Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: wordsaredeadlythings    06/05/2013    1 recensioni
- Fede, io so tante cose e non ne so nessuna: so che ami mettere il miele ovunque, che vorresti tingerti i capelli di rosso e che canti sempre sottovoce dopo aver fatto l'amore. Io so te, Fede. Io conosco te, io conosco ogni singolo atomo silenzioso del tuo cazzo di corpo. E se il nord mi porta sempre qui, significa che questa è casa mia. Questa è casa nostra, Fede. E so che non posso rimettere a posto le cose, e che potrei dirti altri milioni di parole che non ho mai avuto il coraggio di pronunciare, ma voglio solo dirti che vorrei portarti ovunque nel mondo e baciarti ogni volta che vedrò qualcosa che profuma di te, di noi, di me, dei nostri dolori e delle nostre fratture che si completano e si neutralizzano. -
Attenzione: presenza di coppia omosessuale (due donne), se non gradite non leggete!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quando aveva otto anni, suo nonno la portava in montanga. Gli piaceva l'aria fresca sul viso, il profumo di foresta che si sveglia; era sempre mattina presto quando arrivavano, e le sue scarpette si sporcavano subito di fango, diventavano pesanti come macigni, ma anche se erano così pesanti, lei avanzava comunque nel pantano, tenendo stretta la mano grande, rugosa e tremante del nonno, unica sicurezza di quel luogo che sentiva ancora di non conoscere abbastanza.
Nonno rideva, si guardava intorno e indicava le piante, illustrando tutti i benefici di quei fiori.
- Vedi quello? - e indicava una pianta tra tutte le altre - Quello è il nocciolo. Certe parti si usano addirittura per far dimagrire! -
- Io ho bisogno di dimagrire, nonno? -
- Certo che no - e il nonno si accucciava e gli appoggiava le mani sulle spalle - Tu sei splendida esattamente così come sei - poi sorrideva e la prendeva per la vita, se la caricava sulle spalle e lei si stringeva fortissimo.
Gli sembrava di volare, se chiudeva gli occhi. Aveva un super nonno.
Certe volte suo nonno si fermava davanti ai ruscelli e tirava fuori la sua bussola, facendole cenno di correre a vedere. Gli indicava la bussola, picchiettando con l'indice sul vetrino, e sorrideva.
- Vedi, questo indica il nord - diceva, indicando l'ago rosso fuoco - Questa è la strada di casa. Stai sicura che, quando ti perdi, se vai sempre verso nord, prima o poi tornerai a casa -
E lei sorrideva e annuiva, felice.
Ora alla foresta non ci andava più: da quando nonno era morto, tanti anni prima che non voleva ricordarselo, nessuno aveva più avuto voglia di portarcela. Erano tutti immersi nelle loro vite e nel loro odio per rendersi conto che lei stava crescendo, e che presto avrebbe dimenticato che il nocciolo fa dimagrire e che lei è splendida così com'è.
Ma non aveva mai scordato che verso nord c'è casa. Qualche volta ci guardava, verso nord: guardava fisso l'orizzonte e immaginava che oltre quelle case grige ci fosse una casetta piccola, silenziosa. Ci fosse casa sua.

*

Si era tinta i capelli di viola il giorno stesso in cui aveva iniziato a fumare.
Aveva detto alla parrucchiera di tagliare tutti i capelli dal lato destro e di lasciarli lunghi e frastagliati sul sinistro, e poi di decolorarli e tingerli di viola. La donna l'aveva guardata scioccata, ma poi aveva eseguito, in silenzio. Zoe non aveva parlato per tutto il tempo: aveva guardato se stessa mutare lentamente sotto le mani esperte di quella parrucchiera così normale, l'aveva vista partorire l'anormalità con una smorfia di disappunto sistemata sul viso scavato da rughe profonde come ruscelli, e aveva sorriso per l'ironia della cosa.
Aveva pagato, una volta finito il tutto, e poi era andata a comprarsi delle sigarette. Marlboro light, le avevano detto che le Marlboro erano le migliori. Gliel'aveva detto lei tanto tempo prima, a dirla tutta, ma Zoe non voleva pensarci.
Aveva una felpa nera con uno zombie disegnato sopra, mille plettri attaccati al collo con catenelle fragili e due occhi grandi nascosti da quei capelli viola scuro, cupi, tristi. Si era nascosta nei bagni pubblici per sfilacciare i suoi jeans e colorarsi gli occhi e le unghie di nero, sotto lo sguardo allibito di tutta quella gente normale.
