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Autore: Gracedanger    07/05/2013    2 recensioni
"Fifona!" urlò a pieni polmoni dal fondo della strada. Mi voltai di scatto.
"Come scusa?"
"Hai sentito bene. Sei una fifona, Elizabeth."
Il solo fatto che non mi avesse chiamata 'Lizzie' come faceva inevitabilmente dal giorno in cui ci eravamo conosciuti, mi fece uno stranissimo effetto. Stavamo davvero litigando?"
...
E se Frankie fosse stato adottato? E se Nick fosse costretto sulla sedia a rotelle? E se Joe fosse così meraviglioso da non sospettare mai l'enorme peso che si porta dietro giorno dopo giorno? E se stare sola per Elizabeth, che si era trasferita in quella minuscola città con il suo stesso nome, non la rendesse più così felice come prima? E se avesse bisogno di qualcuno ma ci rinunciasse per più grandi motivi? E come hanno fatto due incidenti stradali a cambiare la vita di così tante persone?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 4


“Che cos’ho?”
Oltre che a pessimista, dopo quelle due ore in infermeria con quella lenta infermiera che mi fasciava la caviglia, ho scoperto di essere anche una dannata ipocondriaca.
L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era al “ragazzo fulmine” e se ci fosse ancora dietro quella porta, ogni volta che mi sembrava di vedere un’ombra sobbalzavo sul lettino.
La lenta infermiera se ne accorse, mi fece l’occhiolino, e con il suo buffo passo, si affacciò sul corridoio e chiuse la porta dietro di sé, vedevo solo ombre ora. Cercavo di non farmi illusioni, ma perché era così importante per me che quel ragazzo ci fosse ancora? Magari perché mi era sembrato l’unico decente in quella scuola di ragazzi tutti stupidi e tutti uguali. Magari era diverso, o magari avevo sbattuto la testa più forte di quanto credevo. L’infermiera tartaruga ritornò da me con un sorriso soddisfatto, ma non mi disse niente.
Che nervi, stavo per prenderla a schiaffi.
Non faceva altro che sospirare.
Dopo i primi dieci minuti di sospiri avevo i nervi che ballavano la samba.
Visto che non sputava il rospo, ho deciso di chiedere almeno come stava la gamba.

“Che cos’ho?”
“Una semplice distorsione di secondo grado, un po’ di riposo e passa la paura.”
“Passa la paura. E’ facile a dirsi.” sussurrai tra me e me.
“Su, in piedi, cara.”
 
Mi diede un paio di stampelle e mi accompagnò alla porta.
 
“Ah, signorina”
“Si”
“E’ lì. Ed è preoccupato per te.”
 
A quelle parole mi sciolsi. Il cuore mi cominciò a battere all’impazzata, appena guardai fuori dal corridoio lo vidi, seduto su una panchina con la testa tra le gambe e una videocamera tra le mani.
Mi vide e sgranò gli occhi, corse verso di me e mi prese il braccio e se lo mise attorno alle spalle. Mi portò sulla panchina poi si sedette accanto a me. Senza dirmi niente, prese la telecamera e la puntò verso di me.
“Sono Joseph.”
“Perché mi stai filmando Joseph?”
“E’ un segreto.”
“Come un segreto?”
“Lo dico solo alle ragazze di cui so il nome.”
“Elizabeth, mi chiamo Elizabeth.”
“Beh, Elizabeth, ti sto filmando perché ho voglia di filmarti.”
 
Non replicai, lasciai che mi filmasse, perché quella sua aria concentrata e i movimenti delle sue sopracciglia mentre guardava la videocamera mi facevano impazzire.
 
“Come stai, Lizzie?”
“Non mi chiamo Lizzie.”
“Lizzie, Elizabeth, Liza, tutti uguali.”
“Ma io mi chiamo Elizabeth, Joseph.”
“Non chiamarmi Joseph.”
“Tu ti sei presentato così.”
“Joe. Va meglio.”
“Come vuoi.. sei strano ragazzo fulmine”
“Come mi hai chiamato? Ragazzo fulmine”
“Si. Stavi correndo come un forsennato.”
“Già, e tu ti sei tuffata su di me.”
“Non è vero..non volevo..stavo scappando.”
“Da cosa? Dalla tua classe?”
“E’ che non mi piace stare in mezzo alla gente. Puoi spegnere ‘sta cosa? Voglio guardarti negli occhi quando ti parlo.”
“Nessuno guarda più le persone negli occhi, nemmeno tu ci riusciresti.”
“Perché tu si?”
“Sì.”
“Dimostramelo avanti.”
 
Spense la videocamera.
 
“Ecco, contenta?”
“Da morire.”
“Non sei molto sociale vero?”
“E tu sei tanto perspicace.”
“Eppure sembri quel tipo di persona che vale la pena conoscere. Quindi sappi che hai un amico.”
“Non lo voglio un amico.”
“E invece sì”
“E tu che ne sai? Non mi conosci nemmeno.”
“Si vede.”
“Da cosa?”
“Da come muovi le mani, da come sbuffi, da come ti metti i capelli dietro le orecchie e… da come mi guardi.”
“Perché come ti guardo?”
“Vuoi sapere troppe cose, sei noiosa.”
“E tu sei uno sputasentenze del cazzo”
“Eh già, è un mio brutto difetto. Ma questo sputasentenze del cazzo ti accompagnerà a casa.”
“Hai la macchina?”
“No.”
“E sull’autobus così non ci posso salire, vero?”
“No.”
“E come intendi accompagnarmi?”
“Ma non impari mai niente, eh?”
 
Mi prese in braccio un’altra volta e io ne ero fin troppo contenta.
 
“Sei sicuro di farcela?”
“Mi chiami ragazzo fulmine, no? Ci sarà un motivo!”
“Già…”
“Ma non ti ci abituare.”
 
Risi. E mentre questo buffo quadretto girava per la strada, io e Joe parlavamo. Parlammo di qualsiasi cosa durante il tragitto.


Sentii mentre con le dita stringevo la sua camicia, che tutto sarebbe andato bene. 
Non ero sola, eppure ero felice.
  
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