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Autore: Jo Scrive    03/05/2013    1 recensioni
Mi è venuta in mente questa storia dopo aver letto Green, che adoro *OOO*
L'avrò letto sì e no 18273638281273271 volte :')
Comunque, eccovi la trama: Annabell Davis, giovane ragazza di Amburgo, viene catapultata in un mondo a lei tutto nuovo, dopo la morte dei genitori in un incidente stradale.
Si trasferisce a Londra a casa degli zii e dei tre cugini: Iris, Sophie, e Nathan.
Loro sono la tipica famiglia ricca di Londra, e Annabell non può certamente desiderare di meglio.
Ma tutto cambierà, la sua vita non sarà più la stessa...
Crea dipendenza, provare per credere
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Però, sto diventando brava.

Stavo facendo l’ennesimo portale intonando un La. Ormai non avevo nemmeno più bisogno di chiudere gli occhi o di non pensare a nulla. Non avevo più persino bisogno di cantare!

– Stai diventando davvero brava, piccola.

– Grazie, ci stavo pensando anche io.

– Allora adesso viene il passo successivo.

– Ossia? – inarcai un sopracciglio.                                                          

– Lanciarci dentro e andare a comprare il pane nel secolo scorso. – sorrise.

– Perché dovresti… ti vuoi imboscare? Furbacchione che non sei altro! – mi avvicinai a lui.

Rise. – Ma che razza di ragionamenti fai? Be’, ora che ci penso non sarebbe una cattiva idea. – sorrise malizioso cingendomi la vita con un braccio.

Gli misi le braccia intorno al collo. – Vedi?

Sorrise. – Comunque, servirebbe ad imparare a fare i portali per il ritorno.

– È vero, non li so fare.

Si avvicinò al mio orecchio. – E poi potremo imboscarci, non si sa mai. – mi bisbigliò.

– Alla fine ci vuoi arrivare però. – gli bisbigliai di rimando.

– Ovvio.

– Allora? – battei una volta le mani e le strofinai tra di loro, scostandomi dalla presa di Jason. – Quando partiamo?

– In teoria dovremmo avere dei vestiti adatti, ma… ci penseremo la prossima volta. Pronto quando lo sei tu, piccola.

– Allora andiamo. – dissi. – Sol. – lo dissi senza nemmeno cantare. Un portale verde, ambrato e rosso si materializzò davanti ai nostri occhi. 

Jason si avvicinò al portale e mi tese la mano. – Dopo di lei, milady.

Ridendo, presi la sua mano. – Ti aspetto di là.

 

Dentro il portale non era come fare i viaggi incontrollati. Era piacevole come fare un bagno nell’acido. Sembrava mi si stesse sciogliendo una spalla, con un dolore lancinante. Soffocai un grido conficcando gli incisivi nel labbro inferiore.

Mi auguro che Jason non senta nulla del genere.

Atterrai con la faccia nell’erba.

Ma è possibile atterrare in questo modo? Dove sono?

– Bell’atterraggio, piccola.

– Grazie. – dissi alzandomi. Sputai qualche filo d’erba. La spalla mi pulsava ancora per il dolore. La mossi un po’ ma il dolore non voleva lasciarmi, così lo ignorai.

– Tu non hai male da nessuna parte? – chiesi a Jason.

– Perché, tu si?

– Be’, abbastanza.

– Io no, da nessuna parte.

– Bene, sono felice per te. Dove siamo?

– Boh, non sono nemmeno sicuro di essere a Londra. – disse guardandosi intorno.

– Io ho solo visualizzato l’epoca…

– Tranquilla, piccola. Può capitare di fare cilecca qualche volta.

– Fantastico. Eppure, questo posto mi pare di averlo già visto…

– Be’, a volte i portali ti portano in posti familiari, o…

So dove siamo.

Mi venne un groppo alla gola. Mi misi una mano sulla bocca, sconvolta. Le gambe non reggevano più il mio peso.

Non piangere, Annie. Annabell Davis, non osare piangere ancora.

Caddi in ginocchio, mi coprii gli occhi.

– Che ti succede? – mi chiese Jason.

– Troppo… fa male.

– Cosa… dove siamo?

– Ad Amburgo. – riuscii a dire, il suono della mia voce era ovattato, chiuso tra le mie mani. Jason rimase in silenzio. Non mi toccò. Forse non voleva far finire questo pomeriggio con una ‘litigata’ come l’altra volta. Tirai su col naso.

Sei forte, Annabell. Sei forte.

Scoprii con grande soddisfazione che non avevo pianto nemmeno una lacrima. Feci un respiro profondo.

– Va tutto bene?

Annuii e riuscii persino a sorridergli. Mi alzai e lui mi tese la mano.

– Vogliamo tornare nel presente?

Feci di no con la testa. – È pur sempre la mia città natale.

– Non è vero. Tu sei nata a Londra.

– Ma va!

– È la verità.

Feci ancora di no con la testa, decisa.

