Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: nightswimming    01/05/2013    15 recensioni
“Allora” chiede incoraggiante Lestrade giocherellando con un sottobicchiere. “Come va con… Sherlock?”
John beve un sorso della sua birra e fissa il vuoto.
“Non ci parliamo.”

Sherlock è tornato, ma le cose non sono facili.
(post-Reichenbach) (magical realism)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note dell’autrice: i personaggi non mi appartengono, tutto ciò è falso che più falso non si può, e io non ci guadagno nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Allora” chiede incoraggiante Lestrade giocherellando con un sottobicchiere. “Come va con… Sherlock?”
John beve un sorso della sua birra e fissa il vuoto.
“Non ci parliamo.”
 
*
 
Hanno ripreso a vivere insieme.
John ripensa a quello che sua madre gli diceva ogni volta che suo padre spariva per mesi interi senza farsi sentire: “Meglio un cattivo padre che nessun padre”.
 
*
 
Sherlock è magro e silenzioso, più simile a un gatto che mai.
L’efficienza che adopera durante i suoi esperimenti è al massimo storico: veloce, preciso, meticoloso. Dopo pulisce e rimette a posto.
I suoi vestiti non sanno mai una volta di fumo. Il muro non vede un proiettile da quando è tornato.
Ogni volta che rientra in piena notte da uno dei suoi casi, che ha ripreso a risolvere (da solo), sta attento a non fare rumore e limita il suono del violino alle ore pomeridiane.
Quando John prepara il tè per due, Sherlock lo ringrazia a bassa voce.
John lo odia.
 
*
 
Le prime notti John si sveglia, entra in camera sua e gli poggia indice e medio sulla giugulare per sentire la vita pulsare dentro di lui. Sherlock apre gli occhi e lo guarda tremare al buio.
Tremare, e andarsene via.
 
*
 
All’inizio non si parlano perché non vogliono. Due settimane dopo il ritorno di Sherlock, non si parlano perché non ci riescono più.
 
*
 
John si sveglia al suono di qualcosa che si infrange con violenza a terra.
Quando scende le scale, Sherlock è sull’uscio e ha gli occhi spalancati ed entrambe le mani ai lati della gola. L’abat-jour che stava sul tavolo dove fanno colazione è in pezzi ai suoi piedi.
John guarda la sua bocca aprirsi e chiudersi senza emettere un suono. Sherlock ha l’aria di un pesce buttato sulla spiaggia a seccare.
Gli verrebbe da ridere se non si accorgesse in quel momento che nemmeno lui riesce a parlare.
 
*
 
Nessuno lo nota. Con le altre persone non è cambiato nulla.
Sherlock deduce ancora infrangendo la barriera del suono; John chiede pazientemente di descrivere sintomi su sintomi come ha sempre fatto.
Si informano dell’anca della signora Hudson, una volta l’uno, una volta l’altro. Sherlock insulta Anderson con agio, John chiacchiera con Sarah alla mensa della clinica.
Sembra tutto normale, ma niente lo è più.
 
*
 
La casa è talmente silenziosa che ogni minimo rumore li fa sobbalzare.
Era così anche prima di questo incomprensibile handicap, ma almeno la comunicazione era possibile. Non piacevole, ma possibile: non si era costretti a capirsi a gesti.
John resiste tre giorni con quella pagliacciata, poi decide che devono fare qualcosa.
Non sa precisamente cosa.
 
*
 
Quando Sherlock si sveglia alle tre del pomeriggio del giorno dopo, c’è un biglietto sul suo comodino.
Mi hanno spostato il turno. Mangia. JW
Lo legge sentendo la voce di John nella sua testa. Il suo stomaco si contrae.
Se già prima aveva poca fame, adesso è scomparsa del tutto.
 
