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Autore: Fiele    02/05/2013    2 recensioni
Sarebbe stato più facile, forse, se l’avesse odiato; ma i chiari occhi del soldato erano lucidi, i pugni serrati, e l’italiano poté vedere chiaramente l’orrore ed il rimorso agitarsi sotto quella maschera impassibile.
"Non fare così" lo implorò nella sua mente "Non farmi sentire dispiaciuto per te."

Ger/Ita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Feliciano.»
 
Il suono di quella voce profonda, quella che aveva così disperatamente desiderato di udire durante quei mesi di buio, destò l’italiano dal suo sonno.
Le palpebre gli tremarono per un breve istante, mentre tentava di abituarsi alla luce che penetrava nella sua cella.
Ludwig era lì.
I suoi occhi si riempirono di lacrime nel realizzarlo: era lui. Lì. In quel momento.
Gli era mancato così tanto.
Avrebbe voluto pronunciare il suo nome, ma un groppo in gola gli impedì di parlare. La sua presenza là significava una cosa sola: quello era il suo ultimo giorno.
 
Non fu in grado di dire qualcosa: si limitò a guardare il soldato in uniforme, in attesa di un suo segnale.
Finalmente, l’uomo parlò.
«Non tentare» esordì, schiarendosi la voce «di convincermi ad aiutarti. Non ti libererò, né negozierò per una riduzione della pena. È già tutto…» esitò, prima di pronunciare quella tremenda parola «finito.»
L’italiano sospirò mentre in lui l’ultima, debole speranza moriva. In un certo senso lo immaginava, ma una parte del suo essere aveva comunque pregato che Ludwig lo considerasse più importante della sua professione.
Non era così, evidentemente.
 
«Sono qui solo per sapere il perché» riprese il tedesco «e per… salutarti. Nulla di più.»
Feliciano lo conosceva troppo bene per lasciarsi ingannare da quella voce sicura e quell’espressione impassibile. Sarebbe stato più facile, forse, se l’avesse odiato; ma i chiari occhi del soldato erano lucidi, i pugni serrati, e l’italiano poté vedere chiaramente l’orrore ed il rimorso agitarsi sotto quella maschera impassibile.
Non fare così, lo implorò nella sua mente, non farmi sentire dispiaciuto per te.
Ma non poteva evitarlo.
 
Si morse il labbro inferiore: il tedesco aspettava una risposta. Tutto ciò che avrebbe voluto dirgli gli morì in gola e, quando parlò, il suo tono di voce gli parve calmo e neutro.
«Ho dovuto» disse. «Io credevo che il fascismo fosse la soluzione. Lo credevo davvero. Non era mia intenzione… non avrei mai pensato…» un istante prima di pronunciare quella parola si rese davvero conto di ciò che stava per dire. Lo scudo che lo proteggeva da sé stesso si spezzò; e fu nuovamente vulnerabile, fragile, ferito.
La sua voce si incrinò, ma si trattenne. Non voleva piangere, non in quel momento. «È stata la nostra rovina. Distruggerlo era l’unico modo per fermare… tutto questo.»
«Ma avevi giurato» scattò il tedesco, impedendogli di continuare «e hai infranto il tuo voto. Hai tradito il tuo partito. Hai tradito il tuo Paese… e hai tradito me.» sospirò e chiuse gli occhi, portandosi una mano alla fronte. Feliciano sapeva che Ludwig si era spinto più in là di quanto volesse: non era riuscito a mantenere la calma.
«Con che coraggio» replicò debolmente, con la voce che tremava «sei un traditore quanto lo sono io.»
Ludwig non replicò.
«Lo sai perfettamente» continuò l’italiano «il solo fatto di amarmi ti rende un traditore.»
Non avrebbe mai pensato che si sarebbe rivolto a lui in quel modo. Ogni parola era una tortura.
 
Il tedesco alzò di scatto la testa e si allontanò immediatamente dalle sbarre. Il volto impassibile si contrasse in un’espressione d’odio puro.
«Io non… ti amo» ringhiò.
 
Il prigioniero si sentì morire a quelle parole. Sapeva che non era la verità, ma udirlo era comunque doloroso.
Deglutì, sentendo le lacrime affiorare nuovamente agli occhi.
«Allora non hai motivo di restare qui.»
 
Il tedesco sospirò. Una ruga sottile si disegnò sulla sua fronte, e sembrò improvvisamente molto stanco. Troppo.
Rimasero a lungo in silenzio, senza guardarsi negli occhi. Feliciano si alzò in piedi e si avvicinò alle sbarre che lo separavano dal soldato. Sapeva perfettamente quello che avrebbe dovuto dirgli – tante, troppe cose - ma non ebbe il coraggio di farlo.
Morirò presto, si disse. Morirò presto e non gli avrò detto nulla.
 
