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Autore: Der_Metzgermeister    30/04/2013    0 recensioni
-Come passi le tue giornate quando io non vengo?- disse appoggiandosi con la schiena al vetro freddo della finestra.
-Quando tu non ci sei e io ci sono, e ti dirò, quei momenti sono davvero pochi, – nei suoi occhi passò un’ombra – scrivo e penso per quel poco che la mente mi concede. Ma quando anche io sono assente, le mie giornate non passano e non trascorrono.-
Ludwig sentì un brivido ghiacciato scendergli lungo la schiena.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Germania/Ludwig, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seconda classificata al mini contest indetto da Cosmopolita su Axis Power Hetalia.



Weimar, 24 August 1900


Non gli piaceva andare lì. Era un luogo freddo e inospitale, su cui da tempo s’era posato il velo dell’inverno e che neanche il caldo Agosto di quell’anno aveva sciolto. Tutto in quel posto era tetro e triste.
Non c’erano le risate dei bambini né le grida accorate di una coppia di innamorati. Tutto ciò che si sentiva era il silenzio.
Quel tipo di silenzio che ti mette addosso la voglia di fuggire il più lontano possibile, di rifugiarti in un’agitata metropoli e di farti scoppiare la testa a furia di sentire le voci della gente. Quel tipo di silenzio che ti fa comprendere che non sei l’unico ospite, che c’è con te la donna più antica del mondo.
E tutto in quella casa sapeva di morte.
Si avvicinò lesto alla porta d’ingresso, battendo leggermente le nocche sul legno e entrando senza attendere risposta.
Perché lui sapeva che una risposta non ci sarebbe mai stata.
Si avviò verso la solita camera, ripetendo gli stessi gesti che compiva da un mese a quella parte.
Gli mancavano il calore e la luce che regnavano a Torino, nella bella casa che era tutto il contrario di questa.
Si chiese il perché di quel tragico cambiamento, il perché di quello spegnarsi graduale che aveva riscontrato nel suo vecchio e amato amico.
I suoi passi e i suoi pensieri vennero fermati da una donna di mezza età che usciva proprio in quell’istante dalla stanza in cui lui stava entrando.
- Elisabeth…come sta?-
Non ci vollero parole per capire, bastarono i suoi occhi gonfi e stanchi per le notti insonni e le troppe lacrime. Le fece un cenno del capo mentre lei protendeva le mani per prendere il suo lungo cappotto nero e il suo cappello. E se ne andò, lasciandolo solo.

Entrò piano e venne colpito subito da un odore pungente che riconobbe essere quello del sigaro acceso e dimenticato nel posacenere sul comodino accanto al letto. Una flebile colonnina di fumo si alzava dal mozzicone. Storse il naso. 
I suoi occhi vagarono rapidamente nel piccolo ambiente e con orrore videro che nulla era cambiato. Il vaso sul comò era adornato dagli stessi fiori del mese scorso, la polvere ricopriva il pavimento e ovunque regnava la trascuratezza. Si sedette sospirando e, con le spalle incurvate e le mani intrecciate, attese in silenzio che l’uomo steso davanti a lui ritrovasse se stesso, mentre lo ascoltava nel pieno del suo delirio con una morsa che gli stringeva il cuore fino a fargli male.
Stava lì, con la schiena poggiata contro la testiera e gli occhi sgranati e iniettati di sangue rivolti verso la finestra. Delle profonde occhiaie solcavano il suo viso e la fronte era imperlata di sudore. I folti baffi, un tempo curati, che contribuivano ad accrescere il suo essere intellettuale, ora erano trascurati e contornati da un principio di barba. I i folti capelli scuri rigati da un lieve grigiore erano intrecciati e attaccati alla fronte sudata. La camicia bianca era stropicciata e si appiccicava al petto dell’uomo per via del sudore.
Le labbra tremavano mentre, incontrollate, declamavano sussurrando i frutti della genialità che a pochi uomini è concessa, ma che per troppi si tramuta in follia.
E anche quel suo vecchio amico che da sempre ambiva all’unicità, era diventato “uno” tra i “tanti”.

Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "E forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" - gridavano e ridevano in una gran confusione.”

Ascoltava con attenzione quei pezzi ogni volta come se fosse la prima. Anche se li aveva letti e riletti ogni volta che li sentiva riusciva a stupirsi.
Come poteva una mente sana esprimersi in tali deliri?

“ …Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione?...”

Come ogni maledetta volta l’aveva visto sobbalzare sul letto e agitarsi e l’aveva sentito gridare quelle domande come se davanti a lui ci fosse stata una grande folla.
Come se fosse stato lui il folle uomo.
E impotente, forzandosi di restare seduto, era rimasto ad ascoltare. In passato come oggi.
Ma alle sue grida straziate e ai suoi occhi lucidi e spalancati, non si era ancora abituato.
“…Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!"...”

Lo vide riprendere fiato e placare il respiro, il petto che si alzava e abbassava rapidamente. Sembrava quasi sul punto di esalare l’ultimo respiro ma, come ogni giorno, era un’illusione.

“…A questo puntò il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. "Vengo troppo presto - proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l'hanno compiuta!"...”

Per un breve attimo i suoi occhi vagarono nella stanza, soffermandosi poi  proprio su di lui.
E quasi come in un discorso tra amici, continuò. Guardandolo senza vederlo.


“…Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?". “

Poi l’uomo folle chiuse gli occhi e nella stanza persino il suo respiro sembrò cessare.
-Buongiorno Friedrich-
L’uomo riaprì gli occhi con lentezza per poi posarli sui capelli biondi e pettinati con cura del giovane, sui suoi occhi azzurri e brillanti e sulla sua divisa militare sempre in ordine e immacolata.

-Anche oggi la grande Germania torna a farmi visita.- disse accarezzandosi i folti baffi con due dita- Torni a informarti della mia follia?-
-Torno ad informarmi del tuo stato di salute- sospirò al forte colpo di tosse dell’uomo – Sei malato.-
Friedrich sorrise –Non mi è nuova questa frase Ludwig.-
Germania fece per ribattere ma venne fermato da un cenno dell’uomo – Ma se prima lo consideravo un insulto, da quando ci sei tu comprendo che è una semplice constatazione. In fin dei conti alterno dei monologhi a colti discorsi con la miaImmaginazione.- Concluse con una breve risata, che nulla aveva di divertito, che nulla aveva di felice.
Già,pensò Ludwig, per questo uomo, per questo folle, io sono frutto della sua pazzia.
-Hai dormito bene?-
-Come può dormire un malato tormentato dai suoi polmoni distrutti- Disse aspirando una grossa boccata di fumo dal sigaro dimenticato sul comodino.
-Dovresti smettere di fumare, almeno fino a quando non sarai guarito.- Osservò stancamente il giovane.
E il folle uomo scoppiò in una grassa e gelida risata. –Guarito? Oh mio caro Ludwig, io non guarirò mai! Non ne avrò il tempo. Non senti il puzzo rancido della morte? Non avverti il suo gelo penetrarti sin dentro le ossa? Lei è qui per me, per portarmi via da questa vita o questa morte, che dir si voglia.
Prima di lei giunse la sua maledetta sorella, la Pazzia, ma tu! Tu mio caro ragazzo! Tu lo sai meglio di me, sai quanto caro mi fu il prezzo di questa vita e di questa mente! Tu sai quanto dolore regna in queste mie idee così geniali da non poter essere comprese dall’uomo. Ah, l’uomo! Debole creatura, debole anello di contatto tra la bestia e il genio, colui che si eleva, il Superuomo!-
Sospirò come in un sogno e, per un attimo, Ludwig ebbe timore che si fosse perso ancora in se stesso.
-Ah, come avrei voluto elevarmi oltre il genio e forse, forse avrei potuto se non fossi stato umano, oh troppo umano!-
Detto ciò con voce spezzata, Friedrich pianse. Tante, troppe lacrime scesero a solcare le guance di quel povero vecchio uomo.
Sembrava quasi il pianto di un bambino che, dopo essere caduto, invoca la mamma perché baci il suo ginocchio ferito e faccia passare via il dolore col sorriso.
Ludwig si passò una mano tra i capelli biondi e appoggiò la schiena contro la sedia, che scricchiolò sotto il suo peso.
-Povero vecchio pazzo- sussurrò.

