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Autore: Giuli_Sunlight    04/05/2013    1 recensioni
Una cosa ho appreso immediatamente: Capitol City ha diretto i giochi, ci ha fatto diventare le pedine dei suoi piani, pedine di questa terribile giostra che ha seminato morte e distruzione...
Siamo stati i suoi giocattoli, marionette con un destino già programmato che nessuna Katniss Everdeen o Peeta Mellark sarebbe stato capace di cambiare.
Siamo tutti vittime di Capitol City, anche oggi, perché è impossibile dimenticare, pensare a un mondo di pace e serenità senza ricordare coloro che non potranno mai farne parte...
...E anche il suo futuro era già stato scritto sin dalla sua mietitura
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Siamo tutti vittime di Capitol City


Un urlo strozzato, carico di dolore, si leva dalla stanza accanto alla mia.
Non so che ore siano, ma sono abbastanza sicuro che era appena riuscita ad addormentarsi.
Ha bisogno di me anche questa notte e non posso permettermi di lasciarla sola, almeno io non voglio abbandonarla.
Non faccio a tempo a scendere dal letto che un altro grido, più forte e acuto rispetto al primo, mi fa capire che ancora una volta è Lui il soggetto suoi incubi. Dalle sue labbra sta uscendo interrottamente il suo nome: il nome di un ragazzo bello, forte, che tutti conoscevano e che volevano incontrare; il nome del ragazzo che, con la pazienza e l’amore che diceva di provare, era riuscito a riportarla in vita, facendola sentire protetta; il nome dello stesso uomo che un giorno ha deciso di lasciarla per sempre.
Appena riesco a trovare una maglietta pulita, esco dalla mia camera, percorro velocemente quei pochi metri che separano la mia porta dalla sua e la apro, trovandola, come tutte le notti, seduta sul suo letto con le mani portate alle orecchie.
Si è persa di nuovo e quel suo sguardo vuoto, fisso in un punto indefinito della stanza, mi fanno trovare la forza per reagire, per ricondurla da me.
Il mio abbraccio la risveglia rapidamente portandola alla realtà e, riconoscendomi, il suo viso inizia a rigarsi con le stesse lacrime di dolore che compaiono tutte le notti quando mi trova al suo fianco.
I suoi occhi verdi, dello stesso colore del mare del nostro distretto, chiedono conforto, pace, perdono e soprattutto pietà, come se stessero implorando gli incubi di abbandonarla.
Vorrei consolarla dicendole che era solo un sogno, che ormai è tutto finito, che non ha senso piangere perché ora sono arrivato io a proteggerla, assicurandomi che non le accada nulla di male, ma so che non posso... Non potrò mai dirle questo!
I suoi incubi non sono sogni frutto della fantasia, che con un sorriso rassicurante o un piccolo bacio sembrano dimenticati, sono ricordi. I ricordi di ciò che è stata costretta a vivere, di ciò che è stata costretta fare... I ricordi degli Hunger Games e di quello che hanno causato.
Così mi limito ad accarezzarla e inizio a cantarle una canzone che parla di un mondo migliore, senza sofferenza. Una canzone che ho sentito solo una volta, durante una replica di quei crudeli giochi, e che ho subito memorizzato per il significato tanto lontano dalla realtà di quel posto. La canzone che Katniss Everdeen, vincitrice dei 74° Hunger Games, cantò al tributo femmina del distretto 11.
Katniss Everdeen. La ragazza in fiamme.
Solo pensandola mi viene una fitta allo stomaco.
Katniss Everdeen, la Ghiandaia Imitatrice simbolo della rivolta... per quanto tempo sono stato convinto che era lei la causa del mio dolore... per quanto tempo l’ho odiata cercando la giusta vendetta per quello che pensavo mi avesse fatto, che pensavo ci avesse fatto.
Solo dopo ho capito che lei non ha responsabilità per questo. Che non è colpa sua se lui aveva deciso di partite, lasciandoci la sola illusione di un ritorno in un mondo migliore.
 
