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Autore: ProudHustler    25/04/2013    0 recensioni
Quattro ragazzi, quattro storie che sono legate da un sottile filo rosso.
Una storia di paure e lotta contro i propri demoni.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Jack si guardò allo specchio; erano giorni che non lo faceva e rimase spaventato da ciò che vide: gli zigomi spiccavano sul volto scarno, le occhiaie erano più profonde e violacee, i capelli neri scarmigliati, ma ciò che lo lasciò senza fiato furono i suoi occhi: erano più infossati del solito e spenti da quella meravigliosa luce che li vivacizzava sin da quando era bambino... Due pozzi bui, colmi di un infinito dolore. Si tolse la maglia impregnata di sangue: era appena stato picchiato, di nuovo; uscito dalla scuola lo avevano riempito di pugni e colpito, addirittura, con una mazza da baseball, poi, quasi esanime, lo avevano buttato nel cassonetto dietro alla palestra della scuola, la Baltimore High School; neanche lui capiva come era riuscito ad arrivare a casa, aprire la porta e infine rintanarsi nel bagno senza che sua madre lo vedesse in faccia. Cercò di pulire nel miglior modo la chiazza rossa che si allargava sulla sua maglia, poi, quando fu abbastanza soddisfatto del risultato, la appese ad asciugare; poi frugò nella borsa dei trucchi di sua madre per cercare il fondotinta e, ormai esperto, lo utilizzò per coprire il grosso livido che gli si stava allargando sotto l'occhio sinistro. Si guardò bene allo specchio (cercando di fare il più in fretta possibile, poiché il suo riflesso lo terrorizzava) per controllare di non aver lasciato elementi che avrebbero preoccupato i genitori ed uscì. All'ora di cena si sedette a tavola con i genitori e i due fratelli, Max e Taylor, rispettivamente di 13 e 16 anni; cercava di sorridere alla famiglia e alle consuete domande, del genere: “Com'è andata oggi?” o “Hai novità?”, rispondeva con il solito: “Tutto bene” o “Nessuna novità”. A circa metà cena si alzò da tavola, prese la felpa nera che indossava sempre e, dopo aver urlato un: “Io esco”, uscì di casa. Erano quasi tre mesi che lo faceva ogni sera e ormai la famiglia non gli chiedeva più niente a riguardo. Appena fu all'aperto si calcò il cappuccio in testa, infilò le cuffiette e accese la musica al massimo: la prima canzone che metteva, ogni singola sera, era Jesus Of Suburbia, dei Green Day, una canzone che pensava rappresentasse al meglio il suo stato d'animo e che riusciva a calmarlo dalle preoccupazioni; poi cominciò a correre... Ecco quello che faceva tutte le sere: correva. Amava correre al buio, gli dava quel grandissimo senso di libertà e felicità che non provava per tutto il resto della giornata. Correva, correva, correva e correva, solitamente per due ore, senza mai stancarsi, senza la paura di incontrare qualcuno. Quella sera finì prima di correre, perché cominciò a nevicare; era il 19 Dicembre e quella era la prima nevicata; Jack amava la neve, gli dava una sensazione di pace, silenzio e serenità. Camminò fino a mezzanotte, poi tornò a casa e si addormentò guardando i silenziosi fiocchi appoggiarsi dolcemente sul bordo della finestra di camera sua. _______________________________________________________________________________________________________________________________________________________ “Muoviti, non vorrai fare tardi anche il primo giorno di scuola?!?”