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Autore: Kitri    27/04/2013    15 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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CASTELLI IN ARIA 
 
 
«Avanti!» esclamò la voce autorevole di un uomo dall’interno del suo ufficio, invitandola a entrare.
Usagi aprì lentamente la porta.
Era tesa e sperava fortemente che da quell’incontro riuscisse a ricavarne qualcosa di utile, qualcosa che l’aiutasse a comprendere Mamoru e che le fornisse le risposte che stava cercando o, almeno, parte di esse.
«Buongiorno, professor Chiba» salutò educatamente la ragazza.
Per un attimo, rimase sconcertata nel riconoscere di nuovo gli occhi di Mamoru sul volto di Hiroshi. Il taglio allungato e il colore blu profondo erano identici, ma anche l’espressione tagliente e penetrante era la stessa.
Provò una leggera soggezione davanti a quello sguardo, ma si impose di sostenerlo.
«Buongiorno, Usagi – esclamò l’uomo con un tono apparentemente cordiale. Poi con un sorriso sardonico sul viso continuò – Sapevo che, prima o poi, saresti venuta a cercarmi».
La ragazza restò alquanto disorientata in seguito a quella affermazione.
«E cosa la rendeva così sicuro?» chiese, indispettita dalla sicurezza ostentata dal suo interlocutore.
Hiroshi sorrise ancora, questa volta divertito, pensando che quella giovane donna non sembrasse per nulla intimidita da quello che lui rappresentava nel suo ambiente.
Era abituato a toni ossequiosi e ruffianerie varie e la sfrontatezza di Usagi lo aveva lasciato piacevolmente colpito.
«Allora? Hai deciso di accettare la mia proposta?» chiese l’uomo con tono provocatorio, invece di rispondere alla sua domanda.
«No! - rispose lei decisa, senza abbassare mai lo sguardo - Le ho già detto che non avrei mai accettato la sua proposta!».
«Bene! – esclamò allora Hiroshi – In questo caso accomodati e spiegami pure il motivo di questa tua visita improvvisa».
Usagi lo osservò con diffidenza prima di sistemarsi sulla poltrona davanti alla scrivania.
L’uomo seduto di fronte a lei sembrava gentile e affabile, ma il suo tono di voce era dispotico e altezzoso, tipico di chi è abituato a comandare.
Se quello era il suo atteggiamento abituale, Mamoru non aveva tutti i torti, era decisamente insopportabile.
«Si tratta di Mamoru, vero?- chiese l’uomo, senza perdere la sua aria di superiorità. E, vedendo Usagi annuire, aggiunse - Che cosa vuoi sapere?».
A quanto sembrava, il padre di Mamoru aveva già intuito tutto, così la ragazza, senza troppi giri di parole, gli rivolse la prima domanda, quella di cui aveva la maggiore necessità di conoscere la risposta.
«Perché Mamoru ha tutto questa rabbia nei suoi confronti?».
Hiroshi sollevò le sopracciglia sorpreso, o forse fingendosi tale.
«Ma come? Mio figlio non ti ha raccontato di quanto, secondo lui, io sia stato un pessimo padre?» chiese con un sorriso sghembo.
«Pensa, invece, di essere stato l’opposto?».
«Gli ho dato il meglio, ma lui non l’ha mai apprezzato».
Usagi sorrise sprezzante. Quell’uomo non aveva la benché minima idea di che cosa avesse bisogno un figlio.
«Beh, forse lei si riferisce alle scuole più prestigiose e a una vita piena di agevolazioni. Ma si è mai chiesto cosa volesse Mamoru?».
«Io gli ho dato un futuro, Usagi. Deve ringraziare me se adesso è quello che è!».
«Mamoru ha costruito la sua carriera da solo, al prezzo di tanti sacrifici!».
Con questa risposta la ragazza alzò lievemente il tono di voce, incurante di mostrare rispetto alla persona che aveva di fronte.
Detestava che altri si prendessero meriti che non avevano. E, soprattutto, detestava che quell’uomo mettesse in dubbio le capacità di Mamoru.
Hiroshi ghignò.
«Ne sei proprio sicura?» chiese con una presunzione che Usagi trovò odiosa.
«Certo che ne sono sicura! - rispose indignata - Che cosa sta dicendo?».
Chiba si prese qualche secondo di pausa, apprezzando la risolutezza e la grinta di quella che, in apparenza, sembrava una ragazzina docile e delicata. Poi riprese a parlare.
«Le borse di studio all’università, la specializzazione, il suo attuale lavoro … dietro ci sono sempre stato io. Sono un medico molto influente e ho molte conoscenze sempre pronte a riverirmi in cambio di piccoli favori. Mi è bastato fare qualche semplice telefonata e Mamoru è stato sistemato. Solo per l’esame di ammissione a medicina ha fatto tutto da solo. In quel periodo, ero troppo arrabbiato con lui e avevo troppi problemi per la testa per occuparmi anche della sua scelleratezza».
A questo punto Hiroshi si interruppe. Scrutò a fondo l’espressione sempre più sdegnata di Usagi, poi riprese le sue confessioni.
«Goro Yamada, il vostro primario, è uno dei miei migliori amici e mi sono sempre tenuto in contatto con lui per sapere di mio figlio. È stato proprio lui a parlarmi di te, prima che lo facesse mia moglie. Logicamente, Mamoru non sa niente di tutto questo. Per tutti questi anni si è soltanto illuso di essersi liberato di me».
Usagi era a dir poco sconvolta da tutte queste dichiarazioni. Quell’uomo era un dominatore nato, prepotente e arrogante. Senza contare il modo repentino con cui era passato da un’espressione seria e malinconica a una di scherno, mentre pronunciava l’ultima frase, il che l’aveva lasciata a dir poco allibita.