«Ho commesso un errore» disse infine Ludwig, senza voltarsi verso di lui. Gli occhi del tedesco erano fissi in terra. «Ero convinto che il mondo fosse privo di leggi. Che l’essere umano, attraverso la ragione, dovesse creare tali leggi da sé. Solo la ragione ci impedisce di perderci nell’incontrollato.
Nel momento in cui ho giurato fedeltà alla Patria, io…» si interruppe, voltandosi verso di lui per un breve istante. «Io sapevo di stare andando contro la logica. Di stare giurando fedeltà ad un’idea astratta, inesistente.
Se l’ho fatto è stato solo, esclusivamente perché il mio…» esitò per un istante «cuore me lo diceva. Ero, e sono tuttora, innamorato di un’idea.» distolse nuovamente lo sguardo da lui. «Ho giurato per ingannare la ragione. Per costringerla ad obbedire alle emozioni.»
«Io…» mormorò Feliciano, avvicinandosi all’uomo ed appoggiando una mano sulle sbarre in acciaio «Non capisco.»
«Non pretendo che tu capisca. È solo… volevo che tu sapessi che non si tratta di scegliere tra dovere e…» arrossì leggermente. «E amore.
La mia stessa… anima è divisa in due. Perderò troppo in entrambi i casi.
Qualunque sia la mia decisione, Feliciano, questo è il mio ultimo giorno.»
 
L’italiano capì. Chiuse gli occhi, ed una lacrima scese a rigargli il volto.
Era finita. Per entrambi.
Per un attimo ebbe una visione di se stesso che si gettava a terra implorante, pregando Ludwig e cercando di convincerlo a non agire come intendeva. Scosse la testa: sarebbe stato inutile.
«Se ti liberassi» propose il tedesco esitante, aggrottando le sopracciglia «Almeno tu…» accennò un movimento verso le chiavi appese alla parete dietro di lui, ma Feliciano lo interruppe.
«Fermo» esclamò d’istinto, allungando la mano verso di lui. Ludwig lo guardò stupito, senza capire. «Devo chiederti un favore, Ludwig» disse, abbassando lo sguardo. «Devo chiederti di lasciarmi morire.»
«Lo vuoi davvero?»
«Ho già commesso un errore unendomi ai ribelli, in passato. Sono sempre stato un codardo. Questa volta…» disse, con voce rotta «Questa volta permettimi di seguirti davvero.»
«La richiesta di un folle» commentò il soldato, con un mezzo sorriso.
«Già» disse l’italiano, asciugandosi le lacrime. «Siamo entrambi folli.»
«Feliciano, io…» Ludwig esitò ancora una volta «Grazie. Di tutto.»
«Sono io che devo ringraziarti» rise l’altro. «Ti amo» aggiunse, dopo un attimo di esitazione.
Il tedesco sorrise. Era raro da parte sua ma, dopotutto, quella era un’occasione speciale.
«Anche io.» disse infine.
Dopo quelle parole carezzò la guancia dell’italiano attraverso le sbarre, sfiorandolo appena.
 
Lasciò la prigione e, giunto nelle sue stanze, tirò fuori la pistola che teneva nel cassetto della scrivania.
Non ebbe alcuna esitazione: l’infilò in bocca e premette il grilletto.
 
Quella stessa sera, il ribelle fu giustiziato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Ehilà.
Ieri Cloud Atlas e tutti i feels GerIta hanno scatenato la mia ispirazione, dunque ho iniziato questa cosa qui.
È un po’ diversa dal mio solito stile, più impersonale e con più dialoghi. Dialoghi che, tra l’altro, sono… esageratamente drammatici? Lol. Ho pensato ci stessero bene.
La fine sembra un po’ precipitosa, lo so. È che ho preferito frasi secche, prive di emozioni, per descrivere le due morti finali: i due si erano detti tutto quello che era necessario. Erano, quindi, sereni – quasi privi di emozioni – di fronte alla morte.
Il fatto che io abbia preferito riferire la storia che li ha condotti lì tramite “flashback” (rievocata insomma dalle parole di Italia) piuttosto che scrivere un’intera longfic… è semplicemente un segno della mia perenne pigrizia.  [coff coff]
Il titolo è una citazione dalla canzone “Wehrmacht” dei Sabaton, eccellente soundtrack per gli avvenimenti che precedono la scena qui narrata.
E niente, spero sia di vostro gradimento ; _ ;
  
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