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Autore: Hi Fis    01/05/2013    3 recensioni
Completata ogni impresa, vinti tutti gli ostacoli, giurato fedeltà ai Principi dell'Oblivion, cosa resta del Dovahkiin?
Come può vivere, quando la propria anima è stata data in pegno a così tanti?
Questa è la mia risposta, ambientata dopo la fine di tutte le avventure, compresa la campagna principale e le espansioni.
Contiene Spoiler e temi suggestivi.
Genere: Dark, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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La mia prigione è un cubo perfetto: sei metri per sei metri per sei metri. Lo spessore delle pareti è di mezzo metro. Sono circondato da sei superfici di metallo perfettamente levigato.
Inutile formulare piani di fuga: anche se so mutarmi in nebbia, questo luogo non ha nemmeno una finestra, uno spioncino o una fessura attraverso cui poter passare. La mia prigione è inviolabile: sono stato io a costruirla e so quel che dico. Nemmeno la mia Voce può infrangere la lega daedrica con cui ho fatto le pareti.
Mai avrei immaginato che questa geometrica perfezione potesse venire usata contro di me; mai avrei potuto immaginare chi mi ci avrebbe rinchiuso: il ricordo delle sue mani sulla mia schiena e il suo sussurro ancora mi sembrano impossibili.
Nella mia prigione, l'unica fonte di luce sono le linee scarlatte che attraversano le facce del metallo, non troppo diverse da graffi geometrici che pulsano a turno, quieti e fiochi, silenziosi mementi dei cuori di dremora che ho usato per edificare questo luogo: quando la loro luce vermiglia si riflette sul mio corpo, mi sembra di essere immerso nel sangue.
 
Devo uscire. Ma non posso.
 
***
 
Apocrypha: l'infinita libreria di Alhazred, dove ogni conoscenza può essere trovata.
Un mare di acido copre questo mondo, intervallato qua e là da acque nere e torbidi tentacoli che si dipanano dagli angoli più oscuri. In questo luogo venefico, pile labirintiche di libri, tutti ugualmente neri e senza titolo, si innalzano fino a raggiungere il cielo di un verde insano e attraversato da gialle nuvole sulfuree. Sospinte da un vento che non è possibile percepire, pagine dimenticate si agitano come foglie di un effimero sapere: è fin troppo facile perdersi fra le tenebre di questo luogo e, smarrendosi, trovare posto fra le schiere dei fantasmi di coloro che, giunti in cerca di conoscenza, non se ne sono mai più andati.
Questo non è il luogo per un'elfa sola e gravida, che trascina già il peso della custodia che porta a tracolla.
L'aria è irrespirabile: anche solo rimanere in questo mondo senza venirne consumati richiede un intenso sforzo magico. Mentre si stringe attorno al viso il cappuccio del suo mantello, la donna sa che deve fare in fretta:
"Hermaeus Mora" chiama quieta.
In questo mondo non c'è bisogno di gridare: qui, il suo padrone e creatore è onnipresente. Hermaeus Mora, Herma-Mora, Demone della Conoscenza, Giardiniere degli Uomini: il principe daedrico del Destino ha molti nomi, ma una sola forma.
Un vortice fangoso si materializza di fronte alla donna, un vortice di acque torbide e nere, e lunghi tentacoli molli. Al centro, proprio davanti al suo volto, si dischiude uno sfintere pulsante sul cui fondo vigila un unico grande occhio, nel quale due pupille formano il simbolo dell'infinito.
Hermaeus Mora: forse non il più potente tra tutti i diciassette Grandi Principi dell'Oblivion, ma sicuramente il più astuto e alieno fra loro.
"Tutti coloro che desiderano conoscenza vengono da me, presto o tardi..." La voce è umida, come se il Principe Daedrico le parlasse dal fondo di un abisso di pece ribollente.
