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Autore: The Cactus Incident    04/05/2013    3 recensioni
Era stato solo ieri? Sembrava fosse successo un secondo prima e dieci anni prima contemporaneamente. Era tutto così confuso, eppure dannatamente reale e doloroso….
Sentii il resto cadere e mi chinai per recuperare bottiglietta e soldi.
Stavo bevendo quando qualcuno mi passò davanti.
Un bambino, piccolino e alquanto gracile, forse una decina d’anni non dimostrati per via della statura.
Aveva un quarto di dollaro fra le mani e provava a inserirlo nella macchinetta, ma non arrivava alla fessura.
Lo guardai un po’ fare qualche tentativo poi si voltò verso di me e mi scrutò con i suoi grandi occhi nocciola.
“Invece di guardare quanto è divertente un bambino di dieci anni che non arriva nemmeno a usare da solo un distributore, perché non mi dai una mano?”
Loquace il piccoletto.
Primo incontro [STEREK]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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teen wolf ossss

“Aspetta qui, non voglio che anche tu debba vedere” mi aveva detto Laura, asciutta e pratica come al solito e io ero rimasto in quel dannatissimo corridoio sterile che puzzava di disinfettante fino allo schifo, senza riuscire ad alleviare il tanfo di cenere e carne bruciata che ormai si era impresso nel mio naso.

Tremavo, ma non era il freddo.
Era la rabbia, il dolore, l’odio, la cenere che mi sentivo addosso, che mi soffocavano.
Avevo sentito un medico dire che ero sotto shock, ma era l’unico modo che avevo per non esplodere. Perché una volta saltati in aria è troppo difficile mettere insieme i pezzi.
E se a esplodere è un mutaforma adolescente in piena crisi isterica in un ospedale, sono ben poche le cose che si possono recuperare, prime fra tutte, la libertà.
Mi sono sempre chiesto cosa succederebbe se i mutaforma venissero allo scoperto. Sono abbastanza sicuro che i piani altissimi siano a conoscenza di noi, ma non si sono mai preoccupati di noi più di tanto…. e fra l’altro ci sono anche gli Argent a tenerci a bada, no?
Mi ruppi tre dita per la rabbia. In quelle ore che avevano separato la serata del giorno prima alla mattinata in cui mi trovavo, mi era già capitato tre volte.
Soprappensiero continuavo a far crocchiare le dita e quando qualche pensiero di troppo, tipo gli Argent, tipo Kate Argent, si annidava nella mia mente, esageravo con la stretta.
Tanto, tempo qualche minuto e sarei guarito. L’importante era non farsi vedere dai medici.
Kate Argent. Ogni volta che ci pensavo mi venivano le lacrime agli occhi.
Ero stato uno stupido, un completo idiota. Mi ero fatto fregare da lei e adesso la mia famiglia non esisteva più perché sono uno stupido idiota pieno di ormoni.
Avrei dovuto creparci anche io in quell’incendio.
Vedere la propria casa che brucia è già di per sé una bella botta. Tutta la tua infanzia, tutti i tuoi ricordi, tutta la tua vita fino a quel momento che è legata a quel posto e tu lo vedi bruciare, come se non fosse niente di più di un ceppo nel camino.
Ma il fatto che suddetto ceppo contiene l’85 % della tua famiglia e che tu li hai sentiti ululare e gridare senza poter fare niente, è qualcosa di più del dolore, è la tua anima che cade in tanti minuscoli pezzi, è il vaso di cristallo della nonna che irrimediabilmente qualche nipote prima o poi manderà in frantumi.
Io sono quel vaso, in pezzi, in tanti cocci scomposti che sono schizzati in ogni angolo della casa e che ormai sembrano tutti uguali.
Sento le dita scricchiolare e vedo le ossa tornare al posto giusto con dei crocchi pesanti.
C’è una vecchia signora seduta qualche sedia più a sinistra rispetto a dove sono io, sulla fila opposta, ma non sembra aver notato niente.
E’ arrivata alle sette di mattina, io sono qui dalle sei del pomeriggio del giorno prima.
Un’infermiera dai capelli ricci e neri e la carnagione olivastra, una bella donna, ha provato a farmi mangiare, ma non ci sono riuscito.
Mi aspettavo tirasse fuori un “Va a dormire” e sarebbe stato davvero triste dovergli rispondere “Dove?”, ma invece mi aveva offerto una barella nel retro dove riposare che avevo rifiutato.
