Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure
Segui la storia  |      
Autore: memi    13/11/2007    10 recensioni
Tre storie diverse, tre ragazze differenti alle prese con i medesimi problemi: l'amore. Tormentato, confuso, appassionato. E tre ragazzi tutti terribilmente diversi che con i loro caratteri opposti riescono a mettere lo zampino nei loro già intricati dilemmi esistenziali. Tra scoperte sconcertanti, verità camuffate e sorrisi imbarazzati non sarà facile dare un senso al tumulto di emozioni diverse che le tre protagoniste sono costrette a vivere sulla proprio pelle.
Tre one-shot dal punto di vista quasi unicamente di lei, come suggerisce il sottile titolo gentilmente proposto dalla mia amica Sae! La prima della quale è una Koumimi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hikari Yagami/Kari Kamiya, Mimi Tachikawa, Sora Takenouchi
Note: Alternate Universe (AU), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
GEEK!

“Si definisce equazione un’uguaglianza contenente una o più quantità variabili o incognite, verificata solo per particolari valori di queste”

“Oh, adesso sì che è chiaro…”, alzò gli occhi al cielo Mimi Tachikawa, scocciata da quell’inutile carico d’informazioni, facendo sghignazzare il gruppetto di ragazze sedute attorno a lei.
“Cosa darei per capire anche solo una parola di quello che sta dicendo!”, sospirò afflitta la bionda dietro di lei, subito imitata dalla ragazza a destra.
“Non avete anche voi l’impressione di assistere ad una lezione di egizio antico?”
“Non scherzare Fuu. L’egizio antico è molto più semplice!”, replicò scandalizzata Mimi, prima di scoppiare in una risata giuliva per nulla consona al contesto.
E, come prevedibile, non mancò di portarsi dietro anche l’occhiataccia del professore.
“Sarebbe così gentile da far ridere anche noi, signorina Tachikawa?”, la guardò torvo, per nulla felice di quell’imprevista interruzione.
Alla domanda il volto di Mimi si colorò di un delizioso bordeaux, in perfetta sintonia con i capelli castani lasciati ad ondeggiare sulle spalle.
“Io…ecco, in realtà…”, farfugliò imbarazzata, non sapendo di preciso che dire.
D’altronde non poteva certo confessargli che stava beatamente ridendo della sua adorata materia Era risaputo, difatti, che il professore non gradiva quanti di loro osavano sdrammatizzare sull’importanza della matematica nella quotidianità di un individuo. Perché, insomma, non era l’intero cosmo governato da numeri e leggi matematiche? Accidenti, come facevano quegli scalmanati studenti a non capire?!
“Lasci stare, và, dopotutto non sono sicuro di volerlo sapere davvero. Piuttosto cerchi di concentrarsi seriamente e di seguire la lezione come al signor Izumi”, accantonò infine la questione l’uomo, sventolando la mano quasi avesse avuto di fronte una mosca da scacciare, prima di tuffarsi a capofitto nella spiegazione.
Mimi stava ancora annuendo quando quello riprese a parlare. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era una nota in matematica, visti i già scarsissimi e scarni risultati.
D’istinto gli occhi si spostarono lungo tutta l’aula fino a cercare degli spettinati capelli rossi.
Izumi.
Lo conosceva da una vita, eppure non si parlavano seriamente da anni. Koushiro, era questo il suo nome, viveva nell’appartamento accanto al suo ed era in classe con lei, eppure non avevano mai fatto la strada insieme da quando avevano iniziato a frequentare le medie. Sua madre le chiedeva in continuazione il motivo per cui adesso sembrassero così distanti quando invece fino alle elementari erano stati grandi amici, ma lei ogni volta rimaneva impalata a fissarla a bocca asciutta. Forse era iniziato tutto da quel battibecco, tuttavia è difficile ricordare di preciso un avvenimento accaduto almeno tre anni prima. Però, a ben pensarci, avrebbe sempre potuto parlargli a fine lezione visto che per un caso fortuito avevano avuto entrambe il ruolo di capoclasse per quella settimana.
Sì, ma per dirgli cosa, poi? Per chiedergli che?
E poi adesso erano così cambiati…
Lei popolare e ottusa, lui intelligente e riservato.
Lei una gal, lui un geek.
Niente di più diverso, niente di più sbagliato.
Sospirò. Era inutile continuare a lambiccarsi il cervello su quella linea di pensieri inconcludenti. Meglio concentrarsi sulla matematica, perlomeno il professore non avrebbe avuto più nulla da ridire.
 
***
 
“Ciao Mimi, a domani!”, la salutò cinguettando Fuu, allontanandosi con le altre tre amiche che intanto le facevano il segno del saluto con la mano.
Tachikawa sorrise, guardandole allontanare e portarsi via anche un brandello di se stessa. Le succedeva sempre quando si rendeva conto di essere sola, di sentirsi persa. Sarebbe stata in perfetto agio in mezzo a cento persone che la fissavano in silenzio, ma da sola era come una zattera in balia delle onde.
Tuttavia, come ben presto si accorse, non era sola. Koushiro, infatti, si era appena alzato dalla sua sedia e si stava avvicinando a passo felpato verso la porta.
“Ehi, dove stai andando?”, lo chiamò apprensiva Mimi, intimorita che lui potesse lasciarla in balia di quello scomodo ruolo.
Il rosso allora, sentendosi chiamare, si voltò e il cuore della ragazza perse un battito quando quei saggi occhi corvini si posarono nei suoi.
“Non sto scappando, se è di questo che ti stai preoccupando”, intuì al volo il fluire dei suoi pensieri Koushiro, facendola avvampare seduta stante per la figuraccia commessa nonostante il tono di voce non fosse stato per niente offensivo.
Legge nel pensiero?, avrebbe voluto chiedergli, ma tenne ugualmente per sé il pensiero. Sarebbe sembrata un’autentica stupida, d’altronde, ad esporlo e c’era da bruciarsi la mano sul fuoco se già non lo era fin troppo ai suoi occhi, ottusa.
“Non…non mi sto preoccupando di questo!”, tentò di riassumere un certo autocontrollo lei, che mai le era mancato in altre situazioni. “Stavo solo…non importa. Vengo con te!”
Lo aveva detto sorridendo, sperando forse di apparire generosa ma in realtà era un’autentica egoista. Non lo stava infatti facendo solo per non dover rimanere da sola?
Ma quanto sei fifona da uno a dieci, Mimi?!, si domandò mentre suo malgrado lo seguiva per i corridoi della scuola fino al ripostiglio in cui erano tenute le scope. Ne prese un paio, mentre Koushiro si premurava di procacciarsi il cancellino e gli strofinacci con il relativo prodotto per pulire poi anche i banchi. Con le mani occupate si affrettarono quindi a raggiungere la prima D, tremendamente desolata senza il chiacchiericcio concitato degli studenti che la componevano.
“Okay, mettiamoci al lavoro adesso!”, esordì con veemenza Mimi, mentre accanto a lei Koushiro studiava il posto nel tentativo di scegliere il punto migliore per iniziare.
Decise alla fine di cominciare dalla lavagna e per questo sistemò gli strofinacci col prodotto da una parte tenendo invece con sé solo il cancellino. Durante tutta la veloce operazione Tachikawa era rimasta in silenzio sulla porta a fissarlo, col cuore in gola mentre i riflessi dorati del sole si perdevano in quelle ciocche rossastre regalandogli preziose meche arance. Ad un tratto sembrava che gli anni non fossero mai passati da quando avevano dieci anni e ancora si allietavano della compagnia dell’altro. Magari era diventato più alto, e forse anche più aitante, ma quei capelli amaranti erano la prova tangibile che rimaneva sempre il suo Koushiro. Erano quasi una certezza, per lei.
“Koushiro?”, lo chiamò ad un tratto Mimi, animata da quei nostalgici pensieri.
Izumi stava pulendo la lavagna imbrattata di gesso tuttavia smise di farlo per voltarsi a fissarla con un’espressione di puro stupore. Si voltò e il suo cuore perse qualche battito nell’incrociare quegli occhi di miele. Era stupefacente come si potesse leggere un mondo in quelle pozze castane. Erano un libro aperto al mondo, in attesa solo di qualcuno che vi posasse lo sguardo e vi leggesse il contenuto. Ed era quello, proprio quello il punto. Koushiro non era per niente sicuro di essere lui a doverlo fare.
Tormentato da quei negativi pensieri, il ragazzo abbassò il capo spezzando così quel fragile legame instauratosi e per questo non riuscì a vedere il volto di Mimi rabbuiarsi a quel repentino cambiamento.
“Pulisco la lavagna, poi ti aiuto con i banchi”, sentenziò con una gentilezza formale Koushiro, nonostante dentro qualcosa avesse preso a dolergli irrimediabilmente.
Lei lo vide voltarsi per ritornare al lavoro e di nuovo si sentì persa in quel silenzio infinito. Avrebbe voluto chiedergli qualsiasi cosa, tuttavia Izumi sembrava distante anni luce da lei. Allora, senza più aggiungere una parola, afferrò lo strofinaccio e s’immedesimò a sua volta in quello scomodo ruolo di capoclasse.
 
