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Autore: SimplyMe514    01/05/2013    0 recensioni
[La famiglia Addams]
Troppo grosso per essere normale, ma mai grande abbastanza per sfuggire a una famiglia che non gli lascia più respiro.
Un paio di mani di cui non riesce a controllare la forza, ma che scoprono una delicatezza nuova quando toccano una tastiera.
Un ragazzo infelice, forse un po' strano, ma pieno di sogni come tutti.
Un semplice annuncio sul giornale: A.A.A. Cercasi maggiordomo. Bella presenza, massima discrezione, disposto a lavorare con bambini. Vitto e alloggio inclusi. Astenersi perditempo e deboli di cuore. Rivolgersi a Eudora Addams, 0001 Cemetery Lane.
Possibile che sia questa la possibilità che cercava? Possibile che esista un angolo di mondo dove non sentirsi più fuori posto? Lurch spera di sì, anche se ha qualche dubbio sulla “bella presenza”...
Basato sulla serie TV degli anni '60, ma integrato con qualche dato necessario tratto da opere successive.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 – Sogni da inseguire

«To', leggimi i risultati». Il giornale già stropicciato fu ridotto ancora peggio dai suoi non troppo aggraziati tentativi di trovare la pagina sportiva. Prima che potesse uscirgli di bocca anche uno solo dei nomi – uno più assurdo dell'altro, a parer suo – dei cavalli le cui vicende suo padre seguiva come se si fosse trattato di una questione di vita o di morte, tuttavia, s'intromise la voce petulante di sua madre:

«Tu e le tue corse! Non avrai scommesso di nuovo, spero...»

L'uomo diede un basso grugnito che non era né un sì né un no. Quella era un'abitudine che avevano in comune: parlavano il minimo indispensabile e quando il concetto era troppo complicato da esprimere con più di qualche frasetta ridotta all'osso si arrendevano. Non che fossero troppo stupidi per mettere insieme un discorso lungo, era così e basta. Star lì a blaterare per troppo tempo era terribilmente noioso, uno spreco di energie e di secondi preziosi, e a furia di andare al risparmio si erano disabituati. Comprensibilmente, dunque, Lurch era diventato un genio nell'interpretare i versi di suo padre e viceversa. Questo, per esempio, voleva dire: “Sì, ho scommesso, ma so che se te lo dico in faccia mi farai un'altra delle tue scenate, quindi sto zitto e spero proprio che tu capisca male, è meglio per tutti”. Traduttore simultaneo... hmm, se ci fossero state più persone al mondo che si esprimevano così, sarebbe stata una gran bella carriera.

«E tu non startene lì impalato! Da' un'occhiata agli annunci, piuttosto, sarebbe proprio ora che ti trovassi un lavoro decente!»

Qualcosa di simile alla nausea gli montò nel petto a quel rimprovero. Come le aveva già spiegato diverse volte (non che gli avesse creduto), guardava quegli annunci tutti i santi giorni, ma il lavoro giusto per lui sembrava non esistere. Non perché non fosse disposto ad adattarsi: si sarebbe abbassato a quasi qualunque cosa pur di guadagnare un po' di soldi propri e passare qualche ora al giorno lontano dalle critiche continue di lei e dalle lamentele ingiustificate di lui sulla situazione finanziaria familiare, che era piena di buchi causati dalle sue maledette scommesse. Erano gli altri a non adattarsi a lui. Grosso e forte com'era, aveva seriamente considerato di fare la guardia del corpo, ma quando a temerlo era la persona che avrebbe dovuto proteggere e non i malintenzionati, la cosa diventava un po' difficile. Non erano mancati i tentativi di fare qualche lavoro di fatica, ma dopo una spettacolare serie di licenziamenti lampo dovuti a una gran varietà di incidenti o all'impossibilità di lavorare gomito a gomito con altri operai che o lo evitavano o lo trattavano come lo scemo del villaggio, anche quella strada era stata scartata. Cosa ci poteva fare se aveva quella brutta tendenza a rompere tutto ciò che toccava? Era colpa sua se era nato con una faccia un po' diversa? Poteva costringersi a parlare e parlare fino a farsi bruciare la gola per essere come tutti gli altri, anche se andava contro la sua natura taciturna, solo perché farlo tanto e bene sembrava essere l'unico indicatore dell'intelligenza? E poi c'era suo padre con quei sogni balzani che interferivano con i suoi...

