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Autore: WhiteSpace    29/04/2013    1 recensioni
[Tratto dalla storia]
Intonò le prime note trasmettendo loro tutta se stessa. Alla seconda strofa gli occhi le si fecero lucidi lasciandola in un mondo dove tutto è opaco, confuso, indistinguibile. Si lasciò andare, lasciò che la voce uscisse calda e piena di emozioni; la lasciò raggiungere il cuore dei presenti per aprire un varco e smuovere vecchi e dolci ricordi. La lasciò raggiungere anche il suo, di cuore. Chiuse gli occhi per abbandonarsi completamente a quel brano. Quando li aprì due stelle le scivolarono sulle guance, seguite da altre, e altre ancora.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Lysandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella fredda notte del 24 dicembre in una casetta di campagna nascosta dalla neve che tutt'ora scende, i miei nipotini aspettano il mio arrivo per festeggiare tutti insieme l'arrivo di Babbo Natale e, nell'attesa, farsi raccontare una storia.

Dopo due estenuanti ore di treno finalmente arrivo alla stazione. Apro l'ombrello per proteggermi dai gelidi fiocchi che lentamente scendono dal cielo e che rendono la vigilia di Natale ancora più magica.

Entro nell'edificio dove poche altre persone si sono fermate per prendere qualcosa di caldo, nell'attesa della nuova corsa.

Mi guardo intorno e finalmente riesco a individuare l'uscita. Esco. Prendo la strada che porta verso il centro città e mi avvio, camminando lentamente, per godermi quella vista mozzafiato: un cielo blu petrolio da cui scendono miliardi di fiocchi di cotone, il profilo delle case in legno in lontananza con le finestre accese, a indicare festa, e i tetti bianchi; nessun rumore se non quello dei treni che arrivano e che partono, un freddo pungente che entra nelle ossa e provoca una piccola sensazione di fastidio che spinge a rintanarsi in casa davanti al camino acceso. Nell'aria, un profumo di calma e tranquillità.

Supero il centro abitato e imbocco un sentiero sul lato sinistro delimitato, da un muretto di pietra.

Dopo quindici minuti di cammino arrivo a destinazione. Chiudo l'ombrello e lo scuoto per far cadere i rimasugli di neve. Lo infilo nel portaombrelli, busso e aspetto che vengano ad aprirmi.

«Buonasera, Rosalya» dico appena mi trovo davanti la mia vecchia compagna di liceo.

«Ehi! Benarrivato! Che bello rivederti! Vieni entra!» mi risponde lei facendosi da parte: «Ragazzi! È arrivato lo zio!».

Entro nel caldo accogliente della casa e tre figure mi si lanciano contro abbracciandomi.

«Zietto, zietto! Sei arrivato!» dicono in coro.

Sono i miei nipotini: Edward, Alphonse e Winry. Edward è il più grande, poi c'è Winry e infine Alphonse. Sono tutti e tre biondi, Edward e Alphonse hanno gli occhi gialli come la madre mentre Winry neri come il padre. L'uno dall'altro si tolgono pochi centimetri di altezza.

«Su, fate mettere comodo lo zio che tra poco è pronta la cena. E non dimenticate di lavarvi le mani!» interviene Rosalya, prima di sparire in cucina.

I ragazzi vanno a lavarsi le mani, mentre io mi tolgo il cappotto e lo appoggio sull'appendiabiti.

«Oh, fratellino! Sei arrivato!» mi accoglie un voce limpida e inconfondibile dietro di me.

«Leigh! Che piacere rivederti! Dove ti eri nascosto?» rispondo voltandomi e dandogli una pacca amichevole sulla schiena.

«Sono andato a prendere un po' di legna per il fuoco. Piuttosto, come va? Tutto bene il viaggio?».

«Sì, grazie ».

Appena tornano i bambini ci sediamo tutti a tavola mentre Rosalya serve la prima portata di una lunga serie.

 

Una volta finito di cenare mi siedo sulla poltrona arancione, vecchio stile, mentre i miei nipotini si accomodano sul tappeto davanti a me, pronti per il nuovo racconto.

«Che cosa ci narri quest'anno zietto?» mi chiede Alphonse.

«Infatti, che cosa ci racconti?» gli fa' eco suo fratello, accompagnando le sue parole con una risatina di felicità.

«Siamo curiosi zietto!» dice Winry.

