Avanzo lentamente con il contenitore di terracotta giallo in mano, con le gambe che mi dolgono ad ogni passo, con gli occhi appannati e ciechi per il dolore. Cammino. Molti sguardi indesiderati si posano sul mio esile corpo, consumato dalla fatica e dalla fame. Ho fame. Ho perso il conto dei giorni da cui non sfioro cibo. E sono tanti. Troppi.
Vedo una donna vestita di blu che non sa parlare, che mi rivolge uno sguardo dolce, he dice più di mille parole che lei, non potrà mai profanare. mi avvicino alla fontana dove vi è scolpito nel marmo una brocca, colma di acqua e inclinata. Mi sporgo sull'orlo della fontana. E' freddo. Invece l'acqua al suo interno e calda. Riempio il catinofino all'orlo, quanto posso, quanto mi sia permesso. pesa. Più affaticata di prima mi dirigo verso il corridoio affollato da guardie e da mord-sith con l'agiel sibilante in mano e con il bisogno di recare dolore. Dolore che conosco fin troppo bene.
Allungo il passo fino ad arrivare esattamente davanti nalla porta della mia "cameretta". Chiudo gli occhi e apro silenziosamente la porta. Vedo la mia padrona coricata sul letto con una smorfia di dolore cucita sul volto. Faccio il giro del letto senza fare una parola. La sua treccia è scioltae i suoi capelli ondulati per il segno della treccia, ricoprono il cuscino. Non indossa la "divisa", ha un semplice accappatoio verde sottobosco legato alla vita.
"appoggia", mi sento dire dalla mia aguzzina. Io obbediente appoggio il catino a terra.
"Brava. Gr..a...a...z...ie" ridice con quel tonosottomesso che mi è nuovo. Le parole suonano come delle parole fatte, preparate, false.
"prego" sussurro io.
"Ti dimentichi sempre" aggiunge.
"Padrona" dico io con gli occhi affogati nel terrore e quel brivido che mi soffoca e mi chiude la gola.