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Autore: Leana    27/04/2013    3 recensioni
Rimasi incantato dal suono di quella voce che insieme alle note suonate al pianoforte, creava una melodia a dir poco emozionante.
In quel momento, mi ero totalmente dimenticato dei miei problemi, delle granite in faccia, di qualsiasi cosa.
C’erano solo io, lui e quella canzone.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi con un’altra Songfic sulla Klaine.
Questa volta, la canzone che ho usato è ‘To Build A Home’ di The Cinematic Orchestra.
QUA potete trovare il link della canzone intera. Quella che uso io è la versione corta che potete sentire nel trailer di ‘The Host’ (mi spiace non averla trovata già tagliata).
 
Buona lettura!
 

 
 
 

TO BUILD A HOME

 

 
 
 
Feci in tempo a chiudere gli occhi che nel giro di un secondo mi ritrovai ricoperto di granita.
 
Rimasi immobile con una smorfia sulla faccia, mentre sentivo il ghiaccio scivolare oltre il colletto e imbrattarmi la camicia.
 
“Sparisci, frocio!” urlò qualcuno, e un’altra dose di granita mi fu versata sui capelli. Sperai che almeno la borsa si fosse salvata.
 
Pulendomi gli occhi con un angolo della manica della camicia rimasta miracolosamente asciutta, la prima cosa che vidi fu il lago ai miei piedi.
 
A giudicare dal colore, mi avevano tirato addosso una granita alla fragola, e una al limone. Alzai lo sguardo, e vidi gli altri studenti sfilarmi davanti come se nemmeno esistessi.
 
A quanto sembrava, Karofsky e i suoi se n’erano andati.
 
Tentai di pulirmi almeno i capelli, ma più li toccavo, più diventavano appiccicosi e spettinati. A testa bassa, camminai rasente il muro in direzione del bagno, sperando di non fare altri brutti incontri.
 
Odiavo essere trattato in quel modo solo per chi ero. Quello che mi veniva urlato in faccia ogni giorno era vero, e lo sapevo benissimo.
 
Ero effeminato, sia nella voce che nei modi di fare, non avevo uno amico, nessuno voleva parlare con me.
 
Ero un fallito, senza un briciolo di amor proprio.
 
Se l’avessi avuto, avrei buttato via per sempre i miei vestiti, la lacca e tutti i poster dei miei musical preferiti. Avrei fatto finta che mi piacesse una ragazza, e magari l’avrei anche invitata a uscire.
 
Quello che facevo io, era l’esatto opposto. Non sapevo nemmeno perché. Forse per principio.
 
Sta di fatto che ogni volta che venivo ricoperto di granita, ricevevo uno spintone o venivo buttato di peso dentro a un bidone dell’immondizia, mi domandavo perché mi ostinassi a continuare.
 
Bastava semplicemente vestirsi in un altro modo, fingere che mi piacessero gli sport e che lanciassi qualche occhiata alle cheerleader per mettere fine a quella tortura.
 
Subito dopo iniziavo a odiarmi. Se non fossi stato gay, non mi avrebbero mai trattato così, e magari avrei avuto qualche amico.
 
E anche quella volta, stavo già incolpando me stesso per la granita in faccia che avevo appena ricevuto.
 
‘Ben ti sta’ disse una vocina nella mia testa.
 
Probabilmente aveva ragione, me l’andavo a cercare ogni volta.
 
Entrai ne bagno, e mi accorsi dei due ragazzi solo quando li scorsi con la coda dell’occhio nello specchio. Avevano smesso di parlare non appena era entrato, e adesso mi guardavano con un misto di sorpresa e disgusto.
 
“Che schifo” mormorò uno dei due con una smorfia, guardandomi da testa a piedi.
 
Ero convinto che non avrebbero guardato con la stessa espressione schifata nemmeno un appestato.
 
“Andiamo. Meglio non stare troppo vicino a certa gente” disse l’altro ad alta voce, come se non fossi lì.
 
I due uscirono mentre suonava la campanella.
 
Fantastico, sarò in ritardo per la lezione di inglese.
 
Sospirando, mi guardai allo specchio.
 
Il mio tentativo di sistemare i capelli non aveva dato i suoi frutti. Il ciuffo che fino a pochi momenti prima era perfettamente in piega, adesso era sparato all’indietro in ciocche appiccicose. La camicia era ricoperta da un’unica grossa macchia color fragola. Potevo dirle addio.
I pantaloni erano macchiati solo su un lato, ma essendo scuri non si notava molto.
 
Aprii il rubinetto, e iniziai a pulirmi i capelli. Non sarebbero mai tornati come prima, ma almeno sarebbero stati più guardabili.
 
Una volta finito con i capelli, mi tolsi la camicia macchiata, e infilai la felpa che tenevo nello zaino come ricambio.
 
Mi guardai di nuovo allo specchio.
 
Ero ridicolo. Avevano fatto bene quei due ragazzi a scappare da me.
 
‘Quando finirà tutto questo?’ mi chiesi per l’ennesima volta.
 
La vocina nella mia testa mi rispose che non sarebbe mai finita, e in quel momento gli credevo.
 
Sentii un nodo alla gola, e gli occhi riempirsi di lacrime.
 