Dormire? Davvero? E come speravo di riuscirci? Ogni volta che non mi sforzavo di pensare a qualche cazzata qualsiasi sentivo tanfo di fuoco e carne bruciata, perché era questa la cosa più raccapricciante: la mia famiglia puzzava come un barbecue finito male e non può esserci niente di peggio, posso assicurarvelo.
Forse quello che è toccato a loro, bruciare vivi.
Fuoco. Tutto quello che vedevo erano fiamme e tutto quello che sentivo erano ululati e puzza di morte e bruciato.
La testa mi stava esplodendo. Le luci al neon erano la peggiore invenzione che l’uomo avesse potuto fare e dopo essere rimasti svegli per ventiquattrore precise, diventavano martelli pneumatici che battevano direttamente sul nervo ottico, rimbombano nelle tempie.
Non avevo mai sofferto di emicrania, ma evidentemente era il momento giusto per cominciare.
Mi passai una mano sul viso, sporca di terra e tinta di fuliggine.
Avevo avuto un’emerita crisi isterica davanti al falò che era diventato casa mia e mia sorella aveva dovuto inchiodarmi per terra col suo corpo per trattenermi.
L’unico motivo per cui ci era riuscita era per via della sua natura da alpha, altrimenti a questo punto sarei morto carbonizzato anche io.
Adesso a lei toccava identificare i cadaveri…. spero per lei che dovesse fare solo l’elenco dei presenti, perché obbligarla a guardare quello che è rimasto della mia famiglia sarebbe stato davvero troppo anche per lei.
Mi arrivò un messaggio sul cellulare e fui tentato dal non estrarlo nemmeno dalla tasca.
Era Kate.
-Tutto merito tuo, dolcezza
non ringraziarmi, il prossimo sarai tu-
La vista mi si annebbiò e stritolai il telefono nella mano.
Sentivo i pezzi di plastica conficcarsi nella mano mentre continuavo a stringere.
E’ stata lei.
Tutto per colpa mia, loro sono morti per colpa mia.
E lei me lo ha detto proprio per uccidermi ancora di più, non bastava aver ucciso la mia famiglia, no, doveva anche farmi sapere che era tutto merito mio.
Il telefono era ridotto a una poltiglia informe e la signora mi guardava più terrorizzata che mai. Buttai quello che restava del mio cellulare nella pattumiera e andai in bagno a estrarre i pezzi entrati nella mia carne senza che la signora svenisse sul pavimento.
Non avevo nemmeno il coraggio di guardarmi allo specchio.
Ci volle parecchio perché riuscissi a incrociare il mio sguardo nel vetro.
Avevo gli occhi gonfi e lucidi cerchiati da occhiaie nere e il viso macchiato di fuliggine e terriccio.
Eliminati i residui dalla mia mano, mi lavai le mani e sciacquai il viso senza ripulirlo sul serio.
Mi sentivo la gola secca, impastata di cenere.
Dovevo bere qualcosa, fare qualcosa di umano, perché altrimenti sarei andato fuori di testa.
Colpa mia, tutta colpa mia. Ero stato io ad abbassare la guardia con un’Argent, dannazione. Ma lei era così gentile, e bella e….. sono l’idiota più grande della storia.
Una preda facile e stupida. Il lupo peggiore della storia.
Salendo al piano di chirurgia su cui mi trovavo, avevo visto un distributore, magari bere qualcosa sarebbe stato meglio che aspettare lì. Aspettare cosa, poi?
Erano morti tutti. Tutti.
Anzi no, mi correggo, zio Peter si era salvato. Che poi, salvato…. il “salvato” a cui era ridotto equivaleva a qualcosa di peggiore della morte. Non sapevano nemmeno se sarebbe sopravvissuto, tanto erano gravi le ustioni.
Uscii dal bagno e scesi un paio di rampe di scale, fino al distributore. Poggiai la fronte contro il vetro e affondai le mani nelle tasche del jeans e trovai qualche monetina.
Le buttai dentro e pigiai qualche tasto. Ascoltai attentamente il rumore della molla dietro la bottiglietta che si allentava lentamente e il tonfo con il quale essa atterrò sul cuscinetto di gommapiuma davanti all’imbocco d’uscita.