"... ma tu non sei venuta per mercanteggiare conoscenza, non è vero? Insensato. Ma hai suscitato il mio interesse..." La voce si abbassa in un sussurro, e all'elfa sembra che le venga versato direttamente nell'orecchio:
"... assai imprudente, mortale." Attorno a lei, innumerevoli altri occhi si aprono nell'aria, circondandola in un muro di sguardi che minaccia di non lasciarle scampo.
Ma l'elfa non ha paura: non può perdere. Da sotto il cappuccio, due soli occhi rossi, che sfumano in un rosso più intenso, rispondono agli sguardi indagatori del Principe:
"Io sono Brelyna Marion, della casata di Telvanni: moglie dell'ultimo Sangue di Drago."
"E cosa ne è del mio servo, mhh? Per quanto lontano guardi, rimane invisibile ai miei occhi."
Mio servo: se non avesse usato quelle parole, Brelyna avrebbe considerato se soddisfare la curiosità del Signore del Fato. Invece, la sua furia ribolle sorda sul fondo del suo animo: la furia e la follia di una donna innamorata e arrabbiata. Il turbine di emozioni è così grande da impossessarsi totalmente del suo spirito e quando raggiunge l'apice, quando per Brelyna diviene impossibile ospitarne ancora nel suo corpo, allora l'elfa concepisce l'impensabile e lo mette in atto.
All'apice del suo furore, Brelyna Marion sputa nel grande occhio che ha davanti.
C'è silenzio ora: Apocrypha intero trattiene il respiro in attesa della reazione del suo padrone.
"Nella casa del ricco, l'unico luogo in cui sputare è il suo occhio, demone."
"... Per la tua audacia, ti concedo di spiegarti."
"Non c'è nulla da spiegare: l'amore dopotutto è follia, Hermaeus Mora. E io sono una donna innamorata: perdutamente, assolutamente innamorata. E una donna innamorata non ha paura di esigere anche da un principe dell'Oblivion: rinuncia per sempre al Dovahkiin, ai suoi consanguinei e ai suoi cari, o distruggerò questo mondo." afferma l'elfa, sciogliendo il laccio della custodia che portava sulla schiena.
"Impossibile."
"L'ignoranza non ti si addice, Principe della Conoscenza. Dovresti sapere che esistono poteri assai più antichi e terribili dei tuoi: per esempio..." dice Brelyna aprendo la custodia e rivelando il suo contenuto: "... è nella natura delle Antiche Pergamene essere inconoscibili. Chiudine due in una sola custodia, e riaprendola potresti trovarne tre. Cosa accadrebbe dunque se gettassi l'inconoscibile, l'innumerabile, nella più grande biblioteca dell'esistenza? Se nel sapere più completo e perfetto, costruito trasversalmente al tempo e alle dimensioni, e gelosamente catalogato; cosa accadrebbe se io aggiungessi... l'incomprensibile?"
Hermaeus Mora non le risponde, ed un sorriso illumina il volto di Brelyna mentre continua:
"Cosa accadrebbe se io seminassi il caos nella tua casa, il luogo dal quale trai il tuo potere? E cosa accadrebbe a te, Demone della Conoscenza? Quanto ci metterebbero gli altri Principi per approfittarne?"
L'elfa si sporge pericolosamente sul mare di acido: aprendo le dita, la custodia si inabisserebbe in un istante.
"Tu... tu non oseresti."
"Io oso. E il mio braccio si sta facendo troppo pesante perché possa resistere ancora a lungo. Cosa scegli, Hermaeus Mora? La distruzione o la rinuncia al Dovahkiin, ai suoi consanguinei e ai suoi cari, per tutta l'eternità?"
"... Distruggeresti me... ME, e per cosa?"
"Per amore. Solo per amore."
Il silenzio e il tempo si allungano attraverso Apocrypha prima che il suo padrone parli di nuovo:
"È nella natura dei Principi dell'Oblivion offrire potere in cambio di fedeltà. Questo, nemmeno io posso cambiarlo: è ciò che siamo. Ciò che pretendi è impossibile."
"Ciò che pretendo è la tua firma su di un nuovo patto."