***
 
La stazione della metropolitana era sempre affollata da una miriade di persone disomogenee. A Mimi non piaceva affatto dover prendere la ferrovia, figurarsi quando poi le succedeva di doverlo fare a quell’ora, con il sole ormai prossimo al tramonto e i volti più loschi in agguato. Meccanicamente iniziò a battere un piede per terra, come a voler incitare in quel modo il tempo a scorrere più veloce, e senza sosta prese a guardarsi attorno in modo frenetico. Tuttavia nel momento stesso in cui il suo sguardo ricadde su Koushiro, a pochi passi di distanza da lei, qualcosa scattò e di tutta quella preoccupazione non rimase che un vago sentore. Come c’era riuscito Mimi non lo sapeva visto che non la stava neppure guardando. Eppure il senso di protezione era quasi tangibile, così forte da non poterlo proprio ignorare.
Senza quasi accorgersene aveva preso a fissarlo, insistentemente, forse incapace di fare altro. Koushiro se ne accorse e per questo le gettò un’occhiata interrogativa, incuriosito di sapere il motivo di quel gesto, ma lei anziché rispondere alla sua muta richiesta deviò il capo verso il tunnel scuro da cui sarebbe dovuta sbucare la metropolitana. Nel farlo, però, avvertì subito qualcosa spezzarsi in lei. Come un cristallo tenuto in piedi da fili ancora troppo sottili. Ad un tratto il rimpianto di aver spezzato l’incanto andò a soppesarle sul cuore costringendola a cercare ancora quel fragile legame, ma ormai Koushiro si era voltato dall’altra parte eludendo così ogni possibilità di riuscita.
Con una certa amarezza in petto, Mimi si apprestò a salire sul vagone della metropolitana che nel frattempo era arrivata in stazione. A differenza del caotico ammucchiamento di persone della mattina, in quell’orario particolare non c’erano moltissimi passeggeri perciò con una buona dose di fortuna riuscì persino a racimolare un posticino a cui sedersi. Fuori il cunicolo di gallerie sotterranee impediva alla vista di godersi il panorama che una città mozzafiato come Tokyo poteva offrire, perciò non le rimase che cercare spunti visivi all’interno della carrozza. Ovviamente tra tutti quei volti sconosciuti i suoi occhi corsero subito alla figura rassicurante di Koushiro, in piedi di fronte ad una delle porte ad ascoltare il suo tecnologico lettore musicale.
A vederlo in quel modo sembrava del tutto distante dalla realtà, come se non facesse neanche più parte di questo mondo. Mimi aveva sempre invidiato quella sua peculiare capacità di estraniarsi dalla civiltà in presenza di un qualsiasi congegno elettronico. La cibernetica era tutto il suo mondo. Geek. Koushiro era un geek. Lui ci sguazzava in quella tecnologia, mentre lei a stento sapeva accendere il microonde. E dopotutto era proprio per questo che alla fine la loro amicizia sembrava essere finita. Erano troppo diversi, no?
“È libero questo posto?”
Sentendosi in qualche modo chiamare in causa, Mimi si voltò giusto in tempo per vedersi torreggiare davanti la figura tozza di un uomo dall’aria alticcia. Ma non era solo l’espressione del viso ad apparire alterata. Dai suoi panni, infatti, traspariva tutto l’inconfondibile odore dell’alcol che doveva aver bevuto in fin troppa eccedenza.
Intanto l’uomo la fissava scontroso e lei stava già sudando quando si rese conto che davvero affianco a lei la donna di poco prima non c’era più. Doveva essere scesa alla fermata precedente, si disse agitata per quella scomoda situazione in cui si era suo malgrado ficcata. Avrebbe voluto dirgli che era occupato, ma poi sicuramente lui si sarebbe accorto che non era vero e in quelle condizioni non era da scartare un’eventuale reazione negativa. Si stava ancora lambiccando il cervello nella ricerca di una plausibile e fulminea scusa quando una mano calda si poggiò delicatamente sulla sua spalla. Tachikawa alzò la testa e il cuore ebbe un tuffo nell’incrociare il rassicurante sguardo di Koushiro.
“Ho trovato due posti liberi nell’altro scomparto per sederci vicini. Vieni?”, le disse con voce suadente, improvvisando la prima banalità saltata alla sua mente.
Mimi tuttavia parve capire il tacito suggerimento e, annuendo, decise di seguirlo nel vagone adiacente. Una volta qui, con la porta a dividerli da quell’uomo per nulla rassicurante, poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo.
“Grazie per…per avermi aiutata”, biascicò lei tra l’imbarazzo generale, sforzandosi di sorridere nonostante il tumulto nel petto.
Stranamente Koushiro a quel gesto non riuscì a celare un dolce rossore che subito andò ad infiammargli le guance altresì pallide.
“Non…non ho fatto niente”, replicò, altrettanto imbarazzato.
Era strano ritrovarsi in quella situazione quando una volta si erano confidati persino i segreti più intimi. Adesso, invece, pareva non fossero nemmeno più capaci di parlarsi senza arrossire o, peggio ancora, perdere le parole. Era cambiato tutto da quando avevano compiuto dodici anni. Da quando quella terribile discussione era piombata come un macigno sulle loro vite, travolgendole. Da quando avevano deciso di seguire strade completamente diverse.
“Non è vero. Tu…mi hai tolta da una situazione difficile e…ti ringrazio”, ribatté di rimando Mimi, sentendosi ora una sciocca a parlare con tutti quegli inutili farfugliamenti.
Che le succedeva? Non era mai stata il tipo di persona da imbarazzarsi per così poco. Eppure con lui non riusciva a fare altro.
Per fortuna e allo stesso tempo per sfortuna, ad interrompere quello scarno discorso intervenne una nota voce metallica che annunciava l’arrivo alla stazione di Odaiba centro.
“La tua fermata”, esordì a quel punto Izumi, ritornando di nuovo terribilmente serio.
I suoi occhi corvini mal celavano una certa preoccupazione e Mimi non riuscì a non chiedersene la ragione. Perché sembrava così angosciato? Ma poi qualcos’altro catturò la sua attenzione. Koushiro, infatti, aveva detto ‘tua’, non ‘nostra’. Dunque che intendeva? Eppure lui abitava nella sua stessa palazzina!
“Tu non vieni?”, decise quindi di domandargli, spinta da un’innata curiosità.
Koushiro alla domanda sembrò incupirsi, tanto da abbassare mesto il capo.
“No”
“Ah…”, sussurrò appena lei, e se solo lui fosse stato un po’ più attento avrebbe scorto senza difficoltà la nota di delusione apparsa nella sua voce.
“Devo prima fare una cosa importante”, aggiunse ad un tratto Izumi, meravigliandosi poi per primo per quella non richiesta spiegazione.
Perché ad un tratto evitare di ferirla era diventato così importante per lui?! Non le doveva giustificazione, dopotutto non si parlavano quasi! Che gli succedeva? Non ebbe il tempo di rispondersi che già lei gli aveva preso amichevolmente il braccio, aggrappandovisi con le sue mani curate.
“Posso venire con te, vero?”, gli chiese, con tanto di occhi da cucciolo.
Koushiro la fissò e, mentre avvampava incontrollato, pensò che a quello sguardo non avrebbe mai saputo resistere al di là del resto. Ma poi pensò a quello che stava andando a fare e una morsa terribile attorno al suo cuore ferito gli scrollò da dosso ogni altra emozione.
“È meglio di no”, rispose quindi, con timbro di voce piatto e forse proprio per questo ancor più tagliente.
Il sorriso scomparve all’istante dal bel volto di Mimi che dovette faticare non poco per non scoppiare a piangere. Ecco, lo stava facendo di nuovo. La stava escludendo dalla sua vita, dal suo mondo, proprio come era successo tre anni prima. Ma stavolta era più che mai intenzionata a non permetterglielo, non di nuovo, non ora che si stavano in qualche modo ritrovando. Perciò, nonostante il suo rifiuto, saltò la sua stazione per seguirlo in quel viaggio a lei completamente oscuro. Non sapeva la destinazione, né il presunto impegno di Koushiro, però sapeva che doveva stargli vicino e niente al mondo glielo avrebbe impedito. Nemmeno lo sguardo del ragazzo, adesso quasi arrabbiato. Quasi, perché dopotutto arrabbiarsi non rientrava nelle capacità di Koushiro Izumi.
“Ti avevo detto di non venire”, disse serio, procurandole inavvertiti brividi lungo tutta la schiena.
Mimi, però, non si lasciò scoraggiare dal suo sguardo, nonostante la delusione a bruciarle nel vivo.
“Infatti non sto venendo con te. Mi sono solo appena ricordata di avere a mia volta un impegno!”, replicò, sforzandosi di apparire convincente nonostante sapesse perfettamente che quel genere di giochetti con lui proprio non funzionavano.
Koushiro difatti sospirò, scuotendo il capo spossato, prima di divincolarsi dalla stretta di lei per prendere posto ad uno dei sedili liberatisi. Accorgendosi che però lei non arrivava, alzò lo sguardo e inarcò un sopracciglio con aria interrogativa ma del tutto calma.
“Non vuoi sederti?”, le domandò, gentile come sempre.
Mimi arrossì scioccamente a quella richiesta tuttavia ubbidì e ben presto era già seduta al suo fianco verso una delle prossime destinazioni.
 
