Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |      
Autore: BieberSweat_    07/05/2013    3 recensioni
Vi voglio raccontare una storia.
Una storia che vi potrebbe far annoiare, ridere, piangere, sfogare, cambiare, aiutare, terrorizzare, ricordare, pensare o tutto quello che volete.
Però non è una storia qualunque.
No.
E' una storia che viene sconvolta.
Forse in bene, forse in male.
Proprio quando per qualcuno sembra la fine, in realtà è solo il principio.
Però non è una storia qualunque.
No.
E' diversa perchè è la MIA STORIA.
"...I want you to stay." -Stay, Rihanna feat. Mikky Ekko.
Genere: Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: Lemon | Avvertimenti: Incest
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

...a voi.

Stay.



FIRST CHAPTER: Arriverà la fine, ma non sarà la fine. 



I miei passi erano gli unici tonfi che si sentivano lungo tutto il marciapiede deserto.
Non provai nemmeno ad evitare alcune  pozzanghere superficiali, segni della poca pioggia che era scesa poche ore prima.
Le mie mani nelle tasche e il mio sguardo basso indicavano quanto fossi stanco e solo in questo quartiere buio e inanimato a causa della tarda ora.
Sentii un rumore, come quello che fa un barattolo o una lattina che viene calciato da terra.
Mi voltai.
Nulla e nessuno.
Non vedevo l'ora di tornarmene a casa, mancavano solo una cinquantina di metri o più.
Il mio appartamento non stava nell'ultimo condominio del quartiere, grazie al cielo, e potevo inoltre spostarmi a piedi per andare un po' ovunque, anche in centro, dato la posizione comoda della via dove abitavo.
Allungai il passo, sperando di non risentire più un rumore simile.
Poteva anche darsi che quel rumore me lo fossi sognato visto che il mio stato non era tra i più sobri che avessi avuto finora.
Ero uscito con alcuni miei amici, eravamo andati in un pub in centro a Los Angeles.
Insomma, sfido qualsiasi ragazzo della mia età a non bere nemmeno un drink in un pub con i propri amici il venerdì sera!
Sospirai.
Sentii nuovamente lo stesso rumore, ma non mi voltai.
Ero abbastanza uomo per non cagarmi sotto come una ragazzina.
Non sono il tipo che non riesce a cavarsela da solo, anzi.
Quindi aumentai solamente il passo.
Notai che alcune luci della casa di fronte al marciapiede che stavo attraversando si spensero, probabilmente stavano andando a letto.
Camminai per un paio di minuti decisamente calmo.
I rumori di prima non erano più ricomparsi. Forse era stato solo un gatto randagio che cercava qualcosa da mangiare nei bidoni della spazzatura.
Passai davanti ad un altro condominio del mio quartiere.
Devo ammettere che ce ne erano abbastanza nella mia via.
Circa quattro.

Alzai lo sguardo dal cemento scuro e bagnato osservando l'edificio.
Mi pareva di aver sentito qualcosa.
Un pianto.
Proveniva da uno dei balconi che si trovavano su di un lato dell’edificio, evidentemente, perché mi trovavo ancora sul fronte di esso e non vedevo anima viva affacciata ad un balcone.
Più mi avvicinavo al lato destro dell'edificio, più riuscivo a sentire chiaramente i lamenti e i singhiozzi.
Entrambi molto femminili.
Solamente quando guardai attentamente un balcone che sarà stato tipo al quarto piano, mi accorsi di una figura femminile affacciata ad esso nella penombra.
Subito mi paralizzai.
"ehi, signora? Tutto bene?" mi azzardai a domandare.
"allontanati o ci buttiamo" disse singhiozzando.
Era una ragazza molto giovane e io l’avevo appena chiamata signora.
Complimenti, Bieber.
No, aspetta ma che ha detto?
Ma è pazza?!