*
 
John torna per l’ora di cena. Sul frigo c’è un post-it.
Non è consigliabile mangiare l’insalata: esperimento. La signora Hudson ci ha lasciato metà del suo arrosto. SH
Sono informazioni che Sherlock comunicherebbe col migliore dei suoi toni annoiati.
John realizza che è quasi una settimana che non sente la sua voce rivolta a sé - solo, unicamente a sé - e quasi tre che non lo guarda davvero negli occhi.
Pensa: “mi manca”, ed è la prima volta che riesce a definire così bene il problema dal giorno del suo ritorno. Sherlock è di nuovo con lui ma, allo stesso tempo, non è vero.
 
*
 
Sherlock sta riflettendo sdraiato sul divano quando John scende al piano di sotto, lavato e vestito di tutto punto. Tiene in mano uno di quei sacchetti marroni delle vecchie cartolerie.
Sotto lo sguardo perplesso del detective, tira fuori un block-notes e una penna a sfera. Glieli porge.
Sherlock li accetta automaticamente.
Dopo essersi munito lui stesso dello stesso equipaggiamento, John prende a scrivere veloce in piede davanti a lui. Pochi minuti gira il quaderno e glielo mostra:
Ho messo un quaderno e una biro in ogni stanza della casa. Non so come migliorare la situazione, ma so che non voglio che rimanga così. Intendo non rivolgerti la parola perché lo desidero, non perché ci sono costretto da queste corde vocali cretine.
Scrivi ogni cosa che ti passa per la testa. Se solo tu avessi mai fatto osservazioni sul tempo, ti direi di scrivere anche quelle. Questo silenzio mi sta facendo impazzire. Dobbiamo distrarci.
Sherlock fa un piccolo, minuscolo sorriso. Si tira su una manica della vestaglia e aggiunge sotto:
Non so cosa ci sia successo. Il che mi innervosisce molto.
John solleva un sopracciglio. Si umetta le labbra e scrive:
Ci ho pensato, in questi giorni. Non mi viene in mente alcuna spiegazione scientifica. Non capisco.
Sherlock si alza e si dirige al microscopio, non prima di aver scarabocchiato in fretta:
Cercherò di farlo io.
 
*
 
Trovo ironico l’aver pensato, poco prima di aprire la porta e tornare a Baker Street, che le parole non sarebbero servite a nulla.
John strappa il foglio in quattro e lo butta via.
 
*
 
Ne parleremo, invece. Ma non così. Lo faremo per bene.
Sherlock piega il biglietto e lo infila nella tasca della propria vestaglia.
 
*
 
Per tutti, i loro rapporti sono talmenti tesi e problematici da rendere impossibile persino una civile comunicazione di base. Se prima credevano che fossero insieme e avevano torto, ora sono assolutamente sicuri che non siano mai stati più lontani di così; e hanno ragione.
Nessuno se ne stupisce, però.
“Con quello che è successo…” mormorano con aria critica, prima di salutarsi e andare uno al supermercato, l’altra dal parrucchiere.
 
*
 
Sherlock si chiede se scrivere che, durante i tre anni della sua morte, aveva pensato ossessivamente persino alle unghie di John.
A quella del pollice, tonda, dalla curva morbida. A quella più puntuta dell’indice. A quella larga e leggermente più lunga delle altre del medio. A quella elegante dell’anulare. A quella piccola e graziosa del mignolo.
Durante interminabili appostamenti, poteva cominciare da lì e andare avanti per ore, ricordando ogni linea del suo palmo, ogni vena del suo polso. Non si era accorto di quanti dettagli all’apparenza insignificanti di John riempissero il suo Mind Palace finchè non ne era stato separato.
Scrive, invece: Torna a risolvere casi con me, per paura di esplicitare qualcosa di più compromettente.
 
*
 
John potrebbe scriverlo ad occhi chiusi.
No.
 
*

La cosa fastidiosa è che si capiscono ancora con uno sguardo, ma non hanno più modo né di sdrammatizzare, né di cambiare argomento.
 