***
 
L’altoparlante annunciò l’arrivo nel quartiere prettamente residenziale di Shinjuku e fu con grande stupore che Mimi si rese conto di essere proprio quella la meta segreta di Koushiro. Il ragazzo infatti al sentire quel nome era sobbalzato, per poi alzarsi con aria tormentata. Lei lo aveva seguito, un po’ stupita da quell’insolita reazione e un po’ preoccupata perché non ricordava di averlo mai visto in quello stato prima. Evidentemente, si disse mentre lo seguiva fuori dalla metro, la cosa importante che doveva fare non era affatto semplice come lei stessa aveva creduto.
Di che può trattarsi? Mimi voleva saperlo, ma non sapeva fino a che punto fosse stato giusto chiederglielo. Ad un tratto si rese conto di essersi persa molto di lui in tutti quegli anni. Un tempo sapeva alla perfezione la sua bevanda preferita, adesso faticava perfino a ricordare il segno zodiacale. Non era giusto, accidenti, lei voleva sapere tutto di lui. Voleva sapere perché aveva deciso di scendere a Shinjuku anziché ad Odaiba, voleva sapere cosa frullava in quella testa intelligente, voleva saper leggere in quegli occhi carbone. Lo voleva, perché un tempo ne era in grado mentre adesso a stento riusciva a capire quando era di malumore.
“Koushiro…”, sussurrò ad un tratto lei, bloccandosi tra la magra calca di passanti.
Izumi si voltò e sgranò gli occhi colpito nel notare dei  frammenti di sale gremire quegli occhi nocciola tanto spontanei. Perché, si chiese con il cuore in gola, Mimi sembrava sul punto di piangere? Eppure non ricordava di aver fatto qualcosa di sbagliato da aver indotto una simile reazione. Ma, soprattutto, perché vederla in quello stato lo faceva sentire così maledettamente impotente e male?
“Cosa…cos’è cambiato tra noi, Koushiro?”, domandò infine la ragazzina,  con voce vibrante.
Intanto le dita avevano preso a torturare le lunghe ciocche di capelli castani, facendola così apparire più una spaurita bambina che una vera quindicenne. Koushiro se ne accorse e il cuore gli si strinse in una morsa lancinante. Avrebbe voluto abbracciarla, ma semplicemente non poteva perché era stata lei a volere così. Così, reprimendo l’istinto, abbassò il capo e si lasciò sfuggire un sospiro triste.
“Sei stata tu ad aver deciso questo, Tachikawa”, le rispose con voce stanca, fin troppo per un quindicenne.
Stavolta fu il cuore di Mimi a subire un brutto colpo. Odiava quando la chiamava per cognome dopo avergli sentito pronunciare così tante volte il nome.
“Non è vero”, replicò, ferita nel profondo da quell’accusa infondata, mentre si sforzava di combattere contro quelle lacrime insistente.
“Sì che lo è. Hai sempre deciso tu. Anche quando mi hai urlato di non volermi più come amico”, statuì con voce stemperata dalla frustrazione Koushiro, ormai irresistibilmente travolto da quei lontani e dolorosi ricordi.
Ad un tratto, come in un flash istantaneo, Mimi rimembrò a sua volta quegli attimi e rivide proiettata davanti ai suoi occhi la furiosa litigata avvenuta circa tre anni addietro. Lui era arrabbiato con lei perché gli aveva rotto il suo amato computer portatile e così le aveva rivolto una di quelle occhiate carica di delusione che tanto odiava. E lei…beh, non c’aveva visto più.
“Io… Tu mi avevi guardata a quel modo e io mi sono sentita così sciocca e…e non ho capito più niente!”, tentò di giustificarsi Mimi, le lacrime ormai a solcarle le guance lattee.
Ma Koushiro non poteva vederle perché ancora si ostinava a tenere lo sguardo basso, in un terribile silenzio che la feriva più di mille parole.
“Koushiro…”, gli si avvicinò allora, poggiandogli una mano sulla sua nella speranza che capisse quanto importante era ancora per lei. “Non ho mai pensato quelle parole. Ero solo…ero solo arrabbiata con te perché…perché continuavi a preferire il tuo computer a me e… Sigh! Non volevo romperlo, è stato un incidente, devi credermi Devi perché…sigh…tu sei sempre stato molto importante per me e…sigh…lo sei ancora. Io…mi dispiace! Sigh! Sono stata una tale…stupida!”
Inaspettatamente Mimi era scoppiata in lacrime, preda ormai di irrefrenabili singhiozzi che già da un po’ avevano iniziato a frapporsi nel suo scoordinato chiarimento. Sentendola singhiozzare, Izumi alzò lo sguardo e fu come se un pugno lo colpisse in pieno nel scoprirla in lacrime. Era inutile, proprio non sopportava vederla piangere anche se le sue parole cattive l’avevano perseguitato per giorni senza dargli mai tregua. Ed era così stupido adesso pensare a tutta quella sofferenza sapendo che in realtà era dovuta ad una semplice incomprensione. Sarebbe bastato così poco, mentre invece da sciocchi si erano lasciati sfuggire tutti quegli anni…
“Mimi”, la chiamò incerto il ragazzo, avvicinandosi a lei fino a stringerla tra le sue forti braccia.
Sembrava così fragile in quel momento, così avidamente aggrappata alla polo bianca della sua divisa scolastica. Della ragazzina forte attorniata dalle amiche non c’era più spazio. Eccola, pensò mentre la stringeva un po’ di più, la vera Mimi. Quella insicura e bisognosa di affetto, quella che ha paura della solitudine e del buio. La sua Mimi. Quella che senza volerlo aveva creduto fosse meno importante di uno stupido computer per lui.
“Mimi”, la richiamò quindi, intanto che le accarezzava le lunghe ciocche castane. “Mi dispiace se ti ho fatto sentire così trascurata, non avrei mai voluto farti del male. Ma tu lo sai, sono un fissato e quando mi metto davanti ad un computer scompare tutto il resto”
A quelle parole lei non riuscì a trattenere una risatina che subito gli risollevò l’animo ferito dalle lacrime sulle sue guance irritate.
“Sei un geek”, statuì ingenua Tachikawa, e stavolta fu il turno di Koushiro di ridere.
“Sì, un geek”, annuì divertito da quella nuova definizione. “E tu sei il mio filo con la realtà, Mimi”
Lo aveva detto con una certa sicurezza, sebbene il rossore a comparire puntuale sul volto.
