La
tv è accesa, il volume alto. Sebastian finge di
correggere i compiti di francese dei suoi alunni, scarabocchiando
qualche
appunto accanto ad una frase scritta male, o cambiando qualche accento.
È
nervoso, è distratto, e non vede l’ora che David
Letterman la smetta di
intervistare quel dannato skater che nessuno conosce e passi
all’ospite
successivo.
L’ospite
successivo.
Ormai
è un personaggio pubblico, è conosciuto da tutti.
Ormai cammina per strada e viene fermato da persone di tutte le
età. Ormai
chiunque gli scrive su Twitter per dirgli quanto sia fantastico, bello,
meraviglioso. Lui gliel’ha sempre detto, invece. Quando
nessuno credeva in lui,
Sebastian gli prendeva la mano e gli diceva di aspettare, che il mondo
presto
si sarebbe reso conto del fatto che dentro di lui c’era un
fantastico universo
da scoprire. Sarebbe stato amato, un giorno. Lui era troppo
per poter essere solo suo, Sebastian lo sapeva: una persona
come lui doveva essere del mondo, chiunque avrebbe dovuto avere la
possibilità
di attingere da una persona come lui. Chiunque avrebbe dovuto avere la
possibilità di guardarlo e dire “un giorno
diventerò come te”. Proprio come
aveva fatto Sebastian.
“Ed
ecco il nostro prossimo ospite: Kurt Hummel! Benvenuto, Kurt”
Kurt
gli aveva sempre detto che si sentiva polvere. Aveva
due possibilità: farsi portare dal vento e non combinare
nulla, o esplodere.
Aveva sbattuto la testa contro tanti muri ma alla fine aveva capito
come fare
ad esplodere, come essere quello che è diventato, alla fine.
Sebastian scrive
rapidamente una D su un test andato particolarmente male e si rivolge
completamente
alla tv.
Kurt
è bello, ma a questo punto l’hanno notato tutti.
Quando
si credeva il brutto anatroccolo della storia Sebastian impiegava ore
ed ore
per convincerlo del fatto che fosse bellissimo.
E lui, con un sorriso tirato, gli diceva “va bene, ho
capito”, ma non ci
credeva mai.
Sorride,
di quel sorriso che illumina una città intera.
Sebastian non può che rifletterlo sul suo viso, quel
sorriso. Come si può
guardare delle labbra così e non sentire la
felicità nelle vene? Sebastian
guidava per ore, a volte, per portarlo a vede i panorami più
belli che
l’America potesse offrire. Lui non ne aveva visto nemmeno
uno: ogni tramonto,
ogni cascata, ogni rift valley, ogni più grande opera di
Madre Natura era nulla
– nulla – se
messa a confronto con il
sorriso di Kurt. Il suo viso era il dono che il Mondo gli aveva fatto.
E lui lo
amava così tanto da lasciarlo libero di andare nel mondo e
far sì che fosse di
tutti, piuttosto che solo suo. Perché, per lo stesso motivo
per cui aveva
abbandonato Lima, appena diciottenne, aveva sentito il bisogno di
abbandonare
New York e poi l’America intera e in fondo, chi era Sebastian
per imporgli di
restare lì con lui, a ripetere ogni giorno la stessa lezione
in una scuola
superiore qualsiasi al centro di New York? Nessuno. Aveva sorriso,
preso le
chiavi della macchina e l’aveva accompagnato
all’aeroporto. Un ultimo bacio, un
au revoir che sembrava
più che altro
una sconfitta e il cofanetto con l’anello di fidanzamento
ancora nella tasca
della giacca.
Non
poteva chiedergli di sposarlo. Non avrebbe mai potuto
imporre a uno dei 100 uomini più influenti del mondo di
sposare un semplice
professore.
Perché
alla fine con Kurt non si vinceva mai. Con Kurt era
un gioco a perdere e benché Sebastian fosse così
abituato ad ottenere, ottenere
sempre, non riusciva a smettere. Kurt vinceva, e lui glielo lasciava
fare. Kurt
decideva, e anche se le decisioni riguardavano anche lui, Sebastian
subiva.
Kurt aveva il coltello sempre dalla parte del manico e per quanto in
pubblico
fingessero che Sebastian fosse il forte, non si poteva nascondere che
anni e
anni di bullismo l’avessero temprato. E lui lo sapeva.
Entrambi lo sapevano, ma
in fondo non importava. Andava bene così. Ma Sebastian
avrebbe dovuto
immaginarlo, prima o poi quell’ambiente gli sarebbe stato
stretto, e allora
sarebbe volato via. Esattamente quello che aveva fatto, per
l’appunto, un anno
e due mesi prima.
“Sei
tornato in America da un tour di promozione del tuo libro in Europa,
è
corretto?”
“Corretto,
David. È bello essere a casa!”
“Che
farai questa sera? Rivedrai un po’ di gente?”
“Amici,
famiglia… sì, penso che farò un
po’ di giri di New York.”
“Incontrerai
qualcuno di speciale?”
Sebastian
chiude gli occhi. Vuole sentire?
“Probabilmente
il mio divano, mi è mancato molto…”
Kurt
ha sempre il coltello dalla parte del manico. E
stavolta la lama è indirizzata dritta nel petto di
Sebastian.
Quando
spegne la tv lo fa senza pensare. È insopportabile la
sua voce che non parla di lui, è insopportabile il suo
sorriso che non
s’accende per lui, è insopportabile sapere di non
essere nei suoi pensieri.
È
insopportabile sapere di essere nella sua stessa città e
non poter essere con lui. È insopportabile sapere che
vedrà delle persone –
Rachel, probabilmente, o Blaine: si è trasferito qui da un
po’ e forse ne
stanno approfittando per stare un po’ insieme.