«Perché l’ha fatto? Mamoru non voleva » fu tutto ciò che riuscì a dire, a discapito di tutti gli insulti e i disprezzi che avrebbe voluto lanciargli.
«È stato il mio modo di dimostrargli che lo amo, anche se non siamo mai andati d’accordo» rispose Hiroshi, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo.
«Bel modo di mostrare il suo amore paterno! – esclamò Usagi con disprezzo – Invece di chiamare i suoi amici, avrebbe potuto chiamare Mamoru e cercare di chiarirvi, e non agire nell’ombra e nella menzogna! Che cosa pensa che farebbe, adesso, se lo scoprisse?».
«Mi dovrebbe ringraziare! Se non l’avessi aiutato, adesso sarebbe ancora un cameriere o, peggio ancora, un belloccio da copertina. Io ho semplicemente impedito che si rovinasse con le sue stesse mani».
«Bella fiducia che ha nelle capacità di suo figlio! Sono disgustata, mi creda!».
«Mio figlio ha sempre avuto un ottimo potenziale, io l’ho solo aiutato a farlo emergere. Nell’ombra, è vero, ma l’ho fatto per lui. In questo mondo bisogna scendere a compromessi per andare avanti!».
«Ma di cosa parla? Siamo medici! La prima cosa è la passione e l’amore per il nostro lavoro!».
«Usagi, non essere ipocrita! Se la pensassi davvero così non saresti in procinto di sposare il più giovane e promettente neurochirurgo del Paese».
L’espressione di Usagi era inorridita. Adesso quell’uomo stava superando ogni limite.
«Ma come si permette? Io amo Mamoru!» urlò.
«L’avresti amato lo stesso se non fosse stato quello che è ora?».
«Io amo Mamoru, non il neurochirurgo!» ribadì la ragazza, scandendo decisa ogni parola.
Alla fine, Hiroshi alzò le mani in segno di resa, anche se il suo viso tradiva una certa ironia che indispettì la ragazza, ancor più di quanto non lo fosse già.
«Lei è davvero una persona spregevole! E non mi stupisce che Mamoru l’abbia tagliata fuori dalla sua vita! Ha fatto benissimo!».
A quel punto Hiroshi divenne improvvisamente serio, come se  fosse stato colpito nel profondo.
«Sì, lo so! Sono spregevole, superbo, dominatore. Ma voglio bene a mio figlio e ribadisco che tutto quello che ho fatto è stato per lui. Anche io ho sofferto per la sua lontananza e questo è stato l’unico modo in cui sono riuscito a stargli vicino e a dimostrargli il mio affetto, nonostante tutto. Forse ho sbagliato. Con l’età sto cominciando a riconsiderare i miei modi di agire, ma fondamentalmente resto quello che sono sempre stato. Non è facile cambiare».
Fece un secondo di pausa per riprendere fiato, come se quelle parole gli costassero fatica ed energia.
«Vorrei rivvicinarmi a mio figlio, ma se lui non ne vuole sapere, pazienza! Mi accontento di saperlo felice».
Usagi lo osservò attentamente. La sua espressione era ancora totalmente cambiata, sembrava un'altra persona. Di nuovo un altro cambiamento repentino nel suo modo di esprimersi.
«Mamoru non è felice! - esclamò la ragazza - E neanche lei lo è!».
Per lei era evidente che anche Hiroshi soffrisse, e quasi ne ebbe pietà.
Era un uomo completamente sbagliato: pessimo carattere, pessimo modo di manifestare i suoi sentimenti. E in tutto questo, il ruolo di responsabilità che ricopriva non l’aveva aiutato per niente. Per un attimo Usagi si chiese come si comportasse, invece, con i suoi pazienti. Era sempre lo stesso professor Chiba?
A quel punto, però, decise che il loro incontro potesse chiudersi così.
«Parlare con lei mi ha fatto capire molte cose - disse Usagi alzandosi dalla poltrona per andare via - Buona giornata, professor Chiba!».
«Usagi, - Hiroshi la bloccò prima che uscisse dall’ufficio - Metterai una buona parola con Mamoru?».
Usagi si voltò a guardarlo.
“No!” sarebbe stata la sua risposta istintiva, ma provò quasi tenerezza per quegli occhi, così uguali a quelli di Mamoru, che, oltre l’espressione dura, sembravano dolci e supplichevoli.
Una speranza non poteva negargliela.
«Questo non posso prometterlo » fu quello che riuscì a dire.
Poi, si voltò per uscire definitivamente da quell’ufficio e, nel mentre, notò su una mensola vicino alla porta due foto in cornice.
In una, riconobbe la famiglia Chiba al completo, Kaori, Hiroshi e Mamoru da piccolo.
Nell’altra, c’erano una giovane donna e una bambina.
Per un millesimo di secondo si bloccò, misteriosamente attratta dalla seconda fotografia, ma subito ignorò quella strana sensazione, decisa a lasciare quanto prima quella stanza e a tornare a casa. L’unica priorità, adesso, era parlare con Mamoru e raccontargli tutto ciò che aveva appena appreso.
 
Finito il suo turno, Mamoru era tremendamente stanco. Un’altra notte in bianco l’avrebbe sicuramente ammazzato, così, prima di andarsene, era passato nella farmacia dell’ospedale a prendere un sonnifero. A mali estremi, estremi rimedi!
Non vedeva l’ora di tornare a casa e spegnere, finalmente, il cervello. Ma, ovviamente, come accade sempre quando si è di fretta, non poteva filare tutto liscio. La sua moto non ne voleva sapere di partire. Provò e riprovò diverse volte, ma niente!
«Dannazione!» gridò scendendo e sferrando un calcio sulla ruota posteriore.
