Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Faffina    27/04/2013    10 recensioni
C'è Daniel che è sempre stato etero.
Scott è gay ma non lo sa nessuno.
Gabriel, bello e ricco, è deciso a vedere il mondo da solo.
Ely, dalle ciglia lunghe e dai lineamenti delicati rischia di sembrare ciò che non è.
Kyle è scappato da casa all'età di 15 anni e non sa nemmeno più da cosa sta fuggendo.
Cinque ragazzi che vogliono iniziare una nuova vita a New York. Quattro di loro nascondono un segreto.
Scappano spinti dal bisogno di stare soli, senza sapere che è proprio la cosa da cui fuggono.
Impareranno a conoscere sé stessi, la paura, l'odio, l'amore e il sesso, che a volte si nascondono dietro l'amicizia.
Quando Dan alzò lo sguardo, Scott aveva le lacrime agli occhi. Abbassò il viso sulla sua pizza per nasconderle. Un posto in cui sentirsi a casa. Non era ciò che cercavano tutti?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 8

Una lunga notte

 

Your will changes every day
It's a choice you got to make
I can't help you if you want to

Seven day mile - The Frames

 

 

Daniel aprì la porta dell'appartamento con un rapido giro di chiave ed una spallata, un gesto che era già diventato un'abitudine. Sul divano Scott e Gabriel sussultarono quasi contemporaneamente; possibile che quei due avessero sempre l'aria di chi nasconde qualcosa?
«Ehi, ma ti sei tagliato i capelli?» chiese accennando al nuovo taglio di Scott. Il ragazzo arrossì e non disse nulla, momentaneamente ammutolito, limitandosi a passare una mano tra i folti ciuffi scuri.
«Si può sapere cosa vi stavate dicendo di così importante da non poter continuare in mia presenza?» Non che gli importasse, ma da quando era entrato in casa si erano azzittiti entrambi, e il rossore del viso di Scott non accennava a diminuire.
«Ehm... Gabriel mi ha portato da un suo amico parrucchiere» si decise finalmente a rispondere Scott, prima di deviare l'attenzione sulla busta che Dan teneva stretta. «Cos'hai in mano?»
«Non lo so, l'ho trovata nella posta.» Dan si sedette sul divano, esaminando la busta. Era grande, di spessa carta marrone, con solo il nome del destinatario scritto su un lato.
Per Daniel.
La aprì delicatamente, sentendo su di sé lo sguardo curioso degli altri due, e per un attimo si pentì di non essere nella propria stanza. Era un disegno, un bellissimo disegno a carboncino. Sentì Scott trattenere il respiro, mentre lui appoggiava il ritratto sul tavolino. Non era firmato, non che fosse necessario, ma una frase era scritta lungo il bordo del foglio in una sottile calligrafia obliqua che riconobbe all'istante.
It's a choice you got to make, I can't help you if you want to.
Quello era il modo di Ely di fargli sapere che gli era vicino, ma che la scelta spettava a lui. Da quel pomeriggio nel vicolo dietro al bar non si era più fatto vivo; Dan si sentiva ancora imbarazzato e frustrato per essersi lasciato andare così. C'era solo una parte di lui, una parte non troppo piccola, che gli ripeteva che era stato lui stesso a baciarlo e che non gli aveva fatto per niente schifo. Anzi, all'improvviso gli sembrava l'unico vero bacio che avesse mai dato in vita sua.
«È bellissimo, chi è l'artista?» chiese Gabriel rompendo il silenzio.
«Un nostro amico. Più un amico di Daniel, in realtà» gli spiegò Scott osservando la sua reazione con la coda dell'occhio. Quel nuovo taglio sembrava gli avesse dato più sicurezza in sé stesso, era pronto a scommettere che nell'ultima frase ci fosse una velata allusione. Decisamente non-da-Scott.
Dan riprese il disegno e lo ripose al sicuro nella busta, per un attimo incrociò lo sguardo di sé stesso. Era come guardarsi allo specchio, ma l'immagine che gli rimandava era diversa dal solito: era il modo in cui lo vedevano gli altri. Non aveva mai notato quella luce illuminargli lo sguardo, né quel lieve sorriso addolcirgli i tratti, ma era pronto a scommettere che Ely li avesse visti.
«Qualcuno di voi due ha pensato a preparare qualcosa per cena o siete stati troppo impegnati a chiacchierare?» li interrogò Daniel, deciso a cambiare discorso.
Si avviò verso la cucina con lo stomaco che brontolava per la fame, ma come sospettava non c'era nulla sui fornelli. Aveva appena aperto il frigo in cerca di avanzi quando il telefono squillò. Senza voltare la testa afferrò la cornetta appesa al muro e rispose.