. Odiava suo padre, lo odiava con tutto il cuore. Finì di vestirsi e uscì di casa, senza neanche un “Ciao”. Salì sullo scooter e si allontanò in fretta, verso la scuola. Si era appena trasferito da New York nella periferia di Baltimora e stava per cominciare la sua nuova vita nella sua nuova scuola, la Baltimore High School; gli avevano detto che era una piccola scuola, dove tutti conoscevano tutti e già questo lo spaventava: sarebbero tutti stati a conoscenza del “nuovo arrivato” da New York e lui detestava essere al centro dell'attenzione. Quando arrivò nei pressi del piccolo edificio di mattoni decise di aggirarlo e parcheggiare abbastanza lontano, in modo da non attirare troppi sguardi col suo arrivo. Purtroppo il suo piano non funzionò; non fece in tempo ad entrare nell'atrio della scuola che già sentiva i bisbigli dei ragazzi di fianco ai quali passava. Entrò più in fretta che poté nell'aula di chimica e si sedette in un banco nell'angolo, sperando che il professore non lo facesse presentare davanti alla classe; questa volta gli andò meglio: il professore avvisò solamente la classe del nuovo arrivato e poi non disse più una parola sull'argomento. Più tardi, durante l'ora del pranzo, Rian, andò al suo armadietto; quando lo aprì gli caddero addosso circa 20 palloncini riempiti di maionese, il “benvenuto” per il nuovo arrivato. Cercando di non prendersela troppo, andò verso il bagno per cercare di pulirsi meglio che poteva la camicia, ma appena entrò si rese conto di ciò che stava per succedergli. Un ragazzo sbarrò la porta del bagno: non era tanto grosso, avrebbe potuto spostarlo facilmente, ma ciò che lo spaventò fu che il ragazzo gli puntava un coltello. “E così tu sei quello nuovo... Lo Yankee” Disse una voce dietro di lui. Non fece in tempo a girarsi che qualcuno gli aveva bloccato le mani e sbattuto la testa contro il muro; Rian cadde a terra. “Mi presento” Disse la voce; in quel momento un ragazzo alto, biondo, con i capelli a spazzola entrò nel suo campo visivo. “Sono Will Gates. Ho sentito molto parlare di te, Rian, giusto? Be, sappi che io detesto i cittadini come te, fai attenzione, Yankee” Detto questo lo colpì con i pesanti anfibi dritto nel petto, lasciandolo senza respiro, e se ne andò. Nelle ore seguenti, Rian fece di tutto per non incontrare di nuovo Will. All'ultima ora uscì, con il morale a terra, e si diresse verso lo scooter, che aveva parcheggiato dietro alla palestra. Mentre si avvicinava sentì delle grida; guardò cosa succedeva e vide Will e i suoi “compari”. Per evitare di essere nuovamente picchiato si nascose dietro ad un muretto, sperando che se ne andassero presto. Sentì un urlo di dolore. Poi un altro. E un altro ancora. Non riuscì a resistere, quindi uscì dal nascondiglio e si lanciò contro il ragazzo più vicino, colpendolo più volte e così fece con il seguente, ma erano in troppi e dopo vari colpi perse completamente i sensi. Si risvegliò che era buio. Inizialmente non capì né dov'era né come c'era finito, poi la realtà gli piovve addosso con la forza di una cascata. Si accorse di essere in un cassonetto, ma non era solo. Appoggiato al cassonetto c'era un ragazzo che lo fissava, con un'aria alquanto preoccupata. “Stai bene? Dio, pensavo non ti risvegliassi più. Dai, esci, ti do una mano” Disse e, allungandogli una mano lo tirò fuori. “Forse è meglio se vai a casa, saranno preoccupati. Ti posso accompagnare” Detto e fatto, il curioso ragazzo lo caricò sul motorino e lo accompagnò a casa. “Non ti preoccupare, so dove abiti... Probabilmente tutti lo sanno. Non sfugge niente a questa gente qua.” In pochi minuti furono davanti a casa di Rian. “Grazie mille” Gli disse. “Di nulla. Comunque io sono Jack, Jack Barakat” Si presentò il ragazzo. “Io Rian, Rian Dawson”. “Molto piacere... Inoltre volevo ringraziarti per aver cercato di aiutarmi oggi, sei stato davvero.... Gentile, grazie” Non lasciò il tempo di rispondere a Rian che già si era calato il cappuccio in testa ed era corso via.
  
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