Preso dal noioso inconveniente, non aveva notato che Setsuna era a pochi metri da lui e lo stava osservando divertita.
«Ti ha abbandonato anche lei?» chiese la donna con ironia.
Mamoru si girò verso di lei.
«La tua battuta non mi piace, Setsuna!» le rispose guardandola accigliato.
«Stavo scherzando! Non essere così permaloso» si giustificò la donna.
Mamoru la ignorò e riprovò ancora a far partire la moto, ma senza risultati.
«Vuoi un passaggio?» gli chiese allora Setsuna, vedendolo in difficoltà.
«No, ti ringrazio. Vado a piedi».
«Dai, non fare lo stupido! Ti ci vorrà più di mezz’ora per arrivare a casa».
Mamoru alzò gli occhi al cielo sospirando.
«Ok! Ma guido io» rispose, alla fine, prendendole le chiavi e avviandosi verso la sua auto.
Mentre il ragazzo guidava, in silenzio, immerso nei suoi pensieri, Setsuna lo osservava rapita. Certo che era sempre più bello! Era innamorata di Mamoru da sempre e, quando lui aveva interrotto la loro relazione,  – sempre che fosse mai cominciato qualcosa – era rimasta molto male. Soprattutto quando, poi, aveva scoperto che il vero motivo della rottura era un’altra donna.
La sua delusione era stata anche la causa che l’aveva indotta ad accettare la proposta di volontariato in Africa, sperando di riuscire a dimenticarlo. Ma quando era tornata, i suoi sentimenti erano ancora lì, intatti, ed era rimasta male quando aveva scoperto che lui stava addirittura per sposarsi.
Sapere che anche con Usagi era finita era stato un gran sollievo, che aveva riacceso le sue speranze. Adesso, però, che guardava i suoi occhi tristi e malinconici, si sentiva male ad aver gioito delle sofferenza dell’uomo di cui era innamorata.
«Perché mi guardi?» le chiese il ragazzo voltandosi un attimo e incrociando i suoi occhi verdi.
Setsuna arrossì leggermente, per quanto fosse possibile per una donna audace e sfrontata come lei.
«Niente – disse. Poi aggiunse quasi timidamente – Mi chiedevo come stessi?».
Mamoru, in genere, non amava parlare dei suoi fatti personali. Ma in quel momento gradì l’interessamento della donna, anche se la sua risposta fu comunque evasiva.
«Ho visto giorni migliori!».
«Non vuoi parlarne?».
Mamoru tacque. Erano arrivati sotto casa sua.
«Vuoi salire per un caffè?» le disse, prima di parcheggiare la macchina.
Forse Setsuna non era la persona migliore con cui parlare, ma in quel momento aveva voglia di sfogarsi con qualcuno che si limitasse ad ascoltarlo e non a recitargli la solita paternale, come avrebbero fatto, invece, Heles e Motoki.
«Ok, volentieri» rispose lei, senza farselo ripetere.
 
Usagi guidava sulla strada del ritorno.
Quel rettilineo le sembrava tremendamente lungo e, come se non bastasse, il sole era già calato da un pezzo, contribuendo a rendere il percorso ancora più noioso.
Fremeva per parlare con Mamoru e quel momento sembrava non arrivare mai.
Accese l’autoradio per avere un po’ di compagnia e nel frattempo pensava.
Incontrare Hiroshi, anche se non aveva risolto tutti i misteri intorno a quella storia, l’aveva aiutata a vedere le cose da un’altra prospettiva, quella di Mamoru.
Certo lui aveva sbagliato a non confidarle i suoi problemi, ma adesso lei comprendeva davvero tutte le sue ragioni. Si dava della stupida perché lo aveva lasciato da solo proprio nel momento in cui lui necessitava maggiormente della sua presenza.
Mamoru aveva bisogno di lei, ma anche lei aveva bisogno di Mamoru. Lo amava e voleva stare con lui. Doveva assolutamente spiegargli tutto, sperando che lui volesse ancora stare con lei. E, soprattutto, doveva raccontargli tutto ciò che aveva appreso durante l’incontro con Hiroshi. Sapeva che sarebbe stata dura da accettare, ma Usagi, dal primo momento, aveva avuto intenzione di dirgli tutto, senza dubitare un solo secondo della sua scelta.
Il cellulare squillò, distogliendola dai suoi ragionamenti. Era Makoto. Indossò gli auricolari e rispose, cercando di fingersi tranquilla e di non far trapelare le sue preoccupazioni.
«Ciao, Usa! Come stai?».
«Io bene. E tu?».
«Bene! Hai risolto allora con Mamoru?».
«Sì … più o meno!».
«Sono contenta! I giorni scorsi eri proprio a pezzi».
«Già! Come mai mi hai chiamato?».
«Io e le ragazze stiamo organizzando una mega vacanza per il mese di agosto, in giro per l’Europa, e speriamo tanto che tu ti unisca a noi. Sarebbe l’ultima vacanza insieme prima che ti sposi. Mamoru avrebbe problemi a lasciarti venire con noi?».
«Non lo so … non penso … mi piacerebbe tanto … ma non so se posso venire … il lavoro, gli impegni … ».
«Non dire subito di no, ti prego! Magari un mese è troppo, ma almeno una decina di giorni potresti concederli alle tue amiche! Dai, promettimi almeno che ci pensi!».
«Ok, ci penserò!».
«Grazie, Usa-chan! Lo sai che ci teniamo tanto! Stasera ti mando via e-mail l’itinerario previsto e tutti i costi. Ami come al solito ha già organizzato tutto nei minimi dettagli. Magari così ti convinci!».
«Ok, Mako! Aspetto la tua e-mail, allora».
«Buona serata, amica mia!».