«Pronto?»
«Daniel, sei tu?» La voce dall'altra parte aveva qualcosa di familiare, ma non riuscì ad identificarla. Era bassa e venata di panico.
«Sì, sono io. Chi parla?» chiese mentre una sottile apprensione gli faceva dimenticare completamente la ricerca di cibo.
«Sono Kyle. Sono in ospedale, Ely è... Oh, merda. L'hanno picchiato... È solo colpa mia.»
Le nocche di Dan sbiancarono, strette sulla cornetta con tanta forza da rischiare di romperla. «Dimmi dov'è.» Non era una domanda, suonava più come un ordine, ma non gli importava. Avrebbe voluto chiedergli mille altre cose: cos'è successo? come sta ora? perché qualcuno può voler fare del male ad Ely? Ma la sua gola si era stretta a tal punto da rendergli difficile persino respirare.
«L'ha portato via l'ambulanza, l'ho trovato svenuto davanti al portone. Siamo al Presbyterian. Daniel, io...» La voce di Kyle si ruppe, ma era riuscito a comunicargli il nome dell'ospedale. Era lo stesso dove era stato ricoverato Gabriel.
«Sto arrivando.»
Dan riattaccò, con la testa che girava. Le mani gli tremavano così tanto che dovette fare diversi tentativi per riagganciare il telefono al muro; una rabbia sorda ed incontrollabile lo scuoteva da dentro. Perché proprio Ely?
Kyle aveva detto che era colpa sua. Chi mai poteva averlo picchiato fino a lasciarlo svenuto sul marciapiede?
Scott e Gabriel lo raggiunsero in cucina e gli raccontò brevemente la telefonata, cercando di controllare la paura che minacciava di farlo crollare. Sperava solo che stesse bene, pensò mentre le sue mani pigiavano con violenza i numeri per chiamare un taxi. Doveva andare all'ospedale e accertarsene di persona.
Scott non tentò nemmeno di fermarlo, non importava che ormai fosse notte, che non avesse mangiato niente da ore, che il giorno dopo avrebbe dovuto iniziare a lavorare.
Ah, già. Non gli aveva ancora detto di aver trovato lavoro. Improvvisamente non sembrava più così importante. Niente era più importante che salire su quel taxi e raggiungere l'ospedale. Quasi non sentì Scott che gli urlava di chiamarlo per dargli notizie; si precipitò giù per le scale con l'immagine del volto di Ely che gli lampeggiava nella testa e il senso di colpa che iniziava lentamente a roderlo da dentro. Aveva lasciato passare quasi una settimana senza più cercarlo, ed Ely gli aveva persino fatto un ritratto. Doveva aver pensato che non gli importasse più niente di lui.
Non era vero. Dan pensava a lui più di quanto avrebbe voluto, più di quanto avrebbe creduto possibile. Il volto di quel ragazzo si era impresso a fuoco nella sua mente e non voleva saperne di andare via; non avrebbe saputo dire cosa avesse di speciale, ma avrebbe fatto bene ad ammettere che lo era. Provava un'attrazione nei suoi confronti che si vergognava ad ammettere persino con sé stesso, era inutile negarlo.
Si appoggiò al bancone dell'accettazione, cercando con lo sguardo l'attenzione di un'infermiera.
«Chi cerca?» gli chiese una donna dall'aria stanca.
«Elijah Adam Mills.» Il nome di Ely aveva un suono amaro nella sua bocca, strano ed insolito, unito al fatto che non avrebbe mai voluto pronunciarlo in quella situazione.
«Lo stanno operando, puoi aspettare in quella sala d'attesa laggiù.» Gli indicò un lungo corridoio e tornò a concentrarsi sul mucchio di cartelle cliniche che aveva davanti. Dan si incamminò lentamente, sentendo l'adrenalina abbandonarlo lentamente; non sapeva se era una notizia buona o cattiva che fosse in sala operatoria. Era vivo, ma in che condizioni?
La sala d'attesa era vuota, eccetto per una figura accasciata su una delle sedie di plastica.
Kyle. Il ragazzo si nascondeva il volto tra le mani ed i capelli di solito ordinati erano sciolti sulle spalle, arruffati e spettinati come se ci avesse passato le mani in mezzo per ore.
«Kyle?» Al suono della voce di Dan alzò la testa di scatto, rivelando un volto pallido e stravolto, privo della solita sicurezza. Le parole che si erano scambiati prima al telefono gli tornarono in mente: "È solo colpa mia". Un insolito senso di calore dovuto alla rabbia gli annebbiò la vista per un attimo.
«Come hai potuto lasciare che gli facessero del male?»
