente.
“Ciao, genio.”
Saltellando aggraziata sugli stivaletti marroni, tornò indietro, lo sguardo ancora incantato sulla magia dell’abete luccicante.
 
Il vento frustava con forza e Pepper camminava con le gambe tremanti e il viso basso. I piedi affondavano nella neve ancora fresca e gli occhi lucidi stillavano per il freddo. Sulle guance ghiacciate, le lacrime colavano indomabili e benché Virginia continuasse a ripetersi che era per la corrente, le temperature basse, il gelo dell’aria, non poteva evitare di ripensare alle parole di Tony, alle accuse che le aveva rivolto, allo sguardo carico di rancore e rabbia che le aveva puntato contro. In quel momento, tutti gli sforzi che aveva compiuto per organizzare quella festa, i salti mortali per fare in modo che Tony ne rimanesse all’oscuro, l’impegno nel ritrovare quella scatola di ricordi e ripescarvi quell’alberello, nel ricostruirvi la storia – grazie a Jarvis –, nell’aggiustarlo, nonostante non fosse mai stata particolarmente brava in quel genere di lavori, ogni cosa le parve insensata e senza risultato e la frustrazione, il dispiacere, il rammarico le riempirono il cuore piangente.
I ricordi del proprio passato, quei ricordi di Natali felici e luminosi, erano pensieri bui in quel presente senza genitori; nonostante fosse sempre stata convinta di aver fatto la scelta giusta, l’idea di aver perso, forse per sempre, la propria famiglia era dolorosa, in quel periodo più che mai, e, per un istante, Pepper aveva pensato che quella notte avrebbe assunto la piena consapevolezza che, lì, in quel posto, in quel mondo, era felice.
Dopotutto, era rimasta al fianco di Tony da sempre, senza mai nutrire, neanche per un istante, il rimpianto per la propria scelta, ma quelle parole cariche di furia e angoscia l’avevano colpita in pieno petto e adesso, mentre correva alla disperata ricerca di un rifugio – non aveva una casa, quella non era casa sua – con le lacrime a rigarle il volto arrossato, pensava che forse si era sbagliata.
 
Howard aveva esplicitamente detto che non avrebbe mai sprecato il proprio tempo ad andare in giro per negozi come un qualsiasi impiegato medio impegnato a sperperare il proprio stipendio nel consumismo natalizio, ma questo non aveva di certo frenato Maria, che amava l’atmosfera natalizia più di qualsiasi altra e che aveva sempre avuto un carattere amabile, migliorato nel corso degli anni nonostante il costante contatto con quello di gran lunga più lugubre del marito.
Dopo aver aiutato Tony ad indossare un cappotto di lana pesante sopra il maglione scarlatto, l’aveva preso per mano ed insieme erano usciti per andare a passeggiare lungo i marciapiedi colmi di neve e folla di New York. Lungo la strada, poi, Maria aveva incontrato alcune persone e si era fermata a parlare con loro; dopo parecchi minuti di conversazione sterile, Tony si era allontanato strategicamente e allora i suoi occhi di nocciola si posarono su qualcosa in fondo alla strada, all’estremità opposta di un sentiero tra luci abbaglianti e colori incredibili.
Irresistibilmente attratto da quell’abete magico, Tony camminò lentamente fino a trovarsi ai piedi del tronco maestoso e spalancò gli occhi stupefatti di fronte a quella meraviglia. L’aveva osservato tante volte, da lontano, ma mai aveva avuto l’occasione di scrutarlo così da vicino.
Rimase a contemplare quello spettacolo affascinante per vari minuti fino a quando un rumore quasi impercettibile di passi non distolse la sua attenzione dall’ammirazione dell’albero e allora si voltò e vide il viso di una bambina rossa a pochi passi da lui. Indossava un cappotto pesante quanto il suo dal cui bordo s’intravedeva il vestitino bruno sopra le raffinate calze cremisi, nascoste parzialmente dagli stivaletti marroni. Un baschetto nero le frenava la chioma scarlatta dietro la schiena e sul viso acceso dal vento brillavano due iridi come il cielo.