Sentivo il bisogno di aggrapparmi alla realtà, di non andare fuori di testa. E a quel punto anche i rumori della macchinetta andavano bene. Tutto pur di distrarsi da quelle ore del giorno prima.
Era stato solo ieri? Sembrava fosse successo un secondo prima e dieci anni prima contemporaneamente. Era tutto così confuso, eppure dannatamente reale e doloroso….
Sentii il resto cadere e mi chinai per recuperare bottiglietta e soldi.
Stavo bevendo quando qualcuno mi passò davanti.
Un bambino, piccolino e alquanto gracile, forse una decina d’anni non dimostrati per via della statura.
Aveva un quarto di dollaro fra le mani e provava a inserirlo nella macchinetta, ma non arrivava alla fessura.
Lo guardai un po’ fare qualche tentativo poi si voltò verso di me e mi scrutò con i suoi grandi occhi nocciola.
“Invece di guardare quanto è divertente un bambino di dieci anni che non arriva nemmeno a usare da solo un distributore, perché non mi dai una mano?”
Loquace il piccoletto.
Grugnii distrattamente e gli presi la moneta dalle mani mentre lui faceva una paio di passi indietro, spaventato.
“Che vuoi?” chiesi atono guardando la roba dietro al vetro.
“Una coca cola”
“Ti mancano dieci centesimi” recuperai una moneta dalla tasca e la buttai nel distributore prima che lui potesse fare qualcosa. Pigiai i pulsanti e il ragazzino si rannicchiò per recuperare la lattina.
Aveva una disordinata testa di boccoli castani e l’aria stanca.
“Grazie” bofonchiò stringendo la lattina rossa e guardandosi attorno.
Terapia intensiva. Che ci faceva un ragazzino a terapia intensiva?
Si mise a lottare con la linguetta di metallo senza grandi risultati.
“Fossi in te, aspetterei… poi se preferisci che ti esploda in faccia….” dissi sempre più felice. Il ragazzino sorrise appena e guardò ancora la lattina.
“Giusto, grazie, di nuovo. E’ che tendo a essere iperattivo. Io sono Stiles tu come ti chiami?”
“Derek”
“Il cane di mia zia si chiamava Derek! Non che il tuo sia un nome da cane, è solo che l’ho associato al cane di mia zia. Vai al liceo di Beacon Hills?” Ma quanto diamine parlava?
“Si”
“Sei nella squadra di lacrosse?”
“No, in quella di nuoto”
“Peccato perché ogni tanto vado a vedere le partite della squadra di lacrosse con il mio papà. Sono bravi, mi piace il lacrosse. A te piace il lacrosse?”
“Mi fa schifo” quasi ringhiai fra i denti. Lui si sistemò il ciuffo di capelli che aveva davanti alla faccia e mi guardò sorpreso.
“Perché?” Lasciai cadere la testa oltre il braccio che stava ancora poggiato alla macchinetta, combattendo con l’impulso di scaricare il mio odio verso il mondo su un bambino di dieci anni.
“Senti, hai avuto la tua coca cola, ti ho aiutato, perché non te ne torni da dove sei venuto?” dissi il più gentilmente possibile. Non sono mai stato un tipo particolarmente gioviale, ma lui mi stava davvero mettendo alla prova, per di più in un momento alquanto critico.
“E’ che mi sto annoiando. Che fai qui?”
“La domanda sarebbe che fai tu. Non sei un po’ piccolo per stare in terapia intensiva?” il piccoletto scrollò le spalle.
“Non si fanno più troppi problemi, sarà perché è quasi un mese che sto qui…. Sai, mia madre. Tu invece?” Feci una smorfia e socchiusi le palpebre, provando a tornare calmo. Strinsi il pugno e presi un respiro profondo, la testa ancora calata.
Mi concentrai sull’odore del ragazzetto. Era dolce e gentile, frizzante e pieno di vita, anche se odorava di medicinali e ospedale.
Lo guardai negli occhi e lui sgranò i già enormi occhioni ambrati, puntando il perfetto naso all’insù verso di me.
Quello sguardo mi mise a disagio. Era puro e frizzante, proprio come il suo odore. In quegli occhi ingenui non vedevo le fiamme che mi tormentavano appena socchiudevo le palpebre.
Erano spaventati si, da me, da un’adolescente sporco, dalla faccia cerea e poco raccomandabile.