«Buona serata anche a te e salutami le altre».
Usagi riagganciò sorridendo.Una vacanza in compagnia delle sue amiche sarebbe stata proprio l’ideale per riprendersi, ma in quel momento non era proprio il caso scappare via.
Sospirò dispiaciuta, pensando a quanto ci sarebbero rimaste male le ragazze quando avrebbe detto che non si sarebbe unita a loro. Purtroppo, però, adesso doveva solo pensare a risolvere la situazione con Mamoru e a restargli accanto.
 
«E questo è più o meno tutto» disse Mamoru, quando ebbe finito di raccontare per sommi capi le sue ultime vicende.
Setsuna lo aveva ascoltato attentamente senza interromperlo.
«Mi dispiace – disse alla fine, in maniera molto sincera – Non credevo che la situazione fosse così complicata».
«Già!» rispose il ragazzo.
«Andrà tutto bene! Si risolverà tutto, vedrai» cercò di consolarlo Setsuna.
«Grazie – rispose il ragazzo provando a sorridere. Poi, spinto dalla gentilezza che aveva mostrato la donna, si sentì in dovere di aggiungere qualcosa che non le aveva mai detto fino a quel momento – Setsuna, mi dispiace se in passato mi sono comportato male con te».
La donna sorrise.
«Non preoccuparti, è acqua passata – disse cercando di non tradire i suoi veri sentimenti. Poi cambiò volutamente discorso – Ti do una mano a sistemare».
E così dicendo, sollevò il vassoio con le tazzine per riportarlo in cucina. Ma, forse per l’imbarazzo del momento, i suoi movimenti erano incerti e così si rovesciò addosso tutto il caffè rimasto nella caffettiera, ancora quasi piena.
«Che disastro! - esclamò constatando che era tutta sporca dalla testa ai piedi e che aveva rovesciato tutto anche sul pavimento – Scusa, Mamoru».
«Non preoccuparti! Ci penso io a pulire – disse il ragazzo venendo in suo soccorso. Poi la guardò e sorrise divertito – Piuttosto, faresti meglio a cambiarti e a fare una doccia. Puzzi come un cioccolatino ripieno al caffè».
A quel pensiero Setsuna fece una smorfia.
«Forse sarebbe il caso!» esclamò annusando i suoi vestiti.
«Il bagno è in fondo a destra – aggiunse Mamoru – Puoi usare l’accappatoio bianco. Nel frattempo ti prendo una delle mie tute».
«Ok, grazie!» rispose la donna dirigendosi verso il bagno.
 
Usagi suonò con insistenza il campanello dell’appartamento di Mamoru, sperando che fosse in casa. Quei pochi secondi di attesa sul pianerottolo le sembrarono un’infinità. E quando lui finalmente aprì, la ragazza sorrise come ormai non faceva da giorni.
«Usako!» esclamò Mamoru sorpreso, ma nello stesso tempo felicissimo di trovarsela davanti. Poi il suo sguardò si incupì. Non conoscendo il motivo per cui lei fosse arrivata a casa sua così all’improvviso, pensò subito al peggio.
«Che ci fai qui?» le chiese all’istante.
Usagi si prese qualche secondo per trovare le parole giuste. Deglutì e iniziò a spiegargli tutto.
«Sono venuta a chiederti scusa per non esserti stata vicina. Mi dispiace, Mamo! Perdonami! Mi sei mancato tantissimo in questi giorni e ho capito che voglio stare con te e che voglio essere tua moglie, sempre che tu lo voglia ancora, dopo il modo in cui mi sono comportata».
Parlò a raffica, senza prendere neanche una pausa, mentre il ragazzo la guardava sorpreso. Quando ebbe finito, Mamoru sorrise. La sua Usako non aveva smesso di amarlo e desiderava ancora diventare sua moglie. Quelle parole lo portarono al settimo cielo.
«Non hai niente di cui chiedere scusa» quasi le sussurrò e, con veemenza, la prese tra le sue braccia. Catturò le sue labbra in un bacio pretenzioso e incontentabile, come se volesse recuperare tutti i baci che non aveva potuto darle. Ma nello stesso tempo era anche un bacio straziante che implorava perdono, che racchiudeva in sé le sofferenze degli ultimi giorni e di una vita e la felicità di aver ritrovato la sua Usako.
Usagi ricambiò con lo stesso trasporto, percependo tutte le sensazioni di Mamoru e promettendo, con quel bacio, di stargli vicino e di aiutarlo a ritrovare se stesso.
Mentre le sue mani non riuscivano a scollarsi da lei, il ragazzo con un piede richiuse la porta d’ingresso e poi spinse Usagi contro la parete.
«Aspetta, Mamo – disse la ragazza provando a riprendere fiato – Ti devo parlare di una cosa urgente!».
Ma Mamoru non sembrava affatto interessato, preso com’era da altre faccende ben più interessanti.
«Dopo, dopo!» le sussurrò, mentre era intento a esplorare ogni centimetro del suo collo.
Aveva tutte le intenzioni di farla sua in quel momento e il suo cervello ormai era completamente partito, tanto che aveva del tutto dimenticato la presenza di Setsuna.
E infatti, un colpo di tosse improvviso fece sussultare entrambi.
«Scusate – disse Setsuna in evidente imbarazzo e cercando, se possibile, di evitare la scenata che si sarebbe verificata di lì a poco – Io … io ... ecco … io prendo i miei vestiti e tolgo subito il disturbo».
Usagi sgranò gli occhi alla vista della donna, nuda, coperta solo dall’accappatoio bianco.
«Che cosa ci fai tu qui? - esclamò. Poi rivolgendosi a Mamoru, dopo averlo allontanato decisa da sè – Che cosa ci fa lei qui e con il mio accappatoio addosso? Me lo spieghi?».