Misi maggiormente a fuoco la sagoma.
Purtroppo con tutto quel buio mi ci volle un po', ma non appena riconobbi la figura di un bambino tra le sue braccia presi a correre verso l'entrata del condominio subito dopo averle urlato di non muoversi.
Salii le scale correndo come un forsennato e accorgendomi solo al primo piano che non avevo la più pallida idea di dove abitasse quella ragazza.
Mi scaraventai con gli avambracci addosso alla prima porta del primo piano bussando fortissimo.
"la prego mi aiuti! C'è nessuno?!" la porta si spalancò e quasi non caddi addosso alla signora che mi si presentò davanti per via dei miei forti colpi alla porta.
"ehi ragazzo ci sono modi e modi di-" la interruppi.
"dove abita la donna con il bambino?!" non avevo ancora tanto fiatone, ma che ansimavo si sentiva comunque.
"chi?" chiese stranita.
"una donna vuole uccidersi buttandosi giù dal balcone! E ha un bambino! Mi aiuti a fermarla, la prego!"
"dov'è?" mi chiese portando lo sguardo in alto verso i piani superiori.
"non lo so... Era un piano abbastanza alto" non immaginavo davvero che piano potesse essere.
"dovrebbe esserci una ragazza al terzo piano... Ha un bambino di sei anni" disse facendo velocemente mente locale.
"mi porti subito da lei"

Spalancai la porta con un calcio.
L'appartamento era piccolissimo.
Mi trovai subito davanti un divano e una tv, due camere alla mia destra e la cucina con un piccolo dietro il divano.
In fondo alla stanza c'era una portafinestra aperte dove si poteva benissimo assistere alla drammatica scena presente sul balcone.
La ragazza si era posizionata in piedi lungo il bordo del balcone rivolta verso noi.
Il bambino stava ancora nelle sue braccia.
"ferma!" urlai precipitandomi verso di loro.
La signora dietro di me urlò il nome della ragazza e le disse di non commettere sciocchezze simili.
Non appena fui abbastanza vicino alla soglia dell'ingresso della portafinestra che portava al balcone, la mamma con uno slancio pieno di sicurezza e d'amore posò il bambino a terra, che atterrò tranquillamente su due piedi, e si lasciò cadere nel vuoto dietro di sé, non prima di aver sussurrato al suo bambino che lo amava.
Dalle mie labbra uscii un no disperato che ormai serviva a niente.
Spostai il bambino da un lato e mi affacciai al balcone, in ritardo.
Il corpo giaceva a terra inerme.
Riuscivo però da questa prospettiva notare ogni singolo particolare del viso, a differenza di quando le situazioni erano opposte ed ero io a stare là sotto.
Aveva gli occhi spalancati e un rigo di sangue scendeva dalla tempia sinistra e dalla narice.
Una visione alquanto raccapricciante, tanto che la donna accanto a me avendo assistito a tutta la scena si portò le mani alla bocca appena vide il corpo della madre senza vita.
Calciai il muro e sbattei un pugno contro.
Non era possibile.
Era così una bella e giovane ragazza.
Bionda, capelli mossi e lunghi, labbra piene e rosee, occhi scuri, ma inondati dalle lacrime.
Cosa era successo nella sua vita di cosi terribile e irrimediabile da non trovare alcuna soluzione se non il suicidio?
Non potevo spiegarmelo.
Tutto può avere una soluzione che non sia questa.


I miei pantaloni neri vennero debolmente strattonati da una manina che mi costrinse a voltarmi e ad abbassare lo sguardo.
"perché la mia mamma si è buttata giù? Dove è finita?” prese una pausa dove sembrava avesse paura a dirlo “E’ morta?"
Una voce intrisa di paura, tristezza, confusione.
Due occhi verdi smeraldo con sfumature dorate fissavano i miei in cerca di valide spiegazioni.
Quegli stessi occhi stavano trattenendo fredde lacrime, che a momenti, giurerei, che stessero per scendere, bagnando il volto dolce di questa povera anima che l'unico errore che potesse aver fatto finora è stato quello di essere venuto al mondo.
La sua piccola boccuccia rosea era piegata in una smorfia incrinata dall’aspettato pianto, come quando scopri che hai appena rotto il tuo giocattolo preferito e non si può aggiustare.
La sua altezza mi arrivava a fine busto o più in basso.