“Chi sei?” le chiese subito, arretrando istintivamente. Lei parve spaventata, ma rispose con sicurezza:
“Virginia... volevo solo guardare” aggiunse, quasi scusandosi. Tony non replicò, ma la osservò ancora a lungo e con attenzione, incurante del rossore che aveva imporporato ulteriormente le gote della bambina. Pensò subito che sembrava una principessa; non che fosse un esperto di favole, naturalmente – “quei ridicoli racconti finti e insensati non ti serviranno a niente nella vita” – ma, nella sua mente, una principessa era qualcosa di grazioso e luminoso, forte e cristallino come la figura radiosa che aveva davanti.
“Perché volevi guardare?” le chiese dopo qualche istante, improvvisamente perplesso. “A casa tua, non c’è l’albero di Natale?”
La piccola annuì, insicura.
“Sì” ribadì convinta, “ma questo è perfetto.”
Tony si sentì scuotere da una risata adulta, amara, colma di rassegnazione.
“L’albero di Natale perfetto?” ripeté con scetticismo. “Tutti gli alberi di Natale sono perfetti.”
La bambina sembrò incantarsi di fronte a quell’affermazione e lo contemplò con la stessa venerazione con cui aveva osservato l’abete qualche minuto prima.
“E allora perché tu lo guardi?” chiese ingenuamente. Tony scosse le spalle indifferente; seppe dallo sguardo della bimba, Virginia, che non l’aveva ingannato.
“Mio padre non ha voluto fare l’albero” sussurrò e benché avesse tentato di nascondere la mortificazione, il dispiacere per quel pensiero esplose nelle sue parole. Improvvisamente, sentì freddo. Virginia scosse il capo con convinzione e rispose:
“Sono sicura che questo non significa che non ti vuole bene” disse ferma. “Solo è un po’ distratto.”
Tony scrutò la piccola, colpito, e ricambiò il suo sguardo imbarazzato; per un istante, i loro occhi si incontrarono dolcemente, ai piedi dell’abete abbagliante, e la magia li avvolse con delicatezza.
“Virginia!”
Una voce forte e decisa risuonò d’un tratto nella stanza e Virginia volse il capo all’indietro, mordendosi un labbro con fare indeciso.
“Devo andare” disse preoccupata. Tony le sorrise – il primo sorriso, quel Natale – e annuì.
“Ciao principessina.”
Lei scoppiò a ridere, arrossendo nuovamente, e Tony non sentì più freddo.
“Ciao, genio.”
La osservò tornare indietro, saltellando aggraziata sugli stivaletti marroni, fino a quando una seconda voce non risuonò nell’aria.
“Eccomi mamma” esclamò andandole incontro. Maria gli strinse la mano e si sporse per baciargli una guancia.
“Tesoro, mi hai fatta spaventare.”
“Scusami” mormorò Tony, seguendola lungo la strada. Attese qualche istante, poi chiese ancora: “Mamma, secondo te esistono le principesse?”
 
Erano le sei di sera trascorse da parecchi minuti quando Tony ci pensò. In tutti quegli anni, non ci aveva mai fatto caso, quasi si era dimenticato dell’accaduto a voler essere sinceri, ma in quel momento, tra tutti quei ricordi amari e dolorosi, uno era tornato al cervello, timido e gentile, e Tony l’aveva accolto con disponibilità, delicatezza, curiosità perché in quel mare di sofferenza e rimpianto quel momento di Natale felice, libero, pieno si era perso e adesso che la memoria rievocava alla mente quei pochi minuti sotto le luci dell’abete più luminoso del mondo, Tony rifletté e si accorse solo in quel momento che il marciapiede delle Quinta non era stato la prima volta che aveva incontrato quelle iridi celesti. Certo, quando Pepper e lui si erano scontrati su quella strada e si erano guardati negli occhi, Tony aveva sentito qualcosa, aveva avvertito una sensazione di calore e familiarità alla bocca dello stomaco e solo ora si rendeva conto che quel sorriso luminoso, dolce, lieto gli aveva già illuminato il cammino, gli aveva fatto provare il suo primo e, fino a quel momento, unico attimo di gioia in tutti i Natali della sua vita.