Mi appoggiai al muro pieno di scritte e disegni, e lentamente mi sedetti a terra. Portai le ginocchia al petto, e misi la testa in mezzo alle gambe.
 
Odiavo sentirmi così. Mi capitava sempre più spesso, e ogni volta avevo la sensazione di darla vinta a tutti i bulli del mondo, non solo a Karofsky.
 
Il loro unico scopo era quello di distruggere psicologicamente, di piegare al loro volere, e cancellare la dignità di tutti quelli come me.
 
Ogni volta che versavo una lacrima, che sentivo il cuore pesante per quello che mi dicevano, era come se li avessi lasciati vincere senza provare a combattere.
 
Piansi le lacrime che ormai non riuscivo più a trattenere. E si sa, ogni volta che inizi a piangere, piangi per tutto il male che hai ricevuto nella vita. Si, ero proprio un debole.
 
Rimasi a piangere in quella posizione per molto tempo. Non mi importava nemmeno se qualcuno fosse entrato e mi avesse sorpreso a piangere ‘come una femminuccia’.
Sarebbe stata la mia rovina, ma non me ne importava.
 
Smisi di piangere solo quando mi sentii esausto. Non avevo la forza nemmeno di pensare, ma certamente non poteva rimanere lì ancora a lungo.
 
Mi ricomposi, ma una veloce occhiata allo specchio mi rivelò che non avrei potuto nascondere gli occhi rossi.
A quel punto, non cambiava poi molto.
 
Uscii dal bagno, e mi ritrovai nel corridoio vuoto. Solo in quel momento mi resi conto che la lezione era già iniziata da un bel pezzo, e certamente non sarei potuto entrare in classe.
 
Decisi allora di andare nell’unico posto che non odiassi di quella scuola.
 
L’unico posto dove mi sentivo al sicuro, a casa.
 
L’auditorium.
 
Feci tutta la strada correndo, e mi fermai solo quando giunsi davanti alla porta.
 
Mi guardai intorno, ma non scorgendo nessuno che me lo impedisse, entrai.
 
Notai subito una luce sul palco, ma essendo in una zona in ombra non mi preoccupai di essere visto.
 
Mi sedetti su una delle poltrone in fondo, rilassandomi contro lo schienale.
 
Li nessun sarebbe venuto a infastidirmi, e potevo permettermi di tirare un sospiro di sollievo. Il silenzio che mi avvolgeva mi calmò del tutto, e chiusi gli occhi inclinando la testa all’indietro.
 
Un istante dopo, il silenzio fu rotto dal suono di un pianoforte.
 
Decisi di non riaprire gli occhi, e di godermi quella canzone che sembrava suonata apposta per me.
 
“There is a house built out of stone”
 
Al suono di quella voce calda, non riuscii a fermarmi, e aprii gli occhi.
 
Mi accorsi che sul palco c’era un ragazzo, troppo concentrato a suonare il pianoforte per accorgersi di me.
 
“This is a place where I don’t feel alone”
 
Sembrava quasi che quel ragazzo avesse captato i suoi pensieri, e li stesse trasformando in musica.

 
 
“Out in the garden where we planted the seeds”
 
“There is a tree as old as me”
 
Mi raddrizzai sulla poltrona, ascoltando attentamente ogni nota, ogni parola che proveniva da lui.
Il ritmo della canzone adesso era cambiato. Le note sembravano inseguirsi l’una con l’altra, e il ragazzo suonava come se fosse la cosa più facile del mondo.
 
“Cause, I built a home”
 
“For you”
 
“For me”
 
Rimasi incantato dal suono di quella voce che insieme alle note suonate al pianoforte, creava una melodia a dir poco emozionante.
 
In quel momento, mi ero totalmente dimenticato dei miei problemi, delle granite in faccia, di qualsiasi cosa.
 
C’erano solo io, lui e quella canzone.
 
“Until it disappeard”
 
Ora che la canzone aveva di nuovo rallentato, mi alzi e lentamente scesi fino ad arrivare ai piedi del palco.
 
Potevo vedere meglio il ragazzo che suonava, ora.
 
Aveva i capelli fissati con moltissimo gel, e indossava una maglia pesante bianca e nera con il collo alto.
Aveva gli occhi socchiusi, e non si era accorto di me.
 
“There is a place where I feel at home”
 
Quella, per me, era casa mia, e avevo trovato lui. Il ragazzo suonò gli ultimi accordi, poi rimase in silenzio a fissare i tasti del pianoforte.
 
Sembrava emozionato quasi quanto me che l’avevo ascoltato.
 
Resistendo al desiderio di scambiare due parole con quel ragazzo, mi voltai e tornai in cima alle scale laterali dell’auditorium, e uscii.
 
‘Non mi dimenticherò mai di questa canzone’ pensai.
 
E di quel ragazzo, aggiunse la vocina nella mia testa.
 
 
 
Dunque, non ho molto da aggiungere, se non che questa sarebbe l’idea iniziale per una long Klaine, ma ero indecisa se pubblicarla o meno così ho iniziato da una OS e poi deciderò se continuare.
Ovviamente avrete intuito che il ragazzo nell’auditorium è Blaine ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo tanto!
Grazie per aver letto!
L.

   
 
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