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Autore: Raffaele De Masi    25/04/2013    2 recensioni
Michele non può più parlare, come conseguenza del grave incidente in cui è rimasto coinvolto. La sua vita già sconvolta viene ulteriormente peggiorata dalla comparsa di un'entità demoniaca che lo ha preso di mira.
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Se le storie demoniache vi fanno paura, tanto meglio.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Mentre rincasava dal lavoro, Michele subì un incidente stradale. Era notte, e la strada di ritorno era lunga e buia, perciò non riuscì a scansare una macchina che avanzava veloce contromano con i fari spenti. L'urto fu violentissimo, Michele batté violentemente la testa ed entrò in coma. Il pirata della strada, d’altro canto, non subì danni permanenti.
Michele smise per sempre di parlare.

La moglie Marika insegnava in una scuola media provinciale frequentata dal figlio Roberto, e dato che suo marito non poteva più lavorare, dovette aggiungere alle sue ore lavorative anche le responsabilità di una badante, per una vecchia signora non più in grado di gestirsi da sola. Marika era costretta a stare fuori di casa dalla mattina fino al pomeriggio inoltrato, mentre Michele e Roberto venivano entrambi accuditi dalla sorella zitella Rita. Naturalmente non era un favore: Rita veniva ripagata ogni mese con trecento euro.

Michele non era costretto a stare su una sedia a rotelle, ma dopo ogni cinque minuti in piedi, era costretto a sedervisi. Il dottore aveva detto che i suoi muscoli si erano come irrigiditi, perdendo la loro naturale elasticità, e avevano finito per atrofizzarsi dopo un anno e mezzo trascorso da seduto, ma c'era speranza di una ripresa se avesse camminato un po’ ogni giorno come esercizio. Michele però, oltre al fatto di non essere abilitato fisicamente, stava lentamente entrando in una fase di profonda depressione. Non sapeva più parlare, ma la sua mente era consapevole di una grave mancanza. Gli altri non potevano immaginare l'orribile sensazione di non poter comunicare a voce, pur ricordando come si fa. Quando aveva bisogno di qualcosa lo scriveva su di un blocchetto. La sua calligrafia era difficilmente comprensibile ma il più delle volte si riusciva a cogliere il messaggio.

Un pomeriggio, Michele si sentiva depresso in modo acuto, e decise dunque di chiudersi in solitudine nella camera da letto matrimoniale. Si alzò a fatica dalla sua sedia a rotelle per risedersi su una comoda poltrona posta ai piedi del letto su cui di solito Michele leggeva libri, e quella volta aveva intenzione di leggere qualcosa di complicato, che lo distraesse dal terribile stato in cui si sentiva prigioniero... era una fortuna il fatto che era ancora abilitato alla lettura.
Rita era al telefono con l'ennesimo uomo che cercava invano di portarsi a letto, mentre Roberto era seduto dietro la scrivania dello studio di sua madre a fare i compiti.