«Fantino» sbottò, come se avesse sentito i suoi pensieri. Lurch aveva ereditato tante cose dal padre oltre all'ostinato mutismo, e la stazza era una di queste. Rispetto alla gente là fuori sembrava già un gigante, ma suo padre lo faceva quasi sparire in confronto: era grosso abbastanza da vedere lui agile e leggero come un fuscello. Lurch aveva provato a fargli capire che i fantini di professione erano molto, molto più piccoli di lui, che era venuto fuori a metà tra la sua vastità e il peso piuma della madre, una donna di bassa statura che entrambi riuscivano ormai a sollevare senza sforzo, ma non c'era stato verso. Nemmeno con le foto dei cavallerizzi più famosi del momento alla mano si era convinto che il suo prezioso unico erede potesse esimersi da una brillante carriera nell'equitazione. Peccato solo che qualsiasi cavallo sarebbe stramazzato con lui in sella, accidenti! Non gli faceva una colpa per quella sua bizzarra tendenza a giudicare tutto e tutti con il suo metro distorto: era così enorme che aveva voluto una casa ampia e dai soffitti alti, per non correre rischi, ma continuava a sbattere ovunque, con buona pace dei vicini che volevano un po' di tranquillità (Lurch, al contrario, ne aveva avuto più che abbastanza delle lamentele, e per parte sua aveva imparato da un pezzo a muoversi in un modo che mal si accordava con le sue misure extra-large, silenzioso come un gatto). Era l'insistenza a dargli sui nervi. Gli aveva detto di no una volta, due, tre, cento, ma quello continuava a regalargli libri sui cavalli ad ogni compleanno, sperando che vi s'interessasse come per magia e ignorando completamente il fatto che non gli piacesse né leggere né tantomeno imparare tutto quel che c'era da sapere sulla corretta manutenzione di un potenziale campione di corsa a ostacoli o dressage. La sua argomentazione era una soltanto, sempre la stessa: “E sentiamo, cos'è che vorresti fare, invece?”. E ogni volta che provava a rispondere, un gigantesco nodo in gola lo zittiva. Sapeva cos'avrebbe voluto fare, oh, se lo sapeva, ma aveva già scoperto sulla propria pelle che sarebbe stato impossibile.

Il suo sogno vero, quello grande, quello che era stato il suo chiodo fisso fin da quando aveva memoria, era di fare il musicista. I tasti bianchi e neri erano l'unica cosa che non si rompeva sotto le sue dita, ma forse era soltanto perché li amava così tanto da toccarli piano piano, con una cura speciale, come se ogni nota fosse stata una carezza. Procurargli un pianoforte era stato uno sforzo enorme per i suoi genitori, uno che ancora non la piantavano di rinfacciargli a ogni occasione, ma alla fine, centesimo per centesimo, ce l'avevano fatta, e Lurch non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui la squadra di ragazzoni – grossi, ma non quanto lui – l'aveva trasportato in casa. Sorrideva poco, come se gli provocasse dolore ai muscoli facciali, e piangeva ancor meno, ma quella volta aveva fatto entrambe le cose, incapace di fermare le lacrime di gioia. L'impassibile, inespressivo Lurch di sempre, solido come una roccia, aveva frignato come un bambino e non se ne vergognava affatto.

