Grazie come sempre a
Bea per avermi sopportata e aver corretto il capitolo.
E grazie a tutte voi
di esserci.
Chapter 3. Living again
L’elegante
carrozza della famiglia Wimsey – uno dei tanti averi
che servivano ad ostentare una ricchezza non più
presente – tagliava in due parti perfettamente uguali la stretta e disagevole
stradina di campagna.
A disturbare la quiete del luogo, solo il rumore degli
zoccoli e delle ruote sul terreno. Di tanto in tanto, Emma udiva il cocchiere
incitare i cavalli e dar loro colpi secchi con le
briglie, anche se avvertiva il tutto solo in minima parte, troppo presa com’era
ad osservare il paesaggio circostante.
Si
era talmente isolata dal resto del mondo, che quasi non si accorse nemmeno
dell’arrivo a Hinton Bridge.
Da
piccola amava quel posto, suo padre la portava sempre, quando c’era bel tempo, ad osservare i pesci dall’alto e a dar loro da mangiare pane
raffermo.
Era
il loro posto segreto, neanche William era a conoscenza delle loro scampagnate
mattutine; se lo avesse saputo, lo avrebbe involontariamente riferito alla
madre che sarebbe andata su tutte le furie.
William
era un fratello premuroso e amorevole, ma se c’era un difetto da imputargli era
quello di non saper mantenere un segreto.
-A
cosa è dovuta questa improvvisa voglia di uscire dalla
tenuta?-
La
ragazza sussultò appena: di fronte a lei una giovane donna dai lunghi capelli
corvini raccolti in una stretta crocchia distese i lineamenti in un sorriso
cortese.
Moira
era bella e aggraziata, così bella che spesso Emma si
era domandata perché il destino fosse stato così ingiusto da farla nascere in
una famiglia di rango molto inferiore rispetto al loro.
Sollevò
di poco le spalle, sapendo che solo da lei o da William un comportamento così
poco elegante sarebbe stato tollerato, -Mi piace Kings
Worthy ed è da molto che non vengo qui.-
Decise di omettere la parte dell’ansia dovuta ai preparativi del matrimonio,
chiudersi di nuovo nel suo mutismo le parve più comodo.
Tuttavia,
nel momento in cui vi passò davanti, non riuscì ad
impedirsi di accarezzare con lo sguardo la chiesetta in mattoni proprio al di
fuori del paese.
St
Mary’s Church. Il luogo dove sarebbe ufficialmente
iniziata la sua vita da donna sposata.
-Com’è stato?- Si accorse di aver parlato solo
quando notò gli occhi limpidi e chiari di Moira su di sé.
Si
osservò le mani e giocò impacciata con l’ingombrante
anello di fidanzamento che le era stato donato. E che era stata costretta ad indossare.
-Voglio
dire… il matrimonio. Cosa hai provato quando sei arrivata
all’altare?-
Era
la prima volta che affrontava l’argomento così apertamente, era la prima volta
che parlava seriamente del matrimonio con qualcuno. Non aveva delle amiche con
cui confidarsi e a sua madre non aveva chiesto nulla perché sapeva già quale
sarebbe stata la risposta.
Devi solo sorridere e
star zitta fino a quando il prete non ti dirà di parlare, Emma.
Avrebbe
aggiunto anche un “Stai
dritta con la schiena”, tanto per non farsi mancare nessuna
raccomandazione.
Moira
esitò e ad Emma parve che le sue gote si colorassero
di un leggero rossore, -È stato…spaventoso.- Confessò, portandosi una mano alla
bocca con aria mortificata e colpevole.
Tutto
si era aspettata meno che quello. Spaventoso? Come
poteva essere stato spaventoso un matrimonio con l’uomo che amava?
La
sua espressione sbalordita spinse Moira a spiegarsi meglio, -Il cuore mi
batteva forte e le gambe mi tremavano così tanto che ho
temuto fino all’ultimo di cadere. Se fossi caduta… tua madre probabilmente mi
avrebbe ritenuta ancora più inadatta.- Come accortasi di
aver osato troppo, Moira si strinse nelle spalle a disagio e le riservò una
timida occhiata di scuse.