Sebastian
non ci ha pensato nemmeno, a trovare qualcun
altro. È solo da un anno e due mesi e, a ventotto anni, la
sua vita gli sembra
già consolidata routine. Era Kurt il suo fuoriprogramma,
ogni giorno. Un fuoco
d’artificio, ecco cos’era. Era un fiore sul tavolo
quando aprivi la porta dopo
il lavoro, era la colazione a letto con un bigliettino che dice
“ti amo” e
basta, senza nemmeno un punto alla fine. Era la sua redenzione,
perché fare il
bastardo gli era riuscito bene per tanto tempo ma con lui non
c’era proprio
verso.
Senza
nemmeno capire come si ritrova sotto la doccia. E
vorrebbe che lui fosse lì. Anzi: vorrebbe essere il
Sebastian Smythe di una
volta, quello che usciva e andava nei locali gay a cercare dei ragazzi
con cui
passare il tempo. O forse essere il Sebastian Smythe, che riusciva a
dare
all’uomo che amava tutti i riflettori di cui necessitava,
senza che questi
sentisse il bisogno di fuggire via.
Era
così difficile. Si sentiva come se fosse sceso dal suo
treno alla fermata sbagliata, e allora che doveva fare? Il treno
continuava ad
andare, così veloce, e non c’era nessun
fottutissimo modo per raggiungerlo.
Andare a piedi? Ci avrebbe messo troppo, lui era così lento,
senza nessuno che lo
aiutasse ad andare dove doveva. L’aereo? Scomodo,
così diverso dal treno a cui
era tanto abituato. Forse più facile, più
confortevole e con più vantaggi ma
troppo, troppo lontano da quello che era il suo mezzo preferito. Non
c’era
modo.
Ancora
bagnato, si avvolge un asciugamano alla vita e prese
il cellulare. Non ha più sentito Kurt, da quando se
n’era andato. Au revoir
sono state le ultima parole
che gli aveva rivolto, ed ora tutto questo gli sembra così
assurdo. Non ha mai
amato nessuno come aveva amato – come ama
– Kurt e come diavolo può aver resistito
più di un anno senza sentire la sua
voce? O meglio, senza sentire la sua voce che gli parlasse?
È inconcepibile, e
come diavolo ha fatto Kurt, senza di lui? Sebastian conosce ogni suo
spostamento, Internet è pieno
di lui.
Ma Sebastian è un semplice professore di francese, Kurt non
può sapere come
sta, Kurt non può sentire la sua voce, anche in tv o in
internet. Improvvisamente
la rabbia si impossessa di lui: la vita di Kurt è
così perfetta da fargli dimenticare
in questo modo Sebastian l’uomo che diceva essere il
più importante della sua
vita? Il suo orgoglio di uomo immerso nello show business
così gigantesco da
non permettergli di far nemmeno una chiamata alla persona con cui
pensava che
avrebbe condiviso l’intera esistenza?
Furente,
sfiora la cornetta verde, apparsa sul suo telefono
quando aveva selezionato dalla rubrica la voce ‘Kurt’.
“S-
Sebastian?”
La
furia svanisce così come è arrivata, al suono
melodioso
della sua voce che pronuncia quel nome. Sebastian quasi sorride, ancora
gocciolante.
“Kurt.”
“Hai
sentito?”
Sebastian
è confuso, non pensa prima di chiedergli:”Che
cosa?”
“Oh.
Non hai sentito.”
“Kurt,
di che parli?”
Gli
sembra assurdo, sono mesi che non parlano e tutto quello
che riescono a dirsi adesso non ha il minimo senso.
“Ero
al Late Show e…”
“Ah,
sì. Ti ho visto. Parlavi del tuo divano, poi… ho
spento
perché…”
“Ecco,
il solito tempismo.”
Kurt
ha sempre il coltello dalla parte del manico: lui sa di
che parlano e Sebastian no. Lui sa cosa diamine c’entri David
Letteman e
Sebastian no, ad esempio.
“Kurt,
ti dispiacerebbe spiegarmi…?”
“Ho
parlato con David di quanto ti amo e tu nemmeno hai
sentito.”
“Tu
cosa…?”
Sebastian
non può che sorridere. Prima piano, cauto. Poi il
tuo cervello registra l’informazione, e il sorriso diviene
quasi una risata. Di
quelle che gli fa fare sempre Kurt. Che, tra le altre cose, sa farlo
anche
ridere quando vuole.
“Eh.
Spero sia su YouTube perché, Dio, era davvero un grande
discorso. Improvvisato, per di più.”
“Ammirevole.”
Ridacchia Sebastian.
“Sono
uno scrittore, con le parole ci lavoro.”
“Vero.”
Parla a monosillabi, lo sa, ma formulare una frase
sembra così difficile in questo momento.
“Ed
è grazie a te. Ora però sono stanco di tutto
questo,
Bas. Il mondo è solo una distesa di terra e mare, senza di
te.”
Sebastian
non riesce a parlare. Kurt deve accorgersene,
perché aggiunge:”Senti, dobbiamo parlarne. Sono
giù, mi apriresti la porta?”
Ecco:
Kurt ha sempre il coltello dalla parte del manico.
Però
Sebastian Smythe è pur sempre Sebastian Smythe.
“Io
ti apro, ma sappi che sono nudo. E ho intenzione di
restare nudo per tutto il tempo necessario.”
Angolino!
Scusatemi, l’angst non è mai stato nelle mie intenzioni ma ieri mi è uscito fuori dalle manine e non ho saputo resistere! Fortunatamente c’è il lieto fine :) Spero gradiate anche i nostri piccolini sotto questo aspetto.
Grazie a chi leggerà/recensirà eccetera eccetera.
Baci