Istintivamente la ragazzina alzò lo sguardo a cercare quello dell’ormai ritrovato amico e il cuore le balzò forte nel petto nell’incrociare quelle pozze d’inchiostro fisse su di sé. Senza quasi accorgersene le sue labbra si erano arricciate a formare un delizioso sorriso che sortì l’effetto di farlo arrossire ancora di più fino a diventare un tutt’uno con il peculiare colore dei suoi capelli. Tuttavia ciò non gli impedì di ricambiare a quel dolce gesto d’affetto piegando a sua volta le labbra all’insù.
“Dai, andiamo adesso”, disse infine, prendendole la mano e guardandola con calore.
Mimi sentì le gambe tremarle a quell’espressione e un’ondata di benessere artigliarle lo stomaco. Avrebbe potuto trascorrere tutta la notte fuori al buio, adesso, senza avere paura, perché al suo fianco c’era Koushiro e di sicuro non l’avrebbe più lasciato andare.
 
***
 
Shinjuku era tremendamente caratteristica con tutta quella sfilza di abitazioni a farne da padrone. La luce proiettata dal vetro di qualche finestra si univa in tanti piccoli raggi a quella più forte dei lampioni, conferendo alle vie un aspetto del tutto confortevole. Mimi non ricordava di essere stata mai tanto bene come in quel momento, con la luce a filtrare il buio della notte e la mano di Koushiro strettamente intrecciata alla sua. Adesso non le importava nemmeno più sapere dove stavano andando. Si fidava di lui e sapeva che a momento debito anche a lei lo scopo di quell’avventura sarebbe stato chiaro.
Stava ancora pensando a questo quando ad un tratto Koushiro si fermò, arrestando di botto pure il suo passo. Come mossa da una spinta invisibile, Mimi si voltò a fissarlo per cercare di capire il motivo di quel repentino cambiamento e lo sentì lo stupore avvolgerla nel vederlo impallidire tanto mortalmente.
“Koushiro?”, lo richiamò dunque, in apprensione.
Lui, però, non sembrava averla sentita intento com’era a fissare l’abitazione che si ergeva di fronte ai loro occhi. Ingenuamente Tachikawa si chiese cosa mai potesse significare tutto quello e, soprattutto, cosa mai potesse avere di tanto sconvolgente una casa tanto graziosa come quella. Ma la tacita domanda non dovette attendere poi molto che la risposta subito le arrivò dallo stesso Koushiro, il quale aveva iniziato a parlare senza nessuna vera richiesta.
“Un mese, un mese fa circa l’ho scoperto. Io ero nella mia stanza a smanettare col computer e i miei erano in soggiorno. Non sapevano che ero già tornato così… Ho sentito la mamma piangere e sono andato a vedere cosa succedeva. Loro non mi avevano visto e questo mi ha permesso di sentire tutta la conversazione, anche se non è giusto”, la voce di Koushiro tremava, come se anche solo ricordare quelle scene fosse fonte di dolore per lui.
Mimi se ne accorse e, per questo, rafforzò la stretta attorno alla sua mano. Voleva fargli sentire che lei c’era, che non se ne sarebbe mai più andata e che capiva quanto quella confessione dovesse essere difficile per lui. E, proprio per questo, non poteva che ammirare quel suo sforzo di condividere di nuovo qualcosa con lei dopo che non si erano più parlati per tre lunghi anni.
“Papà diceva che dovevano dirmelo, ma la mamma aveva paura di ferirmi. Volevo uscire e chiedere di che stessero parlando, ma non è stato necessario”, Izumi si voltò verso di lei, puntando i suoi occhi lucidi in quelli attenti di lei. “Mimi, io sono stato adottato”
Una pugnalata avrebbe fatto meno male, di sicuro. La voce di Koushiro non si era incrinata nel dirlo e forse questo era ancor più doloroso che se lo avesse fatto. Nel suo sguardo si poteva scorgere chiaramente tutta la profonda ferita aperta da quella nuova scoperta. E lei, da perfetta egoista, non riusciva a fare a meno di pensare che se non avesse deciso di seguirlo anziché di fermarsi ad Odaiba non avrebbe mai saputo una cosa tanto importante di lui.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa d’intelligente, ma non ne era capace. Così continuò lui per entrambe.
“Ho fatto un paio di ricerche, anche non troppo corrette, e così ho scoperto che i miei…”, la voce gli morì in gola stavolta, incapace di portare a compimento quella frase con quelle specifiche parole. “Beh, che loro abitano qui”
Come in un mosaico che man mano si va a delineare, anche nella testa di Mimi finalmente ogni cosa prese forma. Adesso poteva capire l’importanza del suo viaggio e lo sguardo cupo di lui nel parlarne. Lei stessa faticava a credere che Koushiro fosse stato davvero adottato senza sentirsi spossata, figurarsi come doveva essersi sentito lui nel sentirlo ammettere da quelli che fino ad un attimo prima aveva creduto essere i suoi genitori biologici.
Adesso, però, la domanda rimaneva: cosa aveva intenzione di fare?
“Vuoi…vuoi bussare?”, chiese quindi, con voce tentennante, insicura di dire la cosa giusta.
Koushiro però sospirò.
“Volevo però… No”, rispose con un’invidiabile calma che forse lei non avrebbe avuto al suo posto.
“Sei sicuro?”, si sentì tuttavia in dovere di chiedergli lei, la mano talmente stretta alla sua da essersi quasi fuse.
“Sì”, annuì deciso il ragazzo, prima di rivolgerle un altrettanto rassicurante sorriso.
Prima di chiarire con lei il pensiero di essere stato adottato gli era insopportabile, ma adesso che sapeva di poter contare di nuovo sul suo appoggio tutto si era fatto più facile. D’accordo era stato adottato, ma non era né il primo né l’ultimo e poi i suoi attuali genitori non gli avevano mai fatto mancare niente, soprattutto l’affetto. Dunque che importava se erano quelli biologici o meno?!
Il pensiero nascente lo colpì. Era la prima volta che pensava a quella storia sotto quella luce e il merito andava ricondotto tutto a Mimi. Come quando erano piccoli, ancora una volta era stato grazie a lei che le difficoltà erano diventate dei semplici ostacoli da superare con un sorriso sulle labbra. Le doveva molto. Si chiese come aveva fatto a stare per tre anni senza di lei.
“Torniamo a casa”, le disse quindi, e lei quasi non scoppiò di nuovo in lacrime nel sentirgli pronunciare quelle parole di rinascita.