Serrò le mani sul volante e rifletté che Pepper era stata nella sua vita la sua costante ancora di salvezza. Era arrivata per la prima volta in un momento di dolore e in quello di disperazione più assoluta vi era entrata definitivamente a far parte. In ogni istante della sua esistenza, quando aveva sbagliato, quando aveva raccolto i proventi della sofferenza mondiale, quando aveva deciso di cambiare, lei gli era stata accanto ed era tanto cambiata in positivo la sua vita insieme a lei.
Sapeva che doveva ritrovarla ad ogni costo perché per lei quella festa valeva più di quanto avesse potuto pensare e perché Tony era la sua unica famiglia perché, per lui, Pepper aveva lasciato la propria.
Aveva quasi perso le speranze di riuscire nell’impresa quando un altro ricordo, dolce e caloroso quanto il precedente, gli tornò alla memoria e allora seppe dove doveva andare.
 
Era il primo Natale senza la sua famiglia e il signor Stark le aveva concesso la serata libera.
Virginia – Pepper – aveva pensato, in origine, che sarebbe potuta passare a New Haven, a trovare i suoi genitori, ma poi l’idea era sfumata in una nuvola di un nulla di fatto e, alle dieci di sera di quel 24 Dicembre 1992, si ritrovava sola, stretta nel suo cappotto di lana beige, a camminare lentamente per le imbiancate strade newyorkesi. Sotto la frangetta ramata, gli occhi azzurri scintillavano di entusiasmo, ancora, per quella festività, eppure, assieme alla luce sfavillante, compariva una certa ombra di tristezza e solitudine.
Continuò a camminare a lungo e, prima che se ne rendesse conto, si ritrovò al Rockefeller Center. Davanti al palazzo principale, l’abete dei suoi sogni brillava come una stella e un timido sorriso incurvò le labbra della giovane Virginia. Si strinse maggiormente nel cappotto e affondò il collo nella stoffa calda della sciarpa blu.
“Non sapevo le piacessero gli alberi di Natale, Pepper.”
La voce di Tony risuonò all’improvviso nel viale deserto e Pepper trasalì con violenza quando la sua figura gli comparve a fianco, un sorriso sornione dipinto sulla bocca scura.
“E lei cosa ci fa qui?” domandò, mentre le guance le si coloravano percettibilmente di rosso. “Pensavo non avesse bisogno di me.”
“Infatti ero venuto per conto mio” spiegò Tony divertito. Il suo sguardo scivolò sull’albero davanti a loro e sospirò; dalle sue labbra, si levò una piccola nube d’aria. “È meraviglioso.”
Pepper posò lo sguardo sul volto incanto del suo capo e annuì.
“Sì, ha ragione” mormorò infreddolita. “È meraviglioso.”
Trascorsero qualche istante nel silenzio, poi Tony parlò ancora.
“Non va dalla sua famiglia?”
Pepper aprì la bocca, esitante, ma quando rispose la sua voce suonò forte e sicura come sempre.
“Non quest’anno.”
“Se è per me...”
“No, non si preoccupi” si affrettò ad interromperlo lei, sorridendo. “Solo... non quest’anno.”
Tony la scrutò per qualche istante, deciso a non indagare oltre.
“Allora?”
“Allora cosa?”
“Ha intenzione di trascorrere la notte qui?” le chiese, di nuovo con quel ghigno ad irradiargli il viso. “Fa abbastanza freddino. Non ha un posto dove andare?”
“Oh” fece Pepper imbarazzata, “io pensavo di... ecco, io...”
“Posso interromperla?” intervenne lui sorridendo più ampiamente. “Se il suo impegno non è di vitale importanza, il mio migliore amico Rhodey mi ha invitato a cena a casa sua e io avevo intenzione di andarci. Mi farebbe molto piacere se venisse anche lei... dopotutto, lavora per me da un anno e ancora non lo conosce... è una mancanza alla quale deve porre subito rimedio!”