«Oggi vi racconto la storia di Hallen »

Mi sistemo meglio sula poltrona assaporando l'aria di curiosità, mista a impazienza.

«Dovete sapere che Hallen era una ragazza di sedici anni che frequentava il liceo “Dolce Amoris” ad indirizzo linguistico. Era minuta, non troppo alta, capelli lunghi color castano quasi rosso, gli occhi tra il verde dell'erba e l'azzurro del mare. Vestiva sempre in stile punk.

Era fidanzata con Castiel con cui frequentava lo stesso liceo, ma lui era iscritto al musicale come chitarrista. Era alto con gli occhi piccoli e neri. I capelli tinti di rosso. Anche lui vestiva da punk.

Facevano una vita tranquilla nella periferia di Annecy, situata nel sud della Francia. Stavano insieme da quasi un anno, da quando lui e lei si erano trovati casualmente su un palco a esibirsi. Tra loro sembrava esserci una perfetta sintonia e mentre lei cercava di dialogare, lui la respingeva. Fino al giorno in cui lui cedette e iniziò a voler condividere con lei momenti della sua vita. Col passare del tempo quella voglia crebbe. E fu così che iniziò la loro storia ».

 

Era una fredda giornata di marzo quando Hallen, vestita con una giacca nera corta, una maglietta a maniche corte bianca, un braccialetto nero con del pizzo bianco alle estremità tenuto sulla fine del bicipite, una minigonna nera, una cintura tenuta di sbieco, rossa, con attaccata una croce dorata, calze nere alte fino a metà coscia e stivali neri con un po' di tacco e le cinghie che correvano su fino a metà polpaccio, si dirigeva verso il “Dolce Amoris” con le note di “Shut Up” dei Simple Plan sparate nelle orecchie.

Sulla spalla destra teneva uno zaino a quadretti neri e fucsia semi-vuoto, mentre con la mano sinistra portava una custodia per la chitarra, ovviamente, nera.

Una volta arrivata a scuola si diresse verso il suo armadietto, compose la combinazione e dopo che la serratura fu scattata, lo aprì e cambiò i libri all'interno del suo zaino. Infine, sÍ diresse in classe.

Poggiò la chitarra in un angolo e poi si sedette in fondo all'aula, quarta riga della fila centrale. Si tolse gli auricolari, stoppò la musica e infilò il tutto in cartella. Prese i libri e li mise sul banco canticchiando e tamburellando, ad occhi chiusi, una melodia.

 

Everytime I see your face
Everytime you look my way
It's like it all falls into place
Everything feels right

 

Ogni volta che vedo il tuo viso
ogni volta che guardi dalla mia parte
è come se tutto cadesse in un posto
tutto sembra giusto

 

«Ehi piccola!» la salutò Castiel, sedendosi di fianco.

Era il suo modo di chiamarla e di farsi riconoscere alla mattina quando si incontravano.

«Ehi Cas » ricambiò la ragazza.

«Hai la serata?» indicò con un cenno della testa la chitarra appoggiata nell'angolo.

«Sì e guai a te se ti presenti ».

«Oh, non ci contare ».

«Cas, lo sai che » ma lui la interruppe.

«Sì, lo so che non ti piace, ma è tanto che non vengo ».

Lei sospirò.

«Tanto verresti lo stesso » mormora con un sorriso tra l'imbarazzato e il felice.

 

Le ore di lezione volarono tra gli antichi greci, Shakespeare in inglese, Immanuel Kant e la sua filosofia. Quando suonò la campanella Hallen recuperò la chitarra e alcuni libri dall'armadietto, dopodiché si diresse in sala musica dove restò a provare per l'intero pomeriggio.

Una volta suonato tutto il repertorio musicale che le sarebbe servito quella sera, prese le sue cose e tornò a casa. Lasciò lì la cartella e al suo posto scelse un borsone. Infine, si diresse al locale.

«Ehi, ben' arrivata » la salutò la barista con un bel sorriso.

«Ciao Emilie. Io vado a prepararmi » ricambiò Hallen.