Non
si erano mai scambiate particolari confidenze, le
domande più intime che Emma le aveva rivolto riguardavano perlopiù il
nascituro, mai nulla sul suo rapporto con il fratello o la suocera.
Stranamente
non era offesa per quella considerazione, anzi, riusciva a capirla.
Non
era mai stata dell’opinione della madre, a lei non era mai importato molto dell’assenza
di un titolo nobiliare, le interessava solo la felicità di suo fratello. E
William era felice come non lo aveva mai visto da quando si era fidanzato con
lei.
Si
umettò le labbra nervosa e pose la domanda che da
diversi secondi aveva in testa, -Avevi paura?-
Nel
notare che la frase di poco prima non aveva comportato
alcuna reazione negativa da parte della ragazza, Moira si rilassò e riprese a
conversare, -Molta. È normale, Emma.-
Quelle
semplici parole, in qualche modo, riuscirono a farla sentire meglio, a quietare
tutto il tormento che per settimane aveva sentito crescere di giorno in giorno
dentro di sé.
Era
normale. Lei era normale, non era né la prima né
l’ultima ad essere spaventata. Non era sola.
Ed
era qualcosa di così ovvio che si sentì sciocca per
non averci pensato, per aver creduto di essere l’unica ad aver paura, l’unica povera
vittima infelice.
Moira
osò allungare una mano per poggiarla delicatamente sulla sua, un sorriso
materno e comprensivo sulle labbra, -Andrà tutto bene. Tuo padre era un uomo
saggio e ti voleva bene, sono sicura che non avrebbe mai
scelto superficialmente il tuo futuro sposo.-
Lo
sapeva. Una parte di lei lo aveva sempre saputo, ma
sentirselo dire da qualcun altro fu d’aiuto, fu una conferma.
Era
a conoscenza del fatto che Moira, così come suo fratello, non stimasse molto
Charles Wilkinson come persona, eppure aveva pronunciato quell’ultima frase con
una solennità tale che era impossibile non crederle.
La
carrozza si fermò di colpo ed il cocchiere le informò
del loro arrivo a Kings Worhty.
Prima
che Moira potesse scendere, aiutata dal lacchè, Emma le sussurrò un flebile e
veloce “Grazie” che le fece guadagnare un luminoso sorriso in
risposta.
Aveva
fatto bene a parlarne con lei, aveva fatto bene ad
uscire e andare in paese. Aveva bisogno di una giornata come quella, una giornata fuori dalla tenuta e lontana da sua madre.
*****
A
poche miglia da Kings Worhty,
nel parco di una delle tenute più sfarzose della contea, il clangore di due
spade incrociate tra loro spaventò e fece alzare in
volo diversi uccelli.
I
volti dei due contendenti erano entrambi coperti, così fu impossibile per uno
vedere il lieve ghigno soddisfatto sulle labbra dell’altro.
Di
egual corporatura e più o meno della medesima altezza,
i due si fronteggiavano e brandivano la propria arma con esperienza, grazia e
fluidità.
Ad un osservatore esterno potevano sembrare pari, in realtà
l’affanno per uno dei due iniziava a farsi sentire e ad essere un problema.
Scontrò
di nuovo la lama con quella del suo rivale, poi, intuendo la sua prossima
mossa, indietreggiò e la punta della spada nemica fendette l’aria a pochi
centimetri dal suo petto.
Masticò
tra i denti un’imprecazione, mentre si faceva nuovamente in avanti per
ripartire all’attacco, i capelli corvini al vento.
Bastò
un colpo più deciso dell’altro a disarmarlo poco dopo e, con la lama avversaria
puntata al cuore, fu costretto ad alzare le mani in segno di resa.
Sollevò
la protezione dal viso e sospirò, -Accidenti Ed!