Pepper scoppiò a ridere e rifletté.
“Va bene” disse infine, sorridendo con dolcezza. Prima di seguirlo lungo il sentiero verso l’uscita del viale, lanciò un ultimo sguardo all’abete decorato.
Dopotutto, che Natale poteva mai essere senza albero?
 
La neve aveva finalmente smesso di cadere dal cielo in quella cascata di fiocchi cristallini e Pepper giunse alla meta. Erano le dieci di sera di quel 24 Dicembre e lei camminava a passo veloce ed entusiasta lungo il viale alberato e luccicante. L’atmosfera natalizia che aleggiava nell’aria troppo fredda le ricordava in modo impressionante tutti i momenti più calorosi del suo passato legati a quella festa e quell’abete e quando vi si ritrovò davanti percepì nettamente una fitta bollente allo stomaco e un bruciore accecante sugli occhi ancora gocciolanti. Portò una mano infreddolita sulla guancia, a scacciare le ultime lacrime, e puntò le iridi lucide sui rami agghindati, fino ad arrivare alla cima, dove una stella argentata brillava a massima potenza.
Chinò il capo su una spalla, ammirando con un sospiro sognante l’albero. Poteva sembrare infantile, ma aveva sempre avuto un significato particolare per lei e il momento in cui lo addobbava a casa, con suo padre, era stato ogni anno magico e speciale.
Era tanto immersa nella contemplazione della stella cometa che non si accorse dei passi alle sue spalle. Tony parcheggiò l’auto a duecento metri dal viale e scorse la figurina rossa già a quella distanza, visualizzandola sempre più nettamente man mano che le si avvicinava camminando.
Percorse il sentiero luminoso fino ad arrivarle ad un passo dalla schiena, indeciso su cosa fare; allora reagì d’istinto: tese le braccia e le usò per avvolgere Pepper in una stretta contro di lui.
A primo impatto, Virginia sobbalzò, poi si girò nell’abbraccio e riconobbe il viso di Tony ad un palmo dal proprio. Chinò il volto verso il basso, sempre con le braccia incrociate sul petto, ma non si districò dalla sua presa e anzi gli si fece più vicina, riscaldata profondamente da quel tocco bollente.
“Mi dispiace” disse Tony subito e all’improvviso si rese conto che avrebbe dovuto dirle tutta la verità perché se esisteva al mondo una persona che meritava di saperla – sentirla da lui – quella persona poteva essere soltanto Pepper. “Mi dispiace, Pepper. Sono stato uno stupido, mi sono comportato malissimo... e mi dispiace. La verità è che il Natale è sempre stato un incubo, per me... non ho mai... vissuto questa festa con gioia e non ho mai potuto addobbare l’albero con mio padre come qualsiasi altro bambino. Quando oggi l’ho visto, ho ricordato tutti i periodi passati e mi sono sfogato su di lei e non avrei mai dovuto farlo perché lei non ha nessuna colpa... ma voglio che lei sappia che non quello che ho detto non lo penso davvero, veramente... lei può sistemare la casa come vuole, agghindarla anche come un centro commerciale, se le piace!” disse con una risata e suo malgrado anche Pepper sorrise. “Ma non è vero che pensa solo a se stessa, anzi: io non ho mai conosciuto nessuno che si sia preso cura di me come ha fatto lei, in modo disinteressato e totale. Lei è arrivata nel momento più difficile per me, ha rinunciato alla sua famiglia per restarmi accanto e la sua presenza è stata vitale, per me. La mia solitudine è da imputare a me stesso, perché se lei non ci fosse stata, la mia esistenza sarebbe stata terribile e lei non ha cercato di rovinarmi la vita... me l’ha resa perfetta.”
Pepper respirò profondamente e sollevò il volto, sbattendo le palpebre sugli occhi arrossati. Tony ricambiò lo sguardo implorante con dolcezza e Virginia sentì le sue mani bollenti stringere le proprie gelate.
“Sta morendo di freddo, Pepper” le fece notare con voce insicura. “Torni a casa con me.”
Pepper lo guardò di sottecchi.
