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Autore: Tessnip    07/05/2013    2 recensioni
Mia madre dice che l'amore rende bugiardi. E mia madre non mente.
Non può farlo.
Perchè mia madre è la Regina della Corte Seelie, e le fate non mentono mai.
Dunque le fate non possono amare.
Sono Paradisaeidae, e quello che ti chiedo è di rendermi capace di farlo.
A Magnus Bane, sommo stregone di Brooklyn.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sbuffo, mentre Manucodia continua a tirarmi i capelli.
Non sarà un'ottima pettinatrice, ma di certo è la parrucchiera più estrosa di tutta Corte.
Mentre maneggia con una nuova tinta rosa, guardo allo specchio i miei capelli castani con una certa nostalgia, pronta a dir loro addio.
Non so come una fata possa avere uno sguardo malinconico, ma mentre fisso i miei occhi, blu cobalto e inumani, mi sembra questo il sentimento che traspare.
Sentimento. 
Non so perché continuo a pensare a queste parole assurde e che non posso comprendere. Non so perché mi frullino in testa con una certa costanza.
E non so nemmeno capacitarmi dell'attrazione che provo per gli esseri umani, anche se non lo ammetterò mai. Li trovo affascinanti nei loro difetti, nei loro sbagli, nel loro cuore che batte all'impazzata. Nelle guance che si arrossano e nelle farfalle che svolazzano nel loro stomaco.
In tutto quello che li rende diversi dalla mia perfezione. Perché, nel male e nel bene, è questo che io sono, metà angelo e metà demone.
Non dovrei conoscere espressioni come "farfalle nello stomaco", ma  sono abbastanza certa di nascondere bene il mio segreto. Nessuno mi chiederà mai se leggo libri, sarebbe una domanda assolutamente fuori luogo: le fate non leggono i romanzi.
Eppure non mi sento sbagliata, nè inadeguata.

- Principessa, tirate indietro la testa se non volete che macchi la vostra pelle.

Tiro indietro la testa, lanciando un ultimo sguardo allo specchio. La mia pelle è il motivo perché mia madre ha ordinato a Manucodia di tingermi i capelli: è diafana, chiarissima, ma questo non basta a rendermi abbastanza diversa dalle persone. Guardo la pelle di Manucodia, verde lime. Lei non ha bisogno di tingere i suoi fluenti capelli neri.

- Smettetela di guardarmi con la grazia di un cane bastonato, Principessa. Non vi sto torturando mica.
Le lancio un'occhiataccia. - Sarà quella la tua sorte, se non farai un buon lavoro.

Ho un tono perennemente persuasivo, quindi spero che capisca l'avvertimento dietro l'ironia. Dall'aria umile con cui mi guarda, deve aver capito l'antifona.

 

Non voglio guardarmi, mentre mi sfila lentamente l'asciugamano dai capelli.
Guardo le pareti luminose invece, intricati mosaici di radici di piante che avvolgono il salone, con appese ovunque tende di chiffon cangianti di mille colori.

- Per il Cielo e per la Terra, principessa, sembrate davvero un uccello del paradiso.
- Me lo auguro, perché è così che si chiamerà la Principessa dopo la Presentazione.
Riconosco subito la voce fuori campo, suadente e decisa.
- Intendete chiamarmi Uccello del Paradiso, Regina?
Noi fate non sappiamo cosa sia l'affetto. Ma mi chiedo se l'affetto si possa imparare, dato che mi amareggia il fatto che non possa chiamare Mamma la Regina e mi sento quasi ferita dal fatto che a lei non importi. Forse i libri educano all'affetto, per questo le fate non li leggono mai. Perché l'amore rende bugiardi, è questa la dottrina che mia madre mi ha insegnato con ardua attenzione.
Mentre viene verso di me, il suo sguardo trionfante calza a pennello con la sua bellezza: trecce morbide e spettinate le mantengono i capelli dietro la schiena, incorniciandole il viso, un corpino stretto valorizza la sua vita sottile, maniche a kimono rendono le sue braccia esili delle cascate di colori e una gonna lunga e panneggiata, in seta viola, rende aggraziati i suoi passi.
Si mette dietro di me e mi prende il viso tra le mani, voltandomi verso lo specchio. 

- Intendo chiamarti Paradisaeidae, Principessa.

  
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