Kyle saltò in piedi come scottato e cominciò a camminare per la piccola sala, incapace di stare fermo. «Già da giorni c'erano degli uomini che mi minacciavano. Dicevano che mi avrebbero spezzato le dita per impedirmi di suonare». Kyle si bloccò, sembrava facesse fatica a parlare «Quando sono arrivato ho trovato Ely svenuto davanti al portone, aveva una mano stretta al petto... e le dita rotte.»
Un senso di nausea si fece strada in Dan, impedendogli di pensare lucidamente.
«Se erano venuti per te, perché hanno picchiato Ely?» chiese, come se la risposta potesse cambiare le cose.
«Probabilmente per spaventarmi. Non lo so. So solo che a causa mia potrebbe morire. Mi dispiace!» La voce di Kyle che tentava di giustificarsi gli giunse ovattata ed il battito del cuore nelle orecchie divenne più forte.
Non fu una decisione presa razionalmente, ma uno di quei momenti in cui il corpo agisce di propria iniziativa e le emozioni esplodono verso l'esterno, incontrollabili.
Il pugno di Dan risuonò nella sala vuota, insieme al gemito di dolore e sorpresa di Kyle, che barcollò all'indietro contro le sedie di plastica, premendosi una mano contro la guancia colpita. Dan si rese conto di ciò che aveva fatto solo quando il sangue iniziò a filtrare tra le dita di Kyle e a gocciolare sul pavimento.
Daniel si guardò la mano, che ora pulsava di dolore. Non aveva mai colpito nessuno, prima. Non sapeva nemmeno come aveva fatto. Adesso gli tremavano le mani, in preda al nervosismo e al calo di adrenalina. Kyle era ancora in piedi di fronte a lui, appariva sotto shock e si tamponava il labbro spaccato con la manica della felpa, ormai zuppa di sangue. Sembrava non avesse il coraggio o la voglia di guardarlo negli occhi o reagire, probabilmente era divorato dal senso di colpa, e quel pugno era nulla in confronto a ciò che Ely aveva dovuto subire per causa sua.
Dan lo guardò allontanarsi barcollando e si lasciò cadere a sua volta su una sedia, mentre la paura tornava a tormentarlo. Mezz'ora dopo irruppe nella sala l'unica cosa in grado di risvegliarlo dal suo torpore: un medico e due infermieri uscirono dalla sala operatoria alle sue spalle spingendo una barella. Fece in tempo a scorgere una testa bruna e una mano fasciata, prima che varcassero la soglia del reparto e sparissero di nuovo. Dan si alzò di scatto, infilandosi dietro di loro un attimo prima che la porta automatica si richiudesse, e li vide entrare in una stanza in fondo al corridoio.
Si prese un attimo di tempo per guardarsi intorno e, nonostante le basse luci notturne, riconobbe l'ambiente familiare; sarebbe stato quasi divertente, se non fosse stato così spaventato: era lo stesso reparto in cui era stato ricoverato Gabriel. Non se ne era accorto prima, dal momento che non aveva usato l'ingresso dei visitatori, ma ora non aveva dubbi.
«Cosa fa qui? Non è orario di visita!» La voce concitata dell'infermiera lo fece sussultare, era sbucata alle sue spalle all'improvviso e brandiva un paio di pinze metalliche dall'aria inquietante.
«Gill?» chiese Dan riconoscendola.
«Oh, sei l'amico di Gabriel, cosa fai qui.» Il volto della donna si ammorbidì nel riconoscerlo ed anche il suo tono non sembrò più così minaccioso.
«Hanno appena portato un ragazzo dalla sala operatoria. È il mio... Sono qui per lui» concluse dopo un attimo di esitazione.
«In teoria dovresti entrare domattina, ma dal momento che sei qui...» Gill scrollò la testa comprensiva e gli fece strada nella stanza in cui aveva visto entrare Ely, da cui uscivano in quel momento il medico e i due infermieri ancora in divisa da sala operatoria.
«Il ragazzo è stabile, abbiamo fatto il possibile per sistemargli quelle dita. Ha tre costole fratturate e un leggero trauma cranico, ma si risveglierà presto» riferì il medico a Gill, che annuì e fece entrare Dan nella stanza.
«Come mai i tuoi amici ogni tanto si cacciano nei guai? Ha tutta l'aria di essere uscito da un pestaggio» disse squadrando il viso di Ely nella penombra.
Rimasto solo, Dan si avvicinò al letto, non riusciva a distinguerlo bene alla fioca luce proveniente dal corridoio, ma aveva tracce di sangue secco sul mento e un grosso livido scuro che gli occupava metà del viso. Nonostante tutto, anche nel sonno manteneva la sua espressione mite, chiunque l'avesse picchiato non era riuscito a portargli via il suo viso d'angelo.