"Di quali termini?"
Lentamente, delicatamente, Brelyna posa la custodia a fianco dei suoi piedi: una singola spinta e l'impensabile accadrebbe in un solo istante.
"Leggi attentamente." risponde l'elfa al Principe, mentre si strappa di dosso il mantello e la stoffa scivola via dalla sua pelle. Nuda come il giorno in cui è venuta al mondo, Brelyna svela Il suo corpo a Hermaeus Mora, rivelando le rune daedriche marchiate sulla sua pelle: il testo del patto è stato vergato a fuoco nella sua carne, a cominciare dal suo occhio destro, sotto cui è incisa la runa Oht.
"... Era stato proibito!" la voce del Principe Daedrico è un sussurro così debole che Brelyna quasi non lo sentì.
"Come ti ho detto, esistono poteri assai più antichi e terribili del tuo, Hermaeus Mora. Esseri... che erano già vecchi quando nascondeste quella parola."
"Chi...?"
"Non è importante. Ma Lui, Lui ci ha preso in simpatia: un singolo gesto disinteressato, da mio marito ad un altro... beh, non posso chiamarlo uomo, ma di sicuro è qualcuno che comprende l'amore. In cambio, lui mi ha rivelato il segreto: come ogni verità è sorprendentemente semplice. Con la prima parola, Gol, mio marito può controllare le bestie del cielo, della terra e del mare. Con la seconda parola, Hah, la mente degli uomini e degli elfi si piega al suo volere. Con la terza parola, Dov, anche i draghi si inchinano a lui. E ora con la quarta parola..."
"BASTA!"
Brelyna non riesce a reprimere un sorriso: c'è qualcosa di intossicante nel possedere quel potere su qualcuno, specie un principe dell'Oblivion. L'elfa quasi perdonò la loro cupidigia:
"Poni la tua firma sul patto, Hermaeus Mora, come gli altri principi dell'Oblivion hanno già fatto prima di te, e il Dovahkiin non la userà mai, fino a quando lui, i suoi consanguinei e i suoi cari rimarranno liberi dalla vostra influenza."
"POTREI DISTRUGGERTI ORA!"
Richiamati da quelle parole, le onde dell'oceano di Apocrypha si infrangono e dalla schiuma sorgono i Cercatori, i servitori di Hermaeus Mora, figure da incubo di un'infinita estraneità: umanoidi, eppure non umani, con lunghe proboscidi sul viso e tentacoli per testa. Dal petto di ognuno, nascosto a malapena da un mantello di stracci, cinque braccia scheletriche si protendono verso Brelyna, rivelando una cavità piena di denti.
"CONDANNARTI AD UN'ETERNITÀ DI TORMENTI!"
Brelyna sorride ancora mentre quelle dita adunche si protendono verso di lei:
"Ti credevo più saggio, Hermaeus Mora. E più originale: tu sai chi è mio marito. Tu sai di cosa è capace: se dovesse accadermi qualcosa, credi forse che i tuoi servitori potrebbero salvarti? Credi forse che il tuo potere basterà a fermarlo?"
I Cercatori si arrestano e di nuovo cala il silenzio ad Apocrypha: il sussurro di Brelyna è quieto come il vento, ma non c'è angolo di quel mondo dove non arrivi.
"... Desideri scoprirlo?"
Dopo un lungo e teso istante, il Principe le chiede:
"... Perché?"
"Credevo di aver già risposto Hermaeus Mora. Per amore."
"... Perché ora?"
"Perché sono stanca. Stanca di assistere all'avidità di voi principi dell'Oblivion e ai vostri inganni, mentre tentate di prendere da mio marito qualcosa che, di diritto, appartiene solo a me. Io sono la risposta alla vostra eccessiva brama."
"... Il valore della vostra unione vale così tanto per voi?"
"Assolutamente."