“A casa sua?”
“A casa nostra.”
Pepper scosse il capo, incredula.
“Dispiace anche a me” sussurrò sospirando. “Non avrei dovuto farle trovare l’albero in quel modo, consapevole di quello che è successo. Avrei dovuta usare più tatto, essere più dolce...”
“Pepper” la interruppe Tony roteando gli occhi al cielo. “Lei è stata perfetta. Come sempre. E io non me ne sono reso conto... l’unica cosa che posso sperare è che voglia accettare le mie scuse e perdonarmi.”
Il sorriso di Pepper si ampliò e annuì.
“Certo” rispose con delicatezza. “Certo che la perdono.”
Tony si morse il labbro inferiore per trattenere un ghigno compiaciuto, ma quello gli spuntò ugualmente sulla bocca e Pepper scosse il capo ridendo con finta disapprovazione.
“Vogliamo andare? C’è una festa che ci aspetta.”
Pepper aprì la bocca, sorpresa.
“Rhodey!” esclamò d’un tratto. “Oh, lo sapevo che non avrei dovuto dirgli niente... le ha spifferato tutto.”
“No” la frenò Tony divertito. “Ha chiamato sul cellulare che ha dimenticato a casa e l’ho costretto a dirmi ogni cosa.”
“Allora sa che io dovevo organizzare la festa” fece Pepper scrollando le spalle. “E non l’ho fatto.”
Tony sorrise a massima potenza.
“Ma lo stava per fare e solo per questo dovrei baciarle i piedi” disse luminoso. “In ogni caso, potrei aver preso in mano la situazione.”
Virginia lo guardò preoccupata.
“Oddio” fece scettica. “La cosa mi terrorizza.”
“Non faccia la diffidente, Pepper” disse Tony ridendo. “Si fidi di me... non se ne pentirà.”
Si guardarono ancora, poi Tony le afferrò la mano e le puntò i propri occhi nei suoi.
“Perché è venuta qui?” le soffiò in volto. Pepper scrollò le spalle senza guardarlo.
“Mi piacciono gli alberi di Natale” rispose in un mormorio intimidito. “E questo è perfetto.”
Tony sorrise.
“Tutti gli alberi di Natale sono perfetti.”
Le strinse la mano e intrecciò le loro dita; a quel tocco, Pepper si sentì leggermente rabbrividire, ma non lo fermò né lo fece quando lui la trascinò in auto verso casa. Considerando la distanza notevole da Malibu e la guida sportiva di Tony, Pepper non si sorprese più di tanto quando si ritrovarono alla villa molto prima di quanto avesse impiegato quel pomeriggio ad andarsene. Una volta che furono arrivati, Pepper lo seguì lungo la scala verso il salotto e quando entrò si sentì mancare il fiato: la stanza era stata meravigliosamente addobbata con decorazioni semplici e colorate, per niente esagerate e molto eleganti, che raggiungevano l’apice nell’abete imponente a fianco al pianoforte. I rami sempreverdi erano agghindati con smerli radiosi, biglie intagliate, luci sfolgoranti e palline dipinte; sulla cima, giaceva un grosso puntale rosso dal bordo tempestato di onde dorate. Ai piedi del tronco, giacevano una dozzina di pacchi, tutti avvolti in carte luccicanti e fiocchi vistosi. Attorno all’albero e al tavolo colmo di cibo, c’erano non molte persone che Pepper aveva avuto l’occasione di vedere più di una volta e che conoscevano Tony da tanto tempo: tra le altre, riconobbe Happy con la madre, i genitori di Rhodey, alcuni dei collaboratori delle Industrie che erano stati grandi amici di Tony all’epoca del college e, naturalmente, il colonnello.
“Eccovi finalmente” esclamò il tenente andando loro incontro. “Vi stavamo aspettando... ma si può sapere che fine avevate fatto? Cos’è successo?”
Tony e Pepper si scambiarono uno sguardo complice, ma risposero con una semplice scrollata di spalle e si unirono allegramente alla festa, chiacchierando allegramente e mangiando in compagnia.