L'anomalia. Lei era sempre stata un'anomalia del sistema, un morbo che infettava quel mondo pieno di normalità. E lei aveva scelto di essere un'anomalia totale: voleva che le persone la guardassero, che la giudicassero male, che le tirassero parole di ghiaccio, che la bruciassero con il loro freddo, perché poi lei si sarebbe rialzata e sarebbe andata avanti comunque. Perché voleva ferirsi fino alla morte, voleva farsi del male, voleva essere ferita più di tutti gli altri, quasi quanti l'aveva ferita lei.
Eppure non sentiva niente: gli sguardi allibiti dei passanti le scivolavano addosso senza farle veramente male. Non la toccavano: erano sguardi innoqui, una lieve pioggerella in risposta al suo nero terribile.
Interruppe il suo vagare, dopo alcuni minuti, per poi cercare il nord. Suo nonno le aveva lasciato la bussola, e lei la portava sempre così, sotto le maglie, in mezzo ai plettri. L'afferrò e guardo l'ago rosso di quell'aggeggio colorato d'oro per farlo sentire importante. Trovato il nord, cominciò a camminare, disintegrando una sigaretta dopo l'altra mentre camminava. Continuò ad andare verso nord, sicura di quello che faceva, pur sapendo di non avere una cazzo di meta. Voleva tornare a casa, quella vera, quella dove non si sentiva un'anomalia del sistema, quella nella quale si sentiva Zoe, Zoe e basta.
Camminava da venti minuti quando arrivò davanti ad una casa. Era gialla, alta, triste. C'era intonaco a terra, raggruppato in mucchietti umidi e tristi. Sul campanello c'era scritto "Famiglia Vittori" , ma lei sapeva benissimo chi viveva lì. Perché i passi la portavano sempre lontano, ma prima o poi tornava sempre lì, davanti a quella casa triste, dove c'era lei che l'aspettava, silenziosa, con i suoi occhiali quadrati dalla montatura nera e le sue labbra piene di sorrisi spenti.
Guardò la porta, il campanello, poi la prima finestra a destra del secondo piano, quella con le tende azzurre. Si chiese se suonava ancora il violino, se stava ancora con quel ragazzo, quel Marco che non aveva fatto altro che ferirla e farle male fin dal primo momento. Si chiese se aveva ancora quel peluche senza un'occhio che le aveva regalato due mesi prima, si chiese se sentiva la sua mancanza, perché Zoe sentiva la sua. La sentiva sotto la pelle, dentro le ossa, nelle sue terminazioni nervose, dritta nel cervello, nel fegato, nei polmoni e nel tessuto pulsante del cuore. Si chiese se avesse cancellato il suo numero dopo quella sera, si chiese se gli mancava il sapore delle sue labbra, si chiese cosa avrebbe detto vedendo la sua trasformazione.
Teneva le mani in tasca, gli occhi fissi su quella finestra, e sperava che prima o poi sarebbe scesa, che l'avrebbe guardata. Si sarebbero penetrate con gli occhi, nel silenzio immenso di un addio mai dato, sulle false righe di un rapporto indecifrabile.
Prese il telefono in mano, dopo alcuni altri minuti. Compose il numero, premette il pulsante verde e attese, in silenzio.
- Pronto? -
- Fede -
- ...Cosa vuoi? -
Si morse un labbro. Abbassò lo sguardo sul cemento bagnato, scuro, impregnato d'acqua.
- Parlare -
- E se io non volessi parlare? -
- Resterò qui finché non uscirai. Sai che posso farlo. -
Attimi di silenzio, interminabili silenzi. Federica era composta di atomi di interminabile silenzio, e forse anche per questo Zoe l'amava. Amava anche i suoi atomi di interminabile silenzio che si mescolavano e attraevano i suoi atomi neri, gli atomi anomali dell'anomalia che era lei.
- Dove sei? -
- Sotto casa tua -
La sentì sospirare lievemente.
- Mi avevi detto che non mi avresti più parlato -
- Dico tante cose, lo sai -
Federica rimase in silenzio ancora altri minuti, e Zoe sentì i suoi atomi di silenzio muoversi e vibrare, emettere chissà quale suono silenzioso.
- Scendo - e riattaccò.
Zoe puntò i suoi occhi grandi contro la porta. Attese, in silenzio. Passarono cinque minuti prima che Federica decise di aprire la porta ed uscire: indossava il suo cappotto blu, e Zoe sentì di amarla ancora, forse ancora più forte di prima.