“Sì”, annuì con un dolce sorriso Mimi, lasciandosi guidare dalla stretta calda attorno alla sua mano verso la stazione ferroviaria e, di seguito, verso Odaiba.
 
***
 
Mimi si svegliò di soprassalto, come se si fosse appena ricordata qualcosa d’importante nel sonno. Aveva sognato di essere sull’attico di un grattacielo dal quale riusciva a vedere l’intera città stendersi a perdita d’occhio. Poi si era voltata e ricordava di aver sussultato nel ritrovarsi di fianco il suo Koushiro che la fissava dolcemente. A quel punto aveva aperto la bocca per dirgli qualcosa, ma poi erano arrivate Fuu e le altre a trascinarla via nonostante lei non volesse. L’ultima cosa che ricordava del sogno era lui intento a smanettare col computer, apparso chissà da dove, e lei venire trasportata via dalle amiche cinguettanti con un grosso nodo alla gola per quella frase non detta rimasta assopita da qualche parte tra le corde vocali.
Chissà che significava… Più tardi potrei chiamare Sora e chiederglielo. Oppure se la incontro a scuola potrei parlarle direttamente.
Sora era la sua migliore amica in assoluto, benché fosse un anno più grande di lei. Con la sua spiccata tendenza al sentimentalismo, di sicuro avrebbe trovato una spiegazione plausibile a quello strano sogno.
Comunque adesso non era il caso di pensarci. Erano le otto meno un quarto e tra poco meno di venti minuti Koushiro sarebbe passato a chiamarla per andare insieme a scuola.
Già, Koushiro…
Che strana e piacevole sensazione pensare di dover fare la strada con lui ancora una volta, come ai vecchi tempi, quando da circa tre anni non si erano neppure mai aspettati. Chissà se era ancora così puntuale…oh, ma certo che lo era. Lui lo era sempre e lei non voleva farlo aspettare, non questa volta almeno. Così con vigore si alzò dal letto ed iniziò a prepararsi, nonostante il cervello fosse perso in tutt’altre attività. La verità era che stava pensando a lui, ancora. Non riusciva proprio a credere che fosse stato adottato, le sembrava un’informazione ancora così lontana per venire assimilata tanto facilmente. E Koushiro l’aveva accettato, invece, dimostrandosi ancora una volta più maturo di lei.
Il pensiero la rattristì all’istante. Perché mai, si domandò demoralizzata, dovrebbe volere una come me?
La domanda le era sorta spontanea, quasi fosse una cosa del tutto normale e fu solo grazie al richiamo della madre che l’avvisava con gridolini di gioia dell’arrivo di Koushiro che non rimase a soffermarsi sull’entità di una simile riflessione.
“Arrivo!”, gridò, recuperando di corsa la borsa della scuola e precipitandosi in soggiorno dove sua madre stava spupazzando il povero Koushiro.
“La tua merenda è sul tavolo”, la informò la signora Tachikawa e Mimi non poté fare a meno di notare quanto il ritrovarsi il ragazzo lì dovesse farle piacere visto che di solito era lei a portarle la merenda direttamente sulla porta.
“Presa!”, esclamò raggiante Mimi, ritornando sui suoi passi con un nuovo oggetto in più.
“Pronta?”, le domandò cortese Izumi, accennando ad un sorriso e arrossendo dolcemente insieme.
La ragazzina annuì e pochi minuti dopo i due erano già in strada diretti verso scuola. Il cielo era nuvoloso e il sole, seminascosto, a stento riusciva a penetrarvi con i suoi raggi.
“Ieri sera ho parlato con i miei genitori”, esordì ad un tratto Koushiro, guadagnandosi all’istante le attenzioni della ragazza. “Ho detto che sapevo di essere stato adottato”
Poteva una consapevolezza ferire come alla sua scoperta? Evidente sì. Il cuore di Mimi si era di nuovo stretto in una morsa nel sentirgli ripetere quelle parole a meno di ventiquattro ore di distanza. Avrebbe voluto abbracciarlo e pregarlo di smetterla di farsi del male a quel modo, perché adesso c’era lei e non l’avrebbe mai abbandonato. Tuttavia le nuove parole di lui le bloccarono sul nascere ogni possibile intervento, bloccandola lì su quel ponte deserto.
“Ma dopotutto, Mimi, non mi importa. Sono loro per me i miei veri genitori. Loro mi hanno cresciuto e mi hanno amato sin dall’inizio. Che importanza possono avere dei singoli legami di sangue?!”, nel dirlo si era voltato verso di lei in modo da poterla fissare negli occhi, l’unica cosa in grado di farlo sentire bene.
“Koushiro”, stavolta nessun intervento avrebbe potuto impedirle di abbracciarlo e, dunque, lo fece.
Izumi avvertì come un’ondata di calore avvolgerlo quando quelle braccia lo strinsero in una presa salda e piccola insieme. Sentiva il respiro di Mimi solleticargli la pelle attraverso la camicia, fino a raggiungere il cuore e riattivarlo ancora una volta. Koushiro aveva sempre amato i computer, ma in quel momento non poteva fare a meno di pensare a quanto fossero incredibilmente freddi quei chip in confronto ad un semplice abbraccio che nonostante tutto Mimi aveva voluto regalargli.
“Sai, sono contento che tu abbia deciso di venire con me”, le rivelò come prova della sua gratitudine il ragazzo. “Anche se ti avevo detto di non venire”
Mimi sorrise, nonostante il lieve imbarazzo ad imporporarle le gote per quell’ultima affermazione.
“Sono contenta di averlo fatto”, replicò lei con veemenza, stringendosi un po’ di più a lui.
Adesso non poteva fare a meno di pensare che se solo avesse seguito il suo consiglio non l’avrebbe abbracciato a quel modo. Per una volta, almeno una, aveva fatto la cosa giusta. La sua caparbietà aveva avuto la meglio sullo sguardo vagamente duro ma profondamente e sfuggevolmente triste di Koushiro, convincendola a seguirlo nonostante il rifiuto appena ricevuto. Ed era stato solo per quella sua improvvisa presa di posizione che quell’antico rapporto aveva saputo leccarsi le ferite e ricongiungersi, per affrontare insieme una sconvolgente esperienza.
 
