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Autore: Fenice_    06/05/2013    1 recensioni
«Hai promesso di stare con me, quando abbiamo fatto il giuramento di Parabatai.
Le nostre anime sono unite.
Siamo una persona sola, James.»
«Siamo due persone. Due persone che hanno fatto un patto.»
Will sapeva di sembrare un bambino, ma non poteva farci niente.
«Il patto dice che non devi andare dove io non posso seguirti.»
Shadowhunters -Le Origini- "Il Principe"
Genere: Fantasy, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Carstairs, Theresa Gray, William Herondale
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Autore: Fenice_
Fandom: Shadowhunters-Le Origini
Personaggi: James Carstairs, William Herondale
Tipologia: One Shot
Rating: Giallo

Oppio e sangue


 



«Will.» 
La scura capigliatura mora tamponava la fronte di un Herondale cocciuto. Le punte corvine dei capelli terminavano con arrotondamenti, schiacciandosi contro la pelle biancastra di Will.
Non aprì bocca.
«Will, è tardi. Tornatene in camera.»
Jem stava seduto contro il proprio baule, nella sua stanza; inerme, con le braccia flesse e accatastate contro i fianchi, congiunse le mani in un intreccio lento di dita poco sopra le ginocchia.
Aveva la schiena ricurva, segno di rassegnazione; le gambe invece divaricate attorno a quel poco spazio occupato dal corpo -in ginocchio- di Will.
Il Cacciatore, con le sue iridi azzure, scanagliava la parte bassa dell'addome del Parabatai.
Premeva le dita su quello sprazzo di pelle, arreso nello sfruttare un oggetto tipicamente mondano: ovatta.
Puliva così le restanti "schegge di sangue" dal corpo maschile, mentre con maniacale accuratezza stava bene attento nell'evitare scontri con la ferita -non ancora del tutto rimarginata- sul petto del “fratello”.
«’Sta zitto.»
Parole accartocciate, roche. Null’altro aggiunse, provocando solo occhiate in aria da parte di Jem, seduto al suo fronte.
«A che senso.»
Sibilava Jem, che d’intenzioni di farsi udire, non ne aveva.
Non era posta come domanda, perché di risposte ne conservava già troppe, ma Will parve fregarsene: dal silenzio distorto in cui s’era annidato, prese parola con rabbia feroce.
«A che senso cosa, James? »
Le iridi azzurre cercarono un contatto diretto con le opposte. Jem non appariva affatto sorpreso di quel fare improvviso  ed alterato, di quella testa calda del Cacciatore chino a terra.
«Sai bene di cosa parlo.»
Un sussurro lieve, un mormorio sfinito.
«Tu non morirai oggi. Non morirai domani, e nemmeno la settimana seguente.
Morirai a tempo debito, come tutti noi ci auguriamo di sparire.»
Le dita di Jem si scomposero, racchiudendo entrambe le ginocchia in una morsa che avrebbe dovuto aiutarlo a raccogliere nuova calma. Difficile a dirsi, ma anche a farsi, quando con estrema indelicatezza, lo si vide rizzarsi in piedi, e sbraitare di risposta: «Perché? Perché Will? Vuoi capirlo? Vuoi capire che ho superato la mia paura di morire? Ho superato la morte Will! Io non avrò paura, sarò consapevole, ma non avrò paura. E tu!» Il dito del Nephilim puntò contro il viso biancastro dell’Herondale, impietrito ora, ma non aprì bocca.
«Tu continui a parlare di speranze inutili Will! Tu, insieme a quella sciocca di Tessa! Voi .. Voi ..»
La testa di Jem prese a girare vorticosamente. Loro?
Le mani gli si trapiantarono tra i capelli, -stava ballando sull’orlo dell’isteria- pensò.
Aggrottò la schiena, con movenze quasi inumane, trattenendo ancora le tra i capelli.
Bianchi, infinitamente bianchi. Una volta erano neri, neri corvini, pensò ancora. Come quelli di Will, scuri, bui. E lo stesso Will adesso non capiva, non capiva niente, continuava a non capire da anni.
La fronte premeva sull’intonaco bianco dalla parete.
Non se n’era nemmeno accorto, ma stava chino in angolo, con le ginocchia mollemente elastiche che gli trattenevano ancora sui piedi il corpo. I gomiti poggiavano contro le sue cosce, le punte ossute gli facevano male, ma non mutò posizione.
«James .. »
Sussurrò una voce dal buio del suo angolo, ma questa volta fu lui a raccogliersi nel silenzio.
«Jem, prendine un po’.»
Non suonava minaccioso il suo tono, c’era un tocco di rammarico: e non aveva bisogno di voltarsi, sapeva cosa intendeva con il “prendine un po’”, dalla bocca sua uscì un mugugno, un rigurgito.
«Will basta. Basta. BASTA! Sono stanco, sono a pezzi, sono distrutto.»
Erano parole fioche, sussurrate, dubitava perfino che il Nephilm dietro di sé le avesse accolte fino al suo udito, seppur fosse micidiale e fino. Però non preferì parola, fu di nuovo lui ad irrompere le linee del suono.
«Non la voglio quella roba. Non voglio quello, sono stanco di avere quello, sempre quello, solo quello.»
«Voltati, non parlarmi di spalle.»
Gli occhi del Nephilim si ingrandirono per un momento.
Si lasciò del tutto andare, toccando terra; aveva ancora le iridi rivolte alla parete, ma con sgraziate movenze prese a ruotarsi attorno, premendo i palmi sulle mattonelle del pavimento per munirsi delle spinte necessarie a scontrare la schiena con il muro.
