Love or drug?
Che
cos'è un'amante?
Una donna presso
la quale ci
dimentichiamo quel che si sa a memoria,
come dire tutti
i difetti del suo
sesso.
Nicolas
de Chamfort
Era un misogino lui.
Di quelli della peggior
specie.
Aveva sempre odiato le donne,
il loro modo
di fare subdolo e approfittatore.
Aspettavano che gli uomini si
illudessero,
cadendo nella trappola mortale dell’amore, per poi ucciderli
come facevano le
mantidi religiose.
Non ci si poteva fidare di
quelle creature
create dal diavolo.
Mai.
Porto`
la sigaretta alla bocca e ne aspiro` avidamente una boccata, facendola
scivolare per la trachea e dopo riempirsi i polmoni con quel suo veleno
personale. Infine sbuffò fuori una nuvola grigia e socchiuse
gli occhi stanco,
calandosi ancora di più il cappello sulla fronte.
Si
rigirava tra le mani la sua Combat Magnum, come faceva sempre a causa
del
nervosismo, mentre si dondolava leggermente sulla sedia.
Aspettava
da ormai quaranta minuti impaziente davanti a quella porta, che
rimaneva
inesorabilmente chiusa.
Era
stata l’ironia della sorte a fargli quello?
Lui,
Daisuke Jigen, inchiodato a quella sedia ad aspettare
l’ultima persona che
avrebbe mai immaginato.
E
lei non arrivava ancora.
Era
partito tutto per gioco, per lei, voleva dimostrare
ad un misogino come
lui come le donne fossero indispensabili nella vita di un uomo.
Aveva
fatto la ruffiana, anche con lui, e lui come uno
stupido ci era cascato.
E
ora era li, inchiodato alla sedia ad aspettare la sua nuova droga sulla
pelle,
per poter passare un'altra sera malandrina, di nascosto dal mondo.
Odiava
le donne, perche` incatenavano gli uomini, li usavano a loro piacimento
e li
illudevano di essere unici.
Avrebbe
potuto continuare in eterno quell’elenco, eppure quando si
trovava davanti lei
quella manfrina che si ripeteva nella mente svaniva.
Odiava
quella donna.
Eppure
ormai era diventata indispendabile.
Fujiko Mine era diventata la
sua droga personale.
L'abuso della droga
non è una malattia,
ma una decisione,
come quella di
andare incontro ad una macchina che si muove.
Questo non si
chiama malattia,
ma mancanza di
giudizio.
Era una gatta ladra lei.
Arrivava di soppiatto e
iniziava a fare la
ruffiana.
Era conscia di essere
irresistibile agli
occhi degli uomini e sfruttava il suo fascino per usarli, fino ad
estorcere
loro l’ultimo goccio di sangue.
Servivano a quello, gli
uomini.
Non c’era mai stato
amore o altre
sciocchezze del genere, non facevano per lei.
Non c’era mai stato.
Mai.
Quelle
labbra sapevano di nicotina, un sapore che lei non aveva mai sopportato.
Eppure
misto a quel profumo di muschio bianco ricercato e al suo
sapore lo
trovava irresistibile.
Si
era ripromessa che quello sarebbe stato l’ultimo bacio, che
l’avrebbe lasciato,
perché quel gioco era troppo pericoloso, anche per
lei.
Lei
odiava quell’uomo che l’aveva sempre disprezzata e
l’aveva quindi sedotto, per
farlo soffrire, per spezzargli il cuore.
Ma
furono di nuovo quelle labbra a catturarla e farle dimenticare tutte le
ragioni
per cui non poteva comportarsi cosi`, non doveva.
Non
c’era dolcezza nei movimenti dell’uomo e neppure
nei suoi baci.
C’era
un odio mal celato, misto a rabbia, dolore, passione.
E
fu così che lei, Fujiko Mine, si rese conto che era quel
corpo quello che aveva
sempre cercato e che non poteva più tornare indietro.
Lei
odiava quell’uomo.
Eppure
non poteva più farne a meno.
Daisuke Jigen era diventato
la sua droga personale.