Quegli occhi erano tutto quello che io non sarei potuto più essere.
Dolci, ingenui…. umani. Mi staccai dalla macchinetta, presi un altro sorso d’acqua, sempre sotto al suo sguardo vigile, e sospirai.
“Fai il bravo, ragazzino, non cacciarti nei guai e ricordati di dire ai tuoi genitori che gli vuoi bene” gli scombinai maggiormente i morbidi capelli color cioccolato e me ne stavo tornando a chirurgia, quando mi urlò dietro.
“Ehi! Non fare l’uomo vissuto! Guardai che si vede che hai sedici anni!” mi voltai appena verso di lui.
“Diciassette, prego” lo corressi.
Stavo salendo le scale quando lo sentii parlare di nuovo, con qualcun altro.
“Stiles! Che stai combinando? Quante volte devo dirti di non importunare gli sconosciuti! Per di più in ospedale”
Stiles.
Che nome del cazzo. Alcuni genitori sanno essere davvero cattivi.
“Ma papà, quel ragazzo mi ha aiutato con il distributore…”
“Potevi anche aspettare me” lo rimproverò il genitore, una voce nota…. era un’ufficiale della polizia della contea…… Stilinski.  
Aspetta… il ragazzino si chiama Stiles Stilinski? Davvero? Che contorto senso dell’umorismo. Quindi era lui il padre del ragazzino…..
Padre…. parola da eliminare definitivamente dal mio vocabolario.
“Sai papà, forse avevi ragione, quel ragazzo puzzava anche di cenere….. però mi sembrava troppo triste per lasciarlo solo, così mi sono messo a dire qualche cavolata, magari si distraeva. Tu sai chi è?”
“Credo di si figliolo, ma non penso lo rivedrai molto presto, andiamo da mamma, forza, dicono ci sono delle buone novità”
Grazie Stiles.


-Puzzava di cenere-
O porc……
Mi svegliai di colpo e mi ci volle un po’ per rendermi conto di dove mi trovassi.
Ecco chi era Derek Hale.
Il ragazzo sporco di terra e cenere con quei bei occhi liquidi che mi erano rimasti impressi per mesi.
Per un attimo non ero nemmeno sicuro che fosse un vero ricordo…. Ma dopo averci rimuginato un po’ sopra (e essere andato a fare pipì), ero abbastanza sicuro. Quello fu il giorno in cui ci dissero “Ma certo signori, tutto risolto!” e che ormai mia madre stava bene…. e dopo due anni eravamo punto e daccapo con quel dannatissimo tumore allo stomaco.
Le avevano asportato completamente lo stomaco, ma non avevano eliminato completamente le cellule tumorali. Mi sono sempre chiesto se si può essere così coglioni.
Riuscii finalmente a calmarmi e solo allora mi resi conto che la persona che mi dormiva di fianco se ne stava a guardarmi con la testa poggiata sul pugno e gli occhi assonnati.
“Hai la tachicardia”
“Lo so” dissi poggiandomi una mano sul petto.
“Mi hai svegliato con la tua tachicardia”
“Come sempre” Lui tornò a stendersi comodamente fra le coperte e mi accoccolai su di lui, il viso sotto al suo collo e le sue braccia forti che mi tenevano al sicuro.
Quando mi abbracciava mi sentivo sempre nel posto più sicuro del mondo.
“Qualche incubo?” chiese distrattamente, la voce assonnata e per questo non troppo burbera. Di notte la sua voce non era mai burbera, era come se fra le coltri di coperte e lenzuola, Derek Hale diventasse improvvisamente quasi dolce. Quasi, eh, rimane sempre Derek Hale e a me va benissimo così.
“Uhm…. no, un ricordo”
“Bello?”
“Il nostro primo incontro” Derek rimase un po’ in silenzio.
“Io che sbraito a te e Scott che il bosco dove bazzicate è proprietà privata? Beh, non può definirsi così terribile….”
“Non quello, parlo del primo primo” Derek rimase in silenzio a lungo con le sopracciglia aggrottate e sentii il suo battito cambiare leggermente.
“Bah, forse non te ne ricordi. Lascia perdere, è una cazzata” bofonchiai sistemandomi più comodo contro di lui.