«Che cosa vuoi Jem?»
Quelle parole gli rimbombarono nella testa. Che cosa voleva, lui?
Una vita normale, forse. Qualcosa a cui credere, oltre alla morte, forse.
Will non sembrava aspettarsi una risposta, dall’altro canto, gli s’era già chinato di fronte, e gli aveva premuto un fazzoletto sulla fronte, tra i capelli.
«Voglio che la smetti di trattarmi come un bambino, William.»
Le dita di questo si bloccarono. Mai aveva pensato di farlo immedesimare in un corpo così piccolo, ed infantile. La mano volse ad allontanarsi lenta, ma in quel breve percorso, la presa di Jem fu stretta, al punto tale che non gli permise di deragliare ancora.
«Baciami.»
Non era un mormorio ma una pretesa tale, che sconvolse le iridi elettriche di Will.
«Jem, che stai...»
«Baciami. Dimostrami che non sono il tuo bambino. Dimostrami che non è solo tuo dovere accudirmi.»
Sputò ogni parola con un disprezzo tale, che alle orecchie dell’Herondale, suonò come una muta sequenza di parole. Uniche movenze erano quelle labbra, le stesse che il Cacciatore chino a terra, gli chiedeva di baciare.
Pretendeva quel bacio a muso duro, mentre il polso di Will restava ancora bloccato a mezz’aria, poco distante dai capelli incolori del Nephilim. Aveva dato il possibile, ed ora era lì, di fronte a lui, a pentirsi di tutte le asfissianti cure che riservava da anni a lui, unicamente.
«Jem, questo non...»
Le dita di James mollarono la presa dal polso incatenato del Parabatai. Voltò di spiego il capo, e premette i palmi delle mani a terra: era pronto per alzarsi.
«Jem ‘sta fermo.»
Ancora una volta gli arti di Will afferrarono a tentoni pezzi di vesti del Cacciatore.
Lo trattenne a terra trattenendo un lembo della sua camicia, sporca ancora di un sangue di cui quel tessuto nascondeva la ferita.
Le dita risalirono lungo le cuciture dei bottoni minuti e bianchi, afferrarono uno stralcio di quel colletto, sbrindellato, sporco di fango, erba, ed ancora sangue.
I due volti ricambiarono in eguali frangenti occhi spaventati, parevano due piccole lepri, non più spavaldi cacciatori.
Fu un “lento attimo”.
Articolati gli arti, Will trascinò buona parte dell’addome del Parabatai contro di se, e così il volto.
L’incanto delle due paia d’occhi si spense con il seguir delle palpebre socchiuse, quando, senza alcun preavviso, bocca a bocca si congiunsero.
Lo scontrò fu tale da procurare ad entrambi i due Cacciatori un gemito di sorpresa, forse dolore.
Non dolore amaro. Dolore dolce, romanzesco.
Il corpo di Jem era teso e riverso contro quello di William, ma cercava spazi per lasciar crollare ogni lembo di pelle. Sospinse allora cauto il petto del Parabatai a terra, che seppur con un inizio rigido, cedette e plasmò la schiena contro il pavimento. Le mani del giovane Herondale si increspavano con eccessiva insistenza fra i biancastri capelli. Stringevano le ciocche in comici batuffoli di capigliatura, a cui però nessuno dei due fece caso.
Quelle di Jem invece, -di mani- erano attratte da altro.
Non scostò la bocca dalla vivace e rosea di Will, e nemmeno aprì le palpebre, ma ogni dita era un’unita ad aiutar l’altra, intente a sfilacciar via ogni bottone della camicia del Cacciatore sotto al proprio corpo.
Il palmo freddo del Nephilim scorse  una pelle esageratamente più calda, e diversa, e liscia, seppur marcata da altrettante cicatrici quante lui ne possedeva. Aveva lasciato che la camicia scorresse ancora attorno alle sue spalle, ma con le labbra era andato a cercar gli stessi tratti di tessuto che avevano precedentemente marcato i suoi palmi.
Ne baciò piccole porzioni, mentre Will, col collo piegato e riverso verso quelle movenze, schiudeva le labbra; non imponeva alcun minimo ostacolo.
Alcune delle sue dita erano ancora aggrappate ai capelli argentei, lo guidava così lungo il petto suo, costringendolo a soffermarsi nei punti in cui  quelle labbra gli procurava maggior piacere alla pelle.
Vibrava d’un fiato che non riconosceva nemmeno come il suo, a cui sfuggivano gemiti strozzati da voglie che difficilmente avrebbe placato.
I palmi di Jem aiutarono il cacciatore nel riporsi all’altezza del viso dalle iridi blu, ora rossastro in volto; gli parve di cogliere perfino lentiggini che fin ora non aveva mai notato.
La bocca, ancora, si protese a raggiunger l’altra; le palpebre di nuovo calate.
Ma qualcosa stonò nell’accordo di quel silenzio: un respiro lastricato di paura, stupore.
Una bocca, la stessa padrona di quel rumore, tappata dalla pressione d’una mano femminile.
Tessa.
Distava poco da i due corpi avvinghiati dei Cacciatori, avvolta in una vestaglia e nel buio della stanza.
Fissava straziata le figure a terra, entrambe immobili. Will non poteva vederla, ma Jem, steso su di lui, riuscì a cogliere lo sguardo sconvolto della mutaforme.

Voleva qualcos’altro, oltre alla certezza della morte,
ma non immaginava conseguenze così grandi, per quel poco desiderato.

   
 
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