Gli occhi di Usagi erano due fiamme.
«Non è come sembra, ti posso spiegare … » provò a giustificarsi Mamoru.
«Non è come sembraun classico! Non aveva acqua in casa e così le hai offerto gentilmente di fare la doccia a casa tua?» gridò la ragazza fuori di sé.
Setsuna tentò inutilmente di intromettersi.
«Mi sono rovesciata tutto il caffè addosso e … ».
«Stai zitta, tu!» urlò Usagi, rivolgendo i suoi occhi indemoniati verso la donna e costringendola a tacere.
«Usako, aspetta … fammi parlare».
Mamoru tentò ancora una volta di farsi ascoltare.
«Smettila di chiamarmi così! Mi fai schifo! – gridò Usagi con tutta la rabbia che aveva dentro - Oggi ho fatto chilometri per te, solo per cercare le spiegazioni che tu non mi hai voluto dare e solo per provare a salvare il nostro …c he dico! … il mio amore per te, e tu? Te la spassavi con questa qui!».
Era fuori di sé e gridava con tutto il fiato che aveva in gola, divincolandosi dalle prese di Mamoru che, inutilmente, cercava di calmarla e costringerla ad ascoltare le sue spiegazioni.
«Che fantasia! – aggiunse Usagi - Almeno potevi cambiare, visto che te la sei già scopata in passato».
Il suo tono era pieno di sarcasmo e la sua espressione era disgustata dalla scena che prepotente le martellava i pensieri, mentre dentro di sé continuava a darsi dell’idiota.
A quelle parole, Setsuna trasalì, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo.
«Usagi, cerca di ascoltarmi … » provò di nuovo Mamoru, afferrandole un braccio e costringendola a guardarlo negli occhi.
Ma Usagi proprio non ne voleva sapere di sentire le sue motivazioni e con una forza che neanche sapeva di avere, riuscì a liberarsi dalla sua stretta.
«E pensare che sono stata male per te e che mi sono sentita un essere spregevole per come mi sono comportata. Ma a quanto pare l’unico essere spregevole qui sei tu! – poi rivolgendosi a Setsuna – Resta pure qui a godere delle performance sessuali del mio ex- futuro marito! Sono io che tolgo il disturbo».
E così dicendo, Usagi uscì dall’appartamento.
Mamoru la inseguì sul pianerottolo, catturandola subito.
«Usagi, ti prego, mi vuoi far parlare?» quasi la implorò.
«No! – rispose decisa, modulando il tono della voce per evitare di far accorrere i vicini – Non mi meriti! Ne hai combinate troppe e adesso basta. È finita!».
Pronunciò queste parole duramente. Fissò i suoi occhi azzurri penetranti, in quel momento pieni di odio e rancore, in quelli di Mamoru, che a quello sguardo e a quelle parole si senti trafiggere il cuore. La lasciò andare senza controbattere e, mentre lei gli voltava le spalle per andare via definitivamente, lui se ne tornò dentro sconfitto.
«Mi dispiace, Mamoru! Ho rovinato tutto, lei era venuta qui per fare pace e per colpa mia … Mi dispiace!».
Setsuna era quasi in lacrime per quanto si sentiva colpevole.
Mamoru sollevò i suoi occhi blu, ormai spenti dalla rassegnazione. Un velo di tristezza appannava il suo bel viso. Guardandola scosse la testa.
«Non è colpa tua! Evidentemente tra me e Usagi non è destino».
 
Dopo quell’amara scoperta, Usagi non era tornata a casa, ma si era recata direttamente in ospedale, sicura di trovare qualche sostituzione da fare e del lavoro che la tenesse impegnata. Danzare non l’avrebbe aiutata, come in altre occasioni.
Non era nervosa o agitata, era stanca, sfinita, schiacciata dal peso delle macerie di quei castelli in aria che aveva costruito, mattone dopo mattone, mentre sognava la sua vita insieme all’unico uomo che aveva mai amato. In quel momento aveva bisogno dell’unica cosa che amava quasi quanto Mamoru: il suo lavoro.
Aveva passato così la notte tra il pronto soccorso e la sala operatoria a occuparsi, assieme agli strutturati di turno, di alcuni casi urgenti.Solo in tarda mattinata, esausta, si decise a prendere una pausa, visto che il suo turno sarebbe finito solo nel pomeriggio.
Approfittando del fatto che tutto sembrava tranquillo, andò a chiudersi nello spogliatoio degli specializzandi, dove si lasciò cadere sulla panchina, preda della stanchezza fisica, ma soprattutto di quella mentale.
Benché si sforzasse di non pensare a come i suoi sogni erano andati in frantumi, in un attimo, un dolore acuto le lancinava il petto, puntellandolo con tanti aghi sottili. Aveva quasi la sensazione di soffocare. Non aveva mai provato un dolore simile, misto alla paura che forse non sarebbe mai riuscita a uscirne illesa.
Seiya entrò nella stanza e la trovò sdraiata sulla panchina, con un braccio penzolante e l’altro sul viso. Aveva sentito strane voci in giro che parlavano di una rottura tra lei e Mamoru e, in effetti, aveva notato che negli ultimi giorni era un po’ strana. Ma quella notte, in particolare, lei lo era stata più del solito. Senza contare il fatto che si era presentata all’improvviso in ospedale chiedendo di lavorare, come se ne avesse un bisogno disperato. Così, vedendola entrare nello spogliatoio, pensò di andare a sincerarsi che fosse tutto a posto.
«Usagi – la chiamò, dopo averla trovata in quelle condizioni – Tutto bene?».
La ragazza voltò la testa verso la porta di ingresso, vicino alla quale sostava il suo amico.