Volevi ridurmi in
mille pezzi forse?- Si lamentò, aggrottando la fronte accigliato.
Il
suo amico aveva la tendenza a prendere un po’ troppo sul serio le cose… o forse
era lui che le prendeva troppo alla leggera.
L’altro
giovane si sfilò la maschera e i biondi capelli sudati gli ricaddero scompostamente
sulla fronte. Gli occhi chiari si strinsero appena quando la luce del sole li
investì, -Non è certo colpa mia se sei fuori
allenamento George.- La voce, perfettamente ferma e controllata nonostante la
fatica di poco prima, assunse un tono vagamente divertito.
George
Raymond Blackley in risposta
fece un altro profondo e teatrale respiro, -Se essere fuori allenamento
significa trascorrere le giornate a corteggiare la più deliziosa dama della
contea al posto di esercitarsi…. ebbene sì, confesso,
sono colpevole.- Poggiò la mano sul petto, un’espressione solenne sul volto.
Charles
Edwin Wilkinson si levò il guanto in pelle e alzò un
sopracciglio scettico, -Ancora Lady Crampton?-
-Sempre
Lady Crampton!- Replicò l’altro con fervore, liberandosi delle ingombranti
protezioni.
Il
giovane Wilkinson scosse la testa e curvò gli angoli delle labbra in un
sorrisetto indisponente, -Ah George, come ti sei ridotto…-
Lord
Blackley non si offese, tutt’altro, rise: era
abituato al modo di fare del suo amico, lo conosceva da quanto ormai, dieci
anni? Contando che loro ne avevano rispettivamente ventidue e ventiquattro era
una bella quantità di tempo.
-Credimi
Ed… ne vale davvero la pena per una donna del genere.-
George
era una delle poche persone ad essere a conoscenza
dell’avversione che Charles nutriva per il suo primo nome – datogli in onore
del suo omonimo nonno –, così, fin da quando erano piccoli, aveva iniziato a
chiamarlo “Ed” per via del suo secondo nome.
Wilkinson
non risparmiò una cinica occhiata all’amico, -Nessuna donna vale un tale
dispendio di energie e tempo, neanche la più graziosa e colta.-
Poteva
aspettarsi una risposta diversa da lui? Naturalmente no.
Per
Charles Wilkinson le donne non erano che un momentaneo
passatempo, niente a che vedere con la caccia o la scherma, attività assai più piacevoli
e appassionanti.
George
non ricordava di averlo mai visto prestare attenzioni alla stessa dama per più
di qualche giorno, il suo interesse era sempre stato passeggero e la noia e
l’indifferenza sopraggiungevano prima ancora che la povera malcapitata potesse
rendersene conto.
Wilkinson
sapeva come farsi notare, come attrarre su di sé sguardi adoranti di dame
sposate da tempo e di fanciulle ancora nubili, e il
suo successo, se possibile, non faceva che gonfiare il suo già smisurato ego.
Quando
si annoiava, quando non vi era altro svago alle feste, poteva forse esserci
distrazione più divertente di assecondare civettuole fanciulle?
Non
gli importava nulla del pensiero degli altri, tantomeno delle famiglie, dei
mariti o fidanzati delle donne con cui si intratteneva
a chiacchierare, e non si era mai comunque spinto oltre ad occhiate e sorrisini
maliziosi. Non intendeva affatto essere coinvolto in
sciocchi duelli per un diversivo, non ne valeva la pena.
Con
un cenno deciso del mento, Charles diede a Bolton e Crane – suoi fedeli valletti rimasti fino ad allora ritti e in silenzio ad assistere – l’ordine di
raccogliere e riporre gli oggetti utilizzati.
Lord
Blackley sogghignò e gli diede un amichevole colpetto
sulla spalla, -Eh vecchio mio, per te è facile
parlare. Non tutti hanno la fortuna di avere come promessa sposa una fanciulla tanto graziosa.-
Gli
parve di vedere i lineamenti dell’amico tendersi in una smorfia a stento
accennata, ma non ne fu del tutto sicuro. Spesso Charles era un mistero anche
per lui.