***
 
“Mia madre dice sempre che i sogni sono l’inconscia rappresentazione dei nostri desideri. Forse, dovresti provare a riflettere su questo”, decretò Sora Takenouchi nell’ora di pranzo, seduta su una panchina del cortile scolastico assieme alla sua migliore amica.
Mimi era corsa a cercarla e l’aveva letteralmente trascinata via a lezione conclusa per raccontarle dello strano sogno avuto durante la notte. Per un lungo istante si era chiesta se raccontarle anche dell’esperienza avuta con Koushiro fosse stato giusto nei suoi confronti, ma Sora era la sua migliore amica e si fidava ciecamente di lei così aveva iniziato un dettagliato resoconto che si era infine concluso con l’esposizione del sogno.
“Cosa stai cercando di dirmi?”, le domandò apprensiva Mimi, mentre chiudeva il cestino del pranzo ormai vuoto.
“Beh, niente, dico solo che il tuo sogno potrebbe in qualche modo esprimere un tuo desiderio, ecco tutto”, rispose pacata Sora, le mani intrecciate e le gambe incrociate.
“Ovvero vorrei poter vedere Tokyo dall’alto di un grattacielo?”, alzò un sopracciglio con aria interrogativa l’altra, non del tutto sicura di aver capito bene cosa l’amica intendesse dire con quelle parole.
La rossa scoppiò a ridere, mentre le tirava una lieve pacca sulla spalla che rimandò i ricordi di Mimi a quando la sua amica si comportava più come un maschietto che come una ragazza. Sembravano passati secoli da allora, eppure certe volte se si soffermava a pensarci si rendeva conto che erano trascorsi solo cinque anni dall’epoca in cui Sora si divertiva più a giocare a calcio che non con le bambole come lei.
“Ma no, che dici!”, la rimbeccò divertita Takenouchi. “Mi riferivo al resto”
“Eh?”, nonostante lo sforzo, Mimi non riusciva a capire dove l’amica volesse andare a parare.
Ma allora perché il suo cuore le riportò alla mente l’immagine di Koushiro?! E perché senza doverlo ammettere già sospettava si trattasse di lui?
“Mi riferisco a Koushiro”, Sora ovviamente aveva centrato il punto.
Tachikawa aveva sgranato gli occhi, stupita, eppure nel contempo si sentiva quasi sollevata. Come se si fosse tolta un enorme peso dal cuore.
“Ma Sora, stai dicendo che lui potrebbe piacermi”, le fece allora notare la castana, nascondendo alla perfezione un moto d’imbarazzo per quelle parole.
L’altra, però, sorrise sibillina smontando in un istante tutti i castelli per aria tanto minuziosamente costruiti.
“Veramente”, precisò. “Questo io non l’ho detto. Lo stai dicendo tu”
L’affermazione la stordì. Il cuore ad un tratto aveva preso a martellare nel petto ed un delizioso rossore si era affacciato sulle sue guance lattee. Fece per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola nel rendersi conto di essere riuscita come un nonnulla a riattaccare tutti i frammenti per rimodellare l’antico puzzle della sua vita. Sora aveva ragione! Lo stava dicendo lei…lei!
Le veniva da ridere, quasi si metteva a piangere per la gran risa. Ma poi…
 “E che faccio adesso?”, le domandò con un filo di voce, spenta dall’orribile visione di Koushiro che si allontanava per sempre da lei. “Sora, non posso dirglielo!”
Mimi la fissava con terrore vivo in volto, come se anche solo l’idea di compiere un simile passo nel vuoto potesse ucciderla. Ma Sora non era della sua stessa opinione.
“Oh, non essere sciocca Mimi. Certo che puoi!”, ribatté, con una tale nonchalance da far invidia al più saggio eremita.
“Fare cosa?”
Le due ragazze si voltarono stupite nell’udire quella terza voce irrompere nel loro fitto dialogo. Davanti a loro due ragazzi diametralmente opposti le stavano fissando: il biondo sorrideva con il solito invidiabile aplomb, il castano invece sghignazzava divertito incurante di avere la camicia fuoriposto e i capelli in disordine.
“Ragazzi!”, saltò su Sora, arrossendo appena nell’incrociare due intense pozze blu.
“Di che parlottavate?”, volle informarsi il castano, Taichi, mentre prendeva posto nello spazio lasciato libero da Sora.
“Cose da donna”, rispose con impeto Mimi, ricevendo per questo un’occhiata interrogativa da parte dei due ragazzi.
“Ah, ho capito. Parlavate di ragazzi”, ne dedusse quindi Taichi, beccandosi per questo un poderoso scappellotto sul capo. “Ahi!”
“Quante volte dovrò dirti di farti gli affari tuoi?!”, roteò gli occhi con espressione sfinita Yamato, l’artefice del misfatto.
Adesso era il turno delle ragazze di sghignazzare divertite.
“Beh, forse è il caso di entrare”, esordì ad un tratto Sora, gettando un’occhiata fugace all’orologio da polso per accorgersi con stupore di aver ormai consumato anche gli ultimi scorci della pausa.
“Umpf!”, balzò in piedi scocciato Taichi, prima di aiutare Mimi a fare lo stesso.
“Mi prometti che penserai a quello che ti ho detto?”, le chiese invece Sora, guardandola con un’apprensione che non fu difficile per l’altra ricondurre al discorso di poco prima.
Tachikawa le sorrise, riconoscente.
“D’accordo”, acconsentì, ricevendo per questo un meraviglioso sorriso da parte dell’altra e uno sguardo frastornato da Taichi.
“Vorreste far capire anche a me?”, chiese difatti il castano, confuso.
“Sei il solito impiccione, Taichi!”, lo rimbeccò Sora, mostrandogli la linguaccia prima di scoppiare in una risata cristallina.
Poi, però, una mano che le cadeva dolcemente su una spalla la costrinse a voltarsi per scoprirne il proprietario e il cuore per poco non balzò fuori dal petto nel ritrovarsi a pochi centimetri di distanza dal volto di Yamato.
“Andiamo adesso”, propose con timbro di voce basso.
Sora rabbrividì annuendo mentre quello già dolcemente intrecciava le loro dita in un groviglio perfetto che senza volerlo riuscì a far scattare qualcosa nel cuore stordito di Mimi. E ad un tratto, mentre li seguiva con lo sguardo allontanarsi, non poteva fare a meno di pensare a Koushiro, a come anche le loro mani riuscivano a combaciare in un modo tanto impressionante. E forse Sora aveva ragione, forse doveva almeno provarci. Solo per vedere se le sue mani con quelle di Koushiro erano effettivamente fatte per intrecciarsi tra loro.
 