Detto questo sparì dietro una porta che conduceva ai camerini. Aprì il borsone, ne tirò fuori dei vestiti e andò a cambiarsi. Indossò un vestito a spalline, nero, corto fino a metà coscia. Verso il bordo c'era una striscia spessa due centimetri, bianca, mentre sotto la gonna si intravvedeva del tulle sempre bianco. L'abito era accompagnato da una sciarpa nera con un fermaglio a forma di croce argento. Su una gamba portava una calza a rete nera che terminava leggermente sopra al ginocchio, anch'essa con un fermaglio a forma di croce argentata. Infine calzava degli anfibi neri.

Passò al trucco e all'acconciatura. Si pettinò i capelli per poi lasciarli ricadere sulle spalle, mise un po' di matita nera all'interno e all'esterno degli occhi e infine del rossetto nero.

«Ma sei stupenda!» esclamò una voce alle sue spalle.

Hallen sussultò.

«Emilie! Mi hai fatto pigliare un colpo!».

«Scusa » rispose producendosi in una piccola risatina, «C'è già qualcuno che aspetta di sentirti di là. Hai preparato la playlist vero?».

«Di già?! Ma comincio tra mezzora! Non mi lasciano nemmeno il tempo di bermi un drink con te adesso. Ora vado ad appenderla sulla bacheca, tranquilla ».

Prese un foglio e uscì dalla stanza per avviarsi in sala. Era vero, il posto si stava riempiendo di gente. Raggiunse la bacheca e dopo aver individuato una puntina libera appiccicò il foglio.

«Dobbiamo rimandare la nostra pausa a dopo. Sembra che tu abbia del lavoro da fare » disse, facendo l'occhiolino a Emilie appena rientrata nel camerino.

La ragazza tornò al suo lavoro di barista mentre Hallen recuperava la sua Stratocaster nera. Le allacciò la cinghia bianca, se la mise in spalla e solo dopo un respiro profondo si mostrò al pubblico.

«Buonasera a tutti gli spettatori e a tutte le spettatrici! Io sono Hallen e sono qui per tenervi compagnia con un po' musica! Se avete richieste comunicate il titolo a quella bella barista che serve i drink ».

Si presentò così, regalando un sorriso alla folla e un occhiolino a Emilie le cui guance si erano colorate di porpora. Passò poi il microfono al ragazzo seduto dietro alla batteria sulla sinistra del palco.

«Buonasera! Io sono Kristopher e accompagnerò Hallen! Godetevi la serata!» disse prima di restituire il microfono ad Hallen e tornare a sedersi per suonare.

Iniziarono ad esibirsi senza interruzioni, se non per quelle poche volte che bevevano un sorso d'acqua o quando i presenti chiedevano un brano particolare. Mentre la bocca della ragazza si muoveva intonando le parole, le sue dita correvano sulle corde della chitarra, i suoi occhi fossero come canguri da una faccia all'altra incrociando lo sguardo di molti: la mente rimaneva concentrata sull'intonazione e il cuore vagava felice ed emozionato tra la moltitudine di persone.

 

A metà serata arrivò Castiel che, dopo aver ordinato un bicchiere di Coca-Cola, si sedette ad uno dei tavolini, proprio sotto il palco insieme al cantante della sua band.

Appena finita la canzone che aveva iniziato Hallen scese dal palco per salutarli.

«Ehi, che ci fate qui?» chiese prima di bere un sorso d'acqua.

«Mah, passavamo casualmente... » rispose ironicamente Castiel.

«Sì sì, proprio casualmente Cas »

«Dovresti tornare dai tuoi ascoltatori, non bisogna farli aspettare troppo » intervenne il suo compare.

«Hai ragione. Ci vediamo dopo » disse la ragazza saltando sul palco.

 

La serata filò liscia come l'olio anche se finì più tardi del previsto. Una volta raccolte le sue cose Hallen e Castiel si trovarono fuori dal bar.

«Sei stata fantastica » l'accolse il ragazzo.

«Per te sono sempre fantastica » rispose scettica lei.

«Be', perché è vero ».

«Dov'è finito Lys?» chiese lei guardandosi intorno.

«Era tardi ed è andato a casa. Ha detto che ti saluta e che sei stata fantastica ».

«L'ultima parte l'hai aggiunta tu ».

«No!».

«Sì!».

«No!».

«Sì!».

«No!».

«Sì!».

«Sì!».

«Visto? E poi non è da Lys dire così ».

«Lo conosci troppo bene » disse lui sospirando, «Ti accompagno a casa ».

I ragazzi si incamminarono verso la casa di Hallen, chiacchierando.