Aveva lavorato per quel sogno con ogni briciolo di forza che era riuscito a trovare. Si era esercitato a tutte le ore del giorno e della notte, aveva speso tutte le sue paghette in spartiti, aveva rimpolpato il suo repertorio con qualsiasi cosa da Mozart agli ultimi successi swing, purché fosse musica, e infine, un'unica volta, era stato ingaggiato. Era un piccolo incarico in un piano bar poco frequentato, ma per lui, che fino ad allora non era stato ascoltato praticamente da nessuno a parte mamma e papà, era come essere chiamato per suonare con la più importante orchestra d'America. Aveva messo il vestito della festa, ripassato furiosamente fino a non sentirsi più le mani e preso pure in prestito un po' d'acqua di Colonia, lui che di queste cose s'infischiava altamente, e si era presentato al locale con un esubero di energia nervosa in corpo, teso come una molla pronta a scattare alla minima sollecitazione. Si era seduto al piano, un affare tirato a lucido dieci volte più bello del suo, si era sgranchito per bene le dita e aveva aspettato l'arrivo dei primi clienti, pregando tra sé di conoscere tutti gli eventuali pezzi che avessero richiesto espressamente, ma soprattutto attendendo con fervore il momento in cui – il proprietario aveva detto che poteva farlo, e la sua parola era legge – si sarebbe finalmente potuto concedere il piacere e la sfida di un po' d'improvvisazione. Alla gente piaceva, apparentemente. Ma quelli non erano arrivati, o meglio, erano entrati eccome, soli o a coppiette, ma erano scappati dopo avergli lanciato una singola occhiata. I più coraggiosi erano rimasti per un unico drink buttato giù in tutta fretta, e Lurch era stato cacciato a male parole alla fine della serata, con l'avvertimento di non tornare mai più e la minaccia di dover pagare i danni per tutti i potenziali clienti che gli aveva fatto perdere. Aveva messo insieme a stento una manciata di note. Anche quella notte, nella sua stanza, aveva pianto, ma non di gioia. Aveva la pratica, aveva la passione e non temeva di lodarsi troppo dicendo di avere anche il talento, ma era tutto inutile se non aveva la faccia. Per esibirsi in pubblico, purtroppo, toccava essere anche moderatamente belli, mentre lui... be', se usciva vestito normalmente la sera di Halloween, veniva fermato da almeno quattro o cinque bambinetti che lo osservavano a bocca aperta, sciogliendosi in lodi sperticate sulla perfezione del suo (inesistente) costume.

«No, papà» tagliò corto, quasi in un ringhio. Piuttosto che andare a cercare in capo al mondo un completo da fantino della sua misura, si sarebbe vestito da clown... ma avrebbe spaventato gli spettatori, invece di farli ridere.

Girando le pagine con violenza (qualcuna si strappò, ma non gli importava), si diede a scorrere i dannati annunci con un plateale sbuffo, tanto per dare l'impressione di fare qualcosa di utile. La gente pagava per far scrivere le cose più disparate: alcune sembravano avere un briciolo di senso, altre erano davvero state pubblicate solo perché qualcuno aveva sborsato denaro sonante. Chissà che faccia aveva fatto il tizio a cui era stato chiesto di stampare quello lì, per esempio: A.A.A. Cercasi maggiordomo. Bella presenza, massima discrezione, disposto a lavorare con bambini. Vitto e alloggio inclusi. Astenersi perditempo e deboli di cuore. Rivolgersi a Eudora Addams, 0001 Cemetery Lane.

Astenersi deboli di cuore”, bah... era una frase simpatica, ma chissà cosa stava a significare. Non poteva essere letterale, o sì? Per come si parlava degli Addams, niente era da escludere.

«Trovato qualcosa?» chiese subito sua madre. Accidenti a lei, doveva essersi accorta del microscopico sussulto verso l'alto delle sue labbra che era il principio di un rarissimo, sforzato sorriso.