-Graziosa?-
Domandò senza una particolare intonazione nella voce, -Una sgraziata ragazzina
che legge romanzi d’amore e conversa con gli animali?- Sbatté le palpebre e
alzò lentamente un sopracciglio, -Rispetto il volere dei miei genitori,
naturalmente, ma non posso negare di aver confidato in una decisione più
giudiziosa da parte loro.- Iniziò a camminare a passo lento verso la sua
tenuta, lo sguardo puntato sull’edificio imponente e visibile tra i rami degli
alberi.
Blackley lo seguì in silenzio, meditando attentamente
sulle sue parole.
Aveva
presenziato alla festa di fidanzamento dell’amico ed
era stato ben felice di congratularsi con lui e con la sua futura sposa; tuttavia,
vi erano dei particolari che gli sfuggivano, dei pezzi che non riusciva a
collegare.
Perché
Non
pensò neppure per un attimo che fosse interessato alla ragazza o quantomeno che
la stimasse; a parte qualche sporadico incontro da bambini, i due non si erano
più parlati in età adulta e il suo amico aveva sempre preferito avvicinare dame
più mature e acute, di una bellezza più evidente e sfacciata.
Avrebbe
sicuramente accettato qualsiasi altra scelta dei suoi genitori, dal momento che non vi era una nobildonna che lo lasciasse
meno indifferente dell’altra, ma avrebbe sposato una dama che avrebbe ritenuto
alla sua altezza, degna di lui.
Dunque perché aveva detto di sì, se non pensava che
Lady Emma lo fosse?
Charles
Wilkinson non era tipo da prendere decisioni con leggerezza, rifletteva sempre
molto bene prima di agire.
In
ogni caso George non avrebbe mai fatto domande in proposito, sapeva che non sarebbe
servito a nulla. Se Charles voleva che gli altri venissero a
conoscenza di qualcosa, lo diceva semplicemente. Non rispondeva mai alle
domande personali che gli venivano rivolte, non
sinceramente almeno.
Congiunse
le mani dietro la schiena e piegò la bocca con disappunto, -Cielo Ed, parliamo
di… quanti anni fa? Otto? Non credi che dovresti rivalutare la tua opinione su
di lei?-
Lord
Blackley conosceva molto poco
Emma, eppure rammentava bene il giorno in cui, insieme al suo amico, l’aveva
vista chiedere ad un passerotto come stesse. Ricordava di averla trovata buffa
e di aver riso per un motivo completamente diverso da quello di Charles, che
invece non aveva perso l’occasione per schernirla.
Il
giovane Wilkinson corrugò impercettibilmente la fronte, -A quanto ho potuto constatare non è cambiata di molto.-
Non
l’aveva più vista – grazie al cielo – conversare con esseri viventi incapaci di
comprenderla e rispondere, ma i suoi assurdi ideali sul matrimonio non l’avevano resa meno sciocca ai suoi occhi.
-Sei
troppo severo con la tua fidanzata.- Affermò George in tono leggero, -A
proposito, a che punto sono i preparativi del matrimonio?-
Trattenne
una risata quando Charles lo guardò di sbieco, a metà fra il divertito e l’irritato, -Sai bene che non mi curo di queste
sciocchezze.- Un domestico si inchinò reverenziale e Wilkinson ricambiò il
saluto con un piccolo e distratto cenno della testa, -Penseranno a tutto la mia
fidanzata- a George non sfuggì il
sarcasmo dell’amico, -Lady Wimsey e, naturalmente,
mia madre. È una fortuna che questi preparativi tengano le sue giornate
abbastanza impegnate da non farle prendere in considerazione l’idea di
coinvolgermi.-
Lady
Wilkinson era indubbiamente una donna piena di energie e spirito d’iniziativa:
quando c’era un evento da organizzare non le piaceva avere gente intorno che la
intralciasse o rallentasse, motivo per cui non aveva
interpellato il figlio per nessuna decisione o progetto. Non che quest’ultimo
smaniasse dalla voglia di sapere qualcosa o di contribuire, d’altronde.