Non riuscivo a rispondergli.
Cosa si può dire a un bambino che ha appena visto la madre buttarsi giù dal proprio balcone?
Perché l'ha fatto?
Non era solo la sua domanda, ma era quella di tutti e tre.
Alzai lo sguardo verso la signora che aveva spostato la sguardo su di noi.
Mi guardò con aria affranta, senza trovare nemmeno lei una scusa sufficiente a colmare l'immenso punto di domanda.
Spostai di nuovo lo sguardo sul bambino, che nonostante avessi guardato la donna che molto probabilmente poteva dargli più spiegazioni di me, non aveva mai spostato quei suoi occhioni verdi da me, come rapito.
Mi chiesi allora se quel bimbo avesse mai avuto una figura paterna accanto.
"dov'è il tuo papà?" mi piegai sulle ginocchia e appoggiai i gomiti su di esse per mantenere l'equilibrio e per essere a pari altezza con lui.
Sembrò pensarci secoli sopra.
Mi guardava e non diceva nulla.
"la mamma non ce l’aveva più un papà... vero, Cody?" prese parola la donna sulla cinquantina che aveva tentato insieme a me di salvare quella povera ragazza.
Il bambino annuì piano senza staccarmi gli occhi di dosso.
Però, un padre lo aveva.
Un senso di compassione e di colpa mi pervase.
Se mi fossi sbrigato, l'avrei salvata e ora questo bambino avrebbe ancora una mamma.
E una vita più felice.

Rimasi in silenzio, non sapendo come riempirlo.
"chiamo la polizia e l'ambulanza..."
La donna rientrò all'interno e, avvicinatasi al telefono, alzò la cornetta portandola all'orecchio, digitando velocemente i numeri dei soccorsi.

"come ti chiami, campione?" 
Posai una mano sulla sua spalla, segno di incoraggiamento. Per tutto.
Sapevo già come si chiamava, ma volevo comunque saperlo da lui.
La signora l'aveva chiamato Cody pochi secondi fa.
"Cody" rispose un po' timido, ma con sicurezza.
Annuii sorridendogli.
"dov'è la mamma?" mi domandò nuovamente.
Solo Dio sa il coraggio che ottenni per sillabare sottovoce che era andata in cielo.
"perché in cielo? Non le piaceva stare qua con me?" un misto di amarezza e tristezza traspariva dalla sua vocina.
Risi scuotendo la testa.
"no, no, anzi, ti voleva cosi bene che ha deciso di lasciarti vivere una vita migliore... Forse lei non sarebbe riuscita a dartela"
Cosa ne sapevo io?
Chiedeva alla persona più sbagliata di questo mondo.
"posso andare anch'io con la mia mamma in cielo?" domandò umile.
"beh vedi... È molto lontano... E troppo presto. Però, ti prometto che un giorno la rivedrai, ok?" misi entrambe le mani sulle sue piccole spalle.
Annuì incerto.

La signora ricomparve sulla portafinestra.
"stanno arrivando... Ci faranno delle domande..." disse incrociando le braccia al petto.
Annuii.
"ok, ok...signora...?" lasciai che lei completasse la frase.
"...Harley" mi rispose con un sorriso.
"come stai, piccolo?" gli domandò.
Non rispose subito.
"voglio la mamma"
I suoi occhi trattenevano davvero troppe lacrime.
Mi stupivo della sua forza. Doveva ancora versarne una.

"la mamma... Non tornerà più..." disse la signora Harley "è morta."
Cody finalmente liberò tutto il dolore che portava dentro e le sue guance si riempirono di gocce salate e la sua bocca singhiozzava continuamente in preda al terrore.
Questo bambino aveva appena perso tutto, da quello che mi sembrava.
La sua famiglia sembrava inesistente e l’unico riferimento sembrava essere la madre.
"ehi" sussurrai chinandomi "la tua mamma ti ama cosi tanto... Sono sicuro che non vorrebbe vederti cosi..." gli accarezzai i capelli corti e biondi.
Alzai lo sguardo verso la signora Harley e le lanciai uno sguardo tipo gran tatto, complimenti!
Ero un maschio e non per niente elegante, dolce e tutto il resto da ragazzo modello o da sposare, ma nonostante questo avevo cercato pure io di addolcirmi e di scegliere le parole giuste da dire a Cody.
Anche mia madre mi ripeteva di non piangere.
Dopo la morte di mio padre.
Vorrei tanto dirlo a Cody.
Vorrei dirgli che anche io ho perso un genitore quando ero piccolo e che so come ci si sente.
Solo che il caso di Cody è molto peggio del mio.
Ma poi successe qualcosa che mi aggrovigliò lo stomaco.
Cody m’abbraccio, gettandomisi al collo e stringendolo con le sue piccole braccia.
Rimasi subito molto scioccato, ma ricambiai l’abbraccio stringendolo forte.
 