«No» ribatté recisamente, anche se una piccola, folle parte di lui cominciava a sperare che fosse una bugia. Non avrebbe mai più sentito la fine delle sue prediche se le avesse rivelato che pur di togliere il disturbo sarebbe stato pronto a fare il maggiordomo, una parola che suonava un sacco più elegante di come l'avrebbe definito lei, cioè servo. Neanche vivere nella costante preoccupazione di finire sul lastrico per colpa della sconfitta di uno di quei dieci volte maledetti cavalli le aveva tolto quell'incrollabile senso di superiorità che non si sapeva bene da dove venisse, ma che la induceva a desiderare per suo figlio una posizione che lei avrebbe chiamato rispettabile. L'avrebbe ucciso se l'avesse saputo... no, ripensandoci, si sarebbe difeso troppo bene da qualsiasi suo tentativo, probabilmente l'unico modo per farlo fuori sarebbe stato quello di spingerlo al suicidio a furia di discorsi su quanto sarebbe stato vergognoso, degradante, umiliante e un mucchio di altri sinonimi.

Girò un'altra pagina con forza, e stavolta la strappò apposta, sperando di far sembrare il gesto un incidente, ma stando bene attento a includere l'annuncio integro e leggibile nel pezzetto che gli era rimasto in mano, poi lo intascò furtivamente quando gli parve che nessuno dei due stesse guardando.

Non avendo molti motivi per uscire, conosceva poco la città, ma aveva più che presente di che casa si trattasse, non tanto perché era di per sé inconfondibile, quanto perché si trovava in una zona dove i suoi piedi lo portavano spesso quando se ne andava con la scusa di prendere un po' d'aria, mentre il motivo vero era che voleva smettere di sentirli litigare sull'ennesima scommessa andata male. Non avrebbe frequentato l'area del cimitero, normalmente, ma non è che ne avesse paura: semplicemente, non aveva quasi famiglia a parte i suoi genitori, quindi non gli risultava che ci fosse alcun nome legato a loro su quelle lapidi. Con il tempo, però, aveva scoperto che era un buon posto per pensare. Non sembrava che pensasse molto, ma lo faceva eccome, e un luogo che tutti evitavano accuratamente a meno che non fossero assolutamente obbligati ad andarci era l'ideale per avere un po' di pace.

Quando invece non era la pace che cercava, si dava all'ascolto di qualche pettegolezzo diverso da quelli del suo circondario. Non che gli importasse granché delle vite private altrui, ma le voci che correvano da quelle parti erano molto più interessanti di quelle che sentiva di solito, così tanto che avrebbe potuto scriverci un romanzo, se solo ci avesse saputo fare con le parole. Aveva udito la gente di quel quartiere definire il cimitero “inquietante”, e per estensione attribuire l'aggettivo anche alla villa che vi sorgeva quasi attaccata. Era stata vuota per un bel pezzo, ma da circa un anno a quella parte erano venute a viverci delle persone (ampiamente lodate per il loro coraggio), e da quando era successo, la casa era diventata ancora più strana. Tanto per cominciare, tutti si aspettavano che i nuovi proprietari vi facessero lavori su lavori fino a renderla irriconoscibile, perché i più esagerati tra i pettegoli del posto dubitavano che fosse agibile così come stava, e invece, almeno per quanto riguardava l'esterno, niente era stato toccato. Secondo, il giardino era uno spettacolo di desolazione: se vi cresceva qualche fiorellino spontaneo, gli osservatori più acuti avevano notato che tendeva a sparire quasi subito, come se fosse stato tolto di proposito, e le poche piante che c'erano non erano né tulipani, né margherite né alcun altro fiore comune che i vicini potessero riconoscere a prima vista, ma una signora che stava a qualche casa di distanza e che ne sapeva di botanica assicurava a chiunque si desse la pena di ascoltarla che erano tutti esemplari tossici, dal primo all'ultimo, e che qualsiasi persona sana di mente a cui saltasse in testa di coltivarli probabilmente fabbricava veleni. Terzo, ma non ultimo, c'erano decisi indizi di attività sospette. Mai una volta che da una finestra aperta si diffondesse il buon odorino di un pranzetto appena preparato, al massimo delle puzze nauseanti che facevano seriamente temere per la sorte di chiunque avesse mangiato la roba che le produceva, ammesso e non concesso che si trattasse del pasto di qualcuno. E poi c'erano le esplosioni. Non passava giorno senza che lì dentro scoppiasse qualcosa. Un po' tutti avevano tentato di informarsi, soprattutto quelli direttamente confinanti, che non ne potevano più del rumore, ma o veniva loro a mancare il fegato prima di riuscire a chiederne il motivo o venivano rimandati indietro con un repertorio senza fine di scuse che variavano dal moderatamente credibile alla più completa assurdità. Qualcuno aveva perfino preso il coraggio a due mani e mandato la polizia, ma anche gli agenti erano stati rispediti al punto di partenza.