 * * *

Scott e Gabriel, di nuovo soli, si fissarono in silenzio. L'arrivo improvviso di Dan, e la sua ancor più improvvisa partenza, avevano rovinato l'atmosfera di complicità che si era creata; Scott sentiva le sue ultime parole pesargli addosso come un macigno. Si sarebbe aspettato un senso di liberazione nel poter essere finalmente sé stesso, invece era solo spaventato: Gabriel non aveva fatto in tempo a rispondere alla sua rivelazione e ancora non gli aveva detto come la pensava. Forse era stato un errore aprirsi così con lui: aveva già i propri segreti di cui occuparsi.
Stava per dirigersi in camera con un pacco di biscotti come cena, incapace di sopportare ancora quell'atmosfera, quando la mano di Gabriel gli afferrò il braccio impedendogli di allontanarsi.
«Aspetta» lo sentì dire e per un attimo, irrazionalmente, credette che l'avrebbe colpito.
Gabriel lo prese per le spalle e lo voltò bruscamente, in tempo per vedere Scott portarsi istintivamente un braccio a ripararsi il viso e chiudere gli occhi.
Passarono pochi secondi in cui entrambi rimasero perfettamente immobili, Gabriel sbalordito ed incredulo e Scott profondamente imbarazzato per aver permesso alle sue vecchie paure di prendere il sopravvento e farlo sentire di nuovo vulnerabile.
«Scusami, non volevo reagire così» tentò di giustificarsi, ben sapendo che era inutile.
«Io non ti colpirei mai! Odio l'idea che qualcuno...» rispose Gabriel, interrompendosi a metà frase. Le sue mani, ancora sulle spalle di Scott, scivolarono lentamente lungo le braccia, ma senza lasciarlo andare. Aveva il respiro leggermente affannoso e sembrava furioso.
Gli strinse i polsi con forza e lo avvicinò a sé dicendo «Non so con che coraggio tuo padre ha osato picchiarti, ma ti assicuro che in casa mia non ti succederà niente.»
Scott non l’aveva mai visto così serio, i suoi occhi verdi avevano perso l’abituale scintillio ironico ed erano fermi e risoluti. C'era qualcosa nel suo sguardo che non aveva mai visto. Il cuore di Scott inspiegabilmente si mise a battere un po' più forte, era strano essere guardati in quel modo e non avere più la frangia di capelli dietro cui nascondersi.
Lo squillo di un cellulare fece sussultare Gabriel, che lo lasciò andare come scottato, permettendogli di rispondere.
«Pronto, Dan sei tu?»
«Oh, cavolo! Spero che vada tutto bene. Tienimi informato.»
«Sì, grazie per aver chiamato.»