Michele non aveva ancora cominciato a leggere quel romanzo: era una di quelle storie da mal di testa che potevano essere comprese solo dai cervelloni resi miopi da anni e anni di letture di fisica quantistica. Dopo aver letto le prime due pagine, stava per addormentarsi. I raggi solari illuminavano la stanza in cui si trovava, creando dei giochi di luce colorati quando incrociavano lo specchio dell'armadio e il vetro cristallizzato del lampadario. Questo aumentava la sua sonnolenza, e stava per assopirsi del tutto, quando con la coda dell'occhio semiaperto, intravide uno strano movimento nell'angolo situato più all’ombra. Si destò dal torpore di colpo, e fissò con paura crescente quell'ombra che stava assumendo una forma sempre più definita, mentre si staccava dalla parete. Michele non riuscì ad emettere alcun suono per quanto si sforzasse, sentì un senso di umidità crescente nei suoi pantaloni... capì di essersela fatta addosso. L'ombra stava cominciando ad assumere le sembianze di un uomo alto, tutto vestito di nero e con un volto che sarebbe stato di immensa bellezza se non avesse avuto un ghigno che era il riflesso di una malvagità che andava oltre ogni immaginazione.
Michele tremava come una foglia, e cercò in tutti i modi di urlare «Chi sei?» ma la sua mente non volle saperne. L'uomo gli parlò, soddisfacendo la sua richiesta «sono il tuo persecutore».
All’udire quella voce, ebbe ancora più paura... quel suono non poteva appartenere ad un essere umano, era la voce più spaventosa che si potesse mai udire. Senza preavviso, l'uomo gli si avvicinò con uno scatto fulmineo e gli assestò un sonoro ceffone, che strappò a Michele un verso dolorante e istintivo, poi alzò da terra la poltrona su cui era seduto e la scaraventò forte contro l'armadio mandando in frantumi il vetro, facendolo crollare dolorosamente a terra. Il frastuono attirò l'attenzione di Rita e Roberto, che si precipitarono nella stanza di corsa. Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi li lasciò pietrificati. Roberto cominciò ad urlare il nome del padre, il quale gemeva sul pavimento mentre la zia gli si avvicinava per cominciare a scuoterlo preoccupata «Michele... Miche, cosa è successo?!». Lui naturalmente non poteva risponderle e non le avrebbe risposto comunque, anche se avesse posseduto ancora il dono della parola. Era ancora scioccato per quanto gli era accaduto... e cosa gli era capitato? Era stato malmenato da una strana entità. Cos'era…un demonio? “Sono il tuo persecutore"… continuava a pensare queste parole, per quanto la sua mente danneggiata glielo permettesse.

Marika fu sconvolta quando sua sorella le raccontò il fatto ma, naturalmente, nessuno prese in considerazione che uno spirito maligno avesse picchiato suo marito, il quale, nella più completa confusione, sudando abbondantemente, l’aveva scritto e riscritto sul suo inseparabile blocchetto. Lei sapeva che suo marito soffriva di depressione, e non avrebbe mai pensato che nel suo stato attuale avesse abbastanza forza da riuscire ad alzare la poltrona e scaraventarla violentemente contro l'armadio... la verità qual era?
Michele digiunò quella sera, così come il giorno seguente e quello dopo ancora. Inoltre aveva paura di addormentarsi, così cominciarono a formarglisi profonde occhiaie come conseguenza delle notti in bianco.

Dopo alcuni giorni dall'orribile episodio, Michele riprese a mangiare. Una sera era seduto a tavola insieme alla famiglia a mangiare un umile piatto di spaghetti al pomodoro, guardando in contemporanea anche il televisore… allora lo vide. L'entità era dietro la porta della cucina, nell'ombra, squadrandolo con divertito disprezzo.
Michele lasciò cadere la forchetta nel piatto, facendo schizzare sugo sul tavolo. Iniziò a tremare violentemente, indicando il punto in cui il persecutore era nascosto. Marika e Roberto si spaventarono a morte per lo sguardo folle che assunse.
«MA CHE COSA VEDI!?» Esclamò sua moglie quando Michele si afferrò i lati della testa e iniziò a strapparsi i capelli, soffrendo di non riuscire ad esprimersi. Roberto spostava lo sguardo da suo padre alla porta della cucina e iniziò a piangere per la paura. Allora Marika ebbe una certezza terribile: suo marito soffriva di allucinazioni.

Il dottore aveva spiegato a Marika che le allucinazioni potevano essere una più che probabile conseguenza dell'incidente. Aveva cercato di spiegarlo inutilmente anche a Michele, il quale non credeva affatto a questa teoria e avrebbe voluto urlare “una visione generata dalla mente non può prenderti a schiaffi” e lasciò lo studio, irato.
Marika raccontò che, dopo la visione in cucina, erano seguiti altri episodi sconcertanti: per quattro notti era stata svegliata di colpo sentendo dei rantoli soffocati, e ogni volta scopriva suo marito sdraiato supino con la bocca aperta, le pupille rovesciate ed entrambe le mani portate alla gola. Il tutto durava pochi secondi, poi Michele lanciava un lamento strozzato e iniziava a singhiozzare come un bambino. Lui aveva scritto sul blocchetto che l'entità gli si sedeva sul petto tutte le notti, immobilizzandolo, serrandogli le mani alla gola per strangolarlo… ma non arrivava mai fino in fondo, si limitava a spaventarlo a morte.
In verità, anche Marika cominciava ad avvertire cose strane in casa, ma associava tutto alla suggestione per ciò che stava accadendo a suo marito: quando si ritrovava da sola, in alcune circostanze non poteva fare a meno di guardarsi continuamente indietro, perché la rapiva la forte sensazione che qualcuno passeggiasse per casa.
Il dottore comunque, consigliò un esame del lobo temporale per accertare ulteriori lesioni che avrebbero potuto procurare le allucinazioni. Marika dovette sforzarsi non poco per convincere Michele a farsi esaminare. I risultati furono negativi, e rimase stupita di se stessa per non essersi sorpresa. Il fatto è, che nell'inconscio, credeva a suo marito.