 

Quando furono arrivati si salutarono poi lui continuò per la sua strada, mentre lei si chiudeva la porta alle spalle assalita dalla stanchezza. Salì le scale, andò in camera sua, poggiò a terra la chitarra e il borsone, si infilò il pigiama e si lasciò sprofondare sul soffice materasso, al calduccio delle sue morbide coperte profumate di vaniglia. Si abbandonò al sonno che la portò con sé.

 

Ever since you walked away
It left my life in disarray

 

Da quando te ne sei andato
Hai lasciato la mia vita senza ordine

 

La mattina seguente fu come tutte le altre: si alzò, si vestì, si lavò e uscì con la sua musica sparata nelle orecchie. Arrivò a scuola, prese i libri dall'armadietto e entrò in classe.

Ma in quella giornata c'era qualcosa che mancava. O meglio, qualcuno. Castiel. Castiel non c'era. Non era in aula, non era a scuola.

Hallen, a furia di ripeterselo, si convinse che stesse male o che fosse rimasto a casa perché la sera prima avevano fatto tardi. Sapeva benissimo però che se lui lo avesse voluto sarebbe restato sveglio anche un giorno, ma doveva convincersi che stava bene, che non gli era successo nulla. Sarebbe passata da lui, nel pomeriggio.

 

Alla fine delle lezioni, come deciso, si recò a casa di Castiel. Abitava in un piccolo trilocale al pian terreno. Suonò il campanello.

Nulla.

Provò ancora.

Nulla.

Aspetto i più lunghi cinque minuti della sua vita e tentò un'altra volta.

Nulla, nulla, nulla.

Dall'appartamento non proveniva alcun suono. Anche questo molto strano perché se Castiel era a casa si sentiva sempre la TV accesa o il frastuono della musica heavy metal.

Andò a casa sua, ma nemmeno lì c'era traccia di lui. Chiamò i suoi amici per chiedere se l'avevano visto, ma niente. Iniziò a preoccuparsi seriamente. Non era da Castiel sparire così. Prese una decisione, la più drastica, l'unica che potesse scegliere: andare alla stazione di polizia e denunciarne la scomparsa.

 

In poco tempo si ritrovò in mezzo al caos. Alla destra di Hallen una fila di persone si estendeva fino a un banco dove in grande appariva la scritta “Oggetti smarriti”. Avrebbero potuto metterci anche lei tra i miliardi di oggetti, che si intravvedevano dietro una porta, tanto si sentiva persa e confusa. Alla sua sinistra c'era un bar seguito da una zona ristorante.

Proseguì dritta puntando a una signorina dietro ad una scrivania.

«Mi scusi?» chiese non appena l'ebbe raggiunta.

«Salve, come posso aiutarla?» le chiese dolcemente la bionda segretaria.

«Dovrei, dovrei denunciare la scomparsa di una persona » disse con visibile turbamento.

«Sì ».

La ragazza le sorrise poi prese il telefono e chiamò qualcuno.

«Vanga, mi segua » disse infine dopo aver riattaccato.

Hallen fu fatta sedere su una sedia vicino alla scrivania di un ispettore alquanto strano. Aveva la pelle scura, i capelli biondi legati in un codino, gli occhi azzurro chiaro. Era robusto e non sembrava molto alto, ma in compenso si notavano i segni dei muscoli, dovuti ad un intenso allenamento in palestra, probabilmente.

«Buongiorno signorina » l'accolse mentre il suo profumo al cocco si insinuava nel naso della ragazza.

«Salve. Devo denunciare la scomparsa di una persona. Lei mi può aiutare?».

«Sono qui apposta, signorina. Mi dica tutto ciò che sa ».

«Si chiama Castiel Leunam... » iniziò così a descrivere Castiel e l'ultima volta che l'aveva visto.

Parlò di lui. Dell'aspetto fisico, del profumo, dei sentimenti: di quello che era. Comunicò anche gli eventi di quella mattinata e della serata precedente nei minimi dettagli.

«Grazie signorina. Mobiliteremo un squadra di ricerca e le faremo sapere al più presto se ci sono risultati. Ora lei vada a casa, si faccia un bel bagno caldo e si rilassi » la rinfrancò il gentile ispettore.

«Sì, grazie » rispose assente Hallen.