«Sì – rispose sollevandosi a sedere - Sono solo un po’ stanca!».
Seiya andò a sedersi di fianco a lei.
«Sicura?» le chiese premuroso.
Usagi lo guardò ancora. Provò a respirare profondamente, ma poi non ce la fece più a trattenersi. Quella sensazione di soffocamento e quel peso sul petto non riusciva più a sopportarli.
«No, Seiya! – esclamò scoppiando a piangere e coprendosi il viso con le mani – Non va niente bene! La mia vita è un disastro!».
Seiya rimase profondamente scosso dalla reazione di Usagi, non sapeva cosa le stesse prendendo. Provava ancora qualcosa per lei, anche se in tutto quel periodo aveva cercato di dimenticarla, e ora, vederla così fu un duro colpo che fece riemergere in lui quel sentimento sopito e il desiderio di proteggerla.
L’attirò dolcemente sul suo torace, perché le facesse da cuscino. Con una mano le cingeva le spalle e con l’altra le accarezzava la testa, mentre lei continuava a piangere a dirotto.
«Ti va di parlarne?» le chiese.
Usagi non rispose, ma, tra i singhiozzi che le impedivano di parlare, fece cenno di sì con la testa. Aveva la necessità di sfogarsi con qualcuno e, anche se nei giorni scorsi aveva accennato qualcosa alle sue amiche, non voleva disturbarle ancora tenendole per ore incollate al telefono. E poi il calore del contatto umano, quello non poteva averlo attraverso il ricevitore di un telefono. Ma continuava a piangere e a singhiozzare e non riusciva più a smettere.
«Calma, respira!» la incitò dolcemente Seiya prendendole il viso tra le mani.
Lentamente, la ragazza riuscì a calmarsi, facendo dei lunghi respiri profondi. Cercò di ricomporsi e asciugare le lacrime, provando a cancellare quel fastidioso pizzicore che le avevano lasciato sul viso. Poi, tirando su col naso e facendo un altro profondo respiro, cominciò a sfogare parte del suo dolore, raccontando solo quello che era accaduto la sera precedente e tralasciando i dettagli della vita familiare di Mamoru.
 
Mamoru aveva appena iniziato un’altra giornata trascinato per inerzia.
Dalla sera precedente aveva provato mille volte a chiamare Usagi, ma aveva il telefono staccato. Era andato fino a casa sua per provare a parlarle, ma di lei non c’era traccia. Non aveva idea di dove fosse e non aveva neanche minimamente immaginato che potesse trovarsi nel luogo dove era più scontato che fosse.
Setsuna, non appena lo vide, ancora dispiaciuta per quanto fosse accaduto la sera prima a causa propria, cercò di avere notizie della situazione con Usagi.
«Sei riuscito a chiarirti con lei?» chiese con apprensione.
Mamoru scosse la testa.
«Non so dove sia!».
«Mi dispiace tanto, io … ».
«Setsuna, smettila! Ti ho già detto che tu non c’entri nulla!».
La donna tacque abbassando lo sguardo. Ma quando, dopo pochi secondi, sollevò di nuovo gli occhi, la sua espressione cambiò.
«Mamoru, Usagi è qui!».
E con lo sguardo gliela indicò.
Quando il ragazzo si voltò, la vide venire nella propria direzione in compagnia di Seiya, che le teneva un braccio appoggiato sulle spalle. Aveva il viso arrossato e sconvolto, come se avesse pianto, mentre sembrava che il ragazzo cercasse di tirarle su il morale. Qualunque fosse l’intenzione di Seiya, non gli piacque, ma nella condizione in cui si trovava, anche se per un malinteso, era costretto a tacere.
«Usagi – le disse andandole incontro – ti ho cercato per tutta la notte!».
La ragazza sollevò su di lui il suo sguardo di ghiaccio, ancora arrossato dalle lacrime.
«Ah sì?» fu la risposta acida e carica di disprezzo che gli diede , prima di sciogliersi dalla stretta di Seiya e proseguire il suo percorso da sola, il più lontano possibile da Mamoru.
Setsuna la seguì.
«Usagi è tutto un malinteso» provò a spiegarle la donna per l’ennesima volta.
Ma la ragazza neanche le rispose, continuando a camminare per dileguarsi.
Anche Seiya provò a seguirla, ma fu prontamente bloccato da una mano di Mamoru sul suo torace.
«Stai lontano da lei!» lo minacciò Mamoru con il suo sguardo infuocato.
Seiya non si fece intimorire.
«Perché? Altrimenti che fai? Mi sbatti per un mese in ambulatorio?» lo sfidò con un ghigno dipinto sul viso.
«Stai lontano da lei!» ribadì Mamoru ancora più serio e minaccioso.
Ma Seiya scansò deciso la sua mano che lo bloccava e con un sorriso sprezzante si allontanò.
Per tutta la giornata, Mamoru cercò ripetutamente e inutilmente di avere un chiarimento con lei. Era arrabbiato per come erano andate le cose, proprio nel momento in cui lei aveva deciso di perdonarlo e andare avanti. Cominciava davvero a credere che per loro due non fosse destino, ma lo stesso non voleva arrendersi. Almeno non prima di far sentire le proprie ragioni. Usagi aveva tutte le sue buone motivazioni per schivarlo come la peste e per rifiutare qualunque confronto, ma lui non poteva lasciarla andare così senza che neanche l’avesse ascoltato. Così pensò che l’unica soluzione fosse quella di costringerla.
Approfittò di un momento in cui lei era completamente assorta nella lettura delle cartelle cliniche e, senza farsi notare, arrivò alle sue spalle. Con un gesto deciso le afferrò il braccio e la trascinò nella prima stanza libera a portata di mano.