E ora questi qui – una vecchia e un bambino, ma c'era chi non era sicuro di ricordarsene bene, perché era difficile che si vedessero in giro – avevano bisogno di un maggiordomo. Più di una persona che aveva conosciuto in passato gli avrebbe dato del pazzo per aver anche solo considerato l'idea di concorrere per il posto, ma Lurch ne aveva già sentite di peggiori. “Pazzo” era praticamente un complimento rispetto a certe altre dolci paroline. E poi, se questi Addams erano davvero strani come si diceva, forse uno come lui si sarebbe sentito a casa tra loro. Sì, doveva essere per questo che la voglia di provarci gli rodeva il cuore come un tarlo. Le uniche persone che lo facevano sentire anche solo vagamente a casa, pur con tutti i loro difetti, erano un gigante e una donna dalla mente abbastanza aperta da sposarlo: una vecchia e un bambino che vivevano soli soletti in una villa che aveva visto giorni migliori incollata a un cimitero sembravano proprio i suoi tipi.

Dunque, maggiordomo... esattamente, cosa sapeva della professione di maggiordomo? Dannatamente poco, doveva ammetterlo, anche se al vedere l'annuncio aveva avuto un buffo flash di se stesso in un completo elegante con tanto di cravatta a farfallino e l'immagine gli era piaciuta parecchio. La mansione comprendeva un sacco di lavori umili, sospettava, soprattutto se gli fosse toccata la posizione di primo e unico servitore presente in casa, ma non era un problema insormontabile. Li sapeva fare in modo più che accettabile: sua madre gli aveva insegnato molto presto e poi aveva smesso quasi completamente di occuparsene, tutta presa da quell'alta considerazione di sé che la faceva sentire indegna di sgobbare come una schiava in casa propria. Suo padre, semplicemente, non aveva imparato mai, un po' perché la maggior parte degli utensili sembravano giocattoli nelle sue mani, un po' perché era l'uomo di casa e si era aspettato di non dover fare quel genere di cose una volta sposato. Sì, la sua vita fino a quel punto era stata un'ottima scuola per un potenziale maggiordomo.

Poi c'erano sicuramente un sacco di cose da imparare sul galateo, tipo servire correttamente la cena in presenza di chissà quanti ospiti e chissà quante posate in apparente sovrannumero, ma si sarebbe informato. Leggere non era decisamente tra le sue occupazioni preferite, ma era necessario, e quando qualcosa era o davvero necessario, come questo, o molto appassionante, come la biografia di qualche grande compositore, lo faceva eccome.

C'era, inoltre, la questione del bambino: la carriera di baby-sitter era una di quelle che tentare sarebbe stato ridicolo, dato che probabilmente avrebbe fatto piangere i suoi piccoli protetti, ma uno che viveva in una casa dove le cose scoppiavano regolarmente e dove, a quanto pareva, i deboli di cuore avrebbero fatto meglio a non lavorare probabilmente non era proprio uguale al bambino americano medio. In qualche modo si sarebbe arrangiato.

Non sapeva bene cosa intendesse la signora Addams con “massima discrezione”, ma sia che volesse dire che si aspettava che i suoi servi si facessero vedere e sentire poco, sia che gli avesse fatto giurare di mantenere il segreto su quello che succedeva in casa sua, si sarebbe adattato. Quella clausola sul vitto e alloggio era troppo invitante. Una vita sua, con uno stipendio regolare indipendente dalla fortuna o sfortuna di qualcun altro alle corse e lontana da quelle osservazioni al vetriolo che lo facevano sentire un buono a nulla... accipicchia, doveva essere proprio un paradiso.