George
aveva modo di incontrare lei e Lord Winchester piuttosto frequentemente;
trascorreva mattinate intere a tirare di scherma nella tenuta dell’amico e,
dopo lo sforzo fisico, Charles faceva preparare dai domestici un piccolo
banchetto per rifocillarsi e chiacchierare a quattr’occhi con lui.
-Ti
limiterai a presentarti in chiesa in altre parole…- Commentò scuotendo il capo
rassegnato.
-Non
vedo cos’altro possa essere di mia competenza.-
Ribatté
l’altro freddamente, lo sguardo rivolto altrove e le labbra contratte in una
perfetta linea dritta.
Era
evidente il suo intento di concludere lì quel tipo di
conversazione.
Continuare
ad insistere sarebbe servito solo a fargli ottenere
risposte meno partecipi e più seccate, così Lord Blackley
decise saggiamente di cambiare argomento. Azzardò qualche pronostico sulla
battuta di caccia che ci sarebbe stata il mattino
seguente, mentre dentro di sé si domandava nuovamente che cosa lo avesse spinto
ad accettare di chiedere la giovane Wimsey in sposa.
******
-Sono
meravigliosi.-
Emma
osservò la mano di Moira muoversi con una punta di incertezza
sui tessuti esposti e sorrise istintivamente.
-Dovresti
comprarli.- Le disse d’impulso, facendo illuminare di riflesso il volto della
negoziante che subito si premurò di ricordare loro la qualità del prodotto
importato direttamente da Londra.
La
cognata scosse piano la testa e allontanò le dita dalla soffice stoffa tentatrice,
-Non posso.- Piegò gli angoli della graziosa bocca all’ingiù.
Emma
non ebbe bisogno di chiedere il motivo, lo conosceva bene. Da mesi ormai
dovevano stare attenti a qualsiasi spesa, suo fratello William restava alzato
notti intere a studiare carte a lei incomprensibili per cercare di far quadrare
i conti della tenuta.
Presto,
però, grazie al suo matrimonio non avrebbero più dovuto pensare ai loro debiti,
poiché Charles Wilkinson, in quanto suo marito, si
sarebbe preoccupato di saldarli. Dopotutto era per quello che lei aveva
acconsentito a sposarsi.
-Sì
che puoi. Dovrai pensare anche agli abiti del bambino.- La giovane alzò le
delicate sopracciglia e indicò con il mento il ventre leggermente rigonfio
della sua accompagnatrice.
Lady
Moira Wimsey fece istintivamente scivolare la mano
sinistra, ornata dalla fede nuziale, sulla pancia, -Lo so,
ma...-
-Niente
ma.- La interruppe bonariamente Emma, prima di
mostrare il primo spontaneo sorriso della giornata, -Le prendiamo
tutte.- Annunciò con entusiasmo e in tono deciso.
-Emma, no, Santo Cielo, tua madre…-
Moira stava via via perdendo colore mentre cercava, a
voce bassa e tremolante, di convincerla a cambiare idea.
-Mia
madre sarebbe d’accordo. Suo nipote sarà il bambino meglio
vestito della contea.- Di quello ne era convinta: sua madre non avrebbe mai
permesso che un componente della sua famiglia non si vestisse in modo più che degno
del loro nome.
La
negoziante, una bassa donnetta dai crespi capelli castani raccolti in una
severa crocchia, fu ben felice di assecondarla e farle i complimenti per
l’ottima scelta ed Emma ne fu più che mai appagata.