Federica arrivò davanti al cancello, ma non lo aprì. Rimase lì, in piedi, a tremare di freddo, immersa in uno dei suoi silenzi.
- Fede, devo dirti tante cose - affermò Zoe, sapendo che Federica aspettava solamente quello. Prese un respiro enorme, si intossicò con gli atomi silenziosi di Federica, e solo dopo cominciò a parlare - Sono venuta qui perché puntavo verso nord. Sono sempre venuta qui, per tre mesi, ogni giorno, solo perché puntavo verso nord. Oggi mi sono tinta i capelli di viola perché quando ci siamo baciate la prima volta ero ubriaca e tu avevi delle cose viola tra i capelli, e dio se amavo quel colore su di te. Fede, io lo so che ho mandato tutto a puttane, che non avrei dovuto dirtelo in quel modo, in quel contesto, che non avrei dovuto parlarti quella sera, che non avrei dovuto dirtelo. Fede, io so tante cose e non ne so nessuna: so che ami mettere il miele ovunque, che vorresti tingerti i capelli di rosso e che canti sempre sottovoce dopo aver fatto l'amore. Io so te, Fede. Io conosco te, io conosco ogni singolo atomo silenzioso del tuo cazzo di corpo. E se il nord mi porta sempre qui, significa che questa è casa mia. Questa è casa nostra, Fede. E so che non posso rimettere a posto le cose, e che potrei dirti altri milioni di parole che non ho mai avuto il coraggio di pronunciare, ma voglio solo dirti che vorrei portarti ovunque nel mondo e baciarti ogni volta che vedrò qualcosa che profuma di te, di noi, di me, dei nostri dolori e delle nostre fratture che si completano e si neutralizzano. E tu lo sai che tutto questo è per te - allargò le braccia, guardandola dritto negli occhi - Tutta me, è per te. Io sono tua. Sono tua per la vita. Perché sei tu casa mia, e non mi importa se tu non mi vuoi più: io sarò sempre tua, sempre. Mi manchi anche se c'è un cazzo di cancello a separarci, perché è una geometria di una distanza che non so calcolare. Perché la geometria di una distanza è diversa. Perché quando una persona non c’è, anche i metri sembrano continenti, pianeti, anni luce, galassie, universi interi. Perché io la geometria di una distanza non la so calcolare, ma sento ogni millimetro, ogni centimetro, ogni singolo metro che striscia sul mio cuore come pietrisco, che ferisce tutto e tutto sanguina. -
Federica la osservò. Lì, dritto negli occhi, con quei suoi occhi enormi, di un marrone così scuro che Zoe si sentì affogare nel nulla di quel silenzio. Voleva nascondersi in uno di quegli atomi silenziosi e dormire lì, per sempre, indisturbata. Vivere negli atomi di Federica, quella ragazza lì, con i suoi occhi marroni e i suoi capelli ricci e neri e il suo viso sottile e la sua bassa statura.
- Dimmelo - sussurrò Federica, mordendosi un labbro per qualche secondo.
- Cosa? -
- Quello che volevi urlarmi in spiaggia davanti a tutti. -
- Fede, io ti amo -
Federica socchiuse gli occhi.
- Dillo ancora. -
- Ti amo -
- Ancora -
- Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo - continuò lei - Posso dirlo per sempre, se me lo chiedi. Lo sai che è vero. E' così vero che mi distrugge il corpo.
Federica aprì gli occhi. La guardò.
- Sono il tuo nord, Zoe? -
- Sì, lo sei. -
- E tu sei il mio nord? -
- Io sono tua, quindi se vuoi che io sia il tuo nord, lo sarò. -
Federica aprì il cancello, facendo schioccare la serratura, per poi sorridere.
- E comunque anche io. Anche io sono tua. Anche io ti amo. Anche io tutte le cose che hai detto tu, prima. -
Zoe entrò dentro il giardino. La prese per mano.
E, finalmente, andarono a casa.






Ho dolciume accumulato nelle mie ossa e devo scriverlo da qualche parte.
Mi è uscita di getto, e so che magari sembra un po' ridondante, che ci sono ripetizioni, forse qualche errore, ma rileggendola non me la sono sentita di cambiare niente.
Va benissimo così. E' perfetta così.
Mi piace tanto, e spero che piaccia anche a voi.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: wordsaredeadlythings