Più tardi, quella notte, Scott si rigirò nel letto ancora una volta, incapace di dormire. Immaginò Dan, seduto da solo accanto al letto di Ely, in attesa del suo risveglio. Ed Ely, di cui sapeva poco o nulla, se non che aveva sempre una parola ed un sorriso per tutti, che amava disegnare e cucinare e che era stato picchiato a sangue senza motivo.
Quando era venuto a New York aveva pensato di essersi lasciato il male alle spalle, solo ora si accorgeva di quanto fosse infantile la sua convinzione. Pensava che avrebbe vissuto sempre con Dan, al riparo da qualsiasi cosa, ma la vita aveva preso un corso che non era in grado di controllare. Si passò la mano tra i capelli scuri, sorprendendosi di trovarli corti e morbidi, si era quasi dimenticato della mattinata da Kenny.
Un lieve bussare alla porta lo riscosse dai suoi pensieri. «Avanti» rispose, mentre la figura di Gabriel scivolava dentro. Era senza stampelle e il tonfo della gamba ingessata risuonava ritmicamente sul parquet mentre avanzava. Aveva qualcosa in mano, ma la penombra non gli permise di distinguere cosa fosse.
Sentì solo che si sdraiava sul letto e si spostò per fargli posto, rabbrividendo quando i capelli di Gabriel, ancora umidi per la doccia, gli sfioravano la spalla nuda. Un attimo dopo l'accendino illuminò il volto impenetrabile di Gabriel, il suo petto nudo e la cicatrice irregolare sul fianco destro. Il fumo salì lentamente al soffitto, appena visibile nella stanza buia, e l'odore si mischiò a quello del bagnoschiuma e a quello più lieve del corpo di Gabriel.
Scott si appoggiò sul fianco in attesa, non era venuto lì solo per dividere una canna, sentiva che c'era qualcosa che voleva dirgli. Quando Gabriel parlò la sua voce suonò distante. No, sembrò che volesse tenere le distanze da ciò che stava per raccontare.
«Cinque anni fa, quando ero ancora al liceo, ho conosciuto una ragazza di nome Cynthia. Lei viveva per viaggiare; lavorava tutto l'inverno, dopo la scuola, per poter avere i soldi da spendere in viaggi per il mondo. Siamo stati assieme, è stata lei a farmi scoprire la bellezza dell'Europa, della Nuova Zelanda, del Cile...»
Gabriel si interruppe, riprendendo la canna dalle dita di Scott e dando un tiro profondo che fece ardere la brace fino ad illuminargli il viso.
«Cynthia aveva fatto una lista di tutti i posti che voleva vedere prima di morire. La aggiornava in continuazione, mentre io le dicevo che avrebbe dovuto essere immortale per riuscire a vederli tutti, oppure non avere altro obiettivo nella vita. Ogni volta che tornavamo da un viaggio incollava le foto più belle sulla parete della sua stanza e cancellava la destinazione dall'elenco.»
«Adesso la lista ce l'hai tu. L'ho vista sotto il tuo cuscino» confessò Scott.
«Sì, ce l'ho io. Sono passati più di tre anni dal nostro ultimo viaggio insieme. Le isole della Polinesia francese sono perfette per le immersioni…» Gabriel si era interrotto di nuovo, sembrava incapace di andare avanti.
«Cosa è successo a Cynthia?» Chiese dolcemente Scott.
Sentì i muscoli delle braccia di Gabriel irrigidirsi, ma la sua voce suonò stranamente pacata. «Hanno cercato di derubarci, avevano un coltello.» Si passo le dita sulla cicatrice che gli segnava il fianco destro, quasi in un gesto automatico. «Hanno colpito me e poi Cynthia. Non ha nemmeno fatto in tempo ad arrivare all'ospedale.»
Sulla stanza scese nuovamente il silenzio, Scott non si sarebbe mai aspettato una rivelazione del genere. Il dolore di Gabriel era ancora evidente quando ne parlava, nonostante fossero passati anni.
«Mi dispiace. Dovevi amarla davvero tanto se hai deciso di portare ugualmente a termine la lista» sussurrò Scott, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Non doveva morire. Ero con lei» mormorò Gabriel, come se questo bastasse a spiegare tutto.
«Non puoi controllare la vita e la morte delle persone, per quanto ci sforziamo non possiamo proteggere tutti. Mio padre ha picchiato mia madre perché aveva messo al mondo un figlio gay e io non ho potuto fare niente per fermarlo. Non è stata colpa tua.»
Gabriel si girò verso di lui, alla debole luce dei lampioni Scott poteva vedere i suoi occhi, lucidi per l’emozione, sbattere ripetutamente le palpebre come a trattenere le lacrime. Senza nemmeno pensare a ciò che stesse facendo, gli fece scivolare un braccio sul fianco nudo, abbracciandolo. Sentì sotto le dita la linea frastagliata della cicatrice, e Gabriel rabbrividire al suo tocco prima di ricambiare l’abbraccio. La sua mano percorse delicatamente la schiena di Scott; era un contatto insolito ed intimo a cui non era abituato, ma stranamente piacevole.
Avrebbe dovuto essere imbarazzato e a disagio nel trovarsi tanto vicino ad un’altra persona, invece la sensazione che riceveva era di calore e sicurezza.
Alzò la testa fino ad incrociare lo sguardo di Gabriel e vide solo disperata solitudine nei suoi occhi. Le barriere che aveva innalzato per tenerli fuori dal suo segreto erano crollate.
Scott non seppe mai chi dei due avesse cominciato, ma un attimo dopo le loro labbra si incontrarono. Un tocco esitante, sorprendentemente delicato, con un gusto amaro che non aveva niente a che fare con il sapore di fumo. Dopo un attimo di esitazione le mani di Gabriel si infilarono fra i suoi capelli, lo sentì sospirare attirandolo più vicino. Fu incredibilmente naturale rispondere al bacio, chiudere gli occhi e sentire il lenzuolo scivolare via, permettendo alla pelle nuda di entrambi di venire in contatto.
Passarono silenziosi minuti in cui non si staccarono mai, neppure per riprendere fiato, assorti in un lungo dialogo senza parole. Le mani che prendevano via via sicurezza, scoprendo sempre nuove zone di pelle da toccare ed accarezzare, suscitando sensazioni sconosciute sia per Scott che per Gabriel.
Probabilmente i minuti diventarono un’ora, o forse due, ma quel letto non sembrava più fatto per dormire, non con l’emozione che aumentava invece di diminuire.
Scott si staccò, accorgendosi di avere il respiro affannato, le labbra irritate dal contatto con la barba e il suo corpo che voleva di più. Anche Gabriel sembrava essere nelle sue stesse condizioni, lo sentiva eccitato, contro di sé. Appoggiò la testa sul cuscino, ancora frastornato da ciò che era successo, nessuno dei due aveva ancora detto una parola, ma non sembravano necessarie.
Tracciò con un dito il contorno delle labbra di Gabriel e le sentì tendersi in un lieve sorriso, l’oscurità gli impediva di vederlo bene in faccia, ma intuiva la sua espressione. Era lo stesso meravigliato stupore che sentiva anche sul suo viso.
Sentì Gabriel adagiarsi sul cuscino al suo fianco così vicino che il suo respiro gli smuoveva i capelli sulla fronte.
Seguendo l’istinto appoggiò la mano sul petto di Gabriel, il calore della sua pelle e il battito ritmico del suo cuore erano confortanti; forse non ne erano coscienti, ma la solitudine di entrambi veniva lenita da quel contatto.