Con il suo respiro profondo ora è lei a riportarmi alla realtà e, notando il sorriso dipinto sulle sue labbra, mi rendo conto che è ora di tornare nella mia stanza.
Mentre sto per aprire la porta mi volto per guardarla ancora un attimo, per ammirare la sua bellezza quando la serenità le tinge il volto: sembra ritornata bambina con quelle gote leggermente rosee che la rendono ingenua e spensierata.
Ma la sua felicità non durerà a lungo. So che appena me ne andrò la sua mente ritornerà quel teatro degli orrori che da troppo tempo non le permettono di vivere.
Non vorrei lasciarla sola ma lei vuole così. Non farei altro che ricordarle lui, le loro nottate insonni insieme e le lotte per sfuggire al loro triste passato.
Abbasso lo sguardo per verificare che sia tutto in ordine quando scorgo una piccola busta di carta vicino al suo letto.
Chinandomi per raccoglierla, noto subito l’elegante grafia e li modo ordinato e attento con cui è stata scritta, capendo sin dalle prime righe chi è il mittente.
Non sono sicuro di volerla leggere, non sono abbastanza forte per riuscire a nascondere il dolore che sicuramente queste parole mi provocheranno, e lei ha bisogno delle mie braccia pronte per consolarla, non di altre lacrime che inevitabilmente le si ripercuoterebbero contro. Lei ha bisogno del mio affetto, della mia allegria, della mia voglia di vivere perché gli  Hunger Games fanno questo: ti frammentano l’anima.
Con tutta la calma che mi è rimasta in corpo, mi avvicino silenziosamente al comodino posto dalla parte vuota del letto matrimoniale. Mentre mi muovo non posso non ricordare l’ostinazione con cui aveva insistito per comprare ugualmente un letto doppio:
-Quando soffro lui torna da me!- continuava a gridare e nonostante fossi ancora piccolo, mi ricordo bene la sua felicità quando l’accontentarono.
-Forse per questo che quando dorme si agita sempre, per farlo tornare al suo fianco- avevo pensato quel giorno, ma con il passare degli anni ho capito che il suo dolore non dipendeva dalla sua volontà, ma da qualcosa di ben più profondo e incontrollato: il suo cuore.
 
Mi ci vuole qualche secondo per risvegliarmi dai miei pensieri e per capire cosa ho di fronte, o meglio, chi ho di fronte!
Gli occhi di un ragazzo poco più grande di me mi stanno fissando con un’aria talmente intensa e serena che per un momento mi dimentico tutto ciò che sono stati costretti a vedere.
Occhi di un ragazzo slanciato, con capelli ramati che brillano alla luce di questo stesso sole che molto spesso mi capita di osservare qui nel mio distretto, nelnostro distretto.
Occhi di un giovane forte e determinato che con un solo gesto poteva fare cadere ai suoi piedi la folla esultante della capitale, ma anche gli occhi di un ragazzo dolce e premuroso capace di amare e proteggere. Sono di un verde così vivace che è impossibile da descrivere, lo stesso colore di quelli della ragazza sorridente che, in questa foto, è cullata dalle sue calde e rassicuranti braccia.
Non l’avevo mai visto prima d’ora e solo adesso mi rendo davvero conto della somiglianza che c’è tra noi: gli stessi capelli, gli stessi lineamenti, lo stesso portamento... ma quali erano i suoi ideali?  Quale era la sua ragione di vita? Perché ha deciso di andarsene?
Sono domande che mi hanno sempre tormentato da quando ho conosciuto la sua storia, domande di cui non ho mai avuto risposta.
Apro la busta che sto stringendo ancora tra le mani e inizio a leggere, sperando di trovare almeno un chiarimento, un qualcosa che mi possa ricondurre a lui.
 