Lentamente, un lungo, viscido tentacolo si svolge verso Brelyna e la stringe sulla coscia, dove sono già impressi in lettere di fuoco quindici nomi: un lampo verde, l'odore di carne che sfrigola, e il sedicesimo si unisce ai precedenti. Brelyna non grida: quell'agonia è solo la copia di altre sedici, e dunque ormai banale. Alcuni sono stati più facili di altri: alcuni hanno firmato senza condizioni, mentre altri hanno richiesto grandi sforzi e minacce attentamente ponderate.
Ma ora sono finalmente tutti.
"Io sono felice, Hermaeus Mora. Perché grazie a te, tutti noi continueremo ad esistere, liberi ed eterni..." Con un gesto inaspettato, Brelyna tocca terra con la fronte, prostrandosi di fronte al Signore dell'Oblivion con lacrime di felicità negli occhi:
"E di questo io ti sarò grata in eterno."
Non è nella natura dei principi dell'Oblivion, e di Hermaeus Mora soprattutto, perseguire la grettezza: un lungo tentacolo raccoglie il mantello di Brelyna e ricopre il suo corpo piagato dalle rune infuocate.
"... Poco saggio. Ma interessante. Di al Dovahkiin che delle conoscenze e dei doni che ha acquisito da me, può fare l'uso che desidera."
"... Come lady Nocturnal e Hircine, sei più generoso di molti, Principe, e riferirò il tuo messaggio: sono sicuro che ne sarà felice."
Non la grettezza, ma l'orgoglio è il punto debole di molti Principi:
"Vattene. E non tornare mai più." ordina livido.
"Non lo farò."
Un lampo porpora, e Brelyna viene espulsa, bandita per sempre da Apocrypha, lasciando solo le sue lacrime come testimonianza: nel silenzio della sua biblioteca, il Principe del Fato le raccoglie, catalogandole fra il suo sapere più prezioso.
 
Ad accoglierla al suo ritorno è l'ultima persona ad averla vista andare via: ha ancora la stessa ricca tunica rossa e gli stivali neri ed eleganti, adatti a sottolinearne le lunghe gambe. I cinque teschi d'argento le pendono ancora sul petto mentre i capelli neri e selvaggi le circondano il viso come l'ultima volta, oscurando occhi che Brelyna non riesce ancora a sostenere.
C'è un profumo familiare nell'aria: dopo aver attraversato tutti i piani dell'Oblivion, Brelyna capisce che è quasi a Nirn, la sua casa.
"Come è andata?" le chiede la donna, che le porge un semplice boccale d'acqua: su quel dono, l'elfa si avventa disperatamente con una sete che non sapeva di possedere.
"Hanno accettato tutti, come aveva previsto." dice, il boccale che rotola via dalle sue mani malferme.
Una mano le viene posata sulla spalla e Brelyna rabbrividisce: c'è qualcosa in quel contatto di più estraneo ancora del tocco dell'Oblivion e dei suoi principi. Una crepa nella creazione.
Gli occhi indagatori dell'altra donna si posano su di lei, e sulle rune tatuate a fuoco che ha sul viso e sul corpo.
"Il mio sposo ed io siamo felice per voi, Brelyna. Dal profondo dei nostri cuori, vi auguriamo una vita lunga e felice."
"... Cosa farete ora?"
"La stessa cosa che farete voi: ci concederemo l'esistenza per esplorare la nostra unione."
Brelyna vorrebbe incontrare il suo sguardo per sorriderle, ma non riesce a farlo: solo suo marito, fra i mortali, sembra esserne capace, ma forse è dovuto al fatto di essere stato il tramite attraverso cui Lei ha nuovamente assunto una forma vivente.
Chi avrebbe potuto mai immaginare quanto la negromanzia potesse essere stata sottovalutata?
"Grazie." riesce solo a sussurrare.
"No, siamo noi che ringraziamo voi: ci avete dato così tanto e chiesto così poco in cambio."
La Madre le posò anche l'altra mano sulla spalla dell'elfa:
"Siamo fortunate tu e io, non è vero? Conosciamo l'amore."
