L'unico
pensiero che riusciva a ridestarla dall'apatia in cui era caduta era
quello della vendetta. Scavava nella sua mente come l'acqua erode la
roccia, appena udibile ma nondimeno presente.
Vendetta. La sola parola le accendeva il petto di desiderio, infiammava i suoi occhi di un ardore folle. Improvvisamente, non si sentiva più così vuota: il suo cuore riprendeva a battere, al ritmo dei tamburi di guerra di Nemesi.
Iniziava a muoversi come una belva in gabbia, impaziente e traboccante di ferocia. Distrarsi le risultava impossibile, né riusciva più a farsi cullare dall'incoscienza. I suoi sogni non erano più colmi di sofferenza, ma di rabbia e di odio.
La frustrazione le mordeva il fegato come un cane rabbioso. Se solo fosse stata più forte, se solo fosse riuscita ancora a reggersi in piedi, ad affrontare il mondo..! Li avrebbe schiacciati entrambi, affinché soffrissero come aveva sofferto lei, tra le grinfie dell'Ade. Non avrebbe avuto pietà: lui, il bastardo traditore, e lei, la sgualdrina che gliel'aveva portato via. Si sarebbe nutrita delle loro viscere e ne avrebbe bevuto il sangue.
Non bastavano le lacrime, non bastavano le urla: non c'era catarsi nella sua condizione.
Ogni notte, Megara si perdeva in fantasie di cupe vendette, stringendosi sotto le coperte, le braccia sempre più magre, la vita sempre più sottile.
Poteva vedere i sorrisi divertiti del dio dei morti a cui era asservita. Era evidente che Ade approvava quel suo cambiamento, e la cosa le provocava una sinistra inquietudine.
“Come siamo focosi, Meg...” le sussurrava compiaciuto, e in quei momenti Megara sentiva l'ira che le albergava nel cuore trasformarsi in bruciante vergogna. Allora abbassava di nuovo il capo, umiliata, e placava il suo desiderio di vendetta per qualche tempo.
Senza accorgersene, era riuscita a riscuotersi dallo stato di prostrazione in cui si era arroccata. Non si illudeva, tuttavia: sapeva perfettamente che nulla era cambiato. Un sacro furore si era impossessato di lei, infondendo nuova vita nelle sue membra spezzate senza però curarle. Eppure, proprio come prima, intimamente godeva di questa condizione. Il mondo era diventato l'oggetto della sua ira, perché il mondo l'aveva tradita, strappandole ogni speranza. Viveva in uno spazio liminale in cui tutti i valori che aveva sempre conosciuto erano rovesciati, in cui il male era la cosa giusta da fare, e a volte, per quanto faticasse ad ammetterlo, era appagante.
Non era più così difficile guardare Ade negli occhi, né portare a termine gli incarichi che lui le affidava.
Entrambi odiavano; entrambi amavano odiare.
Vendetta. La sola parola le accendeva il petto di desiderio, infiammava i suoi occhi di un ardore folle. Improvvisamente, non si sentiva più così vuota: il suo cuore riprendeva a battere, al ritmo dei tamburi di guerra di Nemesi.
Iniziava a muoversi come una belva in gabbia, impaziente e traboccante di ferocia. Distrarsi le risultava impossibile, né riusciva più a farsi cullare dall'incoscienza. I suoi sogni non erano più colmi di sofferenza, ma di rabbia e di odio.
La frustrazione le mordeva il fegato come un cane rabbioso. Se solo fosse stata più forte, se solo fosse riuscita ancora a reggersi in piedi, ad affrontare il mondo..! Li avrebbe schiacciati entrambi, affinché soffrissero come aveva sofferto lei, tra le grinfie dell'Ade. Non avrebbe avuto pietà: lui, il bastardo traditore, e lei, la sgualdrina che gliel'aveva portato via. Si sarebbe nutrita delle loro viscere e ne avrebbe bevuto il sangue.
Non bastavano le lacrime, non bastavano le urla: non c'era catarsi nella sua condizione.
Ogni notte, Megara si perdeva in fantasie di cupe vendette, stringendosi sotto le coperte, le braccia sempre più magre, la vita sempre più sottile.
Poteva vedere i sorrisi divertiti del dio dei morti a cui era asservita. Era evidente che Ade approvava quel suo cambiamento, e la cosa le provocava una sinistra inquietudine.
“Come siamo focosi, Meg...” le sussurrava compiaciuto, e in quei momenti Megara sentiva l'ira che le albergava nel cuore trasformarsi in bruciante vergogna. Allora abbassava di nuovo il capo, umiliata, e placava il suo desiderio di vendetta per qualche tempo.
Senza accorgersene, era riuscita a riscuotersi dallo stato di prostrazione in cui si era arroccata. Non si illudeva, tuttavia: sapeva perfettamente che nulla era cambiato. Un sacro furore si era impossessato di lei, infondendo nuova vita nelle sue membra spezzate senza però curarle. Eppure, proprio come prima, intimamente godeva di questa condizione. Il mondo era diventato l'oggetto della sua ira, perché il mondo l'aveva tradita, strappandole ogni speranza. Viveva in uno spazio liminale in cui tutti i valori che aveva sempre conosciuto erano rovesciati, in cui il male era la cosa giusta da fare, e a volte, per quanto faticasse ad ammetterlo, era appagante.
Non era più così difficile guardare Ade negli occhi, né portare a termine gli incarichi che lui le affidava.
Entrambi odiavano; entrambi amavano odiare.