Molly era indubbiamente l'elemento portante della coppia; nonostante lei si addossasse tutte le responsabilità, nonostante rispondesse sempre lei all'hotline, nonostante il capo del gruppo, la matura, la responsabile fosse lei, Molly riusciva sempre ad ottenere il controllo della situazione.
Era straziante.
Non riuscire a dominarla, non riuscire a possederla; non riuscire a giocare con lei era decisamente straziante. Un senso d'impotenza pervadeva le sue membra, le impediva di muovere un solo muscolo; si limitava a mugugnare, sospirare, gemere, alle volte anche gridare insulti e ad annaspare di piacere. Limitarsi a quel ruolo passivo non le si addiceva: lei, solita a comandare, a gestire la situazione, costretta da quella sottospecie di bulldog dalle fattezze di donna a subire senza aver diritto ad alcun tipo di lamentela.
Era vergognoso.
Non riusciva più nemmeno a guardarla negli occhi: ogni qualvolta che i suoi caldi occhi marroni incontravano gli scuri della sorella i ricordi delle serate passate insieme si facevano strada nella sua mente, confondendola, rendendola incapace di parlare o di agire. Molly era diventata la sua paura più grande, eppure non riusciva a fare a meno di lei. Non voleva fare a meno di quelle serate, non voleva smettere d'incontrare quelle crude labbra, non voleva smette d'ansimare per lei, non voleva smettere di amare quello che c'era tra loro.
Era malato.
E Dolly? La dolce e cara Dolly, innocente, ignara di ciò che lei e Molly facevano. Dolly, pura, casta, infantile. Dolly non sapeva di come uscissero di nascosto, del loro posto segreto ("un segreto? Siamo sorelle! Non avremo mai segreti tra noi"– quale peggiore menzogna è l'infanzia), del loro amore perverso e malato. Dolly non lo sapeva, nessuno lo sapeva. Molly era stranamente brava a mentire: loro, che dovevano essere per tutti un esempio di lealtà, di amore fraterno, di pace e di giustizia, loro s'erano per prime macchiate di quell'imperdonabile peccato, di quella rossa lussuria e di quello sporco desiderio carnale.

« Blossom– » ansimante, calda, morbosa; la voce di Molly interrompe il corso dei pensieri di Lolly. « Blossom, sei distratta. »
Distratta. Come se potesse esistere qualcosa, qualcuno, che fosse nato con la capacità di distrarla da Molly. No, non era distratta, non lo sarebbe mai stata in presenza di Molly: ogni sua azione, ogni suo sguardo, ogni sua parola erano come oro colato.
« Blossom, guardami. »
Feroce, quasi animalesca: ha il bisogno di possederla, d'averla solo per lei; muove il suo volto quasi con rabbia: a chi stava pensando? A cosa? Perché non si trovava al centro del suo mondo? Molly aveva sempre avuto il bisogno di dominare, in qualsiasi contesto; il sesso non faceva eccezione, né Lolly. Le iridi scure si posano con rabbia sulle sue più chiare: scrutano, osservano, studiano, cercano di capire cosa fosse più importante di loro.
« Devi pensare solo a me. »
I suoi baci erano crudi, senza sentimento; sin dalla prima volta, Lolly non aveva percepito altro che quello. Erano baci che si riempivano con il tempo, si riempivano d'insicurezze e di paura, baci d'incertezza. Molly aveva bisogno di dominare, d'avere sicurezza, perché nient'altro riusciva a tranquillizzarla. Nient'altro, se non le labbra di Lolly, il profumo dei suoi capelli, il calore delle sue membra, la dolcezza e determinazione dei suoi occhi. Un bacio crudo, un'altro, paura, incertezza, baci, morsi.

Era malato, era sporco, era vergognoso, straziante. Eppure entrambe avevano bisogno di quella malattia, di quella sporcizia, di quella vergogna, di quello strazio.
Non era solo sesso, non più. O forse non lo era mai stato.