Io sono nata ad Amburgo. Non a Londra.

– Andiamo a comprare il pane. – girai i tacchi e andai verso la piazza principale.

È così bello sapere dove vado! Uh, questa è la casa di Karol! Però, non pensavo fosse così antica…

Scossi la testa e sorrisi. Ero davvero felice. Volevo stare lì, non tornare nel presente.

– Annie, non allontanarti!

– Chissenefrega! – urlai, ma subito dopo mi bloccai.

Questa non è la voce di Jason. Non siamo finiti nel secolo scorso.

– Sono… io?

Di fronte a me che stava seduta nell’erba c’era una bambina. Chiaramente ero io. Avevo quattro anni, i capelli corti e riccioluti, gli occhi di un verde acceso come non mai e le lentiggini un po’ più chiare. Indossavo una salopette con sotto una magliettina bianca che ancora ricordavo. Adoravo vestirmi in quel modo. La bambina sorrideva.

– Sì, va bene papà! – urlò.

Papà…

E fu in quel momento che lo vidi. Darren Davis, raggiante come non mai, e allo stesso tempo preoccupato per la sua bambina. Sfoggiava una camicia azzurra con le maniche tirate sopra il gomito, un paio di pantaloni beige e i capelli scuri erano in disordine. Non ressi quella visione. Caddi ancora in ginocchio.

Non ancora, non piangere…

La piccola Annie mi venne vicino. – Perché sei triste? – mi chiese.

Alzai lo sguardo e non potei non sorridere. Stavo parlando con una me stessa di quattro anni!

– Cosa dice sempre papà? – le chiesi.

La bambina ci pensò un po’ su, poi annuì e sorridendo, imitando la voce di papà disse: – Non parlare con gli sconosciuti, bambina. Non va bene.

Scoppiai a ridere di gusto. Papà diceva davvero così, tutte le volte che parlavo con un bambino che non conoscevo.

– Tu sei una sconosciuta? – mi chiese di nuovo la piccola Annie. – Assomigli così tanto alla zia Julia!

Alla zia… Julia?

Ci pensai un attimo su. Mi si accese una lampadina.

Ecco perché Julia mi era così familiare quando l’ho vista! Quando quell’uomo ha cercato di ucciderla e credeva di esserci riuscito, Julia è tornata indietro nel tempo a casa mia e ci è rimasta, salvandosi la vita! Ecco perché io e Nathan non dovevamo nascere! Gli Zaffiri sono ancora convinti che Julia sia morta, invece è qua, nel passato!

– Grazie piccola Annie! – la baciai sulla testa. – Dì a papà e alla mamma che Annabell ha quasi sedici anni e sta bene! – detto questo la salutai e mi lanciai alla ricerca di Jason. Vidi la piccola Annabell che chiamava il papà e andava a dirgli quello che le avevo appena detto e in un lampo mi ricordai anche di quell’incontro, con una ragazza che consideravo bellissima, all’epoca.

Sono cresciuta con l’immagine di quella ragazza che diceva di chiamarsi Annabell come modello, come ispirazione e cosa scopro? Che ero io stessa!

– Jason! Jason! – lo chiamai.

– Piccola! – Jason sbucò da dietro un albero. – Dov’eri?

Lo abbracciai di slancio, entusiasta per quello che avevo appena scoperto.

– Jason, dobbiamo subito tornare indietro!

– Cosa… non ho ancora comprato il pane!

– Non sarebbe comunque del secolo scorso, siamo solo indietro nel tempo di dodici anni!

– Non dovevamo essere nel secolo scorso?

– In teoria sì! Non so cosa è andato storto, ma ho parlato con una me in minatura e…

– Annie! È proibito infierire nel passato!

– Sì ma… ho scoperto qualcosa di sensazionale! È molto importante, si tratta di Julia!

Jason si azzittì.

Ho capito perché fanno così! Conoscono solo la metà della storia!

– Jason, tu conosci solo la metà…

– Annie, basta.

– Ma perché?! Ho qualcosa che…

– ANNABELL, FINISCILA! – mi urlò contro lui.

– Che cos’hai? Perché mi urli addosso? Voglio solo dirvi delle cose!

– Sei così… testarda! Non capisci, non puoi sapere tutto! – disse, sempre urlando.

– Qui l’unico che non capisce sei tu. Fa. – un portale si materializzò davanti a noi. – Farai meglio ad entrare, non vorrei lasciarti qui. – dissi fredda.

Nel portale non feci minimamente caso al dolore lancinante alla spalla, ero troppo presa a pensare a Jason.

Perché mi ha trattata così?

Mi ritornò in mente la sua immagine che mi urlava addosso. Riuscii magicamente ad atterrare in piedi, con una mano sulla spalla. Lì trovai di fronte Dalton che parlava con Jason.

Probabilmente gli sta dicendo quanto sono idiota. Oh be’.

