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Autore: lishiawho    05/05/2013    0 recensioni
[Cluedo]
Kassandra Scarlet, Jacob Green, Eleonor Peacock, Jack Mustard, Diana White, Victor Plum, Mr Hudson George e Mrs Miles Black. Otto persone riunite tutte nella campagna britannica. Unico filo conduttore che le lega è : S. Arthur Black, proprietario di gran villa Tudor e la sua cena in piena estate.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Assassinio di mezza Estate { #02. Tutto ritorna }
Autore: Type Writer
Fandom: Cluedo
Characters: Eleonor Peacock
Paring: //
Genere/Avvertimenti: Introspettivo - Giallo - Death!fic
Rating: Pg
Word: 5286 (fiumidiparole)
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Setting - Crime:  #09. Segreto  @ diecielode

#2. Tutto ritorna

Eleonor Peacock quella mattina era rincasata verso le undici del mattino, aveva fatto il turno di notte all’ospedale e aveva bisogno di qualche ora di relax.
Lei, il marito e il figlio, gestivano uno degli ospedali della città – il più costoso notando il loro tenore di vita – dividendosi il lavoro.
Lei era capo infermiera,  il figlio era un neurochirurgo mentre il marito il primario dell’ospedale.
Non c’erano stati casi gravi quella notte ma erano comunque ore di sonno perse e una come lei non poteva permetterselo.
Si cambiò d’abito, optando per il tailleur blu elettrico che tanto le piaceva e che non la faceva passare inosservata per nessuna delle strade della città. M
entre si stava cambiando, la porta dell’abitazione si aprì .
“Wilfred, sei tu?” Chiese la donna sorpresa.
“ No mamma, sono io.” Harry Smith entrò nella stanza nell’esatto momento in cui la madre cercava di agganciarsi l’ultimo orecchino di perle sull’orecchio sinistro.
“Come mai sei qui, caro?”  Harry non viveva più con i suoi genitori, si era trasferito subito dopo la laurea, andando prima all’estero per alcuni stage per poi tornare in Inghilterra e prendere il posto di neurochirurgo nell’ospedale di famiglia, mentre continuava a studiare. Ora abitava a qualche chilometro dall’ospedale e ospitava un amico straniero conosciuto in America.
“Sono passato per dire a papà che questa domenica io e James non possiamo venire a cena, ma vedo che è già uscito. Puoi avvertirlo tu? Devo scappare.”
Harry se ne andò subito, tanto che la madre non riuscì neanche a dirgli ‘ciao’.
Voleva molto bene al figlio, avrebbe potuto anche morire per lui, tuttavia non poteva non ammettere che avrebbe preferito vederlo sistemato con una bella ragazza e sperare in un qualche nipotino invece di vederlo con l’uomo con cui abitava.
Si ripeteva sempre, tuttavia, che l’amore di una madre era potente e non poteva essere sconfitto dal semplice fatto che suo fosse gay, quindi tirava avanti. L’unico problema, però, rimaneva Wilfred. Lui non sospettava minimamente che suo figlio avesse quel tipo di gusti sessuali e non sapeva come avrebbe reagito se lo avesse scoperto, inoltre suo marito non approvava la convivenza tra i due per il fatto che James non pagava l’affitto della stanza a casa di Harry e se lo faceva, la quota era molto bassa – rispetto ai loro standard. Quello che però non capiva Wilf era proprio questo, James non era un peso per Harry, anzi quando stavano insieme sorrideva di più di quando il figlio passasse il pranzo domenicale con loro, lo sapeva perché li aveva visti.
Era successo qualche mese prima, era uscita a pranzo da sola perché il marito era di turno all’ospedale e la sua amica Mary aveva disdetto all’ultimo momento. Aveva prenotato in un ristorante nel centro città e prendendo posto al tavolo – dopo aver ordinato – notò che a due tavoli di distanza dal suo c’erano due giovani, uno era Harry l’altro un ragazzo che non aveva mai visto.
Era biondo e di carnagione molto chiara, anche più di quella di suo figlio, aveva lineamenti squadrati e il suo accento non era per nulla inglese.
“Ciao mamma!” Disse Harry, sorpreso ma per nulla preoccupato.
“Ciao tesoro. Cosa ci fai qui?” Chiese lei, ancora in piedi vicino al tavolo del figlio. Cercava di mantenere un atteggiamento normale, ma fremeva dalla voglia di sapere chi fosse quel ragazzo sconosciuto che sembrava fosse amico di suo figlio.
“ Pranziamo. Ah, vuoi unirti a noi?” Chiese poi, come se improvvisamente si fosse ricordato le buone maniere.