 

 

________________________

* Angolo dell’Autrice *

Ciao a tutte, ragazze ♥ Intanto mi scuso, questo capitolo arriva leggermente più tardi degli altri, ma c’è un motivo (ho finito i giudizi di un contest, ma non è questo il motivo).
Il fatto è che sono arrivata a scrivere di Scott e Gabriel, circa a metà del capitolo… e mi sono bloccata! O.o Ho temuto un calo dell’ispirazione! In realtà ho capito, dopo una settimana in cui scrivevo solo mezze frasi smozzicate, che la colpa era di Gabriel. Moriva dalla voglia di baciare Scott, ma non sapeva come fare.
Alla fine bastava solo aspettare il momento giusto ^^ Però accidenti a lui, mi ha fatto perdere un sacco di tempo! Mi avete chiesto in “tante” se Gabriel è etero o gay. È bisessuale; ha avuto una ragazza importante, e poi più nessuno fino a Scott.
Questo capitolo è stato un parto, alla fine mi veniva da piangere, Gabriel dietro alla facciata di indipendenza e divertimento ha un vuoto che non riesce a colmare, una devastante solitudine. ç__ç Povero Gabe, mi fa una tristezza!
So che volete sapere cosa è successo ad Ely, per ora mantengo la prognosi riservata, ma il prossimo capitolo si svelerà tutto.

Domanda della settimana: Cosa ne pensate del pugno di Dan a Kyle? Ha fatto bene?

Ma passiamo alle cose piacevoli: volevo ringraziare le 38 persone che seguono questa storia, tutti quelli che l’hanno messa tra seguite e preferite e vi annuncio che siamo ad un totale di 69 recensioni XD È un bel numero (in tutti i sensi), anche se sono lenta a rispondervi alla fine lo faccio, spero che continuerete a spendere qualche minuto per farmi felice!

A presto e baci a tutte ♥

Faf

PS Toglietemi una curiosità, cosa aveva l’ultimo capitolo in più di tutti gli altri? XD Ha il doppio delle visite di quelli precedenti ^^ Non che non mi faccia piacere, ero solo curiosa :) 

PPs Un mio nuovo giochino, se volete farmi delle domande, anche anonime, trovate qui il mio profilo di Ask: Faffina!

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Faffina