Nonostante lei cercasse di divincolarsi, la presa di Mamoru era ben salda. Così riuscì a portare a termine il suo intento e a trovarsi faccia a faccia con lei tra quattro mura, senza che potesse sfuggirgli ancora.
«Tu adesso stai zitta e mi ascolti!» le disse con tono severo puntandole l’indice, mentre appoggiato alla porta bloccava l’uscita.
«Non voglio ascoltare le tue bugie! Fammi uscire!» gridò Usagi avventandosi su di lui e cercando di aprire la porta. Ma Mamoru fu più veloce e con uno scatto chiuse a chiave la porta, prendendo poi la chiave.
«Ridammela e fammi uscire!» gridò ancora la ragazza, cercando di strappargliela di mano, cosa che non le fu possibile, data la forza con cui lui serrava l’oggetto della contesa. Alla fine Mamoru ripose la chiave sul bordo superiore della porta, dove Usagi non sarebbe mai riuscita ad arrivare.
La ragazza spalancò gli occhi per la stizza, fortemente indispettita dalla sconfitta subita. Ormai non vedeva più altra via di fuga, se non quella di ascoltarlo. Incrociò le braccia sbuffando e gli diede le spalle.
«Ieri sera c’è stato un terribile malinteso!» disse Mamoru.
«Sì, sì! Come no! Ti credo» lo prese in giro Usagi.
«E smettila di fare la bambina, che sei ridicola! - con uno scatto il ragazzo la costrinse a voltarsi e a guardarlo negli occhi – Setsuna mi ha dato un passaggio a casa perché la mia moto non partiva. L’ho invitata a prendere un caffè da me per sdebitarmi … ».
« … e già che c’era anche una doccia!».
Mamoru la guardò accigliato.
«Non ho ancora finito! – disse con tono fermo – Si è rovesciata tutto il caffè addosso, era sporca dalla testa ai piedi e così le ho messo a disposizione il bagno. Punto.».
«E il mio accappatoio!» aggiunse lei ironica.
«Quando fai così sei insopportabile!».
«Ah, io sarei insopportabile? Speri davvero che io creda a questa storia?».
«Sì perché è la verità!».
«Mamoru, ma è una storia assurda!».
«Lo so! Ma secondo te avrei reagito in quel modo al tuo arrivo, se davvero fossi stato a letto con lei? Quando ti ho visto non ho capito niente più, mi ero persino dimenticato che lei fosse in bagno».
Usagi abbassò lo sguardo portandosi le mani tra i capelli. Non sapeva se credere o meno alle parole di Mamoru, anche se effettivamente la sua spiegazione non faceva una grinza. Sospirò nervosamente, ancora qualche giorno così e sarebbe impazzita completamente. Ma dov’erano finite la serenità e la calma che aveva vissuto per sei lunghi mesi accanto a lui?
Poi si ritrovò a pensare al motivo principale per cui lei, la sera precedente era andata da Mamoru.
«Mi credi, Usako?» le chiese il ragazzo prendendole le spalle.
«Mamoru, non lo so! È tutto così assurdo, tutta la situazione di questi ultimi giorni è assurda. Mi sto convincendo che il destino è contro di noi».
Mamoru rimase basito. Anche Usagi aveva avuto la stessa sensazione, ma, nonostante ciò, lui si rifiutava di accettare che per loro non ci fosse una possibilità. Erano anime gemelle, si erano riconosciuti tra mille al primo sguardo. Che senso aveva avuto tutto quello che avevano condiviso se per loro non c’era futuro?
«Perché dici questo?» le chiese.
Usagi lo guardò negli occhi in un modo che a Mamoru mise agitazione.
«Perché quanto sto per dirti non ti piacerà e ho paura di tutto quello che succederà dopo».
Mamoru si allontanò leggermente da lei, fissandola con aria interrogativa.
«Che cosa, Usagi? Parla!» le chiese allarmato.
«Ieri mattina sono andata a parlare con tuo padre perché avevo bisogno di capire e … vedi, mi ha rivelato delle cose che sicuramente non ti faranno piacere».
Mamoru si sentì colpito da un pugno in pieno viso.
«Perché l’hai fatto?».
«Perché speravo mi desse le risposte che tu non volevi darmi».
Il ragazzo tacque qualche secondo. Usagi era talmente testarda che c’era da aspettarsi un’iniziativa simile.
«E che cosa ti ha detto?» chiese pronto ad accogliere l’ ennesima pugnalata.
Usagi si fece coraggio e cominciò a raccontargli ogni cosa per filo e per segno. Aveva paura di ferirlo, ma sapeva che stava facendo la cosa più giusta per lui.
Ogni rivelazione fu per Mamoru come un coltello che girava e rigirava nella piaga. In pochi secondi tutte le sue certezze, basate su anni e anni di duri sacrifici, crollarono come un castello di carte al primo esile soffio di vento.
Mentre lo vedeva sbiancare sempre di più, la voce di Usagi si faceva tremolante man mano che continuava il suo racconto. Sapeva il dolore che gli stava procurando in quel momento e per un attimo si chiese se davvero aveva fatto la scelta migliore o sarebbe stato preferibile lasciare che continuasse a vivere nella menzogna.
Inizialmente il ragazzo non fiatava, tutte quelle scoperte gli avevano letteralmente rubato la voce e ogni stimolo a reagire. Poi, piano piano, i suoi occhi cominciarono ad accendersi. Usagi non sapeva se era rabbia, odio, dolore, delusione o un miscuglio di tutti questi sentimenti. Prevedeva solo che, da quel momento, le cose non sarebbero più state le stesse per Mamoru.
Quando ebbe finito di parlare rimase in silenzio a osservarlo, in attesa della sua reazione, che si aspettava piuttosto violenta e impulsiva. E invece Mamoru restò apparentemente calmo.