*
 
John si impedisce di pensare a Sherlock più dello strettamente necessario, perché dannazione, ci vive insieme. Di nuovo.
Ma è come se dopo un periodo di completa cecità gli fosse stato messo davanti un Monet. Non può fare a meno di fissare. Non può fare a meno di farsi distrarre di continuo da un labbro fra i denti, dalla vestaglia aperta sulla pancia, dall’odore che ha subito dopo essersi fatto la barba.
Vorrebbe che ogni cosa fosse semplice. Vorrebbe non esserne attratto e, contemporaneamente, esserne repulso. Vorrebbe potersi ancora fidare di lui.
 
*
 
Una sera Sherlock torna così euforico da un caso che gli occhi brillano e le labbra tremano di delizia.
John si morde l’interno della bocca e non dice nulla. Stringe i pugni.
 
*
 
Non sta fermo un attimo tutta la sera. Suona un allegro Vivaldi, canticchiando soddisfatto.
John sente il suono della sua voce e perde le staffe.
Gli dà a malapena il tempo di mettere giù il violino prima di tirargli un pugno. Non sa perché non l’ha fatto non appena l’ha visto ripresentarsi sulla soglia di casa sua dopo tre anni di silenzio: si sente da Dio. La mano pizzica meravigliosamente ed è percorsi da caldi, rivitalizzanti spasmi di dolore.
L’espressione di Sherlock è talmente incredula da essere quasi comica. John si avvicina per allungargli un altro pugno ma il detective riesce a bloccarlo.
Si limita a fare solo questo, però.
John si infiamma e lo provoca. Gli tira uno schiaffetto sprezzante. Un guanto di sfida.
Gli occhi di Sherlock si fanno scuri. Un attimo dopo si è tolto la vestaglia, e sta scoprendo i denti.
John sa che la magrezza di Sherlock è ingannevole. Non c’è un filo di grasso sotto quella maglietta: è tutta muscolatura netta. Pur essendo sottopeso è comunque più alto di lui, e le sue mani sono più grandi.
John conta sull’istinto del soldato e sulla rabbia incandescente che lo pervade. Può fare poco altro.
Si avvinghiano al centro della stanza, sbuffando, ringhiando, e ogni suono che esce dalla bocca dall’altro, pur non essendo una parola di senso compiuto, è musica per le loro orecchie.
Sherlock gli tira una ginocchiata pericolosamente vicina all’inguine. John mugola di dolore, gli afferra le gambe e lo schiaccia a terra. Tenta di bloccargli le braccia ma Sherlock è svelto e inverte le posizioni.
Lo vede tirarsi su sui gomiti  e tirargli un pugno che non va nemmeno lontanamente vicino né al naso né ai denti. John lo incassa con un grugnito e subito dopo diventa immobile. Lo guarda.
Sherlock sta ansimando sopra di lui, la bocca aperta, il viso congestionato.
Poi gli sorride. Un sorriso che diventa un ghigno quasi complice, quasi, e infine una risata.
John si unisce a lui, pulendosi il sangue dalle labbra.
 
*
 
Ne avevo bisogno.
Comunicazione non verbale?
Anche. Non solo.
Che cosa mi hai detto?
John posa la tazza di tè accanto al microscopio e si alza, guardandolo negli occhi. Poi scrive:
Buonanotte, Sherlock. Smettila di romperti il capo per oggi e vai a dormire anche tu.
Sherlock fa una smorfia infantile e scrive con aria testarda:
Ogni nostro tentativo di entrare in contatto diretto fallisce. Abbiamo pieno uso della voce in qualsiasi altro contesto: possiamo anche usarla in reciproca presenza, basta che lo sforzo non sia pensato con l’altro in mente. Io canticchio. Tu leggi a mezza voce il giornale. Non è un fattore ambientale. Non è un danno fisiologico. Siamo noi due, e basta. Se non siamo chiari l’uno con l’altro non ne usciremo mai.
John si irrigidisce.
Buonanotte, Sherlock.
Sherlock lo guarda andare via. Poi torna a fare ricerche sul suo pc.
 