Quell’abbraccio mi iniettò nell’anima un senso di protezione nei suoi confronti che nemmeno io mi spiegai.
“ti prometto che andrà tutto bene, piccolo, te lo prometto” gli accarezzai la nuca più volte, mentre ancora singhiozzava sulla mia spalla.
Sembrava avesse davvero bisogno di me.
 
Dopo tutti gli interrogatori che avevo subìto dalla polizia, la gola mi si era seccata.
Guardai nel frigo dell’appartamento e trovai una bottiglia d’acqua naturale che non mi degnai nemmeno di versare in una bicchiere, ma bevvi direttamente dalla bottiglia.
Era venuto fuori dai discorsi di un po’ tutti i residenti di questo condominio che Mery, la ragazza, era stata lasciata dal fidanzato tre mesi fa e da quella volta non era più stata la stessa.
Aveva perso il lavoro e non riusciva a trovarne uno nuovo.
Le tasse, le bollette, il mutuo dell’appartamento, la scuola, il cibo, Cody e la perdita del padre erano diventati troppo un problema.
Del padre però non si è più saputo nulla e non si riesce a rintracciarlo.
I poliziotti si accertarono inoltre che si trattasse di un suicidio e non di un omicidio, controllando le telecamere che erano piazzate solo su ogni balcone, invece che all’interno degli appartamenti.
L’acqua fresca mi invase la gola secca e mi rianimai subito, emettendo un sonoro gemito quando allontanai la bottiglia dalla bocca.
“è lei il signor Justin Bieber?” un uomo tondo e bassino mi si presentò alla destra con una cartellina piena di documenti e carte in una mano e nell’altra una penna.
Avvitai il tappo alla bottiglia mentre mi laccai il labbro superiore annuendo.
“che succede?” rimisi la bottiglia in frigo.
“salve, assistente sociale Jonathan Geort” si presentò.
“salve” risposi scrollando le spalle.
“le volevo chiedere se era vero che aveva fatto domanda per la custodia provvisoria di Cody Tomson” non guardava me, ma i fogli che teneva in mano.
Scoppiai a ridere istericamente.
Sollevò lo sguardo e mi guardò confuso da sotto quelle spesse lenti d’occhiali che portava.
“un bambino di soli sei anni si ritrova solo al mondo e lei lo trova esilarante?”
Aggrottai le sopracciglia infilando i pollici anteriori nelle tasche dei jeans.
“non questo” risposi serio “ridevo per quello che aveva detto prima”
“non ha fatto domanda?”
“io? E quando mai?” arricciai il naso.
“la signora Harley ha detto che lei voleva sicuramente tenere il bambino visto che dobbiamo trovare una famiglia per lui e-” lo interruppi.
“che cosa?” allargai le braccia aggrottando sempre di più la fronte.
“è sordo o fa solo finta di non capire?” si sistemò gli occhiali sul naso.
“io non ho parlato con nessuno di niente” rimasi sulla difensiva.
Che cazzo sparava quella vecchia?
Io e quel bambino?
In casa mia?
No, no,  non se ne parlava.
Me n’ero andato da mia madre per avere la mia fottuta indipendenza e ora volevano piazzarmi un bambino affianco che non è manco mio?
Siete tutti pazzi, se credete che accetterò la sua custodia, anche se provvisoria.
 
Ho 22 anni e vivo da solo già da 3 anni.
Non appena ero diventato maggiorenne ne avevo subito approfittato, comprandomi un appartamento che non ho mai condiviso con nessuno, né amici né fidanzate varie.
Sono ancora in contatto con mia madre comunque, che rimase vedova quando io avevo ancora 8 o 9 anni circa.
La mia adolescenza è stata profondamente segnata dall’assenza di mio padre e poco dall’amore incondizionato di mia madre.
Le cattive compagnie che entrarono a far parte di quel periodo mi resero la persona che sono oggi, anche se di mia madre qualcosa mi è rimasto.
Ho iniziato a fare pugilato a 15 anni e quindi mi veniva semplice prendermela con tutti e fare a botte, visto il mio carattere testardo e scontroso.
Vincevo sempre nelle risse, creandomi anche una certa fama.
Sono uscito dal giro della droga l’anno scorso, mentre il fumo è ancora un abitudine.
L’argomento ragazze sarebbe meglio accantonarlo, non vorrei rovinarmi del tutto la reputazione che probabilmente mi state già dando.
Non sono del tutto un bad boy, haha.
Ho sempre un cuore, forse.
E stranamente a come crederete lo studio è una delle cose a cui più tengo nella vita.
Studio, all’Università di Los Angeles, Ingegneria Informatica, lavoro part-time in un centro assistenza Vodafone e amo quello che faccio e che studio.
Sembro un tipo molto aperto ed estroverso, ma nessuno sa cosa succede veramente dentro me e i miei segreti li so solo io.
Sto bene così come sto, la mia vita mi va più che bene così e non voglio di certo che venga scombussolata da questo bambino che non centra niente con me.
Può farmi anche pena o tenerezza, ma non accetterò mai la sua custodia.
 