Se
poteva fare qualcosa per Moira, suo fratello e il suo nipotino con i soldi di
Charles Wilkinson lo avrebbe fatto. Non li avrebbe mai
voluti per sé, non sapeva che farsene, ma alla sua famiglia non sarebbe più
mancato nulla. Il suo sacrificio doveva pur valere qualcosa, no?
Si
mise d’accordo con la donna per la consegna, poi prese Moira
a braccetto ed uscirono insieme dal negozio.
-Non
dovevi farlo.- Quello della cognata fu un sussurro a malapena udibile, tanto
che Emma per un attimo dubitò perfino di averla sentita parlare.
-Sì
che dovevo. Sei della famiglia Moira, così come lo sarà il mio nipotino.- Piegò
la bocca in un sorriso affettuoso, mentre con la mano libera si sistemava il
cappellino.
Gli
occhi di Moira si velarono appena di lacrime, -Grazie.-
Un
po’ a disagio per l’intensità del suo sguardo, Emma si umettò le labbra e tornò
a guardare la strada davanti sé.
Una
giovane donna dai lunghi capelli biondi fissati in un’acconciatura semplice ma
elegante le restituì lo sguardo e sorrise.
Alcuni
riccioli ribelli le ricadevano sulle guance arrossate che tanto ricordavano
quelle di una bambola di porcellana, le pupille circondate da iridi di un verde
intenso e le labbra piene e delicate.
Si
avvicinò a loro, la sua giovane dama di compagnia al fianco.
-Lady
Moira, che piacere incontrarvi qui.- Fece una riverenza perfetta e aggraziata,
che Moira ricambiò timidamente e lievemente in soggezione, -Lady Crampton, vi
trovo molto bene.-
Come
volevano le norme comportamentali, la prima a salutare doveva essere colei che
apparteneva al rango più alto.
La
nuova arrivata spostò la sua attenzione su di lei e si inchinò
nuovamente, -Lady Emma.-
-Lady
Crampton.- Emma ripeté il gesto e si sforzò di sorridere.
Lady
Eveline Deirdre Crampton di Greyton era la figlia del Duca di Greyton, la sua
era una delle famiglie più antiche e ricche del Paese. Ciononostante non aveva
mai attirato particolarmente la sua simpatia, benché a lei non avesse fatto
alcun torto in particolare.
Era
estremamente scaltra e adulatrice, il tipo di donna
che sapeva cosa voleva e come ottenerla. Il genere di persona che scatenava in
lei una certa insofferenza.
Si
scambiarono i consueti convenevoli; Lady Eveline si affrettò a chiedere notizie
sullo stato di salute della sua famiglia e sul bambino in arrivo, mentre Moira
pregava gentilmente Eveline di portare i suoi saluti a Lord e Lady Greyton.
Dopo
averle assicurato che lo avrebbe sicuramente fatto, Lady Crampton spostò lo
sguardo su di lei e i suoi occhi scintillarono in un modo che ad Emma non piacque.
-Ma
ditemi cara… a quando le nozze? Avete già stabilito una data?-
Era
pronta ad una domanda del genere, aveva ripetuto la risposta
nella sua testa diverse volte negli ultimi giorni.
Cercò
di mantenere intatto il sorriso, -Non ancora. Ritengo che sia presto, dopotutto
il fidanzamento è stato annunciato solo qualche settimana fa.-
Lady
Eveline annuì, anche se non parve troppo soddisfatta della replica, -Capisco.
Ma avrete scelto almeno il mese immagino…-
Emma
in quel momento rimpianse la mancanza della madre; averla lì con sé l’avrebbe
tolta da quell’impiccio, poiché avrebbe
inevitabilmente preso lei le redini della conversazione.
-Naturalmente.
Pensavamo di sposarci in autunno.- L’uso del plurale suonò strano persino alle
proprie orecchie. Lei e Charles non si erano più parlati da quel giorno in
giardino, tanto meno per decidere di sposarsi in autunno.