“No, non è una cazzata, quello è stato il giorno più brutto della mia vita, strettamente collegato con quello prima e con una nottata passata su una sedia di plastica a rompermi le nocche” Alzai la testa dalla perfetta insenatura sotto il suo collo, fatta a posta per metterci la faccia.
La mia, di faccia, per essere precisi.
“Romperti le nocche? Che diamine hai fatto? Ristrutturato l’ospedale? Perché se c’erano stampi di pugni sul muro e tu che venivi trascinato via con la camicia di forza, io non me lo ricordo”
“No, me le rompevo da solo, ma non è questo il punto…. il punto è che c’era questo bambino desideroso di coca cola che non arrivava a mettere le monete nel distributore… e all’epoca aveva un sacco di capelli”
Si ricordava davvero di me? Quella cosa mi scaldò un po’ dentro in un punto fra lo stomaco e i polmoni, in corrispondenza dello sterno.
Gli tirai un ceffone sulla spalla.
“Vuoi insinuare che sono pelato?”
“Certo che no, solo mi chiedo perché non ti fai crescere i capelli”
“Per poi passare le ore in bagno a sistemarmi il ciuffo come un lupo grosso e cattivo di mia conoscenza?”
Mi alzò il viso e passò una mano fra i capelli corti, mentre le labbra prendevano a scontrarsi con le mie.
“Potrebbe essere divertente riuscire ad affondare una mano nei tuoi capelli, sai? Proprio come fai tu con me…..” disse fra un bacio dannatamente languido e l’altro. La frase implicita era: ‘Proprio come fai tu con me mentre facciamo sesso e mi strattoni sempre la testa… ovunque’.
Voleva convincermi a lasciar cadere l’argomento e forse ce l’avrebbe anche fatta…. se io non fossi stato Stiles Stilinski, ovvio.
“Derek, non stavamo parlando dei miei capelli” sospirò sulle mie labbra, ma avvolse la mia vita con un braccio, tenendomi contro il suo petto nudo.
“Giusto, il ragazzino logorroico. Niente, mi ha aiutato avere un contatto umano in quelle ore in cui credevo di perdere la testa. Sei stato una buona distrazione, Stiles” Sospirai e lui mi abbracciò meglio.
“Sai, io mi sorpresi del fatto che mi aiutasti sul serio. Avevi una tale faccia da stronzo. Mio padre non volle dirmi cosa ti era successo, ma poi lo lessi sul giornale” lo vidi inarcare un sopracciglio.
“A dieci anni leggevi il giornale? Davvero?” chiese sorpreso e mi strinsi nelle spalle.
“I disturbi comportamentali portano anche a questo… e poi in ospedale non si ha molto da fare”
“Capisco…”
“Tu te lo ricordavi?” Derek rimase un po’ in silenzio, come se pensasse se dirmelo o no.
“Guarda che non mi offendo se dici di no”
“Il fatto è che se dico di si, so che non la smetterai più di rinfacciarmelo”
“Giurin giurello che terrò le labbra cucite” esalò un sospiro esasperato e mi guardò. I suoi occhi verdi brillavano anche nella penombra.
“Ti ho riconosciuto subito, per via del tuo odore”
“Il mio odore?” chiesi stranito e lui annuì. Ne aveva dette tante sul mio odore, ma questa mi mancava.
“Inizialmente non capivo perché mi fosse familiare quando ci siamo incontrati nella foresta, poi ho collegato col bambino logorroico che mi posticipato una crisi di nervi”
“Posticipato?”
“Si, Stiles, posticipato. Adesso dormi”
“Ma voglio….” mi strinse maggiormente contro il suo petto, soffocando i miei mugugni contro la sua pelle.
“Si, Stiles, anche io ti voglio bene, adesso dormi. E basta”
 



E si! Sono di nuovo qui con un bel rating verde!
Non so, mi piaceva l’idea di farli incontrare prima degli eventi narrati in teen wolf.
Forse è una cosa trita e ritrita, ma ci mancava ancora il mio macinato v.v
ormai ho cominciato a pubblicare e chi mi ferma più :D
sto preparando anche un paio di longfic, che spero di riuscire a pubblicare prima dell’uscita della terza stagione…
se così non fosse, conoscendomi sarei capace di riscriverle daccapo e sarebbe uno spreco, posso assicurarvelo
spero che qualcuno sia arrivato fin qui.
see ya next time!
The Cactus Incident
  
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