Certo che quella “bella presenza” era minacciosa: se oltre che efficiente la signora Addams lo voleva pure bello, con lui avrebbe fatto un buco nell'acqua grosso quanto un oceano. D'altra parte, però, se tutti i maggiordomi del mondo fossero stati così avvenenti, perché diamine non esisteva un enorme concorso di bellezza dedicato solo a quella categoria? Forse se la sarebbe potuta cavare con qualcosa di un po' diverso da un semplice bel faccino. Sarebbe stato tutto impettito come i perfetti maggiordomi di cui aveva sentito solo parlare, avrebbe fatto tre volte più attenzione del solito a non fare assolutamente niente di maldestro, e per il resto non rimaneva che pregare. Chi o cosa, non ne era sicurissimo.

 

C'erano un sacco di altre librerie in città, lo sapeva bene, ma quella volta Lurch scelse apposta la più vicina a Cemetery Lane, giusto per avere una scusa per allungare il tragitto e dare un'occhiata a quella famigerata casa.

Con la commessa che faticava a decifrare i suoi grugniti e lui che decodificava a stento i balbettii di lei, procurarsi un'edizione vagamente comprensibile del galateo e per buona misura un tomo che prometteva poco confortanti dettagli sulla vita della servitù attraverso i secoli era stata un'impresa, ma alla fine ne era uscito alleggerito di un po' di denaro e appesantito di due tra i pochi volumi veramente utili che gli fossero mai capitati in mano. Il secondo sarebbe stato una lettura spaventosa, sia nel senso che pareva difficile, sia perché non diceva niente di carino o di invitante.

Col suo piccolo carico sottobraccio, sentendosi quasi uno scolaretto, deviò verso Cemetery Lane e la percorse tutta, fingendo indifferenza ma senza mai smettere di fissare i numeri civici sul lato dispari che scendevano, fino a giungere all'estremità meno frequentata. Sembrava che una mano gigante avesse tracciato una linea invisibile tra lo 0003 e lo 0001: di qua una casetta curata che sembrava uscita da un libro illustrato a colori vivaci, di là una villa che aveva poco da invidiare al set di uno dei film horror che Hollywood si era messa a sputare a ripetizione da qualche anno a quella parte (non era esattamente un cinefilo, ma gli era stato suggerito una volta o due di mettersi in fila per i provini, dato che avrebbe fatto risparmiare centinaia di bei verdoni sul trucco). Se non fosse stato per un movimento colto con la coda dell'occhio, appena un'ombra dietro una tendina e poi più nulla, sarebbe stato pronto a giurare che la vecchia e il bambino fossero un'allucinazione collettiva e che lì dentro non ci fosse nessuno. Chi avrebbe lasciato regnare le erbacce in quel modo, tanto alte da rendere mezzo illeggibile anche il cartello appeso al cancello esterno (che avrebbe potuto essere un “Attenti al cane”, sennonché la prima lettera dell'ultima parola non gli sembrava affatto una C)? Lo stomaco di Lurch fece una capriola: una parte di lui gli sussurrava in un orecchio che sarebbe stato molto più saggio aver paura di quei tizi e scappare come facevano tutti gli altri, ma un'altra gli suggeriva contemporaneamente, nell'altro orecchio, che c'era anche tanta gente che aveva paura di lui, e che secondo logica questo doveva significare che aveva trovato delle persone simili, finalmente... Ora doveva solo starle ad ascoltare tutte e due e capire quale parlasse più forte, tutto qui. E per farlo aveva bisogno di silenzio e tranquillità, che si trovava proprio a due passi.

 

«Mamma, giù in strada c'era un tipo che fissava casa nostra!»