“ Cara Annie,
sto scrivendo questa lettera a te che sei, e sarai sempre, la mia sola ancora di salvezza e l’unica luce che illumina i miei giorni più bui. A te che sei l’unica persona che mi ha accettato e amato per quello che sono, un semplice e fragile pescatore del tuo distretto, e non per il ruolo da macchina da guerra che la capitale mi ha costretto a recitare, una parte che non è piaciuta a nessuno dei due.
Per questo motivo ora ho deciso di partire.
Perché nessuno si merita di vivere quello che purtroppo abbiamo vissuto noi due, sperando ardentemente in una vittoria che, invece di renderci di nuovo liberi e vivi, ci ha ucciso dentro, nell’anima, ci ha fatto sprofondare in un mare senza fine che ci ha privato da ogni singolo momento di gioia.
Annie sto partendo per te, perché tu possa rinascere in un mondo nuovo, in un mondo migliore; lo faccio per nostro figlio, perché lui possa crescere senza il pericolo di un nuovo Hunger Games, con il costante terrore di una morte imminente; e lo faccio anche per me Annie, per liberarmi dal senso di colpa che mi infligge ogni volta che sono costretto a tradirti e per riuscire a rendere felice la mia nuova famiglia, la mia sola e splendida ragione di vita!
Annie, so che questo viaggio sarà difficile e pericoloso e so anche che Capitol City sarà disposta a tutto pur di vincere, pur di separarci, ma ricordati che, vivo o morto, io non ti abbandonerò mai perché, lo giuro, il nostro amore è infinito.”
 
Mi ritrovo seduto sul materasso con la lettera in mano.
Saranno passati circa 16 anni da quando l’aveva scritta e ne passeranno altrettanti prima che io comprenda a pieno il suo significato.
Ma una cosa ho appreso immediatamente: Capitol City ha diretto i giochi, ci ha fatto diventare le pedine dei suoi piani, pedine di questa terribile giostra che ha seminato morte e distruzione...
Siamo stati i suoi giocattoli, marionette con un destino già programmato che nessuna Katniss Everdeen o Peeta Mellark sarebbe stato capace di cambiare.
Siamo tutti vittime di Capitol City, anche oggi, perché è impossibile dimenticare, pensare a un mondo di pace e serenità senza ricordare coloro che non potranno mai farne parte.
Il dolore permane, si incide nell’anima, e niente sarà in grado di cancellarlo.
E anche il suo futuro era già stato scritto sin dalla sua mietitura. Grazie alla sua bellezza sarebbe diventato un simbolo per molti, forse per troppi, un pericolo da eliminare come gli altri vincitori della sua stessa “specie”.
Mi sarebbe davvero piaciuto conoscerlo, sentire la sua voce, imparare da lui le tecniche della pesca tramandate nel distretto, ascoltare i suoi consigli e metterli in pratica, fare a gara sulla spiaggia e andare a nuotare insieme... Ma Capitol City non me lo ha permesso. Come un’onda ha spazzato via tutti i miei sogni e anche i suoi.
 
Ora non ha più senso fingere che vada tutto bene... che la mia vita, la nostra vita, possa, un domani, diventare davvero serena e felice. Ci hanno portato via la persona più importante per noi, la barca solida sulla quale potevamo navigare tranquillamente su questo nuovo mare.
Adesso ci troviamo su una zattera in balia del vento e delle tempeste, dove niente e nessuno potrà mai salvarci.
Lacrime di dolore stanno scorrendo sul mio viso.
Lacrime di rassegnazione, di solitudine... le stesse lacrime di mia madre, quelle che non ho mai avuto il coraggio di versare perché non volevo ammettere il senso di vuoto che mi ha afflitto in questi anni, perché non volevo accettare che anche io sono fragile e che ho bisogno più che mai di qualcuno che mi consoli.
 
Due braccia minute mi cingono la via portandomi vicino a se e mi iniziano a cullare dolcemente come quando ero un bambino.
Sa perfettamente quello che provo ed è qui per aiutarmi perché noi non siamo soli, abbiamo bisogno l’uno dell’altra, ma l’ho capito solo ora.
Dopo un po di tempo, quando la sofferenza ha deciso di darci una tregua, la sua voce calda e gentile riecheggia nella stanza, prendendomi alla sprovvista:
-Finnick, tesoro, è tardi. Vai a dormire.-
Quel nome mi fa sussultare.
E’ il mio nome.
Ma è anche il nome di un ragazzo che ha amato e che non si è mai dato per vinto.
Il nome della leggenda della capitale.
Il nome di un uomo che con il suo coraggio ha fatto la storia di Panem.
Il nome di mio padre:
Finnick Odair. 



Note d'autore
Ringrazio davvero chi ha letto questa storia e mi scuso per la lunghezza, ma io adoro questi personaggi e volevo, in qualche modo, render loro un giusto omaggio:) (sperando di esserci riuscita xD).
Grazie ancora
Giuli ;D
  
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