*
 
Non ho potuto parlarti per tre anni e quando mi è stato concesso di farlo di nuovo, non l’ho fatto. E’ una punizione.
Sherlock è in taxi. Stringe il foglio fino a farsi diventare le nocche bianche.
John gli ha fatto scivolare quel biglietto nel cappotto quando lui stava dormendo.
Tira fuori il cellulare e digita veloce: Non essere sciocco, John. SH
 
*
 
Sherlock è appena entrato in vasca quando nota che il block-notes appoggiato accanto agli spazzolini è stato usato. A giudicare dall’umidità dell’inchiostro, appena pochi minuti prima.
Quando non c’eri ho pensato spesso che non ti avevo mai visto fare il bagno. E’ una delle cose che ho rimpianto di più. Lo so che è stupido.
Sherlock rabbrividisce, chiude gli occhi e fa scivolare una mano in mezzo alle proprie gambe.
Pensa alla curva della mandibola di John. Al suo sorriso prima di dire: “Fantastico!”. Al suo silenzio, quando ancora era volontario, intimo, e lo riempiva di aspettativa.
Quando viene, il fragore dell’acqua che riempie la vasca copre il suo gemito. Sherlock si preme comunque una mano sulla bocca.
Sono diventati entrambi molto sensibili ai rumori.
 
*
 
Voglio perdonarti subito e allo stesso tempo non perdonarti mai. Mi capisci?
Credo di sì.
 
*
 
Un giorno si siedono l’uno di fronte all’altro e si guardano, tentando di leggere il labiale. Non ci riescono.
Il problema evidentemente è a monte.
 
*
 
Ho avuto bisogno di suture d’emergenza, qualche volta. Nessuno di quei medici aveva le mani ferme quanto le tue.
Questo biglietto John lo tiene nel portafoglio.
 
*
 
Entrambi pensano che Mycroft abbia capito, ma stranamente il maggiore degli Holmes non gira il coltello nella piaga. Fa domande individuali e si trattiene poco.
John si chiede se facciano pena, ancora più pena di prima.
 
*
 
Torna a risolvere casi con me.
Sherlock, ti prego.
 
*
 
John si chiede spesso: se potessero parlarsi di nuovo, qual è la prima cosa che si direbbero?
 
*
 
Molly gratta via un po’ di sangue rappreso da un osso e gli chiede con un sorriso timido: “Come sta John? E’ tanto che non ci parlo.”
Anch’io, pensa Sherlock, e risponde che John sta benissimo.
 
*
 
Non farlo per me. Fallo per te. L’inattività ti corrode. Siamo simili, John.
John accartoccia il biglietto, poi lo riapre, lo liscia con cura e lo mette dentro al libro che sta leggendo.
 
*
 
Sono costretti a toccarsi di più. A volte semplicemente per attirare l’attenzione dell’altro in mezzo a tutto quel silenzio, altre per comunicare con chiarezza stati d’animo.
Sherlock è assolutamente certo che a John costi molta fatica farlo. Non voleva sfiorarlo neanche con una parola, quando è tornato, figuriamoci con una mano intera.
 
*
 
John si sveglia sempre più spesso verso le quattro di mattina. Nei sogni, Sherlock gli racconta storie sanguinose nei più minimi raccapriccianti particolari, parla in lingue straniere, canta, gli sussurra all’orecchio chi dell’ufficio postale è andato a letto con chi del tabaccaio di fianco.
John subito dopo è così duro che non riesce più a riaddormentarsi. Si tocca pensando a Sherlock che dice il suo nome, solo “John”, nelle intonazioni più disparate e negli scenari più disparati.
 
*
 
Torna a risolvere casi con me.
Non ti prometto nulla.
 
*
 
Detesto aver bisogno di te. Detesto essere un invalido per colpa tua.  Sei la mia guerra personale.
 