Presi il mio zaino e me lo misi su una spalla sola. – Chiamate se avete bisogno di sentire qualche stronzata da una ragazzina malata di mente, ma non dite che non vi avevo avvertito se gli Zaffiri mi tortureranno e cercheranno di strapparmele a forza. – gli dissi, poi rivolsi lo sguardo da un’altra parte. – Dopotutto, vivo nel loro covo malvagio. – accentuai le ultime due parole. – Arrivederci. – girai i tacchi e me ne andai. Evidentemente avevo fatto centro.

Tornai a casa, ma non vidi nessuno in sala, così andai in camera mia, ormai avevo capito come si arrivava. Presi il cellulare e accesi lo schermino.

Un messaggio non letto, tre chiamate perse.

Mi ricordai del messaggio di Jason.

Lo leggo, non lo leggo. Vedo prima chi mi ha chiamato. Karol. La chiamo.

Misi il telefono all’orecchio.

Tu… tu… tu…

– Annie! – eccola, la voce della mia migliore amica.

– Karo! Tutto bene?

– Certo bellissima, ma ora che ti sento meglio ancora! Tu? Cosa mi devi raccontare?

Ci pensai un attimo su. Dovevo raccontarle del bacio di Jason. A questo punto dei tanti baci di Jason. E anche del fatto che nonostante mi avesse giudicato la sua ragazza un attimo prima, di come mi avesse trattato male poco dopo.

– Be’– iniziai – sono successe delle cose…

 – Con Cullen? Racconta racconta! – me la immaginavo che si avvicinava a me con la sedia per sentire meglio e mi venne da ridere.

– Be’, a quanto ho capito sono la sua ragazza.

Silenzio dall’altra parte della cornetta, poi un urlo mi perforò il timpano.

– IIIIIIIIIIIIIIIH! NONCICREDONONCICREDONONCICREDO! ANNIE TUTTE A TE LE FORTUNE,  O DIO SONO COSI’ EMOZIONATA CREDO CHE MI METTERO’ A PIANGERE! –  urlò Karol alla cornetta.

– Ehi, credo che ti conviene piangere per un altro motivo. – sospirai.

– Cos’è successo? – tornò improvvisamente calma.

– Dopo nemmeno tre ore che stiamo insieme ufficialmente mi… – non potevo raccontargli la storia dei viaggi nel tempo, o almeno, non in quel momento – … cerco di dirgli delle cose ma lui mi urla contro.

Ancora silenzio dall’altra parte. – Che stronzo! – esclama poi.

Mi scappò da ridere. – Già. Ma domani mi farò spiegare, poco ma sicuro.

– Brava, imponiti! Fai vedere chi comanda!

– Comando io?

– Ovvio! – esclamò – Tu sei la colonna portante della relazione! Devi imporre il tuo volere!

– Certo, se no finisce come l’altra volta. – dissi con voce bassissima.

– Oh, cara ancora che ci pensi? Sorridi alla vita!

– Sì, ehm… lo farò!

– Brava ragazza. Oh, perdonami, mamma chiama per la cena, sai quanto odia aspettare…

– Amore vai, non c’è problema.

– Grazie, tienimi aggiornata eh?

– Sarà fatto, agente!

– Arrivederci allora. Sai cosa fare. – e attaccò. Lo faceva spesso, ama i film di spionaggio. Mi aveva persino costretto a vedere James Bond per più di sette volte in due giorni. Mi scappò un risolino.

Il messaggio. Devo leggerlo.

Aprii la schermata del messaggio di Jason. Presi un profondo respiro.

Da: FIGONE BELLISSIMO

Scusami, non potrò mai essere il Principe Azzurro che hai sempre sognato. Riguarda il brivido che ho avuto quando ti ho baciata nel parco. È una cosa complicata da spiegare, te la spiegherò quando sarà il momento adatto.

Inarcai un sopracciglio.

E questo?

Significava che non ero io la causa di quel brivido. O sì?

Fantastico, aggiungiamo una lineetta alla voce ‘misteri da risolvere’ e ‘odiamo le spiegazioni’.

Sbuffai e mi sdraiai sul letto. Non feci in tempo a rimanere un secondo in pace e tranquillità che la porta della mia camera si aprì di qualche centimetro. Sobbalzai e mi alzai.

– Cu… cugina… – disse una voce. Era una voce forzata, come se non riuscisse ad uscire del tutto.

Nathan.

– S… sei lì dentro? – Nathan entrò nella mia stanza. Camminava come uno storpio, come se non lo sapesse fare. Si trascinava le gambe.

– Cugino! – feci per abbracciarlo ma mi fermò.

– Cugina… io ti… ti voglio… bene.

– Anche io, cugino, tanto! Come mai mi eviti?

– Non… c’è tempo per… per le spiegazioni. – disse. – Io non so… non sono io. Ma… tornerò, te lo… prometto. – e detto questo uscì dalla mia stanza.

Nathan… non è Nathan? Bene, un’altra lineetta.

  
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