 

Now I'm sitting here
Like we used to do
I think about my life
And now there's nothing I won't do
Just for one more day
One more day with you

Adesso sono seduta qui
come eravamo soliti fare
penso alla mia vita
e adesso non c'è niente che non farei
solo per un altro giorno
un altro giorno con te

 

Arrivata a casa fece come le era stato detto, ma non servì né a sciogliere il nodo che le attanagliava la gola né a scacciare la tensione che le stringeva lo stomaco. Si sentiva come se stesse correndo in un tunnel buio e infinito e il terreno le stesse cedendo sotto i piedi. Una voce nella testa le intimava di correre, che alla fine del tunnel avrebbe trovato il suo amato, ma non c'era fine a quell'incubo.

Provò ad addormentarsi, ma non ci riuscì. Cominciò a leggere uno dei suoi libri preferiti, ma ad ogni scena il pensiero volava a Castiel e questo non le permise di tranquillizzarsi, ma ad innervosirla ancora di più. Attaccò allora la chitarra all'amplificatore e iniziò a suonare. Si abbandonò alle dolci note di “Say my name” dei Within Temptation. Punzecchiava le corde e biascicava, tra le lacrime, le parole. Alla fine scoppiò in un pianto disperato che finì solo quando crollò, per lo stress e lo sfinimento di quella giornata.

 

Dopo una settimana infernale la polizia non aveva il minimo indizio sul ragazzo e su dove fosse finito. Si sarebbe detto letteralmente inesistente se non fosse che risultavano tutti i documenti di nascita, gli spostamenti e i tabulati telefonici interrotti sette giorni prima poi, il nulla più assoluto. Il caso ormai era passato in secondo piano.

Se ci si fermava per la strada si sentivano i numerosi passanti parlare di un ragazzo scomparso, delle ricerche della polizia che non procedevano e delle idee che avevano. Si era sparsa la voce che Castiel fosse morto. Anche i compagni di scuola la pensavano allo stesso modo. Ma non Hallen. Lei non ci credeva, non voleva crederci. Il suo cuore le diceva che era vivo, che stava bene e con tutte le sue forze si attaccò a quella consapevolezza.

 

Il tempo passa e anche Hallen si convince che il suo amato sia morto o sia scappato per chissà quale motivo. Mentre dentro di lei è in corso un uragano di emozioni, la sua vita continua: va a scuola e canta la sera.

«Ciao Hallen! Pronta per questa sera?» la salutò Emilie con una punta di preoccupazione.

«Ehi Emilie! Sì quante volte te lo devo ripetere prima dell'esibizione?».

«Be', ma... sai è... insomma, sì...».

«Sì, è passato un anno esatto oggi. Lo so ».

Ci furono due minuti di rispettoso silenzio.

«Preparami quello che hai di più forte per favore, io vado a vestirmi » concluse Hallen prima di raggiungere il camerino. Indossò gli stessi abiti di un anno prima.

«Hallen... ».

«Eh?! Emilie! Mi hai fatto pigliare un colpo!».

Entrambe ebbero un déjà vu, ma nessuna delle due osò parlarne. Dopo un attimo di silenzio Emilie porse all'amica un bicchiere con un liquido bianco.

«Grazie » disse soltanto prima di afferrare il bicchiere e, senza pensarci troppo, ingoiarne il contenuto.

Una sensazione di calore le partì dal cuore per spandersi come acqua sul pavimento alle braccia, alle gambe e poi alla testa.

Emilie recuperò il bicchiere e tornò al bancone mentre Hallen fece la sua entrata in scena. Si presentò e poi fece lo stesso Kristopher, infine iniziarono a suonare.

Molte persone erano arrivate in anticipo, come quella sera. E sempre come nel ricordo a metà serata il cantante della ex band di Castiel si sedette a un tavolino sotto al palco, solo. Hallen resisteva con quanta più forza potesse tirar fuori dal suo corpo e una maschera che le piegava gli angoli della bocca a un sorriso. Sembrava una ragazza normale, senza problemi, se non le guardavi gli occhi: prima sempre luminosi, ora spenti e malinconici.

Mancava una sola canzone e la sua serata sarebbe finita. Non aveva versato nemmeno una lacrima e non era intenzionata a farsi trasportare dal fiume in piena che le scorreva dentro.

«”Everytime” dei Simple Plan » annunciò al pubblico.

Sapeva bene il significato di quelle parole e pregava che non la toccassero.