“ No, stai tranquillo, ho un mio tavolo. Volevo solo sapere chi fosse, tuttavia, questo tuo nuovo amico. Non mi pare di conoscerlo.” Disse lei, divenendo all’improvviso schietta e diretta e pronunciando quel ‘non mi pare di conoscerlo’ come un rimprovero diretto al figlio.
“Giusto, scusa. Lui è James. Un mio amico venuto dall’America.” Disse, presentandoli ufficialmente. James si alzò e strinse la mano della signora, esclamando parole come  ‘sono felice di conoscerla’ aggiungendo ‘Harry mi ha parlato molto di lei.’
Eleonor aveva trovato James un ragazzo gentile e a modo, oltre che bello. Aveva fatto una buona impressione anche se c’era qualcosa – una sensazione – che ancora non riusciva a definire. Arrivò alla soluzione quando scoprì che i due vivevano assieme.
Dopo la piccola conversazione, lei tornò al suo tavolo, lasciandoli soli a mangiare e cominciando il suo pasto senza, però, abbandonarli con lo sguardo.
Quell’unico pranzo era bastato a fargli capire che la compagnia di James faceva molto piacere a Harry e che la sua sola presenza lo rendesse felice.
Da quando Wilfred si era imbattuto in lui all'ospedale, i due non andavano molto d'accordo. James era un ottimo psicanalista e Wilf Smith era un uomo che odiava parlare al prossimo dei propri problemi e farsi analizzare psicologicamente, il fatto che poi vivesse con l'unico figlio senza pagare un affitto adeguato lo fece imbestialire ancora di più, era quello il motivo per cui Harry rifiutava sempre l'invito dei genitori per una cena tutti insieme, per un motivo o per un altro.
Eleonor uscì di casa dieci minuti dopo che Harry se n’era andato, chiudendo la porta con doppia mandata ed incamminandosi verso la spa. Arrivata fu accolta gentilmente come al solito e prese appuntamento con il massaggiatore, avviandosi verso la stanza.
“ Eres siempre splendìda, E’l. “ Disse.
Alvares era latino americano, un giovane sui venticinque anni circa, di pelle abbronzata – così diversa da quella bianca degli inglesi – occhi scuri e capelli corti che gli incorniciavano il viso. Si era trasferito in Inghilterra da tempo, ma la sua pronuncia era rimasta quella d’origine; era diventato il massaggiatore privato di Eleonor da quando lo aveva visto la prima volta.
Lei a quelle parole sorrise e cominciò a spogliarsi per poi prendere posto sul lettino, sentendo le mani calde di Alvares, bagnate d'olio, che le accarezzavano la schiena. Il brivido che sentì poco dopo fu l'ultima cosa che ricordò prima di sprofondare nelle fantasie che ogni tanto si concedeva e di cui faceva parte anche il massaggiatore.
Di solito in questi suoi sogni lei era molto più giovane - non che in realtà fosse anziana, aveva solo quarantotto anni, tuttavia se si considerava il marito e il figlio ormai ventenne, quegli anni equivalevano al doppio - e dopo aver incontrato Alvares in una calda spiaggia dei Caraibi i due finivano per fare l'amore dentro un capanno, ascoltando il solo suono delle onde mentre lui entrava ed usciva da dentro di lei, con violenza.
Finita la seduta pagò la parcella e tornò a casa. Si sedette sul divano in salone e si concedette altri minuti di riposo, disturbati successivamente da Wilfred che tornava a casa dal lavoro.
Appena lo vide tornò alla realtà, abbandonando i suoi sogni.
L'aspetto di Wilfred era cambiato con gli anni, andando sempre peggiorando, aveva messo su quindici chili ed ora era molto in carne, senza contare il fatto che non era mai stato un uomo di corporatura gracile, anzi tutto il contrario. Non esisteva più quel fascino che l'aveva catturata quando avevano circa vent'anni e anche l'amore che provavano l’uno per l’altra sembrava essersi volatilizzato, come si era volatilizzato il sesso. Eleonor non faceva sesso con il marito da così tanto tempo da aver perso effettivamente il conto e a volte si chiedeva se la ragione fosse lei, se Wilfred non la trovasse bella ed attraente come prima.
“C'è una lettera per te.” Aveva esclamato, porgendogliela e sedendosi sul divanetto di fronte al suo e aprendo di nuovo la ventiquattrore per cominciare a leggere scartoffie.