***
 
Come diceva quel vecchio detto? Mimi fissò Koushiro, pochi passi avanti a lei, e sospirò.
Ah sì, tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare!
Mai come allora un’affermazione le sembrava tanto opportuna. Una settimana, una lunghissima ed eterna settimana era trascorsa dalla conversazione avuta con Sora eppure eccola ancora lì ad indugiare. Ma perché dichiararsi doveva essere così dannatamente difficile?!
“Mimi!”
La fanciulla sobbalzò sentendosi chiamare tanto insistentemente da una voce che lei conosceva sin troppo bene. Alzò lo sguardo e giurò di aver mancato qualche battito nell’incrociare quelle profonde macchie d’inchiostro corvino.
“Sì?”, domandò ingenuamente la castana, sbarcando dalle nuvole della sua fantasia.
Izumi sorrise divertito. Era così  buffa in quel momento, con gli occhi sgranati per la confusione e le guance arrossate per essersi lasciata sorprendere in un momento di meditazione…
“Ti eri incantata”, le fece allora notare il ragazzo e solo in quel momento Mimi si rese conto di essersi proprio fermata.
“Oh, che stupida! Non me ne sono neanche accorta!”, si batté una mano sulla fronte, distrattamente, come era solita fare dopo essersi persa in un altro dei suoi sogni ad occhi aperti.
Chissà cosa sognava, poi. Koushiro si ritrovò a chiederselo, in apparenza senza alcuna ragione specifica, mentre dentro di lui si facevano man mano strada le parole di Taichi.
“È vero quello che ho saputo? Che ti sei innamorata?”, le domandò ad un tratto, a bruciapelo, senza rendersi conto o forse rendendosene pienamente conto di quello che le stava chiedendo.
Tachikawa lo guardò, le gambe molle come gelatina, e ad un tratto sembrava che la lingua le si fosse incollata sotto al palato. Come faceva a saperlo? Chi glielo aveva detto? E adesso cosa avrebbe dovuto fare? Ammettere la verità o fingere che non fosse vero?!
“Io…”
“Perché non mi hai detto niente?”, continuò il ciclone di domande Koushiro, eppure non era per nulla invadente il suo tono.
Mimi avvampò, insicura delle parole da usare. Le sembrava così stupido, adesso, essersi fatta tutti quei problemi quando lui già sapeva tutto… Che imbarazzo! Koushiro sa che io mi sono innamorata di lui! Non riusciva a fare a meno di ripeterselo, continuamente, quasi il suo cervello faticasse a reperirne il corretto significato. Poi, però, vide i suoi occhi carbone rabbuiarsi e in lei il desiderio di non ferirlo scattò in un flash fulminante.
“Te l’avrei detto io stessa, te lo giuro. Stavo solo…cercando le parole più adatte, ecco”, abbassò il capo all’ultima affermazione, mentre di nuovo l’imbarazzo si faceva strada in lei e sul suo volto.
“D’accordo, non fa niente”, scrollò allora le spalle Koushiro, e Mimi che aveva lo sguardo ancora basso non riuscì a leggere nei suoi occhi una velata malinconia. “Siamo amici”
Una pugnalata in pieno petto avrebbe fatto di sicuro meno male, adesso lo sapeva. Eppure…come possono due semplici parole ferirti tanto?! Mimi voleva piangere e scappare via, ma allo stesso tempo non riusciva a muovere un solo muscolo. Lo sapeva, lo sapeva che sarebbe successo. Lo aveva sempre saputo…
“È perché sono troppo stupida, non è vero?”, chiese ad un tratto, trattenendo a stento il groppo di singhiozzi bloccato in gola.
“Eh?”, Koushiro, che si era voltato dall’altra parte, ritornò a fissarla con prepotenza e con un’accesa meraviglia che tuttavia ancora mal celava la sua frustrazione.
“L’ho capito che…che sono ottusa, non devi negarlo”, ripeté allora Mimi, stavolta senza più riuscire a frenare le stille di sale ormai in movimento sulle sue gote.
Vergognosa, si portò ambo le mani sul volto a coprire quell’ulteriore debolezza. Non voleva che lui la considerasse anche una dalla lacrima facile e di sicuro era da un passo dall’esserne etichettata visto che era già la seconda volta nel giro di una settimana che lui la vedeva piangere.
“Ma non è vero!”, replicò in risposta Koushiro, con una tale veemenza da farle alzare suo malgrado lo sguardo ferito per posarlo in quello scioccato di lui. “Non è affatto vero che sei stupida, Mimi! Perché continui a ripeterlo?!”
Sembrava sul punto di una crisi di nervi e la cosa, per quanto sbalorditiva, era anche piuttosto bizzarra. Koushiro Izumi, infatti, non era mai stato il tipo da perdere le staffe tanto facilmente e adesso vederlo in preda alle convulsioni pur di non scoppiare…beh, la cosa aveva un suo lato comico. E Mimi ne avrebbe persino riso se solo non si fosse sentita così dannatamente male.
“Continui a dire che sei stupida, ma, Mimi, questa è proprio una bugia”, esordì ad un tratto il ragazzo, che sembrava intanto aver riacquistato il solito cipiglio rassicurante. “Tu sei la persona più incredibile che io abbia mai conosciuto. Sei dolce, sensibile, vulcanica, incontenibile e terribilmente testarda, se vogliamo”
Mimi sghignazzò a quell’ultima definizione mentre il ricordo di lei che s’impuntava di seguirlo nella metropolitana si faceva largo nei suoi pensieri. Anche Koushiro sorrise al medesimo ricordo, tuttavia non aveva ancora finito con le parole.
“Però, di sicuro, non sei stupida”, le si avvicinò, ricorrendo a tutto il suo coraggio per prenderle una mano tra le sue. “Mimi, solo un idiota penserebbe una cosa del genere. Ma anche allora…beh, potrebbe sempre mentire per invidia”
Nel dirlo aveva scrollato il capo, nel modo a lui congeniale quando stava per dire una lampante verità. Mimi se ne accorse e il suo cuore si sciolse come per magia in una chiazza liquefatta. Non poteva non credergli dopo la facilità con cui aveva detto quelle parole. Le più belle parole che qualcuno avesse mai potuto rivolgerle.
“E allora perché non mi vuoi?”, domandò lì per lì, su due piedi, lasciandosi vincere dall’istinto ancor prima di capire di doverlo combattere.
Lo vide sgranare gli occhi e allibire terribilmente mentre gli ingranaggi del suo cervello tentavano di metabolizzare l’informazione. E fu in quel momento che qualcosa sembrò risvegliare anche lei. Una strana ma incancellabile sensazione che le faceva dubitare anche delle sue ultime certezze. Era davvero certa che lui avesse capito?
“Non…non ti voglio?!”, ripeté difatti sbalordito Koushiro, salvo poi arrossire paurosamente e boccheggiare come un pesce fuor d’acqua quando si rese conto di ogni cosa.
Anche se lui le aveva detto di non esserlo, Mimi in quel momento non poteva fare a meno di sentirsi davvero una stupida. Come aveva fatto, si chiese nell’abbassare il capo imbarazzatissima, ad equivocare così ogni cosa?! Koushiro non sapeva che era lui il ragazzo di cui si era innamorata, almeno non prima di adesso in cui glielo aveva praticamente spiattellato in faccia. Ebbene? Che doveva fare? Scappare? Tutto quello per cui stava lottando da circa una settimana era venuto fuori nel modo più banale possibile. Ma perché non aveva capito tutto dapprincipio? E cosa avrebbe detto Koushiro adesso che sapeva sul serio??
“Ma io…tu…”, dal canto suo il ragazzo non pareva più tanto lucido da un pezzo.
Il loro comune amico Taichi, quando era andato a trovarlo con Yamato nell’ora di buca, gli aveva detto che Mimi si era innamorata tuttavia aveva spietatamente fatto attenzione ad ometterne il nome. E il suo cuore, che era stato colpito da cento frecce insieme, aveva subito scartato l’ipotesi di poter essere lui quell’individuo che tanto aveva odiato. Mentre invece…
“Io…non avevo capito, scusami”, mormorò imbarazzato per la sua immane gaffe. “Sei…sei davvero innamorata di…me?”
Lo disse piano, quasi sussurrando, come se quella parola potesse mozzargli il fiato se detta appena ad un decibel in più. Ma, d’altronde, fu più che sufficiente per le orecchie attente di lei, la quale adesso arrossiva impietosa nel tentativo di divincolarsi da quell’assurda situazione. E Koushiro ancora le teneva la mano…
“Sì”, rispose con voce affievolita dall’imbarazzo Mimi, scostando lo sguardo per non doversi scontrare con quelli scannerizzanti buchi neri.
Ormai, in un modo o nell’altro, l’aveva saputo ed era futile negare, tanto valeva ammetterlo e scoprire cosa avrebbe comportato.
Tuttavia a quella nuova trovata teoria seguì un prolungato silenzio dall’altra parte che la convinse a voltare il capo quel tanto che bastava per poter incrociare lo sguardo indecifrabile di Koushiro. Poi però, ad un tratto, lo vide sorridere in una maniera tanto dolce da farle salire su le vertigini, e lo vide allungare il collo verso di lei fino a capovolgerle il cuore quando avvertì il contatto reale delle sue labbra sulle proprie. Era come precipitare in quel baratro che aveva a lungo temuto, solo con la consapevolezza di trovare Koushiro lì ad attenderla con le mani aperte pronto ad afferrarla al volo. Era immergersi nel buio ma con una mano calda a rassicurarti. Erano queste e tutte le altre sue paure insieme che andavano ad infrangersi contro la rassicurante e straordinaria presenza di Koushiro al suo fianco. E lei, lei non aveva più paura adesso che c’era lui nella sua vita.
Sentì le dita della mano di lui cercare con prepotenza quelle di lei per intrecciarsi in un nuovo ma già consumato groviglio. E mentre si separavano, mentre si sorridevano imbarazzati e mentre lui le sussurrava all’orecchio di essere innamorato di lei da parecchio a sua volta…beh, Mimi non poteva fare a meno di notare come le loro mani fossero davvero fatte per combaciare tra loro e i loro cuori nati per battere all’unisono perché, così come Sora, anche lei l’aveva trovato alla fine quello che cercava. Il suo geek.
 