Una domenica mattina, Marika aveva invitato sua sorella a pranzare in famiglia. Era circa mezzogiorno, Michele era andato da solo in camera da letto per prendere una radiolina con le cuffie, racchiusa nel comodino. Il resto della famiglia era in cortile ad apparecchiare il tavolo: avrebbero pranzato all'aperto. Nel momento in cui aprì il cassetto del comodino, la porta della camera si chiuse di colpo, facendolo sobbalzare. Non ebbe il tempo di voltarsi che il suo persecutore gli fu addosso.
Fu brutale, violento e privo di scrupoli. Michele era stato picchiato alcune volte nel corso della sua vita, per aver resistito ad una rapina o per aver avuto la peggio in qualche lite... ma non aveva mai subito un pestaggio come quello.

Il frastuono proveniente dalla camera matrimoniale attirò l'attenzione non solo della famiglia di Michele, ma anche del vicinato. Marika e Rita udivano le grida di dolore di Michele, ma nonostante i loro sforzi, non riuscivano ad aprire la porta... non era chiusa a chiave. Lui venne sbattuto contro il muro, prima di petto, costandogli la rottura di due costole, e poi di testa, facendogli esplodere numerose scintille bianche davanti agli occhi prima di perdere i sensi.
Michele si risvegliò sdraiato su un letto d'ospedale, con un tubo per l'ossigeno su per il naso e un collare ortopedico. Sua moglie e suo figlio erano vicini a lui; lei era pallida e aveva occhiaie profonde, segno di aver passato numerose notti insonni; Roberto non era messo molto meglio.
Marika, quando si accorse che suo marito si era svegliato, gli corse vicino e gli diede un bacio umido sulla fronte. Delle lacrime scivolarono da entrambi gli occhi di Michele, rigandogli le guance. Lei gli sussurrò all’orecchio che quella brutta storia presto sarebbe finita, e che gli credeva. Michele era quasi impossibilitato a muoversi ma quell'affermazione contorse il suo viso in un unico sorriso... il fatto che la moglie gli credesse, rendeva tutto più sopportabile.

 

A convincere Marika che le aggressioni erano autentiche, era stato un fatto avvenuto all'interno dell'ospedale. I medici che avevano visitato Michele erano rimasti molto perplessi: il gran numero di danni fisici che aveva ricevuto, senza contare i suoi handicap e la quantità di cose distrutte nella camera da letto dove era avvenuta la vicenda, facevano risultare molto improbabile che il soggetto si fosse fatto del male da solo. Marika e sua sorella erano state interrogate dai medici e dalla polizia per accertare che non fossero state loro a fargli del male, e furono escluse: la mano che lo aveva picchiato selvaggiamente non poteva appartenere ad una donna... era troppo forte.
Il giorno prima che Michele si risvegliasse, un dottore responsabile della videosorveglianza notturna, aveva chiamato Marika per farle vedere ciò che era successo quella notte. Il dottore portò indietro il video alle due di notte e le disse di tenere d'occhio la sedia poggiata di fianco al letto... ciò che vide le mozzò il fiato: il cuscino della sedia si ammaccò improvvisamente, come se qualcuno ci si fosse seduto sopra. Allora ebbe l'assoluta certezza che qualcuno stava torturando suo marito.
Una nuova emozione, oltre la paura, si stava facendo spazio nel suo cuore, ed era la rabbia... chiunque fosse stato a ridurre Michele in quello stato, l'avrebbe pagata. 

 

  
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