“è solo provvisoria, finché non gli troveremo una famiglia”
Scrollai le spalle e scossi la testa.
“perché non lo affida alla signora Harley? Lei è una donna e ci sa più fare di me, sicuramente, e poi io non sono mai a casa perché vado all’università e lavoro quindi chi lo tiene Cody?”
“ha ragione... beh, fa niente lo manderemo all’orfanotrofio”
“cosa?!”
“ovvio, dove se no? Per strada?”
Sono orribili quei posti.
Li ho sempre odiati.
Era da mostri lasciarlo finire lì.
“per quanto tempo sarebbe la custodia provvisoria?” domandai.
“non posso definirlo... non so quando potrà comparire alla sua porta una famiglia”
Allora non se ne parla, pensai.
L’assistente sociale sembrò leggermi nel pensiero e, annuendo tra sé e sé, s’allontanò.
 
Rimasi lì impalato.
Con tutto il via vai di gente che c’era in quell’appartamento, le luci lampeggianti blu e rosse dei carabinieri e dell’ambulanza che provenivano da fuori e la confusione provocata dalla situazione in sé, mi sentivo come disorientato e spaventato.
Mi accorsi, guardandomi attorno, che qualcun altro era esattamente nel mio stesso stato.
Anzi forse lui ancor più di me.
Cody.
Seduto sul divano con le mani incrociate appoggiate sulle cosce, osservava tutta quella gente, forse anche sconosciuta, che era improvvisamente piombata dentro quella che era la sua casa, mentre qualche lacrima scendeva ancora silenziosa dal suo viso.
I suoi occhi erano colmi di malinconia, angoscia, timore, sconforto.
Nessuna luce speciale brillava.
Quel meraviglioso verde più che color prato sembrava color palude.
 
Quando percepì che lo stavo fissando e i suoi occhi si scontrarono con i miei di colpo una luce nuova si fece spazio tra di loro.
Gli rivolsi uno dei sorrisi più calorosi che avessi mai fatto a qualcuno.
Immediatamente agli angoli della bocca si formarono delle adorabili fossette ed alcuni dentini bianchi dalle forme irregolari sbucarono da dietro le rosee labbra.
 
Il mio cuore si districò involontariamente.
 
Sospirai.
 
Realizzai solo a quel punto quanto Cody avesse bisogno di me.
 
Cercai l’assistente sociale correndo ovunque e lo trovai, dopo qualche minuto, impegnato a parlare con la signora Harley sulla porta del suo appartamento al primo piano.
Entrambi mi fissarono turbati.
Forse perché respiravo affannosamente per via della corsa e del batticuore che mi aveva provocato l’agitazione.
 
“cerchi qualcosa, giovanotto?” mi domandò l’assistente.
Annuii inumidendomi le labbra con la lingua.
“accetto la custodia provvisoria di Cody” lo dissi così velocemente, come per liberarmi di un peso enorme, che quasi non capirono le mie parole perché mi guardarono stralunati.
La signora Harley fissò per un lungo tempo l’assistente, senza che lui se ne accorgesse, ma quando si voltò e se ne accorse, lei gli rivolse un sorriso complice che lui sembrò capire al volo, mentre io non riuscivo minimamente a decifrare i loro sguardi.
Fino a che la signora Harley non commentò vittoriosa rivolgendosi all’assistente sociale.
“glielo avevo detto”


___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

JUSTIN BIEBER.


CODY TOMSON.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: BieberSweat_