*
 
E’ stato fantastico. E’ stato come vedere un film in technicolor dopo anni e anni di scialbi telegiornali in bianco e nero.
John è poco lontano, sorride. Ai suoi piedi vi è un uomo raggomitolato su sé stesso che borbotta imprecazioni e geme di dolore. L’hanno rincorso per quelli che sono sembrati loro chilometri e Sherlock ha un ginocchio dolorante, ma ne è valsa la pena.
E’ talmente euforico che non lo vede subito.
“JOHN!” urla Sherlock, allarmato.
John nota appena in tempo la pistola che il criminale sdraiato per terra sta cercando di estrarre da uno stivale. Spara d’istinto.
L’uomo si accascia a terra, senza vita.
Per qualche secondo si ode solo il rumore dei loro respiri affannati. Poi Sherlock riprende possesso di sé e gli si avvicina correndo.
John lo guarda con occhi increduli e grati. Vi è qualcos’altro che brilla al di sotto, ma Sherlock non vuole illudersi.
Prova a chiamarlo di nuovo ma nessun suono esce dalla sua bocca. Evidentemente è stata solo un’eccezione dovuta alla circostanze disperate, ma è comunque un buon inizio.
John gli mette una mano sulla spalla. Sherlock alza lo sguardo per incontrare il suo.
Sente il suo indice picchiettare leggermente contro il proprio cappotto.
“Grazie”, gli dice John in codice Morse.
Sherlock gli rivolge il primo vero sorriso da quando è tornato dall’aldilà e annuisce.
 
*
 
Tornati a casa, Sherlock vede John fare a malapena in tempo a togliersi il cappotto prima di lanciarsi verso il block-notes più vicino e scrivere forsennatamente una parola.
Baciami.
Lo guarda, fermamente convinto a non credere ai propri occhi. John è arrossito ma non interrompe il contatto visivo. Sembra sicuro. Sincero.
Sherlock resta immobile.
John scuote la testa e ricomincia a scrivere con foga.
Ho rischiato di morire. Sono vivo. Non intendo sprecare altro tempo e negarmi una cosa che ho desiderato per anni. Baciami.
Sottolinea con tre freghi decisi la parola “baciami”, sorridendo a metà fra il divertito e il malizioso.
Sherlock gli sfila con mani tremanti la penna e il block-notes di mano e scrive con il cuore in gola:
Non so se sono in grado di darti quello che desideri.
John alza gli occhi al cielo.
Mi lasci senza parole, scrive. E aggiunge: ah ah.
Sherlock scoppia a ridere così forte che gli vengono le lacrime agli occhi. Quando sfiora con un bacio esitante le labbra di John, sono calde e sorridenti come le sue.
 
*
 
Sono a letto, in pigiama. Sherlock abbraccia John, che sta scrivendo con il block-notes sul materasso, da dietro.
Domani mi sveglierò, ti saluterò, ti bacerò come ho sempre voluto fare, ti dirò ogni cosa che ti ho sempre voluto dire. E tu mi risponderai. Ci riusciremo.
Sherlock chiude gli occhi e inspira il suo odore. Allunga una mano oltre la sua spalla, si tira su su un gomito e scrive: come fai a esserne così sicuro?
John sorride.
Mi fido di te. Nella tua vita hai compiuto già due miracoli. Perché non credere in un terzo?
Sherlock lo stringe forte e tenta di trattenersi dallo spingersi contro di lui, cercando un po’ di deliziosa frizione. Aspetteranno di guarire prima.
Per la prima volta nella sua vita, spera di essere all’altezza.

*
 
La luce filtra decisa dalle finestre, inondando i cuscini.
Si guardano. Sono spaventati. Sono fiduciosi.
Sherlock fissa la bocca di John, che gli sta accarezzando la spalla nuda con il pollice. Allunga una mano e gli stringe forte un polso.
John gli sorride. Le sue labbra si schiudono piano.
“Buongiorno.”

Note dell’autrice: quando si dice spingere i problemi di comunicazione al punto di non ritorno. Se dovessi descrivere questa storia, sarebbe la personificazione dei non detti e delle loro conseguenze.
Spero vi sia piaciuta. :*
P.S. Sì, lo so, il titolo. Non ci posso fare niente, sono impedita. XD

 

   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: nightswimming