-In
autunno!- Lady Crampton si mostrò piuttosto sorpresa, -Che periodo insolito, se
mi è concesso dirlo, per sposarsi.-
Emma
pregò con tutta se stessa che non le domandasse il motivo di tale scelta, dal momento che non avrebbe proprio saputo cosa rispondere.
Si
sarebbero sposati presto per risolvere il prima
possibile i problemi economici della sua famiglia, ma non era di certo una cosa
che si poteva raccontare ad altri.
Quasi
avesse intuito i suoi pensieri, Eveline sorrise nuovamente e inclinò di poco la
testa, -Spererò per voi che il tempo sia clemente.-
Si
chiese se avesse capito qualcosa, quell’espressione compiaciuta la rendeva
inquieta.
-Grazie,
siete molto gentile.-
Era
già pronta al congedo, quando Lady Crampton sembrò ricordarsi improvvisamente
di una cosa, -Ci sarete al ballo a Shaftesbury
questa domenica, non è vero?-
Moira
confermò con un cenno del capo.
-Ne
sono felice, immagino che ci vedremo lì. Sono ansiosa di incontrarvi con il
vostro futuro sposo Lady Emma. Purtroppo, come sapete, ero in città quando sono
state annunciate le nozze.- Eveline si portò una mano alla bocca dispiaciuta,
la fronte leggermente aggrottata.
Alla
tenuta erano arrivati numerosi biglietti di congratulazioni da parte di chi non
aveva potuto farlo di persona e fra quelli, scritto con grafia ordinata e
tondeggiante, vi era quello di Lady Eveline Crampton.
-Sarà
un piacere rincontrarvi.- S’inchinò, felice che la conversazione fosse finita e
che non fosse più costretta a sorridere. Le dolevano i muscoli delle guance.
Mentre
ripercorreva la strada con Moira per tornare alla carrozza, pensò che la sua
festa di fidanzamento, in fondo, non era stata nulla in confronto a quello che l’aspettava domenica al ballo.
E
il pensiero di rivedere il suo fidanzato, con quell’aria arrogante, quegli
occhi glaciali e quel modo di fare irritante, la rendeva inevitabilmente
nervosa.
*Note dell’autrice*
Beh
dai, stavolta non ho tardato così tanto, no?
Sto
cercando di autoconvincermi, nel caso non si fosse
capito.
Ormai
scusarsi per il ritardo mi sembra superfluo, lo sapete che mi dispiace davvero
tanto.
Così
come mi dispiace che questo capitolo alla fine sia solo un altro di passaggio.
Siamo ancora all’inizio della storia, mi piace sviluppare bene e per gradi le
cose.
Nel
prossimo ci sarà il ballo, questo è sicuro, dal momento che
inizierà con quello.
Che
dire di questo? Vengono introdotti due nuovi
personaggi: George e Eveline, che ne pensate? Avrete capito (credo) che il
primo è cotto della seconda, che invece sembra non
considerarlo nemmeno di striscio nonostante il suo corteggiamento.
Qui
c’è un primo Charles (più George a dire il vero, non ho voluto svelare troppo)
POV, che vi fa intuire a grandi linee cosa ne pensa di Emma e che ha accettato
di sposarla per un motivo che non sappiamo.
Non
ho nulla di pronto del prossimo capitolo, ma per farmi perdonare vi dico, come
anticipazione, che Emma si farà una chiacchierata con George. E ovviamente
ballerà con il fidanzato.
Grazie
davvero di esserci, nonostante i tempi lunghi di attesa, nonostante i ritardi,
nonostante i capitoli (forse, spero di no) deludenti.
Ho
adorato i vostri commenti e mi hanno aiutata
tantissimo ad andare avanti a scrivere, non sapete che ansia è stata per me
pubblicare dopo così tanto tempo.
Risponderò
poi man mano a tutte le recensioni (con la mia consueta lentezza, ma voglio
ringraziarvi una ad una), per ora mi limito a
ringraziarvi tutte – ancora e comunque – anche qui, anche solo per aver letto.
Un
bacione grandissimo!
Bec