 
The End J
 
 
 
 
 

Prima delle tre one-shot che compongono questa mia piccola raccolta. Il titolo, “Geek!”, è una parola anglosassone che vuole indicare una persona solitaria che è affascinata dalla tecnologia, specialmente all’informatica e ai nuovi media. Il che, dal mio punto di vista, coincide considerevolmente con l’idea che mi sono fatta di Koushiro. L’idea di scrivere su questa coppia mi era sorta da tempo e da tempo ancor più immemore pensavo di ruotarne la trama attorno a questa caratteristica. Fortunatamente sono arrivati anche l’idea e il tempo per metterla in pratica, dunque eccola qui! ^^

Che Koushiro sia stato adottato, invece, non è una mia invenzione ma deriva dall’anime direttamente e difatti ricordo ancora oggi la puntata in cui se ne parlava.

Per quanto riguarda la raccolta di per sé, devo assolutamente ringraziare la mia best Sae per il titolo che vi ho dato. Le avevo raccontato la mia idea di mettere su una serie di one-shot a sfondo romantico dove la visuale è per di più quella delle ragazze alle prese con la scuola e con l’amore. E lei, da questo, mi ha suggerito il famoso titolo “One shot, one she” che, checché ne dicesse lei, io ho trovato perfetto per questa raccolta! Perciò, amica mia, grazie di cuore per l’aiuto e per il sostegno soprattutto. Ma come farei senza di te?! Sei in assoluto la mia best e la mia sorellina, separate alla nascita come siamo solite dirci, eh?

E poi volevo ringraziare di cuore anche la mia carissima HikariKanna che, ammirevolmente, non ha dimenticato i miei venti anni regalandomi una stupenda one-shot! Grazie, tesoro, sei fantastica come sempre e sono contenta di averti conosciuta! Spero che questa piccola raccolta sia di tuo gradimento e non temere perché ho in serbo anche una Takari! ^^ Perché da inguaribili romantiche proprio non possono mancare loro due insieme.

Quindi passo alla mia amica DarkSelene89Noemi, che cerca sempre di coinvolgermi e che non mi stancherò mai di sentire. E, soprattutto, che mi sopporta ora che con i venti anni è arrivata anche la vecchiaia e un terribile mal di schiena, dico bene cara? Scherzi a parte, sono proprio felice di poter partecipare con te e con tutte le altre a questo nuovo progetto, anche perché sei stata davvero carina a propormelo! Posso ringraziarti ancora una volta, vero? ^.-

Infine corro dalla vecchia (in senso figurato, intendiamoci!) Sora89, la persona delle quattro che conosco da più tempo e con la quale ho instaurato uno splendido rapporto. Come per HikariKanna, anche a te posso rassicurare preannunciandoti l’arrivo di una Sorato nella raccolta. Precisamente, la seconda one-shot di tre. So quanto adori Sora e loro come coppia, e tu sai quanto questo valga pure per me perciò figurati se potevano mancare all’appello!

Ed è a loro quattro, nessuna esclusa, che dedico queste tre storielle. Non sono di molte pretese, a dire il vero, ma mi faceva piacere poter regalare queste chicche canon a loro quattro, fautrici il più delle volte della mia ispirazione. Perciò, ancora una volta, instancabilmente, GRAZIE!

Adesso però vado, prima di terminare tutte le parole a questa prima one-shot. Solo ci tenevo a ringraziare in anticipo quanti coloro leggeranno, commenteranno e recensiranno questa Koumimi un po’ particolare. Che, magari, ci “sentiremo” meglio al pedice della prossima storia. ^^

Dunque alla prossima! Baci a tutti!

Memi J

  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure / Vai alla pagina dell'autore: memi