«È tutto?» chiese, con una freddezza che la stupì non poco.
Usagi annuì e lui allungò il braccio per prendere la chiave da dove l’aveva lasciata.
Aprì la porta e fece per uscire. La ragazza lo trattenne per un braccio.
«Che cosa vuoi fare?» gli chiese preoccupata.
«Vado a mettere fine a tutta questa storia – rispose. Poi tornò indietro di qualche passo e, posandole un bacio sulla fronte, aggiunse – Grazie, Usako!». E andò via.
Usagi non capì esattamente cosa intendesse per “mettere fine a tutta questa storia”, ma conosceva Mamoru e sapeva benissimo che era una persona coscienziosa. Ma la sua reazione non era stata assolutamente quella prevista e la cosa la preoccupava abbastanza.
Quanto alla storia con Setsuna, forse era davvero un malinteso, non sapeva se credere al suo racconto oppure no, anche se sentiva ancora quella sensazione di soffocamento. Più lieve, ma era ancora presente. Velocemente asciugò con il polsino del camice una lacrima, che era venuta giù sfuggendo al desiderio di Usagi di autocontrollarsi. Uscì dalla stanza pronta a riprendere il suo lavoro.
 
Mamoru bussò con decisione alla porta dell’ufficio del capo, attendendo con pazienza che lui lo invitasse a entrare. Senza pensarci su due volte, in pochi secondi, aveva preso l’unica decisione che avrebbe potuto farlo uscire da tutta quella situazione.
Era già a pezzi in quegli ultimi giorni e non aveva intenzione di continuare a torturarsi. Con calma e freddezza aveva deciso e non era intenzionato a cambiare idea.
«Mamoru, sei venuto a consegnare la tua relazione?» chiese il primario.
Mamoru abbozzò una specie di sorriso e fece segno di no con la testa.
«Quella non le servirà più, capo!».
Goro Yamada lo guardò strizzando gli occhi con aria interrogativa, cercando di mettere a fuoco le intenzioni di Mamoru.
«Mi licenzio, capo, con effetto immediato!».
«Che cosa fai?!?» urlò il primario alzandosi di scatto.
«Me ne vado, ha capito bene! Non ho intenzione di rimanere un attimo di più in questo ospedale, sapendo di essere stato preso in giro e di occupare un posto che non mi spetta».
«Mamoru, ma cosa stai dicendo? Che vuol dire preso in giro, occupare un posto che non ti spetta?».
«Lo chieda a mio padre non appena vi sentirete».
«Mamoru, ma è assurdo! Tu sei il mio migliore chirurgo, sei il favorito per prendere il mio posto, non te ne puoi andare così!».
«Se lo tenga pure il posto di primario, io non lo voglio! Anzi, lo dia a chi veramente lo merita. Addio, professor Yamada! Nonostante tutto è stato davvero un piacere lavorare con lei».
E così dicendo uscì dall’ufficio, senza lasciargli la possibilità di replicare ulteriormente.
Andò nel suo ufficio con lo scopo di raccogliere alcuni effetti personali prima di andare via. Faceva le cose con estrema calma e lucidità, e pensandoci, gli venne quasi da ridere.
Forse quella freddezza era solo la reazione agli ultimi giorni di stress, ma sentiva che tutte quelle rivelazioni in un certo senso lo avevano liberato. Mancava però un’unica cosa perché si sentisse finalmente libero.
Prese il telefono e compose un numero.
«Pronto?» rispose la voce dall’altro lato.
«Pensavo di non dover mai arrivare a questo» affermò Mamoru, cercando di mantenere un tono di voce fermo e sicuro.
«Chi parla?».
Mamoru scoppiò a ridere fragorosamente.
«Ma come, sei costantemente presente nella mia vita e neanche riconosci la mia voce? Sono sicuro che non sai più neanche che faccia abbia!».
« Mamoru?».
«Indovinato, Hiroshi!».
L’uomo dall’altro lato del ricevitore rimase in silenzio per un tempo indeterminato, fino a quando non fu Mamoru a rompere quel fastidioso silenzio.
«Ti ho chiamato per dirti che hai vinto tu! Mi sono licenziato da questo ospedale e lascio la città. Me ne vado dove la tua fama non può arrivare».
«Mamoru, ma che stai dicendo?».
«Quello che hai capito. E stavolta ti chiedo di lasciarmi in pace! Anche se non saprai mai dove mi trovo».
«L’ho fatto per il tuo bene».
«Che padre premuroso, sono commosso!».
«Eri un ragazzino e non ce l’avresti mai fatta da solo … io ci sono sempre stato».
«Con le menzogne e i tradimenti?»
«Ti sbagli!».
«Puo prendere in giro mia madre, ma non me. Io so che razza di uomo sei! So tutto, sai? E da sempre!»
«Di che stai parlando?».
«Midori e Aiko … questi due nomi ti dicono qualcosa?».
Hiroshi restò muto.
«Stai lontano da me e dalle persone che amo, se non vuoi che dica a tutti quello che hai fatto!» lo minacciò, alla fine, Mamoru prima di riagganciare.
«Ma cosa ti … ».
Non gli diede il tempo di rispondere, chiudendo velocemente la conversazione.
Rimase per un po’ immobile, cercando di riprendersi dalla forte agitazione che aveva provato a parlare con lui dopo tanti anni e, soprattutto, a rivelargli che era a conoscenza del suo segreto.
Prese le cose che aveva raccolto, un’ultima occhiata a quello che era stato il suo rifugio negli ultimi anni e uscì, lasciando definitivamente quel posto, in cui , inevitabilmente, avrebbe lasciato un pezzo importante di se stesso.
 
  
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