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Autore: Acquamarine_    08/05/2013    4 recensioni
Se avesse avuto un cuore sarebbe esploso, ma Annie Cresta non aveva più un cuore. Aveva solo qualche frammento incollato sui vestiti, assieme al sangue e alle lacrime che, ormai, erano irrefrenabili.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note Autore: sarò breve e concisa poiché non voglio rovinarvi l'atmosfera (che spero di essere riuscita a creare C:): la mia prof di italiano fra le tracce di un tema scritto tempo fa inserì questa frase di Emily Dickinson e io oggi, avendo ricevuto i risultati del tema, ho avuto modo di ritrovarmela davanti. E pensando pensando è nata questa piccola fic (il tema era diverso, non era un racconto). È molto confuso poiché è una situazione molto particolare. Niente... spero vi piaccia, a me è piaciuto da morire scriverla. Grazie, Ispirazioneimprovvisa. ♥

*

«Non c'è bisogno di essere una stanza per sentirsi infestati dai fantasmi, non c'è bisogno di essere una casa. La mente ha corridoi molto più vasti di uno spazio materiale ed è assai più sicuro un incontro a mezzanotte con un fantasma esterno piuttosto che incontrare disarmati il proprio io in un posto desolato.»

- Emily Dickinson

 

Continuava a correre, benché le gambe le ordinassero di fermarsi, benché il sangue continuasse a sgorgarle a fiotti dalla ferita, benché le sue braccia non trovassero alcun appiglio. Continuava a precipitare, sotto, nell'abisso, benché un attimo prima stesse correndo. Volava, i suoi vestiti si gonfiavano, gocciolavano, ma il sangue continuava a sgorgarle a fiotti dalla ferita. E d'un tratto presse a volteggiare, a girare su se stessa, nuda, senza vergogna. Vestita solo del sangue che continuava a sgorgarle a fiotti dalla ferita.

 

Era una ferita profonda, grossolana, all'altezza del petto: non vi era stata alcuna volontà di precisione nella mano che l'aveva inferta. Aveva sentito il cuore arderle come il fuoco, di un fuoco talmente caldo che sarebbe riuscito a sciogliere il sole, e poi l'aveva sentito gelare, d'un tratto, indurirsi. Diventare marmoreo. Poi era giunta la fase più difficile: il suo cuore si era sbriciolato in tanti piccoli pezzettini, che non riusciva a tenere in mano, a rimettere insieme. E più loro gridavano, più i pezzi diventano piccoli, invisibili, sottili. Il cuore era fermo, eppure il sangue continuava a fuori uscire, disperato, emigrando lontano da quel corpo vuoto e senza vita, mentre le urla continuavano a farle scoppiare la testa.

 

Erano arrivate prima di tutto, le urla. Inizialmente erano sussurri nel buio, poi erano divenute sempre più vicine e chiare: da semplici sibili si erano trasformati in lettere, poi in parole, infine in vere e proprie frasi. Morirai. Te lo meriti. È colpa tua. Finirai anche tu così. Alle voci si erano aggiunte persone, e per lei era stato come se fossero sempre state lì: non avrebbe saputo dire quando erano comparse, né se era davvero andata così. Loro sostenevano il contrario. Perché sarebbero dovuti arrivare dopo? Loro erano sempre stati lì, con lei. Loro sapevano tutto ciò che aveva fatto. Loro sapevano di quel ragazzo che aveva ucciso.

«È stato un incidente!» aveva gridato Annie, disperata, una notte. Ma la Signora Rossa non le aveva creduto, l'aveva sgridata: «Non si dicono le bugie, Annie, non lo sai? È una cosa brutta, ed è brutto uccidere le persone».

Eppure era andata proprio così, Annie ne era certa. Il suo coltello era finito contro il ragazzo per quella stupida scimmia urlatrice. Non l'aveva scagliato di proposito; non aveva provato alcun giovamento da quell'uccisione. Non era un'assassina.

«Sì, lo sei, Annie. Hai ucciso una persona, sei un'assassina. Hai ucciso un ragazzo innocente, Annie. Assassina, assassina».

E poi il suo cuore si era lacerato. Strack.

 

Mentre era ancora sospesa nell'aria chiuse gli occhi. E poi li riaprì, e non cambiò niente. Il suo mondo era diventato scuro, cupo, tenebroso. Non c'era un solo spicchio di luce. Avrebbe voluto urlare, eppure non poteva. Le sue labbra erano sigillate, incollate. E, quando le toccò, si rese conto di non avere più labbra.

Se avesse avuto un cuore sarebbe esploso, ma Annie Cresta non aveva più un cuore. Aveva solo qualche frammento incollato sui vestiti, assieme al sangue e alle lacrime che, ormai, erano irrefrenabili.

«Assassina, assassina. Annie, sei una ragazza cattiva. Assassina».

 

«Annie, Annie. Annie, ascoltami. Guardami, Annie».

Non sentiva più niente, Annie, eppure d'improvviso le esplosero nelle orecchie centinaia di suoni. Bicchieri che venivano poggiati sul tavolo, forchette che grattavano sul piatto, un allegro e continuo chiacchiericcio. E poi quella voce. L'unica voce che sarebbe riuscita ad accendere di nuovo il sole se un giorno si fosse spento, che sarebbe riuscita a riportarla in vita se fosse morta, che le avrebbe restituito la vista se fosse stata cieca, la voce se fosse stata muta.

E improvvisamente Annie si rese conto di avere labbra che smisero di tremare, mani che smisero di colpire, un cuore che riprese a battere. Degli occhi capaci di vedere. E li aprì, i suoi meravigliosi occhi, e il nero scomparve, e il suo cuore si riempì di nuovo, la sua ferita fu sanata, la sua mente svuotata. Non era più nero ciò che vedeva. Ora c'era azzurro, azzurro da ogni parte.

   
 
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