In silenzio attese che le spalle del vecchio scosse dai singhiozzi si fermassero e che le lacrime si asciugassero, violentando se stesso per resistere all’impulso di fuggire. Ancora una volta si chiese quanto la sue mente avrebbe risentito di quelle visite inutili e insensate.
Inutili, perché l’uomo non avrebbe trovato guarigione negli occhi e nelle parole di un Paese che non gli apparteneva.
Insensate, perché non c’era senso nella pazzia.
E tutto ciò che Ludwig poteva vedere era il Trionfo della Follia.

Facendo pressione sulle gambe si alzò e si avvicinò alla finestra, unica fonte di luce nella piccola stanza.
Fuori il mondo era ignaro della tragedia che si consumava all’interno di un solo uomo e continuava a scorrere nel suo tempo, disinteressato.
Alle sue spalle sentiva il respiro dell’uomo tornare e si girò a guardarlo. Incontrò i suoi occhi scuri e arrossati, così dannatamente profondi e si convinse che se fosse potuto entrare nella sua anima, avrebbe sentito delle grida strazianti e disperate.

-Come passi le tue giornate quando io non vengo?- disse appoggiandosi con la schiena al vetro freddo della finestra.
-Quando tu non ci sei e io ci sono, e ti dirò, quei momenti sono davvero pochi, – nei suoi occhi passò un’ombra – scrivo e penso per quel poco che la mente mi concede. Ma quando anche io sono assente, le mie giornate non passano e non trascorrono.-
Ludwig sentì un brivido ghiacciato scendergli lungo la schiena.

-Perché non continui a scrivere?-
Ma non ottenne risposta.
Il folle uomo, con gli occhi sgranati, fissava il vuoto e lui capì che la sua visita era terminata.
Piano tolse il mozzicone del sigaro dalle mani dell’uomo per evitare che si bruciasse e lo pose nuovamente nel posacenere, spegnandolo.
E come al solito le sue azioni vennero accompagnate dal sussurro dell’uomo.

“Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo di una crisi, come non ce ne fu un'altra simile sulla terra, al più profondo conflitto di coscienza, ad una decisione proclamata contro tutto ciò che sinora era stato creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un uomo, sono una dinamite.
Io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado ciò sono l'antitesi di uno spirito negatore.
Con tutto ciò sono necessariamente pure un uomo del destino. E infatti, se la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai erano state neppure sognate.

Io sono un destino.”

Ludwig sorrise tristemente. Quelle parole erano sempre ricorrenti, quasi a indicare il termine della sua visita, quasi fossero un saluto.
Sapeva che dopo quelle ci sarebbe stato solo silenzio, che il povero vecchio uomo si sarebbe rinchiuso nuovamente nel mutismo mentre il suo corpo era roso dalla malattia.

Ma proprio mentre lui usciva e la porta si chiudeva dietro le sue spalle, venne raggiunto ancora dalle parole di Friedrich.

Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te”.

E voltandosi a guardarlo lo vide sorridere.
-Addio Ludwig -
Disse, prima che la porta si chiudesse per l’ultima volta. E lì dietro, con gli occhi bassi stava Germania scosso da quel saluto così insolito, così normale.

Quando Elisabeth gli si avvicinò porgendogli i suoi indumenti lui tacque, poiché sapeva che qualunque parola sarebbe stata inservibile.
E dopo aver indossato il cappotto salutò la donna disperata e uscì, camminando piano con gli occhi fissi a terra.
Poi si girò per l’ultima volta verso la casa e indossò il cappello.
-Addio Professor Nietzsche.-
E così com’era venuto se ne andò per non tornare più nella piccola casa di Weimar.


 
  
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