«Non preoccuparti, Gomez, lo fanno tutti. Poi però se ne vanno».

«Ma questo qui non stava mica scappando! Mi sa che andava al cimitero».

«Davvero? In questo periodo dell'anno? Quasi quasi lo raggiungo...»

«Va bene, ti aspetto qui. Io però al posto tuo lo lascerei in pace, andarci da soli è un sacco più divertente».

«Sai che hai proprio ragione? Il mio ometto...» Poi, con un sorriso che chiunque l'avesse visto avrebbe definito sibillino: «Se è il tipo di persona che penso che sia, verrà lui da noi».

«Questa è una di quelle volte in cui ci azzecchi, mamma?»

«Può essere».

«Allora non vedo l'ora di conoscerlo».

«Con un po' meno fuliggine in faccia, si spera... anche se devo dire che sotto sotto ti dona».

 

Senza orologio, gli risultava difficile stimare quanto a lungo fosse rimasto lì a discutere con se stesso, come si diceva che facessero i pazzi: contare i minuti con i suoni che provenivano dalla villa non era un gran bel sistema, ma c'erano stati almeno due scoppi e diversi tonfi che per quanto si lambiccasse il cervello non capiva proprio da cosa potessero essere stati provocati.

Qualcosa di buono, però, ne era venuto: si era sorpreso a cercare di immaginare cosa stesse succedendo là dentro con più curiosità che timore e ne aveva concluso che sì, la vocina tentatrice numero due parlava appena un po' più decisa della numero uno. Scoccò un'altra occhiata alla casa e fu come se, con l'eco distante di un rumore meccanico, nella sua testa fosse scattata una sorta di serratura. Se fosse il suono di una nuova porta che si apriva, non lo sapeva, ma avrebbe provato a spingerla e avrebbe affrontato il resto a mano a mano che arrivava.

Cercò di cominciare uno dei suoi libri nuovi di zecca, o meglio, lesse un totale di due righe e fu investito da tante e tali sensazioni – le paure che tornavano alla carica, lo sconforto alla prospettiva di un'occupazione mortalmente noiosa come imparare a memoria tutti quei particolari, ma anche quel pizzico di eccitazione che gli procurava sempre il pensiero della stravagante alta società, tutta una regola e un luccichio, che finora aveva solo sognato – che non c'erano abbastanza parole nel suo vocabolario per riassumerle efficacemente. E in quei casi c'era una sola cosa da fare, abbandonarsi a uno di quei suoni di petto che volevano dire tutto e niente insieme. Lurch dovette stiracchiare il viso in un sorriso malizioso all'idea di come avrebbe reagito una rispettabile personcina di quel perfettamente ordinario vicinato nel sentire una cosa del genere provenire dal cimitero. Probabilmente aveva appena procurato una settimana di incubi a qualche sconosciuto.

Stava familiarizzando con il modo di comportarsi a tavola, tipo il lato giusto da cui servire le pietanze e quello da cui ritirare i piatti vuoti, quando si rese conto che per studiare il disegno stilizzato del coperto perfetto doveva strizzare gli occhi per mancanza di luce. Ora di tornare a casa.

 

Appena giunto in vista della meta, nascose i libri sotto i vestiti e protesse il rigonfiamento sospetto con le braccia. La sua natura decisamente laconica, per sua gran fortuna, non faceva sembrare strano il fatto di gettare ai suoi genitori un “Ciao” frettoloso e badare poco o nulla alla loro risposta: di solito pretendevano più rispetto di così, ma vista la condizione in cui li aveva lasciati (nel bel mezzo di una litigata tale che dubitava che avessero sentito la porta chiudersi dietro le sue spalle quand'era uscito, ma ormai era ordinaria amministrazione), la sua scarsa voglia di parlare era doppiamente giustificata, quindi avrebbero lasciato correre.