"Sì."
"Non dimenticarlo mai. E ora, va da lui."
E le tenebre avvolsero Brelyna.
 
***
 
La mia prigione è aperta ora. Ma non oso varcarne la soglia. Non con lei che mi sbarra la strada: è una sfortuna essere uno stregone ed avere sensi e occhi come i miei. Non c'è bisogno che mi sia spiegato perché io sappia tutto ciò che c'è da sapere, non con lei che attende, nuda come durante le notti che passiamo assieme, mostrandomi il corpo di chi è sopravvissuto ad un'ordalia.
"... È così terribile?"
Scuoto la testa, rassegnato nel cambiamento che è avvenuto e sul quale non può essere più posto rimedio.
"Non ho mai voluto questo."
"... È qualcosa che ho voluto per me stessa. Per me e per te. Per noi e la figlia che verrà. Per il figlio che hai adottato e che sento come nostro. Non hai fatto forse lo stesso, per me, per noi?"
"Era davvero necessario farti questo?"
"Forse no... ma mi rende felice, perché ti libera: devi solo aggiungere il tuo nome e sarà compiuto."
"Mi chiedi di marchiarti a fuoco col mio nome: come una schiava."
La luce cambia, mentre si avvicina a me: la sua mano sulle cicatrici del mio volto è un balsamo dal quale non riesco a stare senza. Non importa se mi ha rinchiuso qui perché non interferissi: la amo e l'ho già perdonata.
"Non è così. Tu porti sul tuo corpo le cicatrici che ti sono state inferte con strumenti molto più terribili del fuoco dell'Oblivion. Hai scelto di portarle per me e per noi e le indossi con orgoglio. È con lo stesso orgoglio che mi sono fatta questo."
Per gli Hist, come la amo: perdutamente, assolutamente. La mia mano prende fuoco: la fiamma è azzurra, calda abbastanza da bruciare la carne e recidere i nervi all'istante.
"Sei sicura?"
"Lo voglio." afferma con la stessa sicurezza delle prima volta che pronunciò quelle parole.
Non sente nulla mentre imprimo con le dita il mio nome nella sua carne, cercando di fare più attenzione possibile: è questione di un attimo, e infine il mio nome si aggiunge a quello dei Principi dell'Oblivion, suggellando il patto.
Il mio vero nome: quello che mi è stato dato alla nascita. Cuezaltzin, che fra gli Argoniani significa "Serpente di fuoco turchese."
Il mio nome è Cuezaltzin, è mentre guardo negli occhi mia moglie e la bacio, so di essere libero e il più fortunato uomo del Nirn.

Ben arrivati alla fine!
Piaciuta? Spero di sì, in quel caso recensite, o vi sguinzaglio Dagon nel computer (quello di Lovecraft, non Mehrunes Dagon...).
Ho scritto questo pezzo  dopo aver affrontato per l'ennesima volta  la campagna di Skyrim , ritrovandomi  per l'ennesima volta di fronte ad una semplice domanda: "E adesso?"
Dopo aver sconfitto Alduin, messo su famiglia, sconfitto papà Dracula (Harkon), costruita la  bucolica casetta dei propri sogni ed essere stati gettati in un incubo Lovecraftiano a Solstheim, che si fa?
Come si può vivere come Dovahkiin dopo essere stati più o meno costretti a diventare il giocattolo di così tanti esseri?
La risposta è stata semplice e fulminante: qualcuno deve aiutarci. Qualcuno che deve essere potente almeno quanto un principe Daedrico: il rosone nel Santuario della Confraternita Oscura  mi ha offerto la risposta. Padomay o Sithis si adatta (almeno per me) perfettamente allo scopo, bastava creare un motivo plausibile per il suo intervento. Spero di esserci riuscito.
Insomma, volevo scrivere una storia d'amore e di riscatto, perché è una gran magra consolazione salvare il mondo solo per diventare prigionieri delle entità dell'Oblivion.
A presto!
  
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