Successe circa a metà serata: mezzanotte era scoccata da poco e tutti si erano radunati in cucina per festeggiare. Tony lasciò per un minuto la stanza e tornò in salotto, vicino l’albero; a fianco al tronco, stava un pacco avvolto in vivace carta dorata con un grande fiocco sulla cima. Accanto al nastro rosso, il suo nome era stato scritto con la stessa calligrafia elegante che aveva riconosciuto sul biglietto attaccato all’alberello. Senza attendere un altro istante, le sue mani scartarono frementi il primo regalo di Natale della sua vita e un libro dalla copertina ingiallita e vecchia gli scivolò tra le mani. Sulla facciata, a lettere un po’ sbucciate, c’era scritto Cantico di Natale, Charles Dickens.
“Quando mio padre me lo regalò, avevo cinque anni.”
La voce di Pepper gli giunse come una delicata melodia e Tony sorrise sognante, osservando il volume mentre se lo rigirava tra le mani.
“Dev’essere importante, per lei” mormorò, aprendolo per sfogliare le pagine, per annusarle. “Lo sta regalando a me.”
Pepper avanzò fino a trovarsi seduta sul pavimento accanto a lui e gli rivolse un dolce sorriso.
“È da qui che ho tratto il biglietto sulla pergamena” annunciò con fare soave. Afferrò con una mano il giubbino di Tony a qualche passo da lei e ne estrasse l’alberello elettronico. “L’ho trovato in soffitta, nella scatola degli oggetti che voleva buttare e Rhodey mi ha spiegato la sua storia... pensavo che fosse giunto il momento di accenderlo, finalmente.”
Le piccole dita collegarono i cavi e le luci illuminarono il piccolo, geniale congegno. Tony rimase a fissarlo incanto, le mani ancora strette al libro polveroso. Incuriosito, ne aprì una pagina a caso e lesse:
- Buon Natale, Bob! - disse Scrooge battendogli sulla spalla con una cordialità schietta, da non si poter sbagliare. - Un Natale, Bob, molto più allegro di quanti non ve n'ho augurati per tanti anni, ragazzo mio. Vi cresco il salario e farò di tutto per assistere la vostra famiglia laboriosa, e oggi stesso, Bob, oggi stesso discuteremo i vostri affari davanti a un bel ponce fumante. Accendete i fuochi e andate subito, mio caro Bob, a comprare un'altra scatola di carboni...”
“... prima di mettere un altro solo punto sopra un i” concluse Pepper e i due si scambiarono uno sguardo luminoso. “Il protagonista è un uomo che non si rende conto di quanto possa valere per il mondo non in termini di denaro, ma di animo. Fa degli errori nella sua vita, poi succede qualcosa che gli fa rendere conto dei suoi sbagli e decide di cambiare, diventando un uomo migliore, che le persone che lo circondano amano follemente, persone che gli erano rimaste sempre accanto perché sapevano che poteva diventare migliore e che avevano sempre creduto in lui. E lui riesce a mettere a frutto la bontà che aveva sempre avuto dentro di sé e che conservava perché non si sentiva capace di farlo e non vedeva ragioni per cui fosse necessario.”
Tony deglutì e rivolse a Pepper il più sincero dei sorrisi.
“E alla fine?” chiese ed era unica l’ingenuità con cui pose la domanda.
“Alla fine” rispose Pepper con dolcezza, “diventa una persona migliore e tutti finiscono per amarlo ancor di più.”
Tony annuì, rimase ad ammirare Pepper qualche altro istante, il viso illuminato dalle luci colorate dell’albero e acceso dalla gioia; poi tese le braccia e afferrò un piccolo pacco incartato in una busta azzurra con un fiocco rosso, su cui il suo nome era stampato a caratteri chiari.
“Non sapevo che genere di colore preferisse” disse esitante, “ma mi sono ricordato che, quella volta, al Rockefeller Center, sembrava gradire particolarmente i festoni e poi il rosso è il colore dei suoi capelli e allora...”
Pepper aprì con delicatezza l’involucro e ne fece uscire uno smerlo dorato e scarlatto. Lo fece scivolare tra le dita e una patina lucida le velò lo sguardo.