Intonò le prime note trasmettendo loro tutta se stessa. Alla seconda strofa gli occhi le si fecero lucidi lasciandola in un mondo dove tutto è opaco, confuso, indistinguibile. Si lasciò andare, lasciò che la voce uscisse calda e piena di emozioni; la lasciò raggiungere il cuore dei presenti per aprire un varco e smuovere vecchi e dolci ricordi. La lasciò raggiungere anche il suo, di cuore. Chiuse gli occhi per abbandonarsi completamente a quel brano. Quando li aprì due stelle le scivolarono sulle guance, seguite da altre, e altre ancora.

 

You walked away
Just one more day
It's all I need
Is one more day with you


Sei andato via
solo un giorno in più
è quel di cui ho bisogno
è un altro giorno con te

 

Mancava l'ultima strofa. Cantò ad occhi aperti, trapassando con lo sguardo le anime di tutti gli spettatori e dopo tanto tempo lo cercò. Cercò uno sguardo familiare. Uno sguardo rassicurante. Uno sguardo amico. Uno sguardo fiducioso. Uno sguardo, solo uno.

Anche l'ultima frase si spense nell'atmosfera sospesa che regnava sovrana e le parve di trovarlo. Lo vide. In mezzo alla folla, che sorrideva. Che le sorrideva.

Si precipitò giù dal palco e gli corse incontro. Non ci credeva, non poteva essere vero. Lo raggiunse e lo strinse forte a sé. Pianse come una bambina appoggiata al suo petto, mentre lui le sussurrava che era tutto apposto, che era con lei, che non l'avrebbe mai più lasciata sola.

«Non lasciarmi mai più » disse Hallen puntando i suoi occhi dentro quelli del ragazzo.

«Mai ».

La ragazza si asciugò le lacrime, salutò Castiel e andò a cambiarsi. Lasciò tutto in camerino: chitarra, borsone e vestiti da concerto e lo raggiunse con un vero sorriso dopo tanto tempo.

«Ti va di suonare un po'?» gli chiese lei.

«Sì, però ti porto in un posto speciale ».

Recuperarono la chitarra e uscirono all'aperto.

Dopo qualche minuto di cammino, passato mano nella mano, arrivarono in un parco e superate alcune siepi si ritrovarono in uno spiazzo con al centro un piccolo gazebo in pietra. Si sedettero sulla panchina, all'interno di questo, appoggiando i piedi sulle assi di legno. Lui prese la chitarra dalla custodia e le sorrise prima di iniziare a suonare.

 

Per tutta la notte e il giorno seguente si divertirono a cantare e girare per la città. Dimenticarono ogni preoccupazione e ogni impegno. Si lasciarono alle spalle tutto il passato e ignorarono il futuro per vivere al massimo quei momenti unici.

Dopo tanto girare, erano stanchissimi: andarono allora a casa di Castiel e si addormentarono.

 

Nel pomeriggio l'amico del ragazzo, che aveva una copia delle chiavi dell'appartamento, passò a casa e lì trovò: distesi sul letto, abbracciati, con un'espressione beata. Sorrise, sapendo che sarebbero stati insieme per sempre in un posto dove la musica era la loro vita.

 

Lysandre stette in silenzio mentre i nipotini tornavano con la loro mente alla realtà.

«Che bella storia » commenta Winry con le lacrime agli occhi.

«Già! Proprio una bella storia!» esclama Edward.

«Zio, però non ci hai detto come si chiamava l'amico di Castiel... » dice dubbioso Alphonse.

«É vero!» gli fanno eco gli altri due.

«Mmh... si chiamava Lysandre » confessa l'adulto accennando un sorriso.

«Eh? Ma allora eri tu, zietto?» chiede la ragazza.

«Sì, ero io » conferma lui.

«Wow...» fanno in coro i tre nipotini.

«Ora andate a letto o Babbo Natale non viene a portarvi i regali » interviene Leigh.

«Sì!».

Rosalya e i bambini vanno a prepararsi in camera lasciando soli i due fratelli.

«Gliel'hai raccontata...».

Lysandre annuisce, soltanto.

«Non buttarti giù. È Natale, bisogna essere felici come lo sono loro ».

Entrambi guardano il cielo stellato fuori dalla finestra. Non c'è bisogno di dire nulla perché, in fondo, entrambi sanno che stanno suonando un concerto per le stelle.

  
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