Ebbe appena il tempo di macinare un altro paio di paragrafi prima che lo chiamassero per la cena. Con gli angoli delle labbra che saltellavano su e giù per la voglia di sorridere, si mise alla prova da solo e scoprì con un moto di soddisfazione di aver memorizzato tutto (e di aver fatto un mucchio di errori fino al giorno precedente, ma pazienza). Non sapeva se avessero notato o meno il cambiamento – un gesto diverso qui, uno lì, qualche secondo in più passato a squadrare l'effetto che facevano le posate sul tavolo – ma Lurch, per parte sua, si sentì dieci volte più elegante del solito.

Si ritirò di nuovo nella sua stanza non appena gli fu possibile e affrontò il primo capitolo dell'altro volume, nella speranza di trovarvi un'anticipazione del tipo di vita a cui andava incontro, ma le parole si confondevano sulla pagina. Leggeva, ma qualcosa lo pungolava, ricordandogli che c'erano cose più importanti da fare al momento. Piano piano, con quei suoi passi che nessuno sentiva e che ancora non sapeva bene neppure lui come gli riuscissero, si accaparrò una valigia che avevano usato quelle poche, pochissime volte che erano andati in vacanza quand'era piccolo. Era più che sufficiente per i ben scarsi ricambi di vestiti della sua taglia, i due libri appena acquistati (quelli sull'equitazione sarebbero rimasti lì dov'erano, a prendere polvere sullo scaffale, e tanti saluti ai sogni di papà) e... accidenti, doppio accidenti, triplo accidenti! Che ne avrebbe fatto degli spartiti? Dovevano restare dove stavano o era meglio portarseli e pregare con ogni fibra del suo corpo che a quegli Addams la musica piacesse almeno un po'? Diede una scorsa a un fascicolo a caso, divorando con gli occhi le cinque linee del pentagramma ripetute all'infinito, poi lo chiuse con uno scatto secco.

«Per ricordo» si disse con un'alzata delle enormi spalle. Una lacrima cadde proprio dentro la O di “Mozart” e la pila di spartiti finì in valigia. Separarsene faceva troppo male.

Lurch non dormì sonni tranquilli quella notte, ma ripensandoci era stata una benedizione, dato che i suoi confusi e poco riposanti frammenti di sogni gli permisero di essere già in piedi prima che gli altri due potessero anche solo concepire l'idea di alzarsi.

Sul tavolo della cucina, soltanto un biglietto, sintetico come sempre:

Vado incontro alla mia unica possibilità. Se torno, vuol dire che l'ho persa. Se non torno, non preoccupatevi, ho trovato il lavoro decente che volevate e vi farò avere il mio nuovo indirizzo.

Vostro figlio (non più buono a nulla),

Lurch

Note dell'Autrice

Sulla natura di Lurch. Come non è stata spiegata esplicitamente nella serie, così io non ho intenzione di scriverla nel testo vero e proprio, ma affinché possiate regolarvi vi dico che ai fini di questa storia Lurch è una creatura essenzialmente umana, anche se con la strana fisiologia degli Addams (quella stessa che permette loro di mettere il cianuro nel tè, per intenderci). Il suo comportamento e, in parte, il suo aspetto corrispondono allo stereotipo del mostro di Frankenstein, ma secondo me non lo è: mentre quest'ultimo è una creatura artificiale messa insieme in un laboratorio, il Lurch degli anni Sessanta ha chiaramente due genitori naturali, uno solo nominato e l'altra mostrata fisicamente. Rispetto a quello di Ted Cassidy, l'attore che lo interpretò a quei tempi, a somigliare di più al mostro è sicuramente il trucco e parrucco del suo successore Carel Struycken, quello dei film.

Sull'alfabetizzazione di Lurch. Il mio Lurch sa leggere e scrivere, punto e basta. In due episodi riceve corrispondenza, quindi è chiaro che è in grado di scambiare lettere con qualcuno. Ne esiste, però, un altro in cui c'è una gag che secondo me non potrebbe avere luogo se non fosse completamente analfabeta: il rapporto un pochino stentato con la parola scritta che mostro nella storia è un compromesso.

  
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