“Grazie Tony” mormorò. Lui sorrise a sua volta e l’aiutò ad alzarsi.
“Dobbiamo subito aggiungerlo agli altri” fece entusiasta. Afferrò una sedia per lo schienale e la trascinò vicino al tronco, per poi salirvi e trascinare Pepper con sé: insieme adagiarono l’ultimo festone sull’abete e osservarono il proprio lavoro soddisfatti.
Pepper si lasciò cullare da quella vicinanza per parecchi minuti, dalla gradevole e calda presenza di Tony alle sue spalle, poi si voltò e lo guardò negli occhi per l’ennesima volta. Senza preavviso, si sporse e gli posò le labbra su una guancia, schiudendole in un lungo bacio.
“Buon Natale, Tony” mormorò arrossendo vistosamente, prima di fuggire in cucina con lo sguardo basso.
Tony rimase ad osservarla con aria rapita e lasciò che la guancia bollente sotto la barba si beasse di quel contatto. Alla fine, la seguì nella stanza attigua e si sedette, unendosi alle risate dei suoi amici e alle chiacchiere delle persone più importanti della sua vita, con Pepper ancora al suo fianco.
E gli bastava questo, e non chiedeva altro.





































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Buongiorno a tutti e buona festa della Liberazione. *-*
Mi trovo da queste parti perché, come promesso, mi accingo a postare una storiella Pepperony. 
Ma dobbiamo festeggiare perché sono ancora viva, benché ieri la visione di Iron Man 3 mi abbia a dir poco stravolta. Sono sincera, devo complimentarmi per la trama complessa che hanno saputo tessere e per come sono stati perfettamente sviluppati tutti i personaggi, a partire da Tony e Pepper per arrivare a Happy passando per Rhodey e addirittura Jarvis. *-*

Non spoilero niente, tranquilli; ma l'unica piccola cosa che voglio dire è che l'unico difetto è stata l'assenza di un bacio Pepperony. Spererò nelle scene tagliate; in ogni caso, io ho amato follemente ogni istante in cui Tony l'ha chiamata "tesoro" per cui, per quanto mi riguarda, posso anche morire e felice pure, grazie tante. 
Tornando a noi, be', questa storia non ha molto a che fare con il film, anche perché l'ho scritta tutta d'un fiato la settimana scorsa, sviluppando un'idea che già da parecchio tempo mi stava frullando per la testa. In origine, il pensiero mi piaceva di più, non so se il risultato è gradevole, confesso che avrei voluto qualcosa di meglio. >.< 
L'argomento natalizio è stra e più gettonato nel mondo delle fanfictions e io personalmente ho letto tante storie che ne parlano, anche su Tony e Pepper, ma le ho sempre trovate diverse e originali e volevo dare anche ioil mio contributo a questo filone narrativo. XD. 
Credo si sia capito che le parti in corsivo siano flashback. Qualcosina che può essere utile per capire meglio il tutto: 

[1]: la storia di Pepper è completamente di mia invenzione ed è stata già accennata nel Vaggio a Venezia;
[2]: i brani scritti sulla pergamena sono tratti, come detto alla fine, dall'opera di Charles Dickens, Cantico di Natale
[3]: la citazione "L'albero di Natale perfetto? Tutti gli alberi di Natale sono perfetti!" è di Charles Bernard.

Mi andava tanto di scrivere di Tony e Pepper immersi in alberi di Natale e neve e festoni colorati e Pepper mi ispira tanto persona che adora gli alberi di Natale. L'idea del Rockefeller Center è parzialmente ispirata al film "Mamma, ho riperso l'aereo", secondo capitolo della serie cinematografica Home alone
Non credo di dover aggiungere altro. Come sempre, ringrazio chi mi legge, mi segue e mi recensisce. Spero che gradiate questo piccolo - non tanto - pensiero per voi. ^^
Un bacione e alla prossima!
Mary. 
 

   
 
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