Eleonor sospirò, lasciando correre e concentrandosi sulla busta. Era di un bel colore avorio, quello che di solito si utilizzava nelle cene importanti, nessun indirizzo e nessun nome solo un sigillo con la lettera B incisa sopra. Eleonor l'aprì:

"Cara Mrs Eleonor la invito a partecipare alla mia cena d'estate che si terrà il giorno dieci Agosto nella mia residenza, la aspetto. Cordiali saluti S. Arthur Black"

Eleonor dovette utilizzare tutte le cellule nervose del suo cervello per ricordarsi chi fosse questo Arthur, finché non gli ritornò alla mente. I due si erano conosciuti durante una crociera, erano entrambi partiti con le famiglie per un viaggio di relax ed avevano finito per dividere il tavolo nella sala da pranzo.
“ Ti ricordi la coppia che abbiamo incontrato anni fa, quella che ci ha fatto compagnia durante la crociera a Santa Monica?” Chiese Eleonor
“No, chi sono?” Rispose il marito, non alzando neanche lo sguardo da quello che stava facendo.
“Lascia stare.” E si chiuse lì il discorso. 

Non sapeva perché alla fine, la mattina del dieci di Agosto, aveva tirato fuori una piccola valigia ed era partita. Dopo aver letto l’invito lo aveva appoggiato su uno dei mobili in camera, e li era rimasto fino a quella mattina. Si era fermata a guardarlo per qualche minuto per poi girarsi e prendere alcune cose dall’armadio mettendole nella sua borsa, lasciando scritto a Wilfred che sarebbe tornata tra un paio di giorni. Si chiese, durante il viaggio, se fu per cambiare aria, allontanarsi dalla città o dalla vita ‘perfetta’ che sembrava avere ma che, in realtà, la soffocava.
Conosceva tutte le dicerie che circolavano per l’ospedale o tra i suoi vicini, tutti erano convintissimi di volere una vita come la sua. Lei aveva tutto, soldi, un buon marito, un figlio di cui essere fieri …  un tempo lo pensava, era cascata anche lei nella ragnatela dell’apparenza che circondava la sua vita.
Arrivò alla villa verso le nove e trenta, forse un po’ presto ma nell’invito non c’era riferimento a nessun orario specifico.
Al suo arrivo, una deliziosa governate ed un maggiordomo, le presero i bagagli facendole strada verso la camera che avrebbe occupato durante i giorni di residenza, scendendo poi ad incontrare il proprietario.
“Mr. Black, sono anni che non ci vediamo, come sta?”
Anche negli anni precedenti, al loro primo incontro, Eleonor aveva notato il fascino dell’uomo che non era regredito per niente anche dopo il tempo passato, anzi si poteva benissimo dire che fosse ancora più affascinante.
Era alto, circa sull’uno e settantacinque, occhi chiari, un bel sorriso e la barba che gli incorniciava le labbra.  Era vestito con un completo nero giacca e cravatta, pronto a accogliere ogni ospite che si sarebbe presentato alla villa.
“Bene, ma mai quanto lei Mrs Peacock, è meravigliosa.” Eleonor sapeva bene che erano apprezzamenti da manuale ma gli fece comunque piacere riceverli.
“Mi chiami Eleonor, non si preoccupi.” Disse lei
La porta si aprì, rivelando l’arrivo di un altro ospite. Jacob Green toccò il suolo di Villa Tudor verso le nove e quarantacinque, salutando apertamente il proprietario.
“Salve Arthur, come va?” Chiese
“Benissimo. Lei, reverendo Green, come sta?”
“Molto bene la ringrazio” Rispose, per poi rivolgersi ad Eleonor.
“Salve anche a lei, sono Jacob Green, il reverendo del piccolo paesello qui vicino.”
Eleonor si presentò a sua volta, riflettendo sul fatto che quell’uomo sembrasse tutto fuorché un prete.
Si incamminarono allora verso il giardino, cosicché Arthur poté fargli ammirare la sua splendida residenza.
Fuori, il cortile era curato nei minimi dettagli. Non vi era filo di erba secca o uno più tagliato dell’altro,  sempre annaffiato e l’aiuole piene di fiori stupendi.
Anche la residenza, da fuori, faceva il suo effetto, rendendo il tutto più moderno. Si potevano vedere tutte le finestre delle camere, quella che era stata occupata da Eleonor, per esempio, aveva un piccolo balconcino da cui, quando era salita per posare i bagagli, si era affacciata per vedere fuori.
La propria finestra era proprio davanti al gazebo e alla piscina esterna. Accanto a lei c’erano altre due stanza ancora non occupate da nessun ospite.
“Come mai la sua famiglia non l’ha accompagnata, Eleonor?” Chiese Arthur, curioso.
“Harry era impegnato con l’ospedale e lo studio, mentre Wilfred ha avuto un urgenza.” Mentì.
Il motivo di quel viaggio era proprio l’allontanarsi per qualche giorno dalla famiglia, se avesse portato anche loro tanto valeva rimanere a casa.
Dopo la visita, mentre erano nella parte del cortile, dove c’era l’entrata principale, si accorsero dell’arrivo di una quarta persona, probabilmente un altro ospite di S. Black.
“Jack, quanto mi fa piacere vedere che hai accettato l’invito!” Disse, aprendo le braccia in un gesto di allegro benvenuto.
Il tono con cui gli si era rivolto, faceva intendere che i due fossero amici di vecchia data.
“Grazie a te di avermi invitato.” Rispose, prima di sparire accompagnato dalla cameriera, su per  la rampa di scale.
Il signor Mustard era un ex medico militare rimandato in patria, ad Eleonor dava la sensazione di un uomo molto solo.
In una qualche stramba maniera rispecchiava alcuni dei suoi silenziosi problemi con quelli che pensava avesse anche Jack, era per questo che si lasciò andare raccontandogli la sua vita.
Dopo un’acuta conversazione, Arthur propose una partita a cricket finché il pranzo non fu pronto finalmente in tavola.
Le portate erano ottime e tutti fecero i complimenti al cuoco. Dopo aver finito il pranzo, che si fece nel bellissimo giardino proprio sotto il gazebo davanti alla stanza di Eleonor, i camerieri offrirono qualcosa di fresco e dissentante mentre si parlava.
Eleonor Peacock prese solo un acqua tonica, non reggeva molto l’alcool. Dopo le prime chiacchiere i presenti videro l’arrivo di un nuovo ospite.
Era una donna molto bella, alta, chiara, risoluta.
“Come mai questo ritardo, Kas?” Disse Arthur.
Come Eleonor aveva fatto, tutti notarono quel diminutivo e il sorriso di lei quando accettò il Gin cocktail.
“Un donna si fa aspettare, Arthur; Come un qualsiasi oggetto che si brama alla follia. Lo attendi con tutto te stesso e alla fine, quando è tuo, ti senti meravigliosamente bene."
Tuttavia, quello che colpì Eleonor non fu la palese relazione che ci fosse fra Kassandra Scarlett e Arthur Black, quello che interessava a lei era la stessa Kassandra.
La guardava,  ne guardava i movimenti, le labbra, gli occhi, l’altezza, le mani, i vestiti come se potessero dissipare il dubbio che si era creato in lei, un dubbio che la mangiava da dentro, che la logorava da quando aveva sentito il cognome della ragazza.
Da un ora dal suo arrivo si unirono agli ospiti Mrs Miles Black, la moglie di Arthur e Mr Hudson George, un nuovo invitato.
La signora Black andò subito a presentarsi agli ospiti prima di andare a salutare il marito. Gli passò davanti molte volte, molto probabilmente per fargli notare il taglio di capelli che sembrava fatto recentemente, forse quella mattina stessa, prima di salutarlo con un leggero bacio a fior di labbra.
Mr Hudson George, invece, era un bel ragazzo sui venti, venticinque anni e mentre Arthur lo presentava non disse nulla. Ad Eleonor gli ricordò molto suo figlio Harry.
L’ultimo ospite che si presentò alla villa fu Victor Plum, prestigioso insegnante di Storia dell’Arte di facoltà nell’Università di Oxford. Ad Eleonor sembrò un tipo abbastanza viscido e furbo, senza contare il suo narcisismo ed egocentrismo smisurato che probabilmente superava quello di qualsiasi donna.
Dalle quattro e trenta il gruppo si separò, Arthur si scusò molto con gli invitati per doverli lasciare da soli alla villa per un lavoro da finire, ma doveva essere completato entro il giorno stesso, quindi si ritirò nel suo studio. Jack Mustard, invece, andò a riposarsi nelle sue stanze e Jacob Green e Victor Plum seguirono il suo esempio. Anche Mrs Miles Black tornò in villa per parlare con la cameriera della cena, mentre Hudson andò a sistemare i pochi bagagli che aveva portato con se visto che prima non aveva potuto farlo.
Eleonor e Kassandra rimasero sole e fu la più giovane a chiedere gentilmente a Peacock se gli andava di fare una passeggiata nel giardino inmenso della tenuta. Lei, che non aspettava altro, accettò.
“Mi dica, come ha conosciuto Arthur.” Chiese la ragazza
“Sono passati anni, in realtà. Quindi non posso dire di conoscerlo molto bene. Ero partita con la mia famiglia per una crociera a Santa Monica e per sbaglio ci avevano assegnato lo stesso tavolo al ristorante. Lui era in compagnia della moglie, fu così che ci conoscemmo. Mi chiedo comunque come abbia fatto a ricordarsi di me dopo tutto questo tempo.” Rispose lei.
“Oh, ma Arthur è così. Si ricorda di ogni persona che incontra e capisce anche se questa persona è speciale e degna d’attenzione.” Disse Kassandra.
“Lei lo conosce bene, vero?” Chiese stavolta Eleonor
“Si. Era un conoscente della mia famiglia quindi lo conosco fin da piccola,  inoltre andavano a scuola insieme. Quando io ero al terzo anno lui era al settimo ma mi ha aiutato molto.”
Era interessante sentirla parlare, era una donna a modo e gentile, anche se sembrava averne passate tante. Quando stavano per rientrare nella villa, andando nelle proprie stanze per riposarsi un po’ prima della cena, Kassandra gli rivelò quello che Eleonor non era ancora pronta ad ascoltare.
“Quando scoprii dell’adozione non sapevo come comportarmi con i miei genitori,  Arthur mi ha aiutato tanto anche in questo. Gli devo molto.”
“Lo immagino.” Rispose Eleonor, evasiva, prima di raggiungere la sua camera quasi in tutta fretta ed abbandonarsi dietro la porta che l’avrebbe ‘protetta’.
Non avrebbe mai pensato che scappando da quella quotidianità in cui era rinchiusa e da quella famiglia tanto perfetta da nascondersi segreti, avrebbe trovato il passato . Un passato che si era dolorosamente lasciato alle spalle e che non era pronta ad affrontare di nuovo.
Automaticamente i ricordi riaffiorarono, la sorpresa della scoperta, la paura di quello che avrebbe provocato, il timore di non essere pronta ma l’immensa felicità e la completezza di quando lei era venuta al mondo. La solitudine di quando lei se n’era andata.
“Miss Peacock, congratulazioni. Lei è in dolce attesa” Gli aveva detto sorridente il dottore che l’aveva visitata, ma quella che sarebbe dovuta essere una felice notizia creò il panico in lei.
Cominciò a vagare per le vie cittadine senza fare caso a dove andasse, vedeva già la reazione del padre che, dopo averle urlato contro ed averla schiaffeggiata, si preparava ad andare da Thomas.
Lui ancora non sapeva nulla, cosa doveva fare?
La loro relazione non era accettata dalla famiglia di lei e i due erano costretti a vedersi in segreto, cosa sarebbe successo se
avrebbero saputo che fosse rimasta incinta a venticinque anni?
Fu difficile scegliere e passò giorni interi a pensare all’aborto.
Eleonor non era mai stata una persona molto religiosa, però gli capitò molto spesso di pensare all’aborto come ad un qualcosa di innaturale e sbagliato.
Le settimane passarono senza che lei prendesse una decisione, fin quando non arrivò il giorno del controllo medico, quando vide per la prima volta i lineamenti immaginari del suo futuro bambino e ne sentì il flebile suono del piccolo cuore.
Eleonor non seppe se fu proprio quella prima ecografia, quel suo primo incontro a farle prendere la decisione definitiva, tuttavia scelse di avere il bambino.
Lo disse quindi a Thomas, che dopo una sorpresa iniziale fu felicissimo della notizia, ripetendosi con il sorriso sulle labbra: “Sarò papà!”
Passarono nuovi giorni, nuove settimane e pian piano la pancia cominciava a vedersi. Eleonor era ancora preoccupata di come la famiglia l’avrebbe presa, tuttavia in quel tempo i due si erano trasferiti ed avevano cominciato una convivenza. Thomas aveva trovato un buon lavoro, quindi la loro situazione economica non era per nulla instabile, non avrebbero fatto mancare nulla al bambino.
Tuttavia, anche se fossero diventati ricchi non sarebbe servito a far cadere Thomas sotto una luce diversa, per il padre di Eleonor lui era il male, colui che aveva allontanato la figlia dal suo controllo e non glielo avrebbe mai perdonato.
Fu così che quando Eleonor partorì quella bellissima bambina e gli diede il nome di Kassandra – in onore della gentile madre di Thomas che li aveva sempre aiutati, mancata qualche anno prima – successe il finimondo.
Currado Peacock venne all’ospedale, ma non per congratularsi con la figlia e vedere la sua dolce nipotina appena venuta al mondo, ma per fargliela pagare al bastardo che l'aveva fatto accadere..
Ci vollero quattro uomini della sicurezza per cacciarlo fuori dal reparto e dall’ospedale stesso prima dell'arrivo della polizia. Thomas fortunatamente non aveva riscontrato ferite gravi e fu subito medicato da un infermiera.
La cosa che spaventò più Eleonor, tuttavia, furono le ultime parole gridate da suo padre: “ Ricordati che non sei più nostra figlia.”
La paura non era dovuta perché avrebbe dovuto abbandonare la famiglia, ma perché quella famiglia avrebbe potuto rovinarla. Erano sempre stati i più ricchi e suo padre aveva molti contatti, con una sola telefonata poteva far accadere l’inverosimile.
E così accadde. Thomas perse il lavoro due giorni dopo, le sue suppliche sul fatto che aveva appena avuto una bambina e che non poteva perdere il lavoro in quel momento non scatenarono nemmeno una piccola reazione al sovrintendente che gli diede solo cinque minuti per sgombrare la sua scrivania, nessun altro era disposto a dargli un posto.
Passarono così le settimane  ed Eleonor non sapeva che fare, essere una madre era un compito difficile, soprattutto se non si avevano soldi con cui mandare avanti la famiglia.
La decisione che prese, quindi, fu quella di proteggere ed aiutare le persone che amava di più.
Si mise in contatto con una buona famiglia, i Scarlett erano stati sempre considerati una famiglia invidiabile. Mrs Anna Scarlett era una donna bella e gentile e anche il marito era un brav’uomo, con un buon lavoro e che adorava i bambini. I due avevano già tre figli.
Eleonor gli espose la situazione e loro furono molto comprensivi, come se potessero capire il dolore che tutto quello le aveva comportato. Accettarono così l’adozione di Kassandra.
Lei, in seguito, abbandonò la casa dove, anche se per poco tempo, aveva vissuto con la sua piccola famiglia, tornando ad essere intrappolata sotto il tetto del padre e lasciando come spiegazione a Thomas solo una misera lettera.
A quel tempo gli sembrò la scelta più giusta da fare, assicurare a Kassandra un futuro certo e non pieno di 'se' come quello che avrebbe potuto offrirle lei.
Thomas tornò da lei più volte per chiederle spiegazioni, ma il padre gli impedì sempre di vederla, fin quando non si avvicinò più a casa loro.
Gli anni passarono ed Eleonor vide solo da lontano la crescita di Kassandra, che giocava con le sue sorelle nel giardino di villa Scarlett.
Si sposò, qualche anno dopo, con un giovane presentatole da suo padre ed insieme ebbero il figlio Harry, che crebbe agiato, in una famiglia benestante.

Fu riportata alla realtà dal bussare della porta, Diana White l’avvertiva di prepararsi per la cena.
Anche se controvoglia e con la mente da tutt’altra parte, Eleonor indossò il suo vestito migliore, blu notte, che le ricadeva giù con grazia sino oltre le caviglie e con una piccola scollatura sul seno. Aggiunse degli orecchini ed un ciondolo dello stesso colore, si sistemò i capelli ed uscì dalla stanza.
Incontrò Kassandra che scendeva dalla rampa di scale.
Aveva lasciato i capelli mori, quasi corvini, sciolti, alcune ciocche le ricadevano sulle spalle. Indossava un semplice vestito rosso di seta senza spalline e degli orecchini rubino.
Era splendida.
“Che bel vestito Eleonor, complimenti!” Disse, gentile.
“Tu sei meravigliosa.”
Kassandra sorrise ed insieme raggiunsero la sala.
La cena fu ottima e si passò splendidamente, finché, verso le nove e un quarto, non si ritirarono tutti nella sala di ricreo. C’erano divani e poltrone comode, una grande libreria, scacchiere e altri vari oggetti. Tutti si interessarono molto alla partita a scacchi tra Mr Mustard e Mr Hudson.
Finita questa, in cui il vincitore fu Mr George, tutti furono invitati a seguire Diana White finché, entrati in una delle camere munita di una scala interna, non uscirono all’esterno.
Si ritrovarono sul tetto dell’edificio e le stelle cominciarono a cadere.
Verso le undici tutti furono d’accordo nel rientrare, le nuvole avanzavano coprendo quindi la visuale, ognuno tornò nella propria camera ed Eleonor salutò Kassandra prima di andare a riposare. Quella notte non dormì molto bene, continuava a girarsi e svegliarsi continuamente da sogni in cui lei era processata con l’accusa di abbandono, oppure assisteva alla prima delusione d’amore di Kassandra, la vedeva piangere ma non poteva dirle niente né aiutarla.
La mattina fu quasi la salvezza, finché non sentì qualcuno urlare. Si alzò immediatamente, coprendosi con un giacchetto ed uscendo dalla camera. Kassandra era a terra, con in viso un’espressione spaventata e sorpresa. Diana le era accanto, cercando di farla calmare mentre Mr Mustard  accanto a loro teneva lo sguardo dritto nel toilette di servizio del piano.
Riverso  a terra, in una posizione rigida e con un espressione di dolore, giaceva il corpo di S. Arthur Black, colpito alla tempia con una pistola.
Mr Mustard fece allontanare tutti dalla scena e poi intimò a Diana di chiamare Scotland Yard, che dopo una mezzora arrivò alla residenza.
La detective che aveva risposto alla chiamata era una donna, Joanne Christie. I capelli lunghi e biondi tinti raccolti in un chignon fatto di fretta e rovinato dal cappello che si era tolta entrando, alta e decisa ma ad uno sguardo attento non potevano sfuggire le occhiaie sotto gli occhi ed uno sguardo spento.
Venne condotta dall’ex medico sulla scena per poi ordinare ai poliziotti che l’avevano accompagnata di controllare tutta la villa mentre il coroner, in un primo esame, stabiliva l’ora e la causa della morte. La detective si occupò successivamente degli interrogatori dei presenti.
“Allora, Mrs Peacock. Da quanto conosceva Sir Black?” Chiese la donna.
“Da poco. Il nostro primo incontro risale a molto tempo fa, ci incontrammo su una nave diretta a Santa Monica. Dividevamo il tavolo dei pasti, ma alla fine della crociera non lo rividi più, almeno finché non mi invitò alla sua cena.”
“Cosa pensa di questa cena?” Chiese ancora Joanne.
“In che senso mi scusi.” Eleonor aveva già molti problemi a cui pensare e questo era un altro che si aggiungeva alla lista, provava agitazione insensata in quel momento.
“Non le sembra strano che ne abbia organizzata una così, all’improvviso? E che abbia invitato lei dopo anni senza contatti?”
“Mi sta forse accusando di qualcosa, detective? Non so perché Sir Arthur abbia voluto organizzare questa cena e neanche perché abbia voluto invitarmi.”
L’interrogatorio fu lungo ma alla fine tutti poterono tornare alla loro vita di sempre, salutando per l’ultima volta villa Tudor.
Tornata a casa Eleonor era molto più stanca di quando fosse partita e le parole del marito non furono per nulla d’aiuto.
“Si può sapere cosa ti è saltato in mente? Te ne sei andata senza dire una parola.”
“Ti ho lasciato un biglietto mi pare.” Rispose lei, concentrandosi affinché il suo mal di testa svanisse.
“E ti sembra sufficiente?” Chiese il marito, adirato.
“Comunque, ho saputo che Harry non viene più a cena oggi.”  Disse lui, calmandosi un poco.
“Si, infatti.”
“Perché?” Chiese burbero.
“Avrà altro da fare.” Rispose lei evasiva, mettendosi a sedere su uno dei divanetti bianchi del salone.
“Cosa c’è di più importante di venire a mangiare a casa dei propri genitori?”
Magari farà sesso sfrenato con  quel bel ragazzo che vive con lui, cosa che tu non fai più da anni.
Pensò Eleonor, rispondendo, invece, tutt’altro.
I giorni passarono e quel giorno passato a villa Tudor si allontanava sempre di più, come se fosse successo anni prima.
Eleonor si rese conto del poco tempo passato in realtà solo grazie all’articolo della vicenda sul The Guarians.



“Diana White e Kassandra Scarlett accusate dell'omicidio di S. Arthur Black, proprietario di villa Tudor."
"Durante la cena che S. Black aveva organizzato la notte di S. Lorenzo, la signorina Kassandra Scarlett aveva inviato un biglietto d’incontro a quest’ultimo, intimandogli di vedersi verso le due del mattino nel bagno di servizio. La vittima, accettando l’invito, si trovò davanti Diana White, governante in carica ed ex educatrice del proprietario della villa, che lo uccise con un colpo di pistola alla tempia."
"Le due ragazze, divenute complici, sono ora sotto la custodia della polizia, aspettando un regolare processo. Si pensa che il movente che abbia spinto le due ad assassinarlo fossero le molteplici relazioni con altrettante donne diverse in cui S. Black era coinvolto.”


Il mondo le crollò addosso, era impossibile, non poteva essere vero.
Le sembrava ieri che le stesse dicendo, confidandosi, che Arthur l’aveva aiutata tanto, che gli doveva molto e ora l’aveva ucciso? Impossibile.
Si preparò in fretta, prese un taxi e andò a Londra.
Forse fu una cosa stupida, ma pensò di poter aggiustare le cose solo parlando con la detective Christie e spiegandole la situazione, cosa che non successe.
Tornò allora a casa, triste e dubbiosa. Cosa doveva fare? La sua Kassandra non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ne era certa tuttavia non sapeva come provarlo.
Il giorno seguente, come se avessero letto nel suo pensiero, bussarono alla porta Jack Mustard e George Hudson. Volevano parlare con lei, stavano indagando sul caso.
“Ci dica Mrs Eleonor, ha visto qualcosa che potrebbe far riaprire il caso? Qualcosa che potrebbe aiutare Kassandra?” Chiese il giovane
“No, mi spiace.” Rispose lei, tutto quello le fece venir voglia di piangere.
“Subito dopo essere scesi dal tetto sono tornata in camera, salutando Kassandra. Quando io sono entrata, lei era sulla soglia della sua camera e credo fossero circa le undici, undici e dieci.” Spiegò ancora.
“Non c’è nient’altro che posso dirvi, mi spiace” Si scusò.
“Ma perché chiedete questo? C’è la possibilità che si siano sbagliati, vero?” Chiese subito dopo, con un tono che fece trasparire un po’ d’agitazione.
“Kassandra non avrebbe mai ucciso Arthur, mi ha raccontato che l’aveva molto aiutata quando erano piccoli, sono praticamente cresciuti insieme.” Disse.
I due ringraziarono e se ne andarono, con la promessa di fare giustizia.
Pochi giorni dopo scoprì che Mr Mustard e Mr Hudson ce l’avevano fatta, Kassandra era libera e scagionata da tutte le accuse. La vera colpevole era Mrs Miles Black, la moglie di Sir Arthur.
Eleonor si felicitò molto della notizia, sperando che Kassandra non fosse rimasta troppo scossa.
Era domenica di tarda mattina, Eleonor stava preparando il pranzo, Harry aveva finalmente accettato di pranzare con loro, portandosi anche James, si chiese se non volesse rendere la sua relazione ufficiale.
Il campanello suonò.
Eleonor si ritrovò il bellissimo volto di Kassandra sulla soglia della sua porta, non sembrava per nulla scossa da quello che era successo, era raggiante più che mai.
Era vestita con un bellissimo tailleur giallo chiaro con i bordi bianchi, accostato a delle scarpe con un tacco non troppo alto e un capello degli stessi colori del vestito. Pelle candida e lunghi capelli mori che le ricadevano sulle spalle.
“Ciao Eleonor” Disse, sorridendo.
“Spero di non averti disturbata.” Aggiunse
“Ma ti pare, entra pure. Mi fa piacere vederti!” Esclamò Eleonor in rimando.
Eleonor fece accomodare Kassandra in soggiorno, andando ad abbassare il fuoco dei fornelli e tornando con del vino che aveva tenuto per pranzo.
Lei ringraziò, bevendo un sorso prima di cominciare a parlare.
“Ho saputo che sei andata a parlare con la Christie per farmi uscire, hai sempre saputo che ero innocente?” Chiese
“Sempre. So che non avresti mai potuto fare una cosa del genere.” Rispose Scarlett
“E come, non ci conosciamo che da pochi giorni.” Disse lei, provocando in Eleonor dispiacere.
Era vero, loro non si conoscevano, anche se condividevano un legame di sangue. Cosa poteva fare Eleonor adesso?
In quei giorni aveva pensato spesso di rivelare a Kassandra la verità, tuttavia come poteva stravolgerle la vita così?
Sarebbe stato egoista e lei non lo voleva, come non voleva fare del male alla figlia. Avrebbe continuato ad osservarla da lontano, come faceva nei primi tempi della sua infanzia.
Scarlett si alzò in piedi, cominciando a camminare per il salotto finché non fu catturata dalla piccola scarpetta rosa sul camino.
Quella scarpetta da bambina era un regalo che Eleonor aveva voluto fare a Kassandra quando lei aveva compiuto cinque anni, subito prima di trasferisi, l’aveva consegnata ad Anna Scarlett per essere sicura le arrivasse.
C’era inciso il suo nome dietro, in carattere corsivo. Erano state fatte su misura e ne aveva ordinate tre. Un paio per la piccola ed una sola per lei, a ricordale quel pezzo di anima che non aveva più.

“Me la ricordo questa.” Disse Kassandra, sfiorandola con le dita.
“Perché non sei venuta a darmele di persona?” Domandò
Eleonor si sorprese. Lei sapeva?
La ragazza tornò a sedersi vicino alla donna, prendendole la mano.
Si, lei sapeva e questo rese Eleonor felice anche se timorosa. Cominciò a piangere e a quel punto Kassadra l’abbracciò.
Un abbraccio che dava sicurezza per il futuro, amore, comprensione e perdono.
Dopo ventisei anni dall’ultima stretta delle sue piccole manine, Eleonor poteva finalmente stringere a sé la figlia senza aver